PEPPINO IMPASTATO Giustizia è stata fatta il secolo dopo – di A. Bolzoni e F. Trotta

Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 14 aprile 2020
Peppino Impastato
di Attilio Bolzoni e Francesco Trotta
Giustizia è stata fatta il secolo dopo.

Dopo i depistaggi, i reperti scomparsi, le prove dimenticate, dopo l’inchiesta insabbiata. Non era un “terrorista” Peppino Impastato come volevano farci credere, era un ragazzo, un giornalista, un militante che è stato ucciso dalla mafia. Nella sua Cinisi, nella notte fra l’8 e il 9 maggio del 1978, qualche ora prima del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani a Roma.

Dopo più di due decenni il mandante del delitto Gaetano Badalamenti – boss di Cosa Nostra, uno dei personaggi più significativi nella storia della mafia siciliana e del traffico internazionale dei stupefacenti del ‘900 – è stato condannato all’ergastolo. In un altro processo è stato condannato al carcere a vita – e sempre come mandante – il mafioso Vito Palazzolo.

Sentenze arrivate con grande ritardo, una giustizia lenta (che si è mossa soltanto quando a decidere erano magistrati come Rocco Chinnici), anticipata dalle denunce dei familiari di Peppino come il fratello Giovanni e la madre Felicia, dagli amici, dai compagni che avevano al suo fianco raccontato un sistema politico-mafioso mentre gli altri non vedevano e non sentivano. Una giustizia anticipata soprattutto dal tenacissimo e prezioso lavoro di ricerca del “Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato” di Umberto Santino, che nel corso degli anni ha fatto più volte riaprire le indagini sull’uccisione di Peppino. Se oggi conosciamo la storia di Impastato per quella che è – nonostante i depistaggi infiniti – lo dobbiamo a loro.

Una lunghissima battaglia per la verità che ha portato – nel 2000 – la Commissione Parlamentare Antimafia della XIII° Legislatura ad approvare la “Relazione sul Caso Impastato”, elaborata da un apposito Comitato interno presieduto da Giovanni Russo Spena. Un documento decisivo che oggi proponiamo sul nostro Blog per una trentina di giorni.
La vita e la morte di Peppino sono diventate famose negli anni successivi grazie a quel meraviglioso film – I Cento Passi – diretto da Mario Tullio Giordana, sceneggiatura di Claudio Fava e Monica Zappelli e con la straordinaria interpretazione di Luigi Lo Cascio.

Un volto dell’antimafia italiana più vera. Ma proprio perché il suo non rimanga solo un nome da gridare nelle piazze o le sue parole solo uno slogan che piace tanto ai conformisti dell’antimafia (“La mafia è una montagna di merda”), proprio perché quel ragazzo di Cinisi non sia trasformato solo in un brand, vi proponiamo la lettura del documento che spiega cosa c’è dentro e dietro l’omicidio di Peppino.

(Hanno collaborato: Elisa Boni, Silvia Bortoletto, Emanuela Braghieri, Francesca Carbotti, Sara Cela, Rosa Cinelli, Ludovica Marcelli, Enza Marrazzo, Sofia Matera, Ludovica Mazza, Francesca Rampin, Sara Pasculli, Asia Rubbo)

Gli articoli li trovate anche sulla pagina Instagram dell’Associazione Cosa Vostra.
Supervisione Tecnica a cura di Alessia Pacini.

 

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Articolo del 14 aprile 2020
Benvenuti a Mafiopoli

 

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Articolo del 15 aprile 2020
La “famiglia” di Peppino

 

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La scalata di don Tano (Badalamenti)

 

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Summit e patti per il futuro

 

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Cinisi e i grandi traffici di droga

 

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Quando don Tano fu “posato”

 

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Come iniziarono le indagini sulla “bomba”

 

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Articolo del 24 aprile 2020
Le lettere del “suicidio” di Peppino

 

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Articolo del 25 aprile 2020
Le ricerche svogliate dei resti di Peppino

 

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Articolo del 26 aprile 2020
Un reperto finito nel nulla

 

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Articolo del 27 aprile 2020
Scomparse tutte le tracce dell’esplosione

 

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Articolo del 28 aprile 2020
Il sopralluogo e gli atti mancanti

 

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Articolo del 29 aprile 2020
Le “dimenticanze” di quei carabinieri

 

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Articolo del 30 aprile 2020
Quella pietra scomparsa dall’inchiesta

 

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Articolo del 1 maggio 2020
Le indagini degli amici di Peppino

 

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Articolo del 2 maggio 2020
Il caffè con i mafiosi

 

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Articolo del 3 maggio 2020
Sull’omicidio cala il silenzio

 

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Articolo del 4 maggio 2020
Le perquisizioni e la pista del “terrorismo”

 

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Articolo del 5 maggio 2020
E’ saltato in aria da solo…

 

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Articolo del 6 maggio 2020
Una magistratura molto distratta

 

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Articolo del 7 maggio 2020
Peppino, un terrorista “morto sul lavoro”

 

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Articolo del 8 maggio 2020
Su don Tano non indaga nessuno

 

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Articolo del 9 maggio 2020
La vera inchiesta la fanno i suoi amici

 

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Articolo del 10 maggio 2020
Il giudice Chinnici riapre le indagini

 

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Articolo dell’11 maggio 2020
Tano Badalamenti finalmente alla sbarra

 

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Articolo del 12 maggio 2020
Anatomia di un depistaggio

 

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Articolo del 13 maggio 2020
Ergastolo per Tano Badalamenti
(Da Repubblica, 11 aprile 2002)

Cento passi dividevano la casa di Peppino Impastato da quella di Tano Badalamenti. Ci sono voluti ventiquattro anni meno un mese e una settimana alla giustizia italiana per percorrerli e dire finalmente che il primo era stato ammazzato per ordine del secondo. Era il 9 maggio del 1978 quando Peppino, incubo dei mafiosi con le trasmissioni della sua radio libera di Cinisi, venne trovato morto.

In Italia si parlava d’altro, era il giorno in cui le Br fecero ritrovare il cadavere di Aldo Moro. A Cinisi, l’ipotesi investigativa dei carabinieri era quella di un attentato andato male del quale Impastato, militante di Democrazia proletaria, era rimasto vittima. In questi anni la memoria è rimasta viva grazie al coraggio della famiglia, a un bel libro e a un film, “I cento passi” appunto, che hanno cancellato sotto il nome di Impastato il comodo e infamante marchio di terrorista per restituirgli la dolorosa dignità di vittima della mafia.

Ergastolo, dunque, per Gaetano Badalamenti. Oggi il presidente Claudio Dell’Acqua ha letto la sentenza emessa dalla Corte d’assise di Palermo, che si era ritirata in camera di consiglio ieri pomeriggio, accogliendo la richiesta del pm Franca Imbergamo. Zu Tano non si è voluto smentire. Per lui Peppino Impastato nulla era in vita e nulla è mai stato in morte. Detenuto da quasi 18 anni negli Stati Uniti a Fairton, nel New Jersey, per traffico di droga, non ha voluto ascoltare in videoconferenza la condanna.

Quel 16 maggio del 1978 il corpo di Impastato era stato trovato dilaniato da una bomba sui binari della ferrovia alle porte di Cinisi, a pochi chilometri da Palermo. In un primo momento le indagini avevano concluso che il giovane era morto mentre stava preparando un attentato. La tesi era stata sostenuta anche dalla difesa di Badalamenti, unico imputato del processo. In realtà il boss aveva deciso l’eliminazione di quel giovanotto che lo infastidiva denunciando i suoi affari sporchi dai microfoni di “Radio Aut”, l’emittente radiofonica da lui fondata, e lo derideva chiamandolo “Tano Seduto”.

Questo ha stabilito oggi la Corte d’assise di Palermo riconoscendo che i familiari di Peppino – la mamma Felicia Bartolotta e il fratello Giovanni, che si erano costituiti parte civile – e i suoi amici avevano avuto ragione a chiedere giustizia per ventiquattro anni. «Finalmente quell’assassino paga la sua colpa», ha detto Felicia Bartolotta, 86 anni, dalla casa di Cinisi: «Volevo andare in aula, ma ero troppo emozionata, non ero sicura di come finiva. Ho preferito restare a casa».

«Non ho mai provato sentimenti di vendetta – ha aggiunto turbata – Mi sono sempre limitata a invocare giustizia per la morte di mio figlio. Confesso che, dopo tanti anni di attesa, avevo perso la fiducia, dubitavo che saremmo mai arrivati a questo punto, ma ora provo tanta contentezza, una grande soddisfazione. Io ho sempre saputo com’era andata. Badalamenti chiamava mio marito Luigi per lamentarsi di Peppino e mio marito lo implorava di non uccidere il ragazzo; Luigi gli diceva: uccidi me e lascia stare Peppino. Ma non è servito a niente, lo ha ammazzato lo stesso. La morte di mio marito è sempre rimasta un mistero, dicono che fu un incidente, ma c’è sempre stato un punto interrogativo su questo incidente, non c’è mai stata chiarezza».

«Non ho mai perdonato Badalamenti – ha concluso Felicia Bartolotta – né lo perdonerò mai, come si fa a perdonare l’ uomo che ti ha ammazzato un figlio? Però una cosa la posso dire: oggi per la prima volta posso affermare di credere nella giustizia italiana».
«A 24 anni dall’omicidio di Peppino mi sembra una vergogna giudiziaria per un Paese civile – è stato invece il commento di Giovanni Impastato – Non si dovrebbe attendere tutto questo tempo per avere giustizia. Non sono felice ma mi sento appagato del risultato».

Per il pm Franca Imbergamo, «questa sentenza restituisce l’onore a una persona coraggiosa come Peppino Impastato e pone fine alla lunga impunità di Tano Badalamenti». Secondo l’avvocato Jimmi D’Azzò, uno dei legali di Badalamenti, invece «se Impastato è stato ucciso dalla mafia, lo avrà fatto una cosca diversa da quella di Badalamenti». Il difensore ha sostenuto che i collaboratori di giustizia parlano di «una famiglia mafiosa diversa da quella di Badalamenti».

«Alla fine, malgrado le difficoltà, la verità è venuta a galla. E giustizia è stata fatta». Questa la dichiarazione del presidente della commissione Antimafia, Roberto Centaro (Fi). Per Centaro l’uccisione di Impastato «è la dimostrazione che la mafia teme anche chi la colpisce nella credibilità sociale mettendola alla berlina. Impastato, infatti, non era una persona pericolosa perché capace di contrastare i traffici di Cosa Nostra. Piuttosto, riusciva a risvegliare dal torpore la coscienza sociale. E questa è una delle strade perché la mafia non abbia il sopravvento».