21 ottobre 1992 Caserta. Assassinato Vincenzo Feola, 58 anni, imprenditore. Vittima del racket delle estorsioni.

Foto da: primadanoi.it

Vincenzo Feola fu ucciso il 21 ottobre 1992 dentro la sua azienda perché non voleva restare nel consorzio Cedic, creato da Antonio Bardellino, il primo boss dei Casalesi, per gestire in regime di monopolio la fornitura del calcestruzzo nel territorio.
Nel consorzio erano confluiti tutti i produttori di calcestruzzo casertani, i titolari di cave e quelli di impianti di produzione.
Feola in un primo momento aveva aderito al raggruppamento di imprese, poi aveva deciso di uscire perché non era disposto a pagare al clan 2mila lire per ogni metro cubo di calcestruzzo venduto, il ‘pizzo’ imposto alle ditte per lavorare. […]
Per gli investigatori, la sua decisione poteva anche essere legata al fatto che credeva di poter contare in questa sua ‘ribellione’ sull’appoggio del clan Belforte, egemone nell’area. (tratto da: primadanoi.it )

 

 

 

 

La Stampa del 22 ottobre 1992

 

 

Fonte:  archivio.unita.news
Articolo del 22 ottobre 1992
Fuochi d’artificio per l’assoluzione
A Caserta ucciso un imprenditore
di Vito Faenza

NAPOLI Alle 16,15 all’improvviso in largo Baracche, nei Quartieri Spagnoli, sono echeggiati i colpi dei fuochi di artificio. Due giovani della zona, accusati di essere gli autori dell’omicidio compiuto in un night partenopeo il 16 maggio del 90 (vittima designata un boss, Ciro [De Biase, che venne solo ferito), sono   stati assolti dalla Corte di Appello. In primo grado erano stati condannati all’ergastolo. E la condanna arrivò nonostante che un pentito si fosse accollata la responsabilità dell’agguato.

I familiari, gli amici, i cumparielli, hanno inteso festeggiare anche se i due sono stati condannati per associazione per delinquere. Anzi, era pronto anche un palco, ma dieci fermi hanno impedito il concertino.  Ma i fuochi artificiali le forze dell’ordine non sono riuscite a fermarli. E così tracchi e bengala per cinque minuti hanno ravvivato questa zona del cuore di Napoli. Non è la prima volta che si festeggia in maniera tanto eclatante una assoluzione. Il defunto ex sindaco di Quindici, Raffaele Graziano, venne addirittura festeggiato sotto le mura del carcere con banda, corteo e fuochi artificiali.

La giornata si era aperta con l’ennesimo omicidio di camorra, nel casertano era stato assassinato alle 6 Vincenzo Feola, 60 anni, imprenditore di S. Nicola la Strada, un centro alle porte del capoluogo. L’agguato è stato compiuto nei pressi dell’«Appia calcestruzzi», un’impresa di proprietà dell’assassinato. Pochi dubbi sulla matrice camorristica dell’agguato, ancor meno sul movente del delitto: il racket sul cemento. Feola è stato un esponente politico locale del Psdi e poi del Pri. Consigliere comunale e poi assessore, attualmente continuava a far politica, ma in maniera defilata.

[…] Qualcuno pensa che possa essere anche una vendetta trasversale, quella che ha colpito l’imprenditore, ma è una ipotesi che trova scarsa considerazione tra gli inquirenti. La traccia è nel calcestruzzo, un settore che, come affermava in un rapporto di qualche tempo fa la Guardia di Finanza, è quasi del tutto in mano alla camorra.

La malavita organizzata campana, o almeno una parte di essa, si stava strutturando come la mafia siciliana. Squadra Mobile e Carabinieri affermano di aver individuato una sorta di «cupola» della camorra che aveva creato anche una nuova sigla: «Nuova Mafia Campana» dove ci sono le iniziali di tutte le vecchie organizzazioni della malavita partenopea e quella nuova, si fa per dire, della mafia. A dar vita all’organizzazione Gennaro Licciardi e Francesco Mallardo, due «emergenti» attualmente in carcere, aiutati da quattro persone tuttora latitanti e altre due, arrestate l’altra sera.

 

 

 

 

Fonte: primadanoi.it
Articolo del 30 maggio 2017
Clan dei Casalesi, uccisero imprenditore nel 1992: individuati i presunti colpevoli
I carabinieri arrivano anche a L’Aquila (nel carcere)

ABRUZZO.  Operazione dei Carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Caserta che, nelle province di Caserta, Como, Sassari e L’Aquila, stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Napoli, su richiesta della Dda partenopea, nei confronti di 4 indagati ritenuti responsabili di concorso in omicidio e detenzione e porto illegale di armi, con l’aggravante del metodo mafioso.

L’indagine ha consentito, tra l’altro, di individuare nei destinatari del provvedimento, tutti ritenuti affiliati al clan dei Casalesi, gli autori dell’omicidio di un imprenditore edile, commesso il 21 ottobre 1992 a Caserta.

«UNA CHIARA ESECUZIONE CAMORRISTICA»

Come raccontavano i giornali di quei giorni Vincenzo Feola, all’epoca 58 enne, venne ammazzato con 15 colpi di pistola alle sei e mezza del mattino mentre stava entrando a bordo della sua Mercedes nel suo stabilimento di calcestruzzi, alle porte di Caserta.

L’uomo era un imprenditore molto noto in Campania ed aveva ricoperto anche l’incarico di ex assessore comunale di San Nicola la Strada (socialdemocratico e poi transitato nelle fila repubblicane), paese in cui era nato e risiedeva.

A scoprire il corpo senza vita dell’uomo, adagiato sul volante, fu un guardiano notturno, richiamato dagli spari.

Fin da subito gli inquirenti parlarono di «una chiara esecuzione camorristica».

Vincenzo Feola era titolare della Appia Calcestruzzi e secondo quanto emerso negli anni passati avrebbe probabilmente fatto concorrenza ad altre società, alcune delle quali – come hanno dimostrato anche indagini della magistratura – controllate da “colletti bianchi” della camorra.

La “Appia Calcestruzzi” faceva parte, da pochi anni, del consorzio Cedic che raggruppa tutti gli operatori del settore della provincia di Caserta.

«Secondo indiscrezioni raccolte dagli investigatori», scriveva La Repubblica in un articolo dell’ottobre del 1992, «ultimamente Feola aveva rotto i patti all’ interno del sodalizio, praticando prezzi al ribasso per recuperare una parte di consistenti perdite di esercizio che lo avevano anche costretto a chiedere più volte una serie di prestiti. Forse agli usurai».

DOPO 25 ANNI LA SOLUZIONE DEL CASO

Sembrava dovesse diventare uno dei tanti irrisolti delitti di camorra, ma dopo 25 anni, magistrati antimafia e carabinieri sono venuti a capo dell’omicidio di Vincenzo Feola.

Un ‘cold case’ per il quale oggi quattro persone sono state raggiunte dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Napoli. Anzitutto i boss, detenuti da anni, Francesco Bidognetti, alias ‘Cicciotto e Mezzanotte’, già detenuto nel carcere di L’Aquila, e Francesco Schiavone noto come “Cicciariello”, cugino del capoclan Francesco “Sandokan” Schiavone: i due esponenti apicali del clan sono ritenuti i mandanti del delitto.

In carcere sono poi finiti anche gli “specchiettisti”, coloro che aiutarono i killer ad entrare in azione, ovvero Andrea Cusano di 60 anni, catturato a Cantù (Como), e Ettore De Angelis di 53 anni, arrestato a Santa Maria a Vico.

La Dda di Napoli (Pm Annamaria Lucchetta) e i carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno anche ricostruito l’identità dei sicari grazie alle dichiarazioni proprio di uno dei due killer, Nicola Panaro, oggi collaboratore di giustizia; questi ha indicato come altro esecutore materiale Michele Iovine, ucciso nel 2008 a Casagiove nel periodo in cui era il referente dei Casalesi nella città di Caserta.

Due anni fa Panaro, poco dopo essersi pentito, ha iniziato a raccontare del delitto, seguito poi da altri due ex esponenti di rilievo del clan capeggiato da Francesco Sandokan Schiavone, ovvero Cipriano D’Alessandro e Giuseppe Misso. L’omicidio, è emerso, fu ordinato perché Feola aveva deciso di uscire dal Cedic, il Consorzio formato dalle aziende di calcestruzzo e creato da Antonio Bardellino e Carmine Schiavone, quest’ultimo cugino di Sandokan e primo pentito dei Casalesi (morto qualche anno fa), che in provincia di Caserta aveva il monopolio della fornitura del materiale per l’edilizia e gestiva tutti gli appalti edili.

Feola fu ucciso il 21 ottobre 1992 dentro la sua azienda perché non voleva restare nel consorzio Cedic, creato da Antonio Bardellino, il primo boss dei Casalesi, per gestire in regime di monopolio la fornitura del calcestruzzo nel territorio.

Nel consorzio erano confluiti tutti i produttori di calcestruzzo casertani, i titolari di cave e quelli di impianti di produzione.

Feola in un primo momento aveva aderito al raggruppamento di imprese, poi aveva deciso di uscire perché non era disposto a pagare al clan 2mila lire per ogni metro cubo di calcestruzzo venduto, il ‘pizzo’ imposto alle ditte per lavorare.

All’epoca, l’imprenditore era impegnato nei lavori di costruzione del centro orafo campano ‘Il Tari”, nell’area industriale di Marcianise.

Per gli investigatori, la sua decisione poteva anche essere legata al fatto che credeva di poter contare in questa sua ‘ribellione’ sull’appoggio del clan Belforte, egemone nell’area.

 

 

 

Fonte: cronachedi.it
Articolo del 17 gennaio 2019
Clan dei Casalesi, un imputato per l’omicidio Feola incontrò Licio Gelli
di Giuseppe Tallino
La circostanza è stata rivelata da Andrea Cusano, accusato dell’omicidio dell’imprenditore avvenuto nel 1992. Ha negato di aver aiutato gli assassini, ha ammesso di avere conosciuto l’ex sindaco di San Nicola Centore

CASAL DI PRINCIPE – Conosceva Vincenzo Feola. “Era un grosso imprenditore”, ha dichiarato in aula Andrea Cusano. Ma con il raid di piombo che gli costò la vita non avrebbe avuto nulla a che fare. “Non misi a disposizione dei killer la mia abitazione”. Ad accusarlo di aver partecipato all’omicidio, invece, ci sono tre collaboratori di giustizia: Cipriano D’Alessandro ‘Ciglione’, Giuseppe Misso ‘Carico ‘a lieggio’ e Nicola Panaro.

Cusano, assistito dall’avvocato Gabriele Gallo, è a giudizio proprio con Misso, dinanzi alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere. Se ‘Ciglione’ lo ha chiamato in causa nell’assassinio di Feola, ha spiegato l’imputato durante il suo esame, è “per rancore”. “Gli dissi che era un truffatore e per un camorrista era una cosa grave”. I suoi rapporti con gli altri due pentiti, invece, si sarebbero limitati a sporadici incontri casuali. “Qualche volti li ho visti al bar, quando prendevo il caffè con Michele Iovine”, capozona dei Casalesi su Caserta, assassinato nel 2008 (per la Dda su ordine di Michele Zagaria). Rispondendo alle domande del pm Graziella Arlomede e degli avvocati, è emerso anche il passato giudiziario, legato alla droga, di Cusano.

I precedenti sono saltati fuori quando le parti gli hanno chiesto se conoscesse o meno Pasquale Centore, altro collaboratore di giustizia ed ex sindaco di San Nicola la Strada che ha parlato dell’omicidio Feola. “Certo che lo conosco – ha confermato l’imputato –. Lui gestiva il traffico di stupefacenti, io ero il suo braccio destro”. Perché Cusano, negli anni Novanta, avrebbe trafficato chili e chili di cocaina. “Ero in difficoltà economiche”. Alcune sue attività di famiglia fallirono: “Cercai di occuparmi di import-export. Una volta accompagnai Centore in Spagna. Lo ascoltai parlare con una persona e mi propose di trasportare 20 chilogrammi di cocaina. Accettai”.

In quel periodo turbolento l’imputato ha ammesso di aver incontrato anche Licio Gelli. il ‘Maestro venerabile’ della loggia massonica P2. “Gli scrissi una lettera”. Una sorta di richiesta d’aiuto. “Mi chiamò e mi invitò a casa sua. Prima di entrare c’erano i carabinieri. Dovetti presentare il documento”. L’imputato, però, in udienza, non ha rivelato i dettagli dell’incontro. In relazione al traffico di narcotici Cusano è stato condannato a 17 anni di reclusione. “Ne ho scontati 14 anni. Ora faccio volontariato”.

L’inchiesta ha già determinato quattro condanne in primo grado: 30 anni di carcere per Francesco Bidognetti, difeso dall’avvocato Emilio Martino, 14 anni per Ettore De Angelis, assistito dai legali Rosario Piombino ed Enrico Accinni. Dieci anni a testa, invece, la pena decisa per Cipriano D’Alessandro e Nicola Panaro, entrambi collaboratori di giustizia, rappresentati dagli avvocati Sergio Mazzone e Rosa Gentile. L’imprenditore, titolare dell’Appia Calcestruzzi, è stato assassinato il 21 ottobre del 1992. Secondo gli inquirenti il delitto fu innescato dalla volontà dell’imprenditore di non versare la tangente ai Casalesi. I congiunti dell’imprenditore, costituiti parte civile, sono rappresentati dall’avvocato Claudio Pascariello.

Ieri, prima di Cusano, ha testimoniato anche una delle figlie di Feola. La donna, di professione ingegnere, ha chiarito che dopo la morte del padre, trovò nell’azienda una situazione debitoria enorme: “C’era un giro d’affari da 12 miliardi lire con 60 dipendenti. Ma anche 10 miliardi di debiti. Fino al giorno dell’agguato era tranquillo. Lavorava dalla mattina alla sera, come sempre”. Il processo di primo grado riprenderà a fine mese.

 

 

 

Fonte:  casertanews.it
Articolo del 11 febbraio 2019
Il boss: “L’ex assessore ucciso perché non voleva stare alle regole dei Casalesi”
di Giuseppe Perrotta
Francesco Schiavone svela i retroscena dell’omicidio dell’imprenditore

Francesco Schiavone Cicciariello, storico boss del clan dei Casalesi, è stato ascoltato quest’oggi nel processo che si sta svolgendo davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere per l’omicidio dell’ex assessore di San Nicola la Strada Vincenzo Feola. Il processo vede imputati Andrea Cusano, 62 anni, oggi residente in provincia di Como, e Giuseppe Misso di San Cipriano d’Aversa.

Dalla testimonianza del boss, che è imputato in un procedimento collegato per lo stesso omicidio, è emerso come l’omicidio dell’imprenditore Feola fosse “notizia nota” negli ambienti del clan dei Casalesi per la sua mancata “volontà” di acquistare la polvere di cemento dalle aziende indicate da Cipriano D’Alessandro. Proprio quest’ultimo, secondo il racconto fatto da Cicciariello, sarebbe stato colui che voleva lanciare un segnale per il “timore” che altri imprenditori potessero decidere di non sottostare alle “regole del clan”. Un elemento non di poco conto, visto che in questo modo emergerebbe “con pienezza” come l’imprenditore Feola sia stato una vittima della camorra.

Schiavone ha poi raccontato di essere venuto a conoscenza dell’agguato su viale Carlo III a San Nicola la Strada solo dopo che lo stesso era stato commesso, ma di non averci dato molto peso anche perché non era “un’area” di sua competenza all’interno dell’organizzazione criminale. Al termine della deposizione, è stata avanzata la richiesta di ascoltare anche l’imprenditore Sebastiano Minutolo che, nel periodo in cui è stato commesso l’omicidio (avvenuto nel 1992), lavorava proprio con la vittima. I giudici sperano così di avere un quadro più chiaro della vicenda.

 

 

 

Fonte: caserta.occhionotizie.it
Articolo del 28 marzo 2019
Assolto Francesco Schiavone, era accusato dell’omicidio di Vincenzo Feola
di Annalisa Barra

È stato assolto Francesco Schiavone, accusato dell’omicidio all’assessore del comune di San Nicola la Strada, Vincenzo Feola, ucciso in un agguato nel 1992.

In sede di requisitoria, il pm della Dda, aveva chiesto l’ergastolo per l’imputato. Secondo le accuse, sarebbe stato uno dei mandanti dell’agguato mortale, nei riguardi di Feola. L’Assessore avrebbe deciso di uscire dal Cedic, il consorzio del cemento creato dall’ex fondatore dei Casalesi.

Il legale dell’imputato, ha invece sostenuto che non avrebbe fornito alcun contributo morale al delitto. Il boss si era dissociato dal clan da alcuni anni, senza però collaborare con la giustizia.