La Guerra di Dario. Vivere e morire a Napoli di Paolo Miggiano

La Guerra di Dario. Vivere e morire a Napoli
di Paolo Miggiano

Argot Edizioni, 2018

“La guerra di Dario” è una selezione di storie di vittime innocenti della criminalità e del dovere. Spesso si raccontano le mafie, le camorre, il male in genere in quanto narrazione importante, perché il nemico se c’è lo devi conoscere. Così a finire su un libro, sullo schermo di un cinematografo o di una televisione sono sempre più spesso le storie dei criminali, dei camorristi, magari pentiti, o al massimo dei morti ammazzati illustri. Il più delle volte è il male che prende la scena! Ci sono, però, altre storie che meritano di essere raccontate, quelle degli umili, dei troppo dimenticati dalla storia, quelle che non appassionano. Ma a farlo sono in pochi. Sono le storie dei più deboli, dei vinti che, comunque, non devono cadere nell’oblio, di chi non ha più voce per colpa del crimine o della poca attenzione alle regole. In una “scrittura sociale” appassionata, Paolo Miggiano presenta le storie di questi cittadini. Federico Del Prete, l’ambulante solo; Annalisa Durante, una bambina uccisa nel cuore di Napoli. Antonio Landieri, un giovane disabile; Gelsomina Verde, uccisa e data alle fiamme; Dario Scherillo scambiato per un killer; Fabio De Pandi, un bambino di undici anni.

 

Prefazione di Vincenza Alfano

Le parole di Paolo Miggiano scavano dentro la storia. Storia di questi anni, storia della città, storia di ciascuno di noi. Raccontano la storia di tante storie le parole di Paolo Miggiano. Storie tutte uguali e diverse. Storie insanguinate. Storie che non hanno senso. Lo fanno senza aggiungere dettagli inutili, ritraendo momenti di vite spezzate senza un perché. Ci lasciano muti di fronte a un dolore agghiacciante, dolore di madre, di padre, di fratello, di uomo, di cittadino. E cosa si potrebbe aggiungere quando una storia è così forte da sé? Sono storie che non hanno bisogno di uno scrittore, occorre un testimone. Così Paolo Miggiano si muove agevolmente tra esigenza di cronaca e narrazione. La sua prosa asciutta, misurata, ma sempre giusta, sa scavare dentro di noi il baratro di un dolore senza resurrezione. Ci si può attendere solo una catarsi ma bisogna passare attraverso il fuoco della sua passione, della sua sete di giustizia, della sua vita spesa nella costante e operosa lotta alla criminalità. Lo ha fatto combattendola in prima persona come poliziotto e continua a farlo ancora con l’arma potente della scrittura che padroneggia mirabilmente.

La guerra di Scampia la più cruenta e feroce tra le tante faide di camorra non è la guerra di Troia. Nel mondo antico la guerra si combatteva con onore e rispettava i valori della comunità. Quelli che scendevano in battaglia erano eroi che difendevano gli Ideali di una collettività che si riconosceva nelle loro imprese. Quegli eroi agivano nel rispetto di un preciso codice etico. Esisteva la vergogna di chi abbandona il proprio popolo nel momento del bisogno, gettando le armi e fuggendo via. Esisteva il dovere di sacrificarsi e morire in battaglia per la patria. Esisteva il valore della sepoltura dei corpi. L’obbedienza agli dei. La difesa delle donne e dei bambini. L’amicizia. Anche la morte, luttuosa, prematura, dolorosa s’inscriveva in un orizzonte di senso che permetteva a chi restava in vita, spose, figli, genitori, di sopravvivere. E si accettava l’esilio, il pellegrinaggio, la servitù in una terra straniera conservando nel cuore l’esempio valoroso dei propri eroi.

La guerra di Scampia non ha eroi, forse è sbagliato perfino attribuirle il nome di guerra. Non ci sono eserciti in questa guerra. Non ci sono arruolati. Si muore per sbaglio e senza combattere. Questa guerra non ha eroi ma solo vittime. Vittime innocenti – scrive con straordinaria lucidità e forza Miggiano – che con la camorra non hanno proprio nulla a che fare, che stanno per i fatti loro e pure muoiono. Sono gli effetti collaterali della guerra, che poi non è proprio una guerra, perché la maggior parte delle persone non l’ha dichiarata questa guerra.

Bisogna commuoversi, bisogna piangere, bisogna indignarsi. Il racconto di Paolo Miggiano muove questa indignazione necessaria per combattere un male che non riconosce nessuna legge etica, che non ha un codice.

Antonio che non sapeva camminare, “non può correre e viene ucciso, senza pietà”.

Sedici giorni dopo tocca a Gelsomina Verde, “al cadavere, martoriato dai colpi, si deve infliggere un ulteriore oltraggio”, scrive Miggiano e con questa incisiva frase scolpisce nella mente del lettore la crudeltà di chi ha voluto arrecare un’estrema offesa alla sua bellezza.

Poche pagine scandiscono un tempo incalzante: quattordici giorni dopo viene ucciso Dario Scherillo. Un’altra morte ingiusta e senza senso. Dario muore per uno scambio di persona. Così ne scrive Miggiano: Dario ha solo l’armatura, ma nessuna voglia di combattere.

Infine la storia più dolorosa tra tutte perché a morire è un bambino: Fabio era solo un puntino in tutto questo mondo. Un bambino che non poteva sapere, né comprendere che cosa stesse avvenendo in quei giorni di luglio del 1991. La scrittura di Paolo Miggiano diventa incalzante, affidata al ritmo martellante e stentoreo dell’anafora presente in più capoversi: Fabio, però era solo un bambino; Fabio era solo un bambino e poco se ne importava di quello che stava accadendo…; Fabio non era in grado di capire; Se Fabio fosse stato più grande; Se quei vigliacchi gli avessero dato il tempo; Era ancora molto piccolo Fabio. Non abbiamo scampo di fronte a un’immagine univoca, un bambino massacrato per errore, per aver intercettato la traiettoria di un proiettile, un’immagine che grida alle orecchie di chi, potendo, sceglierebbe di diventare sordo e cieco per non affrontare un dolore così.

 

 

QUARTA DI COPERTINA
“La guerra di Dario“ è una selezione di storie di vittime innocenti della criminalità e del dovere.
Spesso si raccontano le mafie, le camorre il male in genere in quanto narrazione importante, perché il nemico se c’è lo devi conoscere.
Così a finire su un libro, sullo schermo di un cinematografo o di una televisione sono sempre più spesso le storie dei criminali, dei camorristi, magari pentiti, o al massimo dei morti ammazzati illustri. Il più delle volte è il male a prendere la scena!

Ci sono, però, altre storie che meritano di essere raccontate, quelle degli umili, dei troppo dimenticati dalla storia, quelle che non appassionano. Ma a farlo sono in pochi. Sono le storie dei più deboli, dei vinti che, comunque, non devono cadere nell’oblio, di chi non ha più voce per colpa del crimine e della poca attenzione alle regole.
In una “scrittura sociale“ appassionata, Paolo Miggiano presenta le storie di questi cittadini.
Federico Del Prete, l’ambulante solo, che, in un’Italia di pavidi di faccendieri di corrotti e di collusi seppe resistere.
Annalisa Durante, una bambina uccisa non nelle favelas di Buenos aire s’, in Honduras, in Bangladesh, ma nel cuore di Napoli.

Antonio Landieri, un giovane disabile che fu ucciso in un agguato di camorra.
Gelsomina verde, uccisa e data alle fiamme per non aver voluto svelare il nascondiglio, che non conosceva, di un giovane condannato a morte dal clan.
Dario Scherillo, un giovane di 26 anni, ucciso per errore, perché troppo somigliante a bersaglio dei killer.
Fabio De pandi, un bambino di 12 anni, che in una infuocata notte addestrate incrociò la traiettoria di un proiettile vagante.
Infine Antonio Raimondo, un elicotterista della Polizia di Stato, rimasto vittima, insieme a Gaetanina Scotto di Perrotolo, l’infermiera del presidio ospedaliero dell’isola di Procida, in un incidente aereo durante un soccorso.

INCIPIT
Antonio, ‘O T l’Extraterrestre, come lo chiamavano nel quartiere gli amici, non può giocare a bigliardino e se ci prova lo fa con molta difficoltà. Si, con molta difficoltà, perché Antonio non cammina. Non può camminare come vorrebbe.
Una brutta malattia, una paralisi infantile, dovuta a complicazioni da parto, glielo impedisce.
Che ne sa Antonio che lì, proprio sotto casa sua, dove ogni tanto va a vedere i suoi amici giocare a biliardino, è il luogo dove i guaglióni di ‘O Milonario spacciano la droga?
E come fa Antonio, in questa fredda sera di novembre a sapere che tra i clan del suo quartiere è finita la pace?
Come può sapere che proprio lì, a via Labriola, nella zona dei sette palazzi, tra un po’ si scatenerà l’inferno?
Intanto la sera prima, Cesare Pagano, amico/nemico di ‘O Milionario, al suo quartier generale ha riunito il gruppo che si fa chiamare degli “scissionisti”, di cui vuole diventare il capo. Agli scagnozzi, che come lui non sono soddisfatti di come vanno le cose con ‘O Milionario, deve fare delle comunicazioni importanti. Cesare li deve avvertire che la guerra sta per cominciare.