1 Settembre 1990 Reggio Calabria. Ucciso Domenico Catalano, 16 anni, perché scambiato per un altro.

Foto da  /memoriaeimpegno.blogspot.it

Domenico Catalano fu ucciso il 1 settembre 1990 a Reggio Calabria, aveva appena sedici anni, residente a Roma, era a Reggio per le vacanze presso la casa di origine dei genitori. Nessuna “vicinanza pericolosa”, nessun legame “ambiguo”, morì per un tragico errore. Gli incaricati di segnalare il suo passaggio credettero di individuare in lui la vittima designata perché la sorte decise che quella sera entrambi dovessero indossare una maglia a righe e dovessero circolare su un ciclomotore.

 

 

 

 

Articolo del 2 Settembre 1990 da  ricerca.repubblica.it
 SPARATORIA A REGGIO MUORE UN RAGAZZO

REGGIO CALABRIA Un ragazzo di 16 anni, Domenico Catalano, è stato ucciso ieri sera in una sparatoria davanti a un bar nel quartiere “Archi” di Reggio Calabria. Nella sparatoria è rimasto ferito un altro adolescente, Natale Cozzucoli, di 15 anni. Un regolamento di conti tra ragazzi o una spietata esecuzione ordinata dai clan? Domenico Catalano era figlio di un imprenditore edile da anni trasferitosi da Reggio Calabria a Roma. Da qualche settimana era a Reggio Calabria per le vacanze, ospite della nonna paterna. Al momento della sparatoria si trovava a bordo di un ciclomotore in compagnia di Natale Cozzucoli, figlio di una sorella di Catalano. Sul cadavere 17 colpi di pistola 7,65 parabellum. Per Cozzucoli la prognosi è riservata.

Gli investigatori non hanno dubbi sul fatto che fosse Catalano l’effettivo bersaglio dei killer. Ritengono che ad uccidere il giovane e a ferire il nipote suo coetaneo siano state almeno due persone che si sono accostate, a bordo di un’automobile, al ciclomotore. Domenico è morto all’istante. Almeno due dei proiettili lo hanno raggiunto alla testa fulminandolo. L’agguato è stato teso nella zona Cep del quartiere di Archi, in una piazzetta costeggiata da un lato da alcuni stabili e dall’altro da aiuole. Nel momento della sparatoria, intorno alle 22, c’era poca gente per strada. Non ci sono testimoni dell’agguato. Forse i due ragazzi sono stati colpiti per aver assistito involontariamente a qualche episodio non proprio pulito. Esclusa, infatti, ogni collusione col crimine mafioso o organizzato. I due giovani non appartenevano neppure al giro dei tossicodipendenti.

 

 

 

Articolo del 3 Settembre 1990 da archiviostorico.unita.it 
Massacrato in piazza a colpi di pistola giovane romano in vacanza in Calabria
di Aldo Varano
Agguato mafioso contro due adolescenti. Domenico Catalano, 16 anni, è stato massacrato con 12 colpi di 7 e 65, suo nipote Natale Cozzupoli, 15 anni, ferito. I killer li hanno affrontati nella piazzetta di Archi-Cep il quartiere a nord di Reggio, cuore dei territori della guerra di mafia. Domenico abitava a Roma. Era ospite della nonna per le vacanze. L’hanno ammazzato senza pietà forse perchè testimone di qualcosa.

REGGIO CALABRIA Lo hanno ammazzato con la stessa messinscena che viene riservata ai boss di grosso calibro: una tempesta di piombo scaricato da due diverse pistole durante un agguato studiato fin nei minimi particolari. Domenico Catalano, un ragazzino di 16 anni appena, è stato ucciso così, mentre si godeva gli ultimi giorni di vacanza, al mare dalla nonna, prima di tornare a Roma dove frequentava l’Istituto professionale di Stato e, di tanto in tanto, lavorava per far pratica come meccanico in un’officina. Teatro dell’agguato, la piazzetta di ArchiCep, una specie di mattatoio per giovanissimi al centro del quartiere in cui sono istallali gli stati maggiori della guerra di mafia che imperversa in città accatastando cadaveri da ormai più di 5 anni, dai De Stefano, ai Condello, ai Tegano.

Domenico, «Mimmo» per gli amici, era sul motorino assieme al nipote, Natale Cozzupoli. Anche lui un adolescente di 15 anni. All’improvviso, i killer, due almeno, a bordo di una moto o di un’auto. Hanno esploso contro i due ragazzi l’intero caricatore delle rispettive pistole, delle micidiali 7 e 65 bifilari. Polizia e carabinieri hanno raccolto per terra 17 bossoli. Addosso a «Mimmo», obiettivo principale del commando, sono stati contati 12 proiettili. Alcuni gli sono stati esplosi in testa a bruciapelo quando era già morto: il rito feroce a cui ricorrono i killer quando vogliono essere sicuri di aver ucciso la vittima. «Giustiziato» Mimmo, i sicari non si sono preoccupati di Natale, ferito con tre colpi in modo non grave.

Il massacro s’è consumato in un pugno di secondi, prima delle undici di notte di sabato.
Testimoni, nessuno. Perché ad Archi-Cep, a quell’ora, vige di fatto il coprifuoco: porte e finestre sbarrate, nessun curioso per le strade dove, del resto, non mettono mai piede i duecento e più abitanti del luogo che si sono dati volontariamente alla latitanza per sfuggire alla guerra di mafia che non ha risparmiato donne, giovanissimi e vecchi boss. Mimmo è rimasto lì a terra da solo, jeans e maglietta a righe bianche e blu intrisa di sangue, fin all’arrivo degli inquirenti, mentre la volante che pattuglia in permanenza Archi-Cep ha portato Natale in ospedale. A qualche passo di distanza, nell’aprile del 1987, vennero sterminati altri due adolescenti, di 17 e 18 anni, a colpi di lupara. Un regolamento di conti tra killer di diverse cosche, si disse allora prima che anche quello scempio venisse dimenticato.

L’omicidio è diventato subito un rompicapo. Domenico Catalano abitava a Roma in via Prati Fiscali coi suoi genitori. Il padre, Giuseppe, è un ex muratore originano di qui che si era trasferito nella capitale una ventina d’anni fa. Da poco aveva tirato su una piccola impresa artigianale che, assicurano gli inquirenti romani, risulta, estranea a qualsiasi giro malavitoso o di ‘ndrangheta.

Il giovane Catalano non era molto pratico del luogo, tant’è che non si allontanava mai dal quartiere in cui abitava la nonna che l’ospitava. Ma la possibilità di un errore è ridotta a zero, esattamente come quella di un bisticcio improvviso tra adolescenti violenti. «Non è questa – avverte uno degli investigatori – la dinamica della rissa che sfocia in tragedia. Qui hanno sparato almeno in due: insomma, un lavoro premeditato ed organizzato». Nel quartiere le «sentinelle» delle cosche vigilano e controllano tutti i movimenti di chiunque capiti.
In questo senso l’omicidio è un omicidio di mafia, decretato o, almeno, tollerato dalle «famiglie» che si contendono il potere su Archi.

Nel buio di ipotesi ed in assenza di qualsiasi appiglio che possa spiegare l’agguato, ha preso consistenza uno scenario inquietante. Domenico sarebbe stato ammazzato in quel modo perchè testimone involontario di qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Forse, andando su e giù col ciclomotore, sarebbe incappato in qualcosa. Droga? latitanti? lupara bianca? Tutto è possibile. Ma per spiegare tanta ferocia è necessario ipotizzare che oltre a chiudere la bocca al ragazzo chi ha ordinato l’eliminazione di «Mimmo» abbia contemporaneamente voluto inviare un messaggio di terrore ad altri che, assieme a lui, potrebbero avere assistito o capito chissà cosa.

 

 

 

Articolo del 26 Luglio 2007 da  strill.it/ 
Effetti collaterali. Gravi. Ed irreparabili. Morire ammazzato a 16 anni per errore!

Il titolo è volutamente cinico e provocatorio.

Ma è ciò che serve quando su circostanze agghiaccianti, insieme al sipario del tempo scende l’oblio.

L’operazione “bless”, portata a compimento su richiesta del Pm Cutroneo, in seguito alla collaborazione ed alle conseguenti dichiarazioni rilasciate negli anni scorsi dal collaboratore Iannò al Pm Mollace, riporta alla ribalta un passato orribile, lontano più di 15 anni, ma del quale, sul piano della memoria collettiva, l’intera comunità deve farsi carico.

E – se possibile- nell’orrore c’è spazio anche per qualcosa in più, per una scheggia di follia e di bestialità ulteriore.

Erano le 21.30 del 1° settembre del 1990; a Reggio, come sempre in quel periodo, faceva ancora caldo e due giovanissimi – come tanti- gironzolavano a bordo di un motorino.

Uno di loro, appena sedici anni, Domenico Catalano, residente a Roma, era a Reggio per le vacanze presso la casa di origine dei genitori. Nessuna “vicinanza pericolosa”, nessun legame “ambiguo”.

Domenico Catalano venne abbattuto a colpi di fucile da un commando che lo puntò, lo seguì con una “Vespa”, lo affiancò e lo uccise. Il suo accompagnatore, Natale Cozzupoli, 15 anni, riuscì miracolosamente a scamparla.

L’operazione “bless” riapre, per meglio qualificare alcuni dettagli, un caso che, comunque aveva già fatto pervenire a pesantissime condanne (processo “Santabarbara”) per gli autori, ascoltati “in diretta” tramite l’intercettazione di colloqui con ricetrasmittente.

L’ascolto di quelle concitate fasi fu agghiacciante.

Ma ciò che l’operazione “bless” chiarisce senza tema di smentita è ancor pià raccapricciante: Domenico fu ucciso per un tragico errore. Gli incaricati di segnalare il suo passaggio credettero di individuare in lui la vittima designata perchè la sorte decise che quella sera entrambi dovessero indossare una maglia a righe e dovessero circolare su un ciclomotore.

Nelle conclusioni odierne dell’inchiesta “bless” gli inquirenti aggiungono che, accortisi dell’errore, subito dopo i responsabili fecero circolare la voce – falsa- che la vittima nei giorni precedenti avesse derubato un bar del quartiere.

 

 

 

Articolo del 20 Maggio 2013 da strill.it
Reggio: minorenne ucciso per errore, chiesto ergastolo per Boss

Ergastolo per il boss Pasquale Condello ‘Il Supremo’. È la richiesta di condanna invocata dal pm della Dda di Reggio Calabria Rocco Cosentino nell’ambito del processo ‘Bless’ che si sta svolgendo nella città dello Stretto. L’operazione ha fatto luce su diversi omicidi avvenuti durante la guerra di mafia ma già nel 2010 una cinquantina di posizioni vennero archiviate. In sette sono a giudizio, quattro con il rito ordinario e tre con il rito abbreviato. Tra le altre cose, Pasquale Condello deve rispondere dell’accusa di essere il mandante dell’omicidio di Domenico Catalano, avvenuto per errore nel 1990. La vittima era appena sedicenne. Venne scambiato per il reale obiettivo, Vincenzino Zappia chiamato Zappa, per il solo fatto che entrambi indossavano una maglietta a righe. In quella occasione un altro giovane, che viaggiava sul motorino insieme a Catalano, è rimasto ferito. Al termine della requisitoria che ha impegnato la mattinata, il pm ha chiesto la condanna all’ergastolo per Demetrio Sesto Rosmini per l’esplosione di un’autobomba in cui nel 1990 rimasero coinvolti Giuseppe Zaccone e Fortunato Audino. Da assolvere, secondo l’accusa, Domenico Condello conosciuto come Micu u pacciu (arrestato nell’ottobre scorso dopo un lunghissimo periodo di latitanza), mentre per il collaboratore di giustizia Giuseppe Scopelliti è stata chiesta una sentenza di ”non doversi procedere” per intervenuta prescrizione dei fatti contestati.

 

 

 

 

Fonte:  strill.it
Articolo del 16 settembre 2014
Anche in Appello confermati ergastoli per Pasquale Condello e Demetrio Sesto Rosmini
Confermato l’ergastolo per il boss Pasquale Condello, e per Demetrio Sesto Rosmini.

Processo “Bless”. La Corte d’Assise d’Appello, Finocchiaro Presidente Crucitti a latere, ha confermato la sentenza emessa in primo grado nei confronti di Pasquale Condello e Demetrio Sesto Rosmini che furono condannati alla pena dell’ergastolo. I giudici hanno accolto quindi le richieste avanzate dal sostituto procuratore generale Adriana Fimiani. Le difese rappresentata dagli avvocati Davide Barillà, Francesco Calabrese ed Emanuele Genovese avevano chiesto l’assoluzione per gli imputati, Oggetto del dibattimento d’Appello sono due omicidi realizzati nel corso della seconda guerra di mafia perpetrata a Reggio Calabria che, dal 1985 al 1991, conterà oltre seicento vittime. Nello specifico lo scorso anno la Corte d’Assise reggina, ritenne colpevole il “Supremo” per essere il mandante dell’agguato in cui morì per errore Domenico Catalano e per il ferimento di Natale Cozzupoli, fatti avvenuti il primo settembre del 1990.

Colpevole anche Demetrio Sesto Rosmini accusato dell’autobomba che il dieci settembre del 1990 ucciderà nel quartiere di Archi, alla periferia nord cittadina, Fortunato Audinò e ferirà Giuseppe Zaccone. Il processo “Bless” nasce da una maxioperazione congiunta tra Polizia, Carabinieri e Dia nel luglio 2007. A dare input alle indagini le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Paolo Iannò, che, da killer della cosca Condello, si sarebbe macchiato di diversi fatti di sangue nel corso della guerra di mafia. Oltre a questi due imputati, finirono nel mirino degli inquirenti reggini diversi soggetti delle storiche cosche cittadine e per molti di loro già il gip dispose l’archiviazione al termine delle indagini preliminari. Come accaduto nei confronti del collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice e per Natale Rosmini, ma anche per esponenti della cosche Araniti e Garonfolo.

Al termine del dibattimento di primo grado la Corte d’Assise, oltre ad aver condannato alla pena dell’ergastolo Pasquale Condello, nei cui confronti pendono diverse sentenze passate in giudicato, e Demetrio Sesto Rosmini, ha assolto per non aver commesso il fatto, in riferimento a molti omicidi, Domenico Condello, alias “micu u paccio”, l’ultimo dei grandi latitanti reggini arrestato recentemente dai Carabinieri ed inoltre ha stabilito il non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di Giuseppe Scopelliti autoaccusatosi dell’omicidio di Francesco Polistina, perpetrato il primo dicembre del 1990.

 

 

 

 

 

 

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