Pentiti, testimoni, magistrati: “Noi, abbandonati dallo Stato” di Vincenzo Iurillo

Pentiti, testimoni, magistrati. Protetti e non. Storie di persone che hanno contribuito alle indagini sulla criminalità organizzata e non si sentono tutelate abbastanza.

Fonte: Il Fatto Quotidiano del 29 dicembre 2018

Si fa presto a dire denuncia, indaga, combatti per la verità e la giustizia, passa con lo Stato, se poi lo Stato si arrende e ti dimentica.
Le cronache sono piene di queste storie. Cittadini, imprenditori, magistrati, che non hanno avuto paura di stare dalla parte giusta. Ma che al dunque si sono ritrovati soli. Senza protezione. Senza scorta. In qualche caso senza un futuro.

Luigi Coppola è uno di loro.
Rivenditore di auto a Boscoreale (Napoli), negli anni 90 Coppola si ritrovò per caso al centro di una guerra tra i clan Pesacane e Cesarano che avevano messo gli occhi sulla sua attività e facevano a gara a chi doveva estorcergli la maggiore quantità di denaro. La sua odissea iniziò il giorno in cui gli sfondarono i cancelli e lo derubarono di sette auto di lusso. Una era riservata al cognato di un boss. Per coprire il danno senza venir meno alle pretese della camorra, Coppola precipitò in un gorgo di assegni post datati e prestiti a usura. Quando si ritrova i camorristi in casa a minacciare la moglie, Coppola decide che la misura è colma e va in caserma a denunciare.
Il processo si concluderà con 32 condanne, di cui 23 per associazione mafiosa. Lui entra nel programma dei testimoni di giustizia. Lo mandano a vegetare in Piemonte, 1900 euro al mese senza far nulla, nomi falsi inventati all’ultimo minuto. Poi nelle Marche e in Veneto. Nel 2004, a processo ancora in corso, gli revocano il programma di protezione. Lui scompare e non testimonia al processo. Glielo riattivano. Poi la commissione ritiene di nuovo che non siano le condizioni per proseguirlo e scatta una nuova revoca. Con un provvedimento che pare un ossimoro: il pericolo è cessato, ma si diffida a tornare al paese d’origine perché correrebbe gravi rischi per la sua incolumità. Lui ci è tornato lo stesso. Ma non è riuscito a ripartire, è stato isolato. Da presidente di una associazione antiracket si è poi battuto per equiparare i diritti dei testimoni di giustizia a quelli delle vittime di mafia e terrorismo e pochi giorni fa ha commentato così l’omicidio di ‘ndrangheta a Pesaro: “Lo Stato spreme i testimoni e poi li abbandona, il servizio centrale di protezione così come è non serve a niente”.

C’è poi la storia di Mario Nero, ex allevatore di cani, testimone di giustizia chiave nel processo per l’omicidio del costruttore foggiano Giovanni Panunzio, avvenuto il 6 novembre 1992. Un omicidio della Sacra Corona Unita. Nero vide in faccia il killer, corse in Questura a riconoscerlo tra mille foto segnaletiche, e la sua vita è diventata una odissea:
ha avuto casa in Romania ed ha cambiato 13 località e residenze durante questi anni. I figli della prima moglie gli hanno tolto la parola, la famiglia originaria lo ha allontanato. Lo hanno considerato “un infame”. A settembre ha raccontato di nuovo le sue peripezie durante una conferenza a Foggia. “Credevo di diventare un simbolo positivo, ma invece sono stato un caso negativo.
Lo Stato non ci aspettava in quell’epoca.
Siamo stati trattati peggio degli animali. Neanche a saper dare i documenti. Una volta sono stati 7 ore per accertare chi fossi io. Oggi per fortuna c’è una legge per noi”. Nero è stato scaricato più volte dallo Stato ma non si è mai pentito di aver testimoniato e gira l’Italia invitando a fare altrettanto: “Non girate la testa dall’altra parte”.

Maurizio Abbatino era un “cattivo” che decise di fare il grande passo e schierarsi con lo Stato dopo l’omicidio del fratello. Era uno dei boss della banda della Magliana. Il “Freddo” di Romanzo Criminale. È stato ammesso nel programma di protezione nel 1993. Grazie alle sue dichiarazioni sono finiti in carcere i suoi ex sodali tra cui l’ex Nar Massimo Carminati. Ma da due anni Abbatino vive senza scorta e senza tutela, provvedimento confermato dal Tar nel luglio scorso. Ha perso pure l’identità di copertura e forse la voglia di curarsi dalla malattia che lo tormenta da trent’anni. “Trent’anni che non commetto un reato, mi dicono che posso reinserirmi, cercarmi un lavoro e affittarmi una casa, tutto ovviamente col nome di Maurizio Abbatino, 63 anni, ex boss ai domiciliari per malattia. La verità è che sono stato scaricato da uno Stato che non ha rispettato i patti”, dice il Freddo, l’unico che sta scontando la pena per l’associazione mafiosa, pur avendola decapitata, perché rinunciò all’appello. E starà ai domiciliari sino al 2032.
Chiudiamo l’elenco dei ‘TRADITI’ dallo Stato con un ex magistrato condannato a morte dalla mafia. Da qualche mese l’ex pm della Trattativa Stato-Mafia, Antonio Ingroia vive senza scorta, revocata pure la tutela mobile, e così i ladri sono entrati in casa sua. Tra le singolari
argomentazioni alla base del provvedimento di revoca c’è anche quella del mancato rinnovo dell’incarico di amministratore di una spa della Regione Sicilia.
Un paio di righe di una nota della Prefettura di Roma che lasciano l’amaro in bocca della sensazione che, se fosse diventato un burocrate della politica, Ingroia un’auto blu e un agente al fianco ce l’avrebbe ancora. lo derubarono di sette auto di lusso. Una era riservata al cognato di un boss. Per coprire il danno senza venir meno alle pretese della camorra, Coppola precipitò in un gorgo di assegni post datati e prestiti a usura. Quando si ritrova i camorristi in casa a minacciare la moglie, Coppola decide che la misura è colma e va in caserma a denunciare.
Il processo si concluderà con 32 condanne, di cui 23 per associazione mafiosa. Lui entra nel programma dei testimoni di giustizia. Lo mandano a vegetare in Piemonte, 1900 euro al mese senza far nulla, nomi falsi inventati all’ultimo minuto. Poi nelle Marche e in Veneto. Nel 2004, a processo ancora in corso, gli revocano il programma di protezione. Lui scompare e non testimonia al processo. Glielo riattivano. Poi la commissione ritiene di nuovo che non siano le condizioni per proseguirlo e scatta una nuova revoca. Con un provvedimento che pare un ossimoro: il pericolo è cessato, ma si diffida a tornare al paese d’origine perché correrebbe gravi rischi per la sua incolumità. Lui ci è tornato lo stesso. Ma non è riuscito a ripartire, è stato isolato. Da presidente di una associazione antiracket si è poi battuto per equiparare i diritti dei testimoni di giustizia a quelli delle vittime di mafia e terrorismo e pochi giorni fa ha commentato così l’omicidio di ‘ndrangheta a Pesaro: “Lo Stato spreme i testimoni e poi li abbandona, il servizio centrale di protezione così come è non serve a niente”.

C’è poi la storia di Mario Nero, ex allevatore di cani, testimone di giustizia chiave nel processo per l’omicidio del costruttore foggiano Giovanni Panunzio, avvenuto il 6 novembre 1992. Un omicidio della Sacra Corona Unita. Nero vide in faccia il killer, corse in Questura a riconoscerlo tra mille foto segnaletiche, e la sua vita è diventata una odissea:
ha avuto casa in Romania ed ha cambiato 13 località e residenze durante questi anni. I figli della prima moglie gli hanno tolto la parola, la famiglia originaria lo ha allontanato. Lo hanno considerato “un infame”. A settembre ha raccontato di nuovo le sue peripezie durante una conferenza a Foggia. “Credevo di diventare un simbolo positivo, ma invece sono stato un caso negativo.
Lo Stato non ci aspettava in quell’epoca.
Siamo stati trattati peggio degli animali. Neanche a saper dare i documenti. Una volta sono stati 7 ore per accertare chi fossi io. Oggi per fortuna c’è una legge per noi”. Nero è stato scaricato più volte dallo Stato ma non si è mai pentito di aver testimoniato e gira l’Italia invitando a fare altrettanto: “Non girate la testa dall’altra parte”.

Maurizio Abbatino era un “cattivo” che decise di fare il grande passo e schierarsi con lo Stato dopo l’omicidio del fratello. Era uno dei boss della banda della Magliana. Il “Freddo” di Romanzo Criminale. È stato ammesso nel programma di protezione nel 1993. Grazie alle sue dichiarazioni sono finiti in carcere i suoi ex sodali tra cui l’ex Nar Massimo Carminati. Ma da due anni Abbatino vive senza scorta e senza tutela, provvedimento confermato dal Tar nel luglio scorso. Ha perso pure l’identità di copertura e forse la voglia di curarsi dalla malattia che lo tormenta da trent’anni. “Trent’anni che non commetto un reato, mi dicono che posso reinserirmi, cercarmi un lavoro e affittarmi una casa, tutto ovviamente col nome di Maurizio Abbatino, 63 anni, ex boss ai domiciliari per malattia. La verità è che sono stato scaricato da uno Stato che non ha rispettato i patti”, dice il Freddo, l’unico che sta scontando la pena per l’associazione mafiosa, pur avendola decapitata, perché rinunciò all’appello. E starà ai domiciliari sino al 2032.
Chiudiamo l’elenco dei ‘TRADITI’ dallo Stato con un ex magistrato condannato a morte dalla mafia. Da qualche mese l’ex pm della Trattativa Stato-Mafia, Antonio Ingroia vive senza scorta, revocata pure la tutela mobile, e così i ladri sono entrati in casa sua. Tra le singolari
argomentazioni alla base del provvedimento di revoca c’è anche quella del mancato rinnovo dell’incarico di amministratore di una spa della Regione Sicilia.
Un paio di righe di una nota della Prefettura di Roma che lasciano l’amaro in bocca della sensazione che, se fosse diventato un burocrate della politica, Ingroia un’auto blu e un agente al fianco ce l’avrebbe ancora.