22 settembre 1993 Altofonte (PA) ucciso Antonino Vassallo accusato dai capimafia di avere commesso furti senza autorizzazione.

Antonino Vassallo fu ucciso il 22 Settembre 1993. Accusato dai capimafia di avere commesso furti senza l’autorizzazione dei boss.
(Fonte: vivi.libera.it)

 

 

Fonte: ricerca.repubblica.it
Articolo del 28 febbraio 2003
Morì per una telefonata alla donna del boss

Una telefonata di pochi minuti alla fidanzata di un boss mafioso è costata la vita ad un giovane di San Giuseppe Jato; la decisione di assassinare un pregiudicato a pochi giorni dal suo matrimonio, è stata invece presa dai capimafia per evitare che la futura sposa diventasse subito vedova. Sono i retroscena di due delitti compiuti fra il ’93 e il ’94, raccontati dal pentito Enzo Brusca.
Il collaboratore è stato interrogato nell’ aula bunker di Rebibbia, a Roma. Rispondendo alle domande del pm Francesco Del Bene, Enzo Brusca ha detto di aver ucciso personalmente Cosimo Fabio Mazzola il 5 aprile 1994, perché aveva telefonato alla fidanzata di Giuseppe Monticciolo. Mazzola, secondo il pentito, voleva riallacciare la relazione con la donna.

La decisione di anticipare l’uccisione di Antonino Vassallo, morto il 22 settembre 1993, accusato dai capimafia di avere commesso furti senza l’autorizzazione dei boss, sarebbe stata presa invece da Giovanni Brusca perché «non voleva fare una vedova».

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it 
articolo del 28 agosto 2009
Svelato un delitto del nuovo padrino

Baciò sua moglie, disse che doveva andare a un appuntamento. E poi scomparve nel nulla, la sera del 13 marzo 1997. Pietro Romeo era un piccolo mafioso di Altofonte, molto vicino a Giovanni Brusca. Per anni, la verità sulla sua morte è stata cercata fra i misteri del ritorno in Sicilia del pentito Balduccio Di Maggio: in quei mesi, attorno a San Giuseppe Jato, si consumò infatti una faida. Ma Pietro Romeo non fu ucciso dal clan del pentito Di Maggio. I sostituti procuratori Francesco Del Bene e Amelia Luise hanno adesso svelato il giallo. E quella storia che sembrava ormai appartenere a un passato lontano è apparsa in tutta la sua dirompente attualità. Ad uccidere Pietro Romeo sarebbe stato infatti Domenico Raccuglia, il padrino di Altofonte che è ormai latitante da 13 anni, è lui l’uomo forte di Cosa nostra nella provincia di Palermo. La Direzione distrettuale antimafia ha chiuso le indagini per la scomparsa di Pietro Romeo e si appresta a chiedere un processo per Domenico, “Mimmo”, Raccuglia.

Grazie alle dichiarazioni di Giovanni Brusca i pm sono riusciti a ricostruire il contesto mafioso di quei giorni: Romeo cercava un ruolo sempre più influente nel potente mandamento di San Giuseppe Jato. Raccuglia non gradì, lo voleva lui quel posto. E prese l’iniziativa estrema, tentando poi di mascherare quella lupara bianca, facendo cadere la responsabilità sulla cosca di Balduccio Di Maggio, che in quelle settimane aveva colpito diversi esponenti dello schieramento Brusca. La «tragedia» è durata a lungo. Fino a quando i magistrati non hanno deciso di interrogare alcuni dei principali fiancheggiatori di Balduccio Di Maggio durante il suo ritorno in Sicilia, adesso anche loro collaboratori di giustizia. Tutti, da Michelangelo Camarda a Nicolò Lazio a Giuseppe La Rosa, hanno rispedito le accuse al mittente. Più di recente, Raccuglia ha provato a crearsi un’immagine nuova. Di «provenzaniano», di padrino della «vecchia guardia» che preferisce la mediazione alla violenza. Per certo, oggi sappiamo che all’ inizio della sua carriera fu un sanguinario.

Adesso, lo certificano pure due condanne della corte d’ assise di Palermo che il pm Del Bene ha ottenuto portando a giudizio Raccuglia per gli omicidi di Antonino Vassallo (22 settembre 1993) e Francesco Reda (13 agosto 1994). Raccuglia è stato condannato anche per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Dell’ uomo più influente di Cosa nostra in provincia, nessuna traccia recente. Quest’anno, per la prima volta dall’inizio della latitanza, sua moglie e i figli sono rimasti ad Altofonte. Fino all’anno scorso, invece, scomparivano puntualmente a giugno e ricomparivano a settembre, per l’inizio della scuola. Un anno, la signora tornò anche incinta. E la casa delle vacanze dei Raccuglia è sempre rimasta senza indirizzo.

Fra tante difficoltà, carabinieri e polizia cercano di stringere il cerchio delle indagini. Ad aprile, i militari del Reparto Operativo del comando provinciale erano arrivati vicinissimi al boss latitante: un’indicazione precisa li aveva portati al monastero di Piana degli Albanesi. Per un intero pomeriggio, il paese fu tenuto d’assedio da cento militari e da un elicottero. Furono ispezionati anche i cunicoli che circondano Piana. Ma di Raccuglia è rimasta solo qualche labile traccia. Gli investigatori ritengono che il boss sia fuggito travestito da frate. Il mistero continua. Nell’ombra restano anche i nuovi fedelissimi del padrino. Le indagini dicono che hanno l’ordine di muoversi in modo discreto per la riscossione delle estorsioni e per l’aggiustamento degli appalti. Raccuglia il sanguinario cerca di rifarsi un’immagine nuova. s.p.

 

 

Fonte: archivio.antimafiaduemila.com
articolo del 29 agosto 2009
Nuovo processo per Raccuglia?
di Aaron Pettinari

Palermo. Per anni la scomparsa di Pietro Romano, piccolo boss di Altofonte molto vicino a Giovanni Brusca, era stata attribuita al clan del pentito Balduccio Di Maggio.
Si è sempre pensato che la sua morte rientrasse nell’ambito di una faida interna nel mandamento di San Giuseppe Jato. Una teoria che oggi viene smentita. Infatti ad uccidere Romano la sera del 13 marzo 1997 non sarebbe stato il clan Di Maggio ma Domenico Raccuglia, padrino di Altofonte, latitante da 13 anni. A scoprire la nuova verità sono stati i sostituti procuratori Francesco Del Bene e Amelia Luise.

La Dda palermitana ha chiuso definitivamente le indagini ed ora si starebbe apprestando a chiedere il rinvio a giudizio per la primula rossa. Per ricostruire l’intera vicenda, ancora una volta, sono stati decisivi gli interventi dei collaboratori di giustizia ed in particolare le dichiarazioni dello stesso Brusca. ¨Secondo la ricostruzione, all’epoca Romeo stava cercando di acquisire un ruolo sempre più rilevante all’interno del mandamento di San Giuseppe Jato e Raccuglia, altrettanto interessato ad acquisire maggior potere, decise di eliminare “l’avversario” facendo ricadere la colpa su Di Maggio. Del resto quest’ultimo, in quelle settimane, aveva colpito diversi esponenti dello schieramento di Brusca. A rafforzare le dichiarazioni dell’ex boss di San Giuseppe Jato ci sono anche le testimonianze dei pentiti Michelangelo Camarda, Nicolò Lazio e Giuseppe La Rosa, collaboratori stretti di Di Maggio all’epoca dei fatti.

Condannato a tre ergastoli per associazione di stampo mafioso, rapina, estorsione e omicidio, Raccuglia è accusato di aver ucciso Girolamo La Barbera, padre del pentito Gioacchino, di aver commesso una serie di omicidi negli anni Novanta e di aver partecipato al sequestro e all’uccisione di Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido a soli 11 anni. Che “u veterinario”, così chiamano Raccuglia, fosse un sanguinario lo si sapeva. Attualmente ci sono anche due condanne in Corte d’assise per gli omicidi di Antonino Vassallo (22 settembre 1993) e Francesco Reda (13 agosto 1994). Lo scorso aprile gli inquirenti erano quasi riusciti ad arrestarlo a Piana degli Albanesi. Raccuglia sarebbe riuscito a sfuggire al blitz del monastero grazie ad un travestimento da frate. Ma si era arrivati così vicino alla sua cattura.

Forse anche per questo, per la prima volta dopo tanti anni, la moglie ed i figli sono rimasti ad Altofonte. In passato erano sempre riusciti a far perdere le proprie tracce e raggiungere il latitante per le vacanze estive. Oggi Raccuglia, presente nell’elenco dei trenta ricercati più pericolosi d’Italia, non sarebbe soltanto l’erede carismatico che ha sostituito Giovanni Brusca alla guida del mandamento di Altofonte ma rappresenta l’ultimo baluardo, al pari del boss trapanese Matteo Messina Denaro, della vecchia mafia siciliana.

 

Fonte: cinquantamila.it
Biografia di Benedetto Capizzi
• Palermo 28 giugno 1944. Mafioso (capo del mandamento “Santa Maria del Gesù”). Detenuto al 41 bis (fine pena mai). Condannato anche per omicidio, una volta per averlo eseguito strozzando la vittima (Antonino Vassallo, in Altofonte il 22 settembre 1993). Gli furono revocati i domiciliari per motivi di salute, perché, stabilì il Tribunale di Sorveglianza, l’anemia di cui effettivamente soffriva era autoindotta (in quanto rifiutava le cure). Arrestato il 16 dicembre 2008, secondo gli inquirenti voleva rifondare la Commissione Provinciale e diventarne il capo. (a cura di Paola Bellone).
GIORGIO DELL’ARTI, scheda aggiornata al 30 luglio 2014

 

 

Fonte: corriere.it
Articolo del 15 novembre 2009
Mafia, preso il boss Domenico Raccuglia
Maroni: «È il numero due di Cosa Nostra»
Latitante da 15 anni, è considerato uno dei successori di Riina. Grasso: «Successo investigativo importantissimo»

È finita la lunga latitanza di Domenico Raccuglia, spietato boss mafioso di Altofonte (Palermo), a tutti gli effetti il numero due di Cosa Nostra dopo l’altro super latitante, Matteo Messina Denaro. Il boss, arrestato dalla polizia a Calatafimi nel Trapanese, figurava nell’elenco dei latitanti più pericolosi. Era ricercato da 15 anni.

HA TENTATO LA FUGA – Quarantacinque anni, detto “il veterinario”, è stato trovato dagli agenti della sezione catturandi della mobile di Palermo, al termine di un’operazione che il questore Alessandro Marangoni ha definito «chirurgica». Si nascondeva in un appartamento in periferia di Calatafimi. Al momento dell’irruzione era solo: ha tentato di fuggire dal terrazzo, ma è stato bloccato dai poliziotti che avevano circondato l’edificio. Nell’appartamento, che aveva scelto come covo solo da pochi giorni, sono stati sequestrati due pistole, documenti, pizzini, denaro e materiale che gli inquirenti definiscono «molto importante». Prima di tentare la fuga, Raccuglia ha gettato dalla finestra un sacco pieno di documenti, subito recuperato. Intorno alle 22 il capomafia è arrivato nella questura di Palermo accompagnato da una decina di auto della polizia. Gli agenti che hanno partecipato al blitz sono stati accolti dagli applausi dei ragazzi del comitato antiracket Addiopizzo. Dalle finestre della squadra mobile, gli uomini della catturandi, col volto coperto dal passamontagna, hanno fatto il segno della vittoria.

DELFINO DI BRUSCA – Già “delfino” del boss di San Giuseppe Jato – oggi pentito – Giovanni Brusca, “il veterinario” è stato condannato a tre ergastoli (uno per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo), a 20 anni di reclusione per tentato omicidio e ad altre pene per associazione mafiosa. Durante la sua latitanza, nonostante il continuo controllo nei confronti della moglie, Raccuglia è riuscito a diventare padre per la seconda volta. Da tempo era considerato uno degli aspiranti al vertice della mafia palermitana come successore di Totò Riina, essendo il capo incontrastato delle cosche a Partinico, grosso centro fra il capoluogo e Trapani.

MARONI: ERA IL NUMERO DUE – «L’arresto di Raccuglia è uno dei colpi più duri inferti alle organizzazioni mafiose negli ultimi anni perché era di fatto il numero due di Cosa Nostra» ha commentato il ministro dell’interno Roberto Maroni, che ha telefonato al capo della Polizia Antonio Manganelli per congratularsi dell’operazione. A Maroni sono arrivate invece le congratulazioni del presidenti del Senato Schifani e della Camera Fini. «L’arresto del boss Raccuglia – si legge in una nota di Palazzo Madama – rappresenta un evento importantissimo e un’ulteriore vittoria dello Stato sulla criminalità organizzata». Fini parla di «un successo dello Stato e della democrazia che testimonia l’importanza di proseguire con determinazione nella lotta alla mafia e a ogni forma di criminalità organizzata».

GRASSO: SUCCESSO IMPORTANTE – Per il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso si tratta di un «successo investigativo importantissimo». «Ho fatto le mie congratulazioni al ministro Maroni, al questore di Palermo e ai ragazzi della sezione catturandi della mobile – ha detto -. Quando ho sentito il questore era insieme ad alcuni degli agenti della sezione catturandi, ragazzi che conosco bene e con cui ho lavorato quando ero procuratore a Palermo. Ho potuto complimentarmi anche con loro». «Raccuglia – spiega Grasso – è considerato il numero due, per peso criminale, nella lista dei ricercati di Cosa Nostra dopo Matteo Messina Denaro. In questi anni ha esteso il suo dominio da Altofonte fino al confine con la provincia di Trapani, come conferma il fatto che si nascondeva proprio nel Trapanese».

INGROIA: UN CAPO ASSOLUTO – Anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia parla di un arresto di straordinaria importanza. «Abbiamo preso uno dei capi assoluti di Cosa Nostra ancora in circolazione in un momento di ascesa all’interno delle gerarchie mafiose – spiega -. È stata un’indagine molto difficile perché Raccuglia si è dimostrato attento e accorto nella gestione della sua latitanza e lo dimostra il fatto che l’arresto è avvenuto fuori dalla sua zona, in un’area più tranquilla». Secondo Ingroia, all’interno di Cosa Nostra «si crea adesso un ulteriore vuoto dove i latitanti di spicco sono sempre meno. Adesso assumono maggiore importanza Nicchi a Palermo e Messina Denaro a Trapani. Raccuglia era l’uomo cuscinetto che controllava i territori fra Palermo città e la provincia di Trapani».