3 ottobre 1991 Caraffa Del Bianco (RC). Assassinato Stefano Bonfà, 62 anni, imprenditore agricolo. Probabile testimone di rapimento.
Stefano Bonfà, 62 anni, imprenditore agricolo di Samo, fu ritrovato cadavere nella sua auto nei pressi del podere di sua proprietà nel comune di Caraffa Del Bianco.
Si ipotizza che Stefano Bonfà sia stato ucciso per aver visto il passaggio di un mezzo con dentro una vittima di sequestro, in quanto la sua proprietà è situata in una “zona strategica”; quella era l’epoca dei sequestri di persona.
Per anni, dopo l’uccisione di Stefano Bonfà, si sono susseguiti danneggiamenti, anche con l’utilizzo delle cosiddette “vacche sacre”, nei terreni di proprietà della famiglia Bonfà. Il figlio della vittima, Bruno, sta lottando da allora per avere verità e giustizia e l’attenzione delle autorità su quanto accaduto e sta ancora accadendo alla sua famiglia.
Fonte: ilfattodicalabria.it
Articolo dell’8 settembre 2018
Sequestri di persona in Aspromonte, c’erano militari deviati?
di Valeria Esposito Vivino
La ricerca della verità di Bruno Bonfà, figlio di Stefano ucciso nel 1991 dalla ‘ndrangheta. Esposto al procuratore nazionale De Raho, ai ministri Salvini e Bonafede. Prime risposte dalla Prefettura di Reggio Calabria sulla vicenda vacche sacre
Quale è stato il ruolo delle forze dell’ordine nei sequestri di persona avvenuti tra gli anni 80/90 in provincia di Reggio Calabria? È vero gli uomini dell’arma dei Carabinieri, collusi con la ‘ndrangheta, hanno favorito e sono stati parte attiva nei sequestri? Che uso è stato fatto delle camionette in dotazione all’Arma? È vero che sono state utilizzate per trasportare i sequestrati ed eludere i posti di blocco delle altre forze dell’ordine? Ma soprattutto, fu proprio perché vide un sequestrato su un mezzo dell’Arma che Stefano Bonfà fu ucciso? A questi e ad altri interrogativi, cerca risposta Bruno Bonfà, figlio dell’uomo ucciso il 3 ottobre 1991.
Tanti gli esposti denuncia presentati dall’imprenditore reggino, l’ultimo in ordine di tempo, è stato inviato, pochi giorni fa, al procuratore nazionale Antimafia Cafiero De Raho nonché al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ai ministri del’Interno e della Giustizia nonché al prefetto, al procurato capo della Dda di Reggio Calabria Bombardieri e al commissario straordinario del Governo.
La richiesta di accertamento di Bruno Bonfà è circostanziata e dettagliata. Si chiede, tra l’altro, di verificare, i rapporti tra criminalità, servizi segreti e forze dell’ordine deviata in relazione ai sequestri di persona avvenute in Aspromonte, e nello specifico nella vallata de La Verde.
Bonfà vuole fare luce su una verità scomoda a molti ma che permetterebbe di dare dignità alla morte del padre e a non far spegnere la speranza in chi crede in una giustizia giusta.
Il padre ha pagato con la vita l’aver visto qualcosa che non doveva vedere.
“Molto probabilmente – dice Bonfà – uno dei sequestrati a bordo di una camionetta dell’Arma”. La nostra azienda si trova in una zona strategica all’epoca dei sequestri di persona.
“La mia è una battaglia per la verità – puntualizza – volta all’assicurazione delle responsabilità relative a l’olocausto di morti trucidati soltanto perché fortuiti testimoni di quei passaggi inconfessabili non solo per me ma per tutte le famiglie che ne sono state vittime”.
Bonfà chiede l’accertamento relativo alle modalità con cui il malaffare disponeva delle informazioni riservate e che ha utilizzato al fine di evitare di percorrere strade e sentieri opportunamente controllati dalle forze di polizia, presenti sul territorio, inoltre, l’accertamento patrimoniale inerente ai militari (capitani e/o marescialli, carabinieri) dell’epoca sospetti ed inevitabilmente coinvolti nella gestione dei sequestri di persona con particolare riferimento a quelli gestiti sul territorio ricadente nella giurisdizione della Compagnia di Bianco, più particolarmente nella vallata del La Verde, alle spalle di Africo, nel bosco di Ferruzzano, lungo la fiumara La Verde, direzione Motticella, ai piedi di Samo, quindi nelle relative diramazioni e correlazioni, quale crocevia tra San Luca e Motticella”.
“Basterebbe – spiega l’imprenditore – fare un semplice incrocio dei dati tra mezzi a disposizione dell’Arma, percorsi svolti, personale in servizio, eventuali posti di blocchi e attuali risorse economiche dei carabinieri in servizi all’epoca per individuare gli eventuali collusi”.
Su un punto non transige Bonfà: tutti gli accertamenti finalizzati a ristabilire la verità dei fatti e la presenza o meno di forze militari deviate devono essere svolte direttamente dalla distrettuale di Reggio Calabria. Troppo alto sarebbe il rischio di “insabbiamento”.
Bruno Bonfà è sotto scorta da anni proprio perché ha scelto di non tacere e di andare fino in fondo nella sua battaglia.
“Lo faccio per la memoria di mio padre – sottolinea – non si può far finta di niente, se tacessi sarei schiavo della malavita”.
Dalla morte del padre non c’è stata pace per Bruno e la sua azienda, prima in Italia per la lavorazione del bergamotto. Incendi, furti, vacche sacre. Ad ogni iniziativa colturale e di espansione aziendale è sempre – racconta – corrisposta un’azione uguale e contraria”.
“Oggi, la presenza delle “vacche sacre” – si legge nella sua denuncia – costituisce il quinto tentativo di distruggere per la terza volta le colture di bergamotto di recente impianto”
Non è un mistero che la ndrangheta utilizzi le “vacche sacre” per intimidire, distruggere e portare gli imprenditori a mollare la presa.
E mentre la questione relativa all’individuazione delle forze militari deviate è ancora aperta Bonfà ha ricevuto le prime risposte da parte della Prefettura in merito all’accertamento della presenza delle vacche sacre in azienda.
Il prefetto ha inviato un nucleo interforze che per due giorni ha controllato la situazione.
“Sono soddisfatto – commenta Bonfa – perché ho ricevuto un primo segnale dopo aver presentato denunce circostanziate contro un preciso ambiente mafioso di Africo a cui appartengono le vacche sacre presenti nella mia azienda”.
“Ringrazio il prefetto di Reggio Calabria che ha disposto una presenza sistematica nell’azienda di un nucleo interforze per debellare il fenomeno delle vacche sacre che tiene sotto scacco il 70% dell’azienda”
La voglia di verità di Bonfà è persistente come il profumo dei suoi bergamotti.
Fonte: ilfattodicalabria.it
Articolo del 21 ottobre 2018
Quell’omicidio “figlio” delle Forze dell’ordine e dei servizi segreti
Anonima sequestri d’Aspromonte e colletti bianchi deviati, la verità dell’uccisione di Stefano Bonfà
Chi sono i mandati dell’omicidio di Stefano Bonfà? A 27 anni dall’omicidio il caso è ancora aperto grazie alla tenacia del figlio dell’imprenditore di Samo, Bruno Bonfà.
E quello che all’epoca era solo un sospetto potrebbe essere invece una sconvolgente realtà.
Dietro la morte di Stefano Bonfà ci sarebbero forze dell’ordine deviate. A corroborare questa inquietante ipotesi ci sarebbero le dichiarazioni rilasciate da un dirigente della polizia di Stato.
Erano gli anni dei sequestri di persona in Aspromonte e l’agro di Stefano Bonfà, nella vallate La Verde a Bianco, era in una posizione nevralgica per i sequestratori di persona.
Ma perché uccidere Stefano Bonfà? Quale la sua colpa?
La teoria del figlio, così come confermata da un dirigente della Polizia, è una sola: “Stefano Bonfà è una delle tante vittime trucidate perché fortuito testimone di passaggi inconfessabili, all’epoca dei sequestri di persona, gestiti con la complicità di forze investigative deviate”.
Forte delle nuove rivelazioni, Bruno Bonfà ha presentato al procuratore nazionale antimafia De Raho e al procuratore distrettuale antimafia di Reggio Calabria un’ennesima richiesta di accertamento, con valore di denuncia querela, inerente all’eventuale imposizione disposta dalle forze investigative deviate all’ambiente mafioso-criminale di consumare l’omicidio del padre.
Bonfà chiede di “verificare le dichiarazioni rilasciate del dirigente di Polizia, poi trasferito in altra sede e in caso negativo accertare le vere ragioni del suo trasferimento”, se l’omicidio del padre è avvenuto proprio perché Stefano Bonfà “aveva visto ed era a conoscenza del ruolo criminale che aveva svolto e continuava a svolgere questo pezzo dello stato deviato” e infine se “gli autori dei sequestri di persona dell’epoca siano anche i proprietari delle “vacche sacre” di oggi”.
Animali che per anni hanno fatto razzia sui terreni del Bonfà. Qualora le dichiarazioni del dirigente di polizia trovassero conferma si aprirebbe in seno alle forze dell’ordine una vera e propria caccia alle streghe. Ma per cercare di individuare le eventuali “mele marce” basterebbe poco, come dice Bruno Bonfà “seguite i soldi” e affidate le indagini a uomini estranei al territorio.
Solo così si saprà se e chi nelle forze dell’ordine ha preso e continua a prendere parte alle azioni di una parte della criminalità organizzata della Locride.
Fonte: ilfattodicalabria.it
Articolo del 20 febbraio 2019
La Dna indagherà sulle intimidazioni subite da Bonfà
Dieci giorni fa l’ennesimo danneggiamento ad opera delle vacche sacre. Danni per un milione di euro. Ma dietro alle intimidazioni oltre alla ‘ndrangheta ci sarebbero i servizi deviati
Dopo l’ennesimo raid della mafia dei pascoli costata a Bruno Bonfà, imprenditore agricolo della Locride, la perdita di 1500 alberi tra Bergamotti e Ulivi per una danno stimato intorno al milione di euro, le sue denunce sono state accolte dalla Procura Nazionale Antimafia.
È dal 1991, anno in cui fu ucciso il padre Stefano Bonfà, che l’imprenditore denuncia continui danneggiamenti e vessazioni da parte della ‘ndrangheta fiancheggiata da presunti servizi deviati.
D’ora in poi ci sarà una forte attenzione da parte della Dna. “Le mie affermazioni, le circostanze, i fatti da me denunciati sono di rilevante gravità, in tutte le implicazioni. Poi ci sono aspetti che – ha dichiarato Bruno Bonfà – sono ancora coperti dal segreto istruttorio e di cui non posso parlare per ora”.
È un bene che la procura nazionale antimafia abbia finalmente posto l’attenzione alle denunce di Bonfà, troppe questioni irrisolte legate da un unico filo conduttore: la ‘ndrangheta.
A questo filo nero si legano a doppio nodo l’omicidio del padre, i sequestri di persona e le vacche sacre.
Dopo denunce è arrivato il tempo delle risposte.
La storia di Bruno e Stefano Bonfà: vittime della ndrangheta e dello Stato
Associazione COVA CONTRO – 6 dicembre 2020
Intervista del 4 novembre 2018, fonte Rai 2 Storie tg2.rai.it