La punizione di Salvatore Scalia

 marsilioeditori.it      2006

Quattro scippatori, tra i dodici e i tredici anni, in un mattino del maggio 1976, si aggirano su due Vespe cinquanta ai margini del mercatino rionale del quartiere popolare di San Cristoforo a Catania. Sono attratti dalla deferenza di cui è circondata una donna anziana che, fatta la spesa, si avvia verso casa. Sembra la preda giusta! Le strappano la borsetta, lei resiste, cade e si frattura un braccio. Il bottino è misero, ma l’oltraggio è grande, perché senza saperlo hanno derubato la madre dell’onnipotente capo mafia. I ragazzini da predatori diventano preda. Spariranno nel nulla. Anni dopo un pentito, in preda ai rimorsi, rivelerà il loro destino, senza però alcuna prova concreta. Non si saprà mai se ha detto il vero o il falso.

Ci sarà anche un processo che non approderà a nulla. La punizione racconta questa storia di dolore, di mistero e di precoce iniziazione alla vita. E l’immaginazione dà corpo, sostanza psicologica e drammatica alla scarna trama del pentito, ai destini incrociati di quattro adolescenti e dei loro persecutori. Ne scaturisce un quadro tragico e grottesco in cui il riso si mescola alla ferocia, il sacro all’osceno, la speranza alla beffa, i turbamenti e i sogni adolescenziali al cinismo degli adulti; e in cui la pietà cede ad un assurdo senso dell’onore.

Salvatore Scalia, etneo di Mascalucia, vive di giornalismo e dirige le pagine culturali del quotidiano “La Sicilia” di Catania. Ha scritto per il teatro e suoi lavori sono andati in scena alla rassegna internazionale Taormina arte e allo Stabile di Catania. Ha pubblicato Teatro. Trilogia del malessere e Appunti.

 

 

 

Fonte: .zam.it
Recensione di Massimo Maugeri

Da un po’ di tempo si dibatte, sui giornali e in Internet, sulla capacità della letteratura italiana contemporanea di raccontare efficacemente il presente e sulla conseguente questione se tale capacità sia più appannaggio della cosiddetta letteratura documentale (faction) piuttosto che della letteratura di pura finzione (fiction).

Pare indubitabile che la narrativa di natura documentale sia in netta crescita e che il fenomeno interessi la comunità letteraria dell’intero Paese. Cosa dire in proposito? Che la faction, come qualcuno ha lasciato intendere, sia davvero destinata a soppiantare il romanzo noir, giallo, o thriller di pura finzione (ovvero il genere di romanzo che, secondo molti, ha notevolmente contribuito a raccontare l’Italia dei nostri giorni e che, oggi, soffrirebbe dei sintomi di una prossima estinzione per sopravvenuta saturazione di mercato)? Che la faction sia davvero la nuova (e Cristo si è fermato ad Eboli, di Carlo Levi?) frontiera della letteratura italiana (che, secondo qualcuno, è tradizionalmente avulsa dalla realtà)? E la realtà è davvero così frammentata da poter essere più efficacemente rappresentata dalla narrazione documentale? Oppure, come si è anche sostenuto, il problema principale (almeno in occidente) deriva, piuttosto, da un irrisolto disagio psicologico che non può essere che alleviato dall’invenzione letteraria pura, l’unica capace – con la forza dell’allegoria – di creare miti? E poi, la diffusione della faction non può essere anche dovuta a una certa inadeguatezza (qualcuno lo sostiene) della cronaca giornalistica a essere davvero pungente, o a raggiungere soddisfacenti livelli di analisi?

Come spesso accade è probabile che la verità stia nel mezzo. E forse – a costo di sconfinare nella banalità e nella retorica – si potrebbe chiudere il dibattito sostenendo che, tra fiction e faction, a vincere, alla fine, sono i libri buoni. Quelli ancora capaci di raccontare una storia che sia tale. Quelli ancora in grado di coinvolgere davvero il lettore. Quelli che, pur basati sulla pura finzione o su fatti davvero accaduti, sull’allegoria o sulla realtà spicciola, riescono ancora a regalarci un riflesso nuovo e vero della nostra contemporaneità.

Il libro segnalato in questo articolo lo si potrebbe far rientrare – basandoci su quanto sopra esposto – nella categoria della faction, come Gomorra di Saviano, per intenderci. Ma io preferisco sottolineare molto più semplicemente che è un libro che fa parte della più generica categoria dei libri buoni. Il titolo è La punizione, l’autore Salvatore Scalia, l’editore Marsilio.

Questa, in estrema sintesi, la trama:

Quattro scippatori, tra i dodici e i tredici anni, un mattino dell’aprile 1976, si aggirano su due Vespe 50 ai margini del mercatino rionale del quartiere di San Cristoforo a Catania. Sono attratti dalla deferenza di cui è circondata una donna anziana che, fatta la spesa, si avvia verso casa. Le strappano la borsetta, lei resiste, cade e si frattura un braccio. Il bottino è misero, ma l’oltraggio è grande, perché, senza saperlo, hanno derubato la madre di un capo mafia. I ragazzini da predatori diventano preda. Spariranno nel nulla. Anni dopo un pentito, in preda ai rimorsi, rivelerà il loro destino, però senza alcuna prova concreta.

Scalia, in questo romanzo d’esordio, ci racconta una storia tragica realmente accaduta. E lo fa con efficace essenzialità, dipingendo con tratto secco e rapido una Catania d’annata. La Catania degli anni Settanta rivisitata attraverso la particolare disamina di uno dei quartieri più a rischio e più problematici della città: San Cristoforo. La bravura dell’autore è ravvisabile non soltanto nella capacità di narrare le vicende di questi quattro ragazzi, che da delinquenti-aggressori diventano vittime del cinismo ferale di un sistema criminoso agghiacciante – capeggiato dal boss mafioso Nitto Santapaola – che detta regole ed esegue sentenze autopromulgate, ma anche nella trasposizione, tra le pieghe delle vicende narrate, di personaggi reali e caratteristici (per esempio il famoso Pippo pernacchia, esecutore di pernacchie a pagamento) resi particolarmente interessanti dall’uso, nei dialoghi, di un linguaggio gergale intriso di modi di dire e proverbi di strada.

Come scrive Mario Grasso su Lunarionuovo, questa è “un’opera che si impone subito per la eccellenza della modulazione espressiva, il taglio agile e la magistrale resa della singolare tragica trama (…). “La punizione”, ci fa collocare la narrativa di Salvatore Scalia come continuazione della linea derobertiana delle profonde indagini nella mentalità, nell’indole di una gens, che qui, all’opposto di quella de “I Viceré”, non è del nobile parassita ma nel plebeo criminale anch’esso parassita.”