21 aprile 1997 Desio (MB). Morto suicida Ambrogio Mauri, uno dei simboli della lotta alla corruzione in Italia.

Foto da: it.wikipedia.org

Ambrogio Mauri, imprenditore italiano, uno dei simboli della lotta alla corruzione in Italia. Alla fine degli anni Ottanta, la sua azienda attraversò un periodo di grande crisi, restando per tre anni senza commesse, crisi che si ripeté poi nuovamente negli anni tra il 1993 e il 1995: il motivo principale di questi problemi fu il costante rifiuto da parte di Mauri di pagare tangenti ai politici milanesi dell’epoca. Negli anni di Tangentopoli appoggiò l’attività del pool Mani Pulite, andando a testimoniare volontariamente. Tuttavia, al termine di quella stagione, deluso dal fatto che, come prima, gli venivano negati appalti (in ultimo nel 1996 per l’ATM), perché non accettava di pagare tangenti, si suicidò nel proprio ufficio, con un colpo di pistola al cuore.

Fonte:  vivi.libera.it

 

 

Fonte:  it.wikipedia.org

Ambrogio Mauri (Desio, 1931 – Desio, 21 aprile 1997) è stato un imprenditore italiano, uno dei simboli della lotta alla corruzione in Italia.

Figlio di Carlo Mauri, il fondatore, nel 1921, dell’azienda che oggi si chiama Mauri Bus Systems, ereditò l’attività paterna nel 1949.

Ambrogio Mauri trasformò l’azienda da realizzatrice e riparatrice di componenti per mezzi a motore in azienda realizzatrice di mezzi per il trasporto pubblico, autobus e filobus[2]. È stato anche l’ideatore del Bi-Bus, mezzo in grado di funzionare sia come filobus che – in assenza di corrente elettrica – come autobus a gasolio.

Fu anche consigliere comunale per la Democrazia Cristiana dal 1970 al 1975.

Alla fine degli anni ottanta, l’azienda attraversò un periodo di grande crisi, restando per tre anni senza commesse, crisi che si ripeté poi nuovamente negli anni tra il 1993 e il 1995: il motivo principale di questi problemi fu il costante rifiuto da parte di Mauri di pagare tangenti ai politici milanesi dell’epoca.

Negli anni di Tangentopoli appoggiò l’attività del pool Mani pulite, andando a testimoniare volontariamente. Tuttavia, al termine di quella stagione, deluso dal fatto che, come prima, gli venivano negati appalti (in ultimo nel 1996 per l’ATM), perché non accettava di pagare tangenti, si suicidò nel proprio ufficio, con un colpo di pistola al cuore.

Al suo funerale partecipò anche Antonio Di Pietro.

La nota trasmissione Rai Report ha dedicato un servizio ad Ambrogio Mauri e al destino della sua azienda nell’ottobre del 2010.

Nel marzo 2012 è stata pubblicata la sua biografia Un uomo onesto. Storia dell’imprenditore che morì per aver detto no alle tangenti scritto da Monica Zapelli ed edito dalla case editrice Sperling & Kupfer.

Nell’ottobre 2012 il comune di Desio dedica alla sua memoria il nuovo parco cittadino situato nel quartiere San Vincenzo Spaccone, realizzato da volontari locali che hanno recuperato un’area verde abbandonata, si tratta quindi di un progetto in sintonia con il suo senso della comunità. L’area è una delle superstiti zone verdi previste dal piano regolatore che il comune approvò mentre Ambrogio Mauri ne era membro. A lui è dedicato il “Memorial Ambrogio Mauri W la Legalità!”, promosso dal sito Made in Desio e dal Comitato di quartiere Spaccone – San Vincenzo: un torneo di calcio giovanile, nato nel 2011, che vuole gettare e coltivare il seme del rispetto delle regole a partire dalle nuove generazioni.

Nel 2013 ha ricevuto una menzione d’onore del premio Giorgio Ambrosoli.

Nel 2014 gli è stata assegnata la “Corona turrita”, onorificenza del comune di Desio.[senza fonte]

L’associazione “Libera” gli ha dedicato la campagna “Riparte il futuro”, proposta di legge di iniziativa popolare contro la corruzione; il 21 marzo 2018 il presidio dell’associazione presente a Sulmona ha intitolato a lui la sua sede.

 

 

 

Foto da: mauri-bus.it

 

Fonte: Fonte: mauri-bus.it

Il 21 Aprile del 1997, Ambrogio Mauri con un gesto di protesta scioccante esce di scena, scende “dal treno della vita”.

Il testamento morale

……..Peccato che io non credo più in questo paese, dove, corruzione e prepotenze imperversano sempre.

Auguro , a chi continua a resistere , di avere  maggiore “fortuna” di me.

Potrà sembrare un atto di egoismo. Non lo è sono proprio stufo di lottare ogni giorno contro la stupidità e la malafede e non capisco se è incompetenza.

Come tanti, ho cercato disperatamente di fare il mio dovere, di uomo, di imprenditore. Sempre.

Qualcuno preparato c’è , però sono casi isolati.

Abituato ad essere uno che guardava avanti con fiducia, ora, dopo tangentopoli tutto è tornato come prima. Più raffinati. Forse chissà saranno anche onesti.

Una cosa è certa la professionalità non pone al primo posto l’interesse pubblico.

C’è chi rinuncia alla vita perché non riesce a lavorare per troppa trasparenza.

Non serve a nulla essere professionalmente seri.

Il mio vuole essere un gesto estremo della protesta di chi si sente isolato dalla così detta società Civile.

P.S. – una bara povera e un ciuffo di margherite il resto è solo retorica. Se fosse possibile vorrei essere il primo sepolto nel nuovo cimitero per essere più vicino al luogo dove ho lavorato e….. sofferto molto.

 

 

Fonte:  espresso.repubblica.it
Articolo del 29 gennaio 2010
Ambrogio Mauri una vittima vera
di Marco Travaglio
La prossima volta che i presidenti della Repubblica, del Senato e del Consiglio vorranno ricordare una vittima di Tangentopoli, si spera che ne ricordino una vera. Non un politico corrotto e latitante, ma un imprenditore onesto che veniva escluso dagli appalti pubblici perché non pagava mazzette nella Milano da bere e da mangiare.

La prossima volta che i presidenti della Repubblica, del Senato e del Consiglio vorranno ricordare una vittima di Tangentopoli, si spera che ne ricordino una vera. Non un politico corrotto e latitante, ma un imprenditore onesto che veniva escluso dagli appalti pubblici perché non pagava mazzette nella Milano da bere e da mangiare. Si chiamava Ambrogio Mauri, abitava a Desio, in Brianza. Nell’aprile del 1997 si uccise con un colpo di pistola al cuore per protestare contro il sistema delle tangenti, a cui si era sempre ribellato. Aveva 66 anni. Lasciò la moglie, tre figli e un’azienda che da mezzo secolo costruiva autobus e tram esportandoli in tutto il mondo, ma a Milano era regolarmente esclusa dalle gare dell’Atm. Aveva il brutto vizio di non ungere i partiti. Quando partì l’inchiesta Mani Pulite, che falcidiò anche i vertici dell’Atm, Mauri andò a testimoniare davanti al pm Antonio Di Pietro. Il quale poi, quando lesse della sua morte, si ricordò di lui e partecipò al suo funerale, disertato da tutte le autorità. “I dirigenti corrotti dell’Atm”, ricorderà Di Pietro, “gli avevano fatto una serie di soprusi.

Era una vittima del sistema e fu uno dei primi e dei pochissimi a collaborare spontaneamente. La testimonianza andò benissimo. Col tempo si creò un rapporto di stima e amicizia. Ci veniva a trovare in Procura, ci incoraggiava ad andare avanti. Ci diceva: meno male che c’è Mani Pulite, grazie al vostro pool sono tornato a credere nella giustizia. Si era illuso che potessimo ripulire l’Italia. Invece, dopo Tangentopoli, è scattata la vendetta”. Nel 1996 Mauri fu escluso anche dalla gara bandita dall’Atm per la fornitura di cento autobus. Pochi mesi dopo scrisse poche parole su un biglietto: “Dopo Tangentopoli tutto è tornato come prima”. E una lettera alla moglie Costanza: “Tu sei il mio primo e ultimo bene. Forse, se fossi stato più malleabile, le cose sarebbero andate diversamente e non ti avrei dato tutti questi problemi. Il mio suicidio è l’atto finale del mio amore”. E si sparò. Anziché inviare un messaggio di cordoglio alla famiglia o partecipare ai funerali, durante le esequie i vertici dell’Atm convocarono una conferenza stampa per rivendicare l'”assoluta trasparenza” dell’ultima gara. I figli, che non avevano mai collegato il gesto paterno a quell’appalto, parlarono di “excusatio non petita”.

Ecco, la prossima volta che le verrà il trip di cambiare nome a un parco di Milano, la sindaca Letizia Moratti potrebbe dedicarlo ad Ambrogio Mauri. La prossima volta che Renato Schifani cercherà una “vittima sacrificale di Tangentopoli” da beatificare in Senato, potrebbe raccontare la storia di Ambrogio Mauri. La prossima volta che a Giorgio Napolitano scapperà la voglia scrivere alla vedova di un uomo trattato con “una durezza senza eguali”, Giorgio Napolitano potrebbe rivolgerla a Costanza Mauri. Risparmierebbe pure sull’affrancatura: la signora non abita ad Hammamet, ma a Desio (Brianza, Italia).

 

 

 

Articolo dell’11 luglio 2012 da repubblica.it
Mauri, “Un uomo onesto” con il coraggio di dire no

La storia di Ambrogio Mauri, imprenditore che rifiutò di pagare tangenti e che si tolse la vita. Monica zappelli ne ha raccontato la storia in un libro (“Un uomo onesto”, edito da Sperling&Kupfer)

di ANNA MARIA DE LUCA

ROMA – Ambrogio Mauri, l’uomo che morì per aver detto no alle tangenti: una storia vissuta nella quotidianità della famiglia e del lavoro in azienda. “Non pensavamo che qualcuno potesse interessarsi alla nostra storia”, dice la figlia Roberta. Invece è successo, “perché la vita dà grandi dolori ma anche belle sorprese”. Dopo tanti anni di silenzio, la storia dell’Ambrogio, come lo chiamano dalle sue parti, finalmente sta uscendo dall’oblio. “Un giorno  –  racconta la figlia – mi squilla il telefono: era la sceneggiatrice de I cento passi, Monica Zapelli. Voleva raccontare la storia di mio padre, cosi come aveva fatto con Peppino Impastato. Rimasi stupita ma accettai, mi sembrava giusto farlo. E da allora ho cominciato a parlare di papà”.

Il nesso fra Impastato e Mauri. Cosa unisce Peppino Impastato, giornalista ucciso in Sicilia e Ambrogio Mauri, imprenditore brianzolo suicidatosi alla scrivania del suo ufficio? “E’lo stesso brusio – scrive la Zapelli – la stessa voce irridente che abbiamo ascoltato ogni volta per i morti di serie B, quelli che non hanno una divisa o un ruolo istituzionale che li protegge. Giuseppe Fava? Roba di donne. Peppino Impastato? Un poveraccio, ma ti pare che Badalamenti si disturba per far ammazzare un ragazzetto, un nulla mischiato con niente? … Sembra buon senso ma è solo un velo sporco messo a coprire la verità”.

Il 21 aprile del 97.  Mauri va in ufficio, come tutti i giorni, alle otto. Si siede alla sua scrivania, ha una lettera da finire. Il giorno prima ne aveva scritte otto, ai familiari e agli amici ed anche al direttore di una banca con cui si era tante volte scontrato.  “… La lettera è finita, i compiti sono stati distribuiti…l’Italia non cambierà mai. Non c’è più niente che debba fare … apre il cassetto della scrivania e tira fuori la sua pistola… Lui in questo paese non ci vuole più vivere… la punta verso il cuore. Perché è lì che è stato ferito in tutti questi anni. Non nella testa, ma nel cuore. Si solleva il maglione, per non bucarlo. E’ l’ultimo gesto di un uomo che nella sua vita non ha mai sprecato niente. Poi si spara…” Scrive la Zapelli in Un uomo onesto, edito da Sperling & Kupfer.

Il grande oblio.  “L’oblio che lo inghiottirà si respira già nelle prime ore… Mi ha sempre dato fastidio – spiega Monica Zapelli a Repubblica – il fatto che i nostri stereotipi culturali si basino sull’illegalità e sulle mafie e non su storie positive. Impastato aveva voluto sfidare la mafia nella sua famiglia ed era stato dimenticato. La storia di Mauri è una storia lombarda, ma che riguarda tutta l’Italia. In entrambi i casi, l’onestà ha un destino di solitudine”. E’ una storia che dunque va raccontata, perché tutti sappiano. Partendo da dove? Da dove c’è più bisogno: da Vibo Valentia, per l’esattezza.

Si riparte da sud. La mattina in cui Roberta Mauri e Monica Zapelli arrivano a Vibo, sulla spiaggia un uomo cammina con un casco. Spara, tra gli ombrelloni, tra i bambini che costruiscono castelli di sabbia. E porta a segno il suo compito: uccidere un trentenne, accanto ai figli e alla moglie. E’ in questo contesto che risuona la storia di Ambrogio Mauri, l’uomo “innamorato del suo lavoro e incapace di rinunciare ai suoi principi”. “Siamo venute a Vibo – spiega la figlia – grazie all’iniziativa di un giovane magistrato di prima linea, Fabio Regolo: ha scoperto questo libro, lo ha letto tutto d’un fiato e subito ha contattato l’autrice dicendo che voleva assolutamente condividere con la gente di Vibo la storia di mio padre”.  E infatti la gente di Vibo risponde: non ci sono più posti neanche in piedi, nella sala. Già lo scorso anno aveva dato un segnale forte, rispondendo al new deal avviatosi con l’insediamento, tre anni fa, di Roberto Lucisano, presidente del Tribunale di Vibo, e del giudice Fabio Regolo:  tappezzarono la città di manifesti con scritto “Grazie a chi sta riscrivendo il futuro dei nostri figli”.

Chi era Ambrogio Mauri? “Non è un santo – scrive la Zapelli – è il proprietario di un’azienda che costruisce autobus. Ma è anche un cittadino che ha deciso che a lui certe strade non interessano… Ha una certezza: che il prezzo della disonestà lo paghi con il denaro, quello dell’onestà con la professionalità e la fatica. Se non cerchi scorciatoie devi sapere che sarai costretto a essere più baravo degli altri. Farai più fatica, guadagnerai meno. Ma alla fine, anche se piccolo, un tuo spazio lo troverai … era uno strano democristiano. Uno che ammira Berlinguer e che quando vede gli scioperi degli operai al tg sussurra ai figli “Hanno ragione loro”.

Il coraggio di dire no. “Il coraggio di mio padre – racconta Roberta Mauri a Vibo – è stato nel non assoggettarsi mai al sistema delle tangenti, imperante nell’ambito in cui lavorava. Non ha mai pagato. La sua è la storia di una grande passione, quella per il suo lavoro, vissuta fino all’ultimo respiro, nel senso letterale del termine, ed anche di una immensa solitudine. Condividere un’esperienza tanto amara in un contesto sicuramente faticoso come questo aiuta a sostenerci reciprocamente per trovare la forza di affrontare e combattere realtà anche pericolose. Se si è in tanti a dire no alle tangenti si può avere la speranza di riuscire a sconfiggerle. C’è una frase storica di Martin Luther King che dice: Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio si alzò, andò ad aprire e vide che non c’era più nessuno”

 

 

 

Fonte: mbnews.it
Articolo del 21 marzo 2017
Lissone, il Comune dedica una via all’imprenditore anticorruzione Ambrogio Mauri
di Nicolò Calcagno

L’amministrazione di Lissone, in occasione della Giornata della legalià e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie intitolerà una strada all’imprenditore di Desio Ambrogio Mauri, divenuto negli anni simbolo della lotta alla corruzione, suicida per opporsi ad un sistema di tangenti e scorciatoie.

Anche se di dimensioni ridotte, si trova in posizione centrale e tocca la imminente “Città dei ragazzi”, quale simbolico esempio di legalità e giustizia per i più piccoli.

Il Comune proporrà questa mattina 21 marzo a Palazzo Terragni (inizio ore 11.30) un incontro rivolto ai ragazzi delle scuole superiori del territorio; l’evento, collegato con l’inaugurazione della via intitolata ad Ambrogio Mauri, prevede la presenza del sindaco Concettina Monguzzi, delle autorità civili e militari del territorio, oltre che di Valerio D’Ippolito, referente di Libera – Monza e Brianza.

Seguirà la testimonianza di Roberta Mauri che racconterà la figura e le vicende del padre Ambrogio, lasciando spazio alle domande che verranno poste dagli studenti. Alle 12.30 è previsto lo spostamento presso via Ambrogio Mauri per l’intitolazione della nuova via con cerimonia istituzionale.

Proprio per l’importanza del tema ecco un’intervista esclusiva VIDEO con il Sindaco Concettina Monguzzi che prima racconta la storia di Ambrogio Mauri e poi spiega i motivi che hanno spinto l’amministrazione a intitolare la via a questo simbolo della lotta alla corruzione: “A noi sembra una persona che con il proprio impegno testimonia una legalità un far crescere la propria impresa lottando contro la corruzione sci fa piacere ricordarla in quella giornata. Siamo convinti che anche la toponomastica vada a lasciare un segno importante,una presenza significativa che farà domandare ai cittadini del futuro il perché quella stessa via si chiami proprio così. LA nostra è una città che attraverso le scuole, la biblioteca lavora con la legalità e lo vuole fare anche attraverso le vie. Abbiamo intitolato varie vie dal significato profondo in questi cinque anni, a Carlo Maria Martini, Elisa Ancona, Sandro Pertini e Lea Garofalo e ora Ambrogio Mauri. Tutte persone che ci riportano a un discorso di giustizia e di lotta alla corruzione”.

 

 

 

 

Roberta Mauri e il ricordo di Ambrogio Mauri: suo padre

RadioBue.it – Pubblicato il 12 mar 2018
Ambrogio Mauri è stato un imprenditore ma soprattutto un uomo onesto, schiacciato da un sistema corrotto. Il sistema era chiaro: o pagavi o eri fuori.

Ambrogio non voleva scendere a compromessi, non voleva pagare le tangenti per lavorare con la pubblica amministrazione e per questo il Il 21 aprile 1997 si è sparato al cuore, lasciando una dura lettera in cui diceva di essere “stanco di dover combattere ogni giorno contro la malafede”.

Roberta Mauri ora gira l’Italia facendo rivivere la figura di suo padre, vittima innocente di un sistema corrotto.

 

 

 

Fonte: giannibarbacetto.it
Articolo del 23 gennaio 2020
Ambrogio Mauri, l’uomo che morì perché non voleva pagare tangenti
di Gianni Barbacetto

In questi tempi di commemorazioni commosse, santificazioni tentate e amnesie selettive, voglio ricordare un uomo, un vero protagonista di Tangentopoli. Morto e dimenticato. Si chiamava Ambrogio Mauri. Imprenditore. Nella sua officina di Desio, in Brianza, il padre aveva cominciato a riparare i tram dell’Atm, l’azienda dei trasporti di Milano. Poi l’officina era cresciuta, si era trasformata in fabbrica, aveva iniziato a costruire autobus innovativi e competitivi. È Ambrogio Mauri ad avere l’idea del jumbo-tram, ottenuto unendo con piattaforme girevoli tre vetture. È lui che per primo sperimenta la carrozzeria in alluminio. Progetta il Bi-bus, l’autobus bimodale elettrico e a gasolio. Realizza il primo bus a pianale ribassato, senza gradini. Ma aveva deciso di non ungere le ruote per vincere le gare, di non pagare il pizzo mafioso della tangente ai partiti, nella craxiana Milano da bere che oggi torna a essere nostalgicamente celebrata.

Così viene escluso dagli appalti più grandi, vende i suoi bus in Italia, ma a Milano è emarginato dalle gare Atm, controllate dai cassieri di partito. Sconfitto dall’Iveco in una gara per la fornitura di cento bus a pianale ribassato, va a vedere la presentazione al pubblico dei due primi mezzi e ha un fremito: non sono dell’Iveco, ma sono i due prototipi che lui aveva venduto all’Atm qualche tempo prima. In quel momento, dopo anni di battaglie, si dichiara sconfitto. Domenica 20 aprile 1997 scrive otto lunghe lettere ai famigliari e agli amici, va nel suo ufficio in fabbrica, estrae dal cassetto una Magnum 357 e si spara un colpo al cuore. Dopo aver sollevato il maglione, per non bucarlo: ultimo gesto di un uomo che nella sua vita non aveva mai sprecato niente.

La sua storia è scritta in un libro che sarebbe bello far tornare nelle librerie. S’intitola: Un uomo onesto. Storia dell’imprenditore che morì per aver detto no alle tangenti. Scritto da Monica Zapelli, l’autrice del film I cento passi, è stato edito da Sperling & Kupfer nel 2012. “Questa è la storia di un uomo normale”, scrive Zapelli. “Ambrogio Mauri non voleva fare la rivoluzione, voleva costruire autobus”. Impresa impossibile, nella Milano di Tangentopoli dove molte gare d’appalto si decidevano in un ufficio di piazza Duomo 19. Allora, le buste chiuse delle gare d’appalto, con le offerte più innovative, competitive e convenienti, erano meno pesanti delle buste gialline delle mazzette ritirate dalla Enza Tomaselli, la mitica segretaria di Bettino.

Nel 1992 di Mani Pulite, Ambrogio Mauri va a una serata organizzata dall’Associazione industriali di Monza, che ha invitato a parlare Antonio Di Pietro. Il magistrato spiega che cosa gli imprenditori potrebbero fare per spezzare il patto che li lega ai politici e agli amministratori che decidono le commesse pubbliche. Ambrogio Mauri si alza, si volta verso la platea dei suoi colleghi industriali e dice: “Alzi la mano chi di noi non ha mai pagato almeno una volta l’ufficio acquisti di un’azienda”. Alza la mano. Si guarda attorno. È l’unico. Allora si rivolge a Di Pietro: “Dottore, o sono tutti monchi, o lei deve cambiare mestiere”.

Bruno Rota, quando arrivò al vertice di Atm chiamato dal sindaco Giuliano Pisapia, regalò per Natale il libro su Ambrogio Mauri a tutti i manager dell’azienda. Fu uno choc. Ne regaleremo una copia anche all’attuale sindaco di Milano, Giuseppe Sala, così che ne possa tener conto, nel caso volesse dedicare una via a qualche personaggio che ha onorato la città, o consegnare un Ambrogino d’oro alla memoria. Sarebbe bello che leggesse questo libro anche Stefania Craxi, che ha perso un padre e conosce dunque il dolore di Roberta, Carlo e Umberto, figli di Ambrogio Mauri.

 

 

Leggere anche:

 

vivi.libera.it
Ambrogio Mauri – 21 aprile 1997 – Desio (MB)
Una vita spesa per il lavoro, con impegno e dedizione assoluti, senza mai piegarsi a ricatti e tangenti. Nella convinzione che dire no alla corruzione, alla sua ferrea regola “O paghi o non lavori”, fosse l’unica scelta possibile in una vita onesta.