La sedia vuota. Storie di vittime innocenti della criminalità di Raffaele Sardo

La sedia vuota. Storie di vittime innocenti della criminalità di Raffaele Sardo

edito da IOD

Questo volume di Raffaele Sardo raccoglie le storie di 15 vittime innocenti della camorra, del terrorismo, del dovere. Poliziotti, carabinieri, imprenditori e semplici cittadini morti ingiustamente prendono di nuovo vita nei racconti che ne fanno i familiari. Straordinarie pagine di resistenza civile, dove i protagonisti sono per lo più persone normali, uccise solo per aver fatto il proprio dovere. A interrogare le nostre coscienze sono le parole di chi è rimasto, ma soprattutto i silenzi che ci arrivano da quelle sedie rimaste per sempre vuote attorno al tavolo della cucina e da quei letti dove nessuno più rimbocca le coperte. La compostezza e la dignità dei familiari delle vittime innocenti sono i valori fondanti per una nuova cultura dell’antimafia sociale culturale, dove i fatti di mafie e del terrorismo sono narrati a partire dalle storie delle vittime innocenti. Prefazione di Franco Roberti. Postfazione di Don Tonino Palmese.

 

 

Fonte: ilmattino.it/polis
Articolo del 17 dicembre 2018

«​La sedia vuota», la prefazione di Franco Roberti al libro di Raffaele Sardo

“La sedia vuota” è un libro quanto mai necessario. In un tempo che fagocita tutto in fretta, le storie di vittime innocenti della criminalità ricordate e raccontate attraverso le toccanti testimonianze dei loro familiari assumono una funzione sociale straordinaria. La assumono perché la memoria è l’arma più potente che abbiamo. E perché va recuperata la memoria di tutte le vittime, senza distinzioni di sorta.

Sciascia diceva che i mafiosi odiano magistrati e giornalisti perché ricordano. E quando tale ricordo diventa patrimonio condiviso, e quindi memoria, contribuisce a dare un colpo importante alla criminalità, facendo spesso riemergere storie dimenticate.

Questo libro è il sequel di “Al di là della notte” e “Come Nuvole Nere”, scritti da Raffaele Sardo nell’ambito di un progetto editoriale curato dalla Fondazione Polis della Regione Campania per ripercorrere le storie di tutti gli innocenti caduti per mano criminale. E come i libri precedenti contiene un fortissimo valore evocativo, riuscendo a coniugare il racconto di fatti importanti e gravi della storia del nostro Paese con l’esigenza di far emergere il punto di vista delle vittime, le loro aspirazioni, i loro sogni infranti.

Leggendo questo volume, appare evidente la grande dignità, unita all’innegabile dolore, che caratterizza i familiari delle vittime innocenti della criminalità. Ed è a loro che la Regione Campania sta cercando di dare risposte concrete ed efficaci attraverso la Fondazione Polis, che trasforma la memoria in impegno quotidiano.

Vogliamo continuare a dimostrare che la memoria rappresenta la base fondamentale per fare emergere le ragioni di coloro che hanno pagato con la vita l’efferatezza della camorra e delle altre forme di criminalità, a partire dal versante della tutela giuridica, che deve mirare a una reale equiparazione tra tutte le vittime dei reati intenzionali violenti, come previsto dalla Direttiva Europea numero 80 del 2004.

La Regione Campania ha una normativa di assoluto rilievo sui temi della sicurezza e della legalità. Ma occorre fare di più e meglio, anche a livello nazionale. Ne siamo consapevoli. Il nostro impegno sarà orientato in maniera decisiva proprio su questo versante.

“La sedia vuota” rappresenta un monito per far sì che i familiari delle vittime non vengano lasciati soli nel loro dolore. Perché lasciarli soli significherebbe uccidere i loro cari per la seconda volta. E questo lo Stato, in tutte le sue articolazioni, non se lo può permettere.

Milan Kundera diceva che la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio. Significa che “fare memoria” non è soltanto ricordare come atto di giustizia verso le vittime, i martiri (nel senso autentico di testimoni: penso in particolare a Tammaro Romano, Luigi Staiano, Pasquale Miele, tra le vittime di questo volume) e le loro famiglie: è uno strumento di lotta politica e sociale contro le mafie, il terrorismo e il malaffare organizzato, in difesa dello stato di diritto, che non riconosce poteri al di fuori della legge. Fare memoria è, in definitiva, lottare per non dimenticare, per strappare all’oblio collettivo storie di uomini e donne non illustri che, consapevolmente o meno, non importa, con il loro sacrificio hanno salvato l’umanità.

Franco Roberti
Assessore alle Politiche Integrate di Sicurezza e Legalità della Regione Campania

 

 

Fonte:  pupia.tv
Articolo del 17 dicembre 2018

“La sedia vuota”, Raffaele Sardo racconta 13 storie di vittime innocenti della criminalità

“La sedia vuota. Storie di vittime innocenti della criminalità”. E’ il nuovo libro dello scrittore e giornalista Raffaele Sardo, che sarà presentato a Napoli, martedì 18 dicembre, alle 12.30, a Palazzo Santa Lucia, nell’ex sala giunta della Regione Campania, in via Raffaele De Cesare 28. Il volume, edito da IOD, che esce per conto della Fondazione Polis, narra tredici storie di vittime innocenti della criminalità, attraverso le testimonianze dei familiari delle vittime. Alla presentazione, insieme all’autore, parteciperanno: don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis, Franco Roberti, assessore regionale alla Sicurezza e Legalità e autore della prefazione dell’opera, e i familiari delle vittime. A moderare il giornalista Geppino Fiorenza.

“La memoria – scrive nella prefazione Franco Roberti – rappresenta la base fondamentale per fare emergere le ragioni di coloro che hanno pagato con la vita l’efferatezza della camorra e delle altre forme di criminalità, a partire dal versante della tutela giuridica, che deve mirare a una reale equiparazione tra tutte le vittime dei reati intenzionali violenti”. “Ricostruire le storie delle vittime innocenti – scrive l’autore nell’introduzione – è come cercare di completare un quadro mai finito. E’ un pezzo della nostra cronaca recente che in tanti hanno vissuto, ma nei libri di storia difficilmente la si troverà descritta con l’approfondimento dovuto. Spesso proprio in quei libri la presenza della camorra è ignorata, quando invece essa, radicata in modo asfissiante nei nostri territori, ha pervaso la vita delle persone, condizionandola nelle scelte anche più piccole”.

Fra le tredici storie raccontate nel libro, c’è quella del vicesindaco di Mondragone, Antonio Nugnes, scomparso l’11 luglio del 1990. I resti del suo corpo furono fatti ritrovare la mattina del 3 settembre 2003 in fondo al pozzo di una vecchia masseria nella zona dei Mazzoni. “Per quattro anni e mezzo – racconta la figlia Daniela Nugnes – ogni volta che ci sedevamo a tavola, era un tormento. Nessuno si sedeva al posto che abitualmente occupava papà. La sedia rimaneva vuota e quella sedia ci interrogava, poneva domande, parlava col suo silenzio. Quella sedia dove non si sedeva nessuno, diceva più di ogni altra cosa in quella cucina che ormai era diventata fredda”.

Diverse di queste storie sono anche pagine di resistenza civile. Raccontano di persone che hanno fatto fino in fondo il proprio dovere di poliziotti o carabinieri, di imprenditori che non si sono piegati alle minacce dei camorristi, rifiutando di pagare il pizzo, di sottomettersi alle loro regole. Con questi racconti, tutte le persone uccise finiscono di essere solo dei nomi. I loro volti diventano finalmente riconoscibili anche per chi non li ha mai conosciuti.

 

 

 

 

 

In ricordo di ANGELO RICCARDO ucciso a San Cipriano di Aversa il 21 luglio 1991

Il brano che segue è tratto dal  libro “LA SEDIA VUOTA” (IOD edizioni)

Il 21 luglio del 1991, il gruppo legato agli Schiavone-Bidognetti, aveva deciso di ammazzare Luigi Venosa, “’O Cocchiere”. Venosa era già sfuggito ad altri agguati. Si faceva vedere in giro con un impermeabile sotto il quale indossava armi di vario tipo, pronto a sparare e a uccidere. Nei giorni precedenti aveva osato sparare contro una società di calcestruzzi la Ba. Schi, riconducibile agli Schiavone. Venosa voleva diventare il capo zona di Casapesenna, ma il direttorio del clan gli preferì Michele Zagaria. Perciò si mise contro i vertici della camorra casalese.

«Angelo? Era un giovane delicato, dolce, ma soprattutto elegante nei suoi modi di agire. Si era diplomato come perito elettrotecnico ad Aversa e studiava la Bibbia. Era Testimone di Geova. Dopo la scuola veniva anche ad aiutarmi nel lavoro dei campi. Aveva una gran voglia di vivere. Era questo mio figlio Angelo».

Carmine Riccardo, il padre di Angelo, ottantuno anni, occhi vispi e fisico segnato dalla fatica, lo racconta così il figlio ventunenne, ucciso il 21 luglio del 1991, in un’afosa domenica estiva. Era in auto con altri quattro amici nel centro di San Cipriano di Aversa. Una sparatoria tra bande di camorristi rivali, alle quattro del pomeriggio, colpisce a morte Angelo. Un copione già visto altre volte. Carmine Riccardo, che nel 1991 aveva cinquantaquattro anni, ricorda tutti i particolari di quella giornata come se fosse ieri.

«Era andato al mare. Lo aspettavamo per ora di cena. Ma a casa non è più tornato», dice l’anziano genitore appoggiato al tavolo della cucina, mentre si asciuga gli occhi che lacrimano. Una morte assurda, balorda, senza un motivo, frutto della violenza camorristica. Di morti ce ne potevano essere ancora, perché quella sparatoria provocò anche tre feriti. Uno era in quella macchina con Angelo, altri due transitavano in altrettante auto.

Quel giorno, proprio mentre Angelo Riccardo tornava dal mare in auto con gli amici per andare alla “Sala del Regno” dei testimoni di Geova a Casapesenna, Venosa fu segnalato nella strada principale di San Cipriano di Aversa. Un commando degli Schiavone partì per ucciderlo. La sparatoria avvenne nel pomeriggio in via Roma, con tanta gente in strada. I killer non se ne curarono di salvaguardare la vita delle persone innocenti. Spararono sventagliate di mitra per colpire il loro obiettivo. Proprio dietro l’auto di Venosa c’era l’auto su cui viaggiava Angelo Riccardo con altri quattro ragazzi. Quella è stata l’unica loro colpa.

 

 

 

FABIO DE PANDI, 11 ANNI, UCCISO LA SERA DEL 21 LUGLIO 1991 A SOCCAVO (NA)

Questo brano è tratto dal libro “LA SEDIA VUOTA” (IOD edizioni) di Raffaele Sardo

«Sì, il nostro dolore per quanto gli altri lo possano immaginare, non possono mai capirlo come chi l’ha vissuto sulla propria pelle». Rosaria, la mamma di Fabio De Pandi, sessantaquattro anni, è una donna mite, provata dal dolore, ma appare anche serena. Chi non la conosce non saprebbe mai dire che abbia vissuto la tragedia del figlio ucciso a undici anni. «Le ferite le porto dentro e continuano a sanguinare» fa Rosaria. «Le mie più care amiche, solo guardandomi, comprendono il livello di sofferenza a cui sono giunta. Ormai la mia mente si è fermata a quella sera del 21 luglio. Certe cose non si cancellano. È come se fosse un film che hai visto e non puoi dimenticare, perché l’hai vissuto in prima persona. Se mi metto a ricordare, mi viene in mente tutto il film di quella sera. Ma è come se mi rifiutassi di ricordare, perché quando lo faccio, il dolore è sempre insopportabile. Quante volte ho detto tra me e me che era meglio se ci fossi stata io davanti a quel colpo di pistola. Stavamo proprio vicini. Le mamme non possono vedere i figli morire» scuote la testa Rosaria, «è carne della tua carne. Un pezzo di te che hai portato in grembo per nove mesi e che è andato via. Come si fa a sopportare tutto questo? A tavola la sera era tutto molto triste» dice Rosaria con lo sguardo che fissa il vuoto. «Si cenava in silenzio. Nessuno parlava. Nonostante ci fosse Stefania, la nostra bambina, c’era solo silenzio tra noi.
Ma il silenzio era pesante, perché parlava molto. Quel silenzio voleva dire tante cose e nessuno aveva il coraggio di aprire bocca. Un’aria mesta, triste, carica di dolore. Non so come definirla. Abbiamo avuto la fortuna di avere alcuni amici che pertanto tempo non ci hanno lasciato da soli. I momenti più brutti sono stati quelli della notte. Quando resti sola e metti la testa sul cuscino. Quante notti passate senza dormire e quante lacrime ho versato. Lo potrebbe raccontare solo il mio cuscino».
«A tavola c’erano posti fissi dove ci sedevamo» dice Gaetano con la tristezza negli occhi. «Quel posto vuoto nessuno riusciva a guardarlo. Ci veniva solo voglia di piangere. È stato durissimo non vedere più Fabio seduto a tavola con noi. Non mi ci sono mai abituato. E poi c’era il suo lettino che si vedeva dal corridoio. Sempre vuoto». Si mette una mano in fronte Gaetano come se volesse fermare qualcosa nella sua testa. «Quel letto ce lo guardavamo in continuazione e la sera, soprattutto, quando ti affacciavi nella stanza e vedevi il letto senza Fabio» scuote la testa Gaetano. Si ferma e piange.