10 Giugno 1997 Taranto. Raffaella Lupoli, 11 anni, resta uccisa al posto del padre.

Raffaella Lupoli – il funerale – foto da iljournal.it 

Era il 10 giugno del 1997 quando entrarono in azione i sicari. I killer volevano colpire il padre di Raffaella Lupoli, un metalmeccanico disoccupato che aveva più problemi con la droga che con la giustizia. Passeggiava con lui nel quartiere Tamburi di Taranto. Tre colpi di pistola la colpirono a morte all’età di 11 anni. (Liberanet.org)

 

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 11 giugno 1997
Spara al padre, uccide la figlia
di Tonio Attino
L’uomo, pregiudicato, era in automobile: inutile la corsa all’ospedale
Agguato a Taranto, la bambina aveva 11 anni

TARANTO. Volevano ammazzare il papà, hanno ucciso la figlia. Raffaella Lupoli aveva 11 anni. Tre colpi di pistola, uno al cuore. E’ morta così, ieri sera. La bambina era in auto, accanto al padre Antonio, pregiudicato. L’agguato è avvenuto nel rione Tamburi, zona popolare a ridosso dello stabilimento siderurgico Uva. Seconda una prima ricostruzione fatta dalla polizia, il killer si sarebbe avvicinato a piedi alla vettura di Lupoli impugnando una pistola. Avrebbe esploso 4 colpi. Uno ha centrato l’uomo alla mano mentre si copriva il volto. Gli altri tre hanno raggiunto la bambina, al cuore, al braccio destro e al fianco. Il padre ha tentato di salvarla portandola in una clinica poco distante. Di qui. poiché le condizioni erano disperate, la piccola è stata trasportata nell’ospedale Santissima Annunziata, ma l’intervento dei medici è stato inutile.

Se un bandito non l’avesse uccisa con un colpo al cuore, da grande Raffaella avrebbe fatto il giudice. Aveva 11 anni e sognava. Gli sarebbe piaciuto avere indosso la toga, entrare in aula tra il rispetto della gente, e difendere papà da «quelli della droga». Raffaella l’hanno ammazzata ieri sera a Taranto, rione Tamburi, una grigia zjona popolare a ridosso del centro siderurgico Ilva. Era in auto accanto a papà, Antonio Lupoli, 34 anni, qualche piccolo precedente penale e una segnalazione negli archivi della questura come tossicodipendente.

Raffaella gli voleva bene e non sognava altro: difenderlo dai cattivi. Ma ieri sera lo volevano uccidere, il killer lo cercava. Erano le 21. L’auto, la Fiat Tipo bianca di Lupoli, avanzava lentamente. Passava davanti a una chiesa quando un uomo si è avvicinato a piedi. Aveva in pugno una pistola calibro 9. Ha sbarrato la strada e sparato quattro, cinque colpi, forse di più. Con l’arma puntata si è ritrovato quasi a fianco di Lupoli, che ha sollevato prima un braccio per coprirsi il volto, poi si è abbassato aprendo alla pistola la traiettoria sulla bambina. Tre colpi l’hanno centrata. Uno al cuore, uno al braccio destro, il terzo al fianco. Lui, Lupoli, solo una ferita alla mano. Il killer è scappato via. Lupoli si è voltato verso la bambina e ha capito. Il posto più vicino da raggiungere: la casa di cura San Camillo, una clinica privata che, in questo quartiere annerito dai fumi dell’acciaio, è l’ospedale, il pronto soccorso, l’ambulatorio. Tutto.

Lupoli ha incrociato una pattuglia della polizia, ha urlato, ha messo tra le braccia di un agente la sua Raffaella affinché potesse salvarla. Raffaella è arrivata al pronto soccorso della clinica con i poliziotti. I medici hanno capito che era gravissima. L’hanno messa in ambulanza e via verso l’ospedale civile Santissima Annunziata. L’ambulanza ha attraversato di corsa le strade del quartiere, si è scontrata con una vettura, ha tirato diritto. Dentro, come addormentata, il piccolo giudice forse sognava ancora. Non ce l’ha fatta ad arrivare in ospedale. E’ morta in ambulanza.

Raffaella viveva con mamma. I genitori non stavano più insieme. Si erano separati e, pochi giorni fa, era arrivato il divorzio. Lei amava il padre, lo vedeva poco, non quanto volesse. E ieri era felice di stare con lui. Al mattino a scuola, ultimo giorno. Quinta elementare. Aveva festeggiato con i compagni, si erano salutati. Ieri cominciavano le vacanze. Nel pomeriggio lo zio l’aveva portata con sé. Poi di nuovo a casa. E a sera, il papà era andato a trovarla, voleva portarla a fare un giro in macchina.

Il rione Tamburi è da quasi quarant’anni una «dependance» del centro siderurgico, miscela di dignitosa umiltà operaia e di spavalda presenza criminale. Qui hanno l’industria sotto casa. Se alzi la testa, vedi le ciminiere alte duecento metri. Raffaella c’era nata, come i boss che fino a qualche anno fa controllavano tutto, e come i ragazzini che vivono nella speranza di cambiare la vita loro e quella di papà e mamma.

Anche Raffaella voleva. Perché l’abbiano ammazzata, perché volessero far fuori il papà, non si sa ancora. La polizia indaga. Per tutta la notte ha ascoltato amici, conoscenti, parenti, e battuto la città. Non sembra essere stato un regolamento di conti, un agguato ordinato dalla criminalità organizzata. Forse qualcosa di diverso, una vendetta personale. Solo supposizioni, non si può fare altro. Quando l’alba illuminerà il quartiere nero di acciaio, forse si saprà qualcosa di più. Il perché di questo delitto, chi è l’assassino, perché ha sparato uccidendo il piccolo giudice.

 

 

 

 

Articolo di: La Repubblica del 12 Giugno 1997
«SARÒ GIUDICE PER SALVARE PAPÀ»

di Domenico Castellaneta

TARANTO – Questa è la storia di una bambina di 11 anni di nome Raffaella che voleva fare il giudice per strappare suo padre alla droga e che è morta al posto del suo papà. Questa è la cronaca di un sogno assassinato proprio l’ ultimo giorno di scuola, quando, dopo tanto tempo, Antonio Lupoli, 34 anni, separato, tossicodipendente, piccoli precedenti, un impiego precario a 800mila lire al mese coi lavori socialmente utili della Provincia di Taranto, era andato a trovare la figlia per farle fare un giro in macchina e festeggiare la fine delle lezioni.

Questo è il racconto dell’omicidio di un’innocente: tre proiettili che un killer ha sparato al padre, forse per punirlo di uno sgarro. Uno le ha spezzato il cuore, mentre lui, atterrito, allungava una mano quasi per fermare i colpi e gridava “Raffaella, Raffaella…”, e correva verso l’ospedale. Al Pronto soccorso la bambina che voleva indossare la toga ha chiuso gli occhi e il suo cuore ha smesso di battere. E la mano pietosa di un infermiere ha messo un fiore rosso su quella barella, mentre il padre urlava, e arrivava gente. Taranto s’è svegliata sotto choc dopo una notte di follìa e i parenti e gli amici oggi raccontano la storia di Raffaella, bambina sfortunata in una famiglia sfortunata, segnata da una crisi coniugale e dilaniata dalla droga che aveva inghiottito il padre. Quello dell’ eroina per la bambina era diventato un incubo.

Invece di giocare con le bambole, pensava a quella toga che un giorno avrebbe voluto indossare…Forse pensava che se fosse diventata giudice, le avrebbero restituito il padre dal quale era sempre più lontana, dopo che i genitori avevano deciso di separarsi. Proprio ieri è arrivata la sentenza di divorzio da parte del Tribunale. Anche per questo Antonio Lupoli aveva voluto rivedere la figlia. E i parenti raccontano: “È vero voleva fare il giudice. Diceva che doveva togliere di mezzo tutti quelli che avevano a che fare con la droga”. Abbastanza alta per la sua età, biondina, occhi vivaci, anche se negli ultimi tempi erano un po’ tristi, Raffaella passava ore a guardare la televisione, soprattutto i telegiornali, quando mostravano i processi e i magistrati. “Diceva che lei sarebbe diventata così…” racconta un amico della famiglia della madre.

La mamma, Patrizia Turi, 32 anni, dipendente di una ditta di pulizie, è sotto choc: viveva con Raffaella in una casetta di Gandoli, 13 chilometri da Taranto, un luogo di villeggiatura. Ieri sera il marito dal quale era separata da sette anni, è passato da casa: “Raffaella vieni, facciamo un giro”, ha detto. La bambina è uscita ed è salita sull’auto del padre che non vedeva da molti giorni. Lui abita a Statte, nei pressi della zona industriale di Taranto. Un giro, con la bambina, su quella “Tipo” bianca targata Brescia. Poi s’è diretto verso il rione Tamburi, adiacente al complesso del siderurgico. Una zona che conosce bene – anche perchè lì abitano parenti della sua nuova compagna – e che, secondo gli investigatori, batteva per motivi di droga. Forse aveva iniziato a spacciare. Forse aveva commesso uno sgarro. Di certo la macchina era seguita e il killer è entrato in azione quando padre e figlia si sono fermati in piazza.

Erano passate le 21 e sul lato destro di piazza Gesù Divin Lavoratore, il cuore del rione Tamburi, ad alto rischio criminale, l’auto s’è bloccata. È sbucato un motorino, due a bordo, uno è sceso e ha puntato una pistola calibro 9. Antonio Lupoli non ha fatto nemmeno in tempo a rendersi conto di quello che stava accadendo: il killer ha sparato quattro colpi, tre hanno raggiuto Raffaella che era sul sedile accanto al padre. La bambina è stata colpita al fianco destro, al braccio e l’ultimo proiettile, quello mortale, l’ha trafitta al cuore. Il padre, raggiunto di striscio da una pallottola alla mano destra, ha ingranato la marcia ed è partito verso l’ospedale più vicino, la casa di cura ‘San Camillo’ . Ha incontrato una volante e ha affidato Raffaella agonizzante agli agenti.

Di corsa verso l’ospedale ‘SS. Annunziata’ , ma non c’è stato nulla da fare: Raffaella era già morta. Antonio Lupoli, sotto choc, ha parlato: ha detto d’essere stato affiancato da due giovani a volto scoperto e d’aver tentato di proteggere Raffaella quando ha sentito partire i colpi. Il sostituto procuratore Maurizio Carbone l’ha interrogato ieri, mentre la Polizia sta setacciando il mondo del traffico di stupefacenti, un tunnel dal quale il padre di Raffaella non era mai uscito, visto che in casa gli sono state trovate due siringhe.

Distrutti dal dolore anche i compagni di classe di Raffaella che frequentava la quinta elementare del tredicesimo circolo al rione Paolo VI. In mattinata avevano festeggiato la fine delle lezioni: merendine, Coca-Cola e aranciata e c’era anche chi scherzava su Raffaella che sarebbe diventata un “giudice di ferro”. “A scuola andava bene, nessun problema”, raccontano. Dopo la festa, Raffaella era tornata a casa, dalla madre. Nel pomeriggio, era uscita con uno zio. Forse per un tragico scherzo del destino l’aveva accompagnato nell’ospedale nel quale sarebbe stata trasportata morente qualche ora dopo.

 

 

 

Articolo di La Repubblica del 13 Giugno 1997
ARRESTATO IL KILLER DI RAFFAELLA
di Domenico Castellaneta

TARANTO – Doveva essere ucciso perchè aveva infastidito la moglie del boss del quartiere. Doveva pagare col sangue l’affronto d’aver insidiato la donna di un pregiudicato mentre questi era in galera. Ecco perchè Antonio Lupoli, 34 anni, tossicodipendente, doveva morire. E invece un killer di appena 20 anni, forse al battesimo del fuoco, ha fallito la mira e ha ucciso sua figlia Raffaella, 11 anni.

In meno di 48 ore il pm Maurizio Carbone e la polizia hanno risolto il “giallo” dell’esecuzione di martedì sera, quando una bambina è stata uccisa per errore mentre era in auto col padre, il vero obiettivo dei killer. E il killer ha solo 20 anni, si chiama Francesco Pulpo, è incensurato.

Ha confessato d’aver premuto per quattro volte il grilletto su ordine di Rodolfo Caforio, 26 anni, precedenti per traffico d’armi e spaccio di stupefacenti. È lui, secondo la squadra mobile che ha eseguito gli arresti, il mandante dell’assassinio. È lui che, appena uscito dal carcere e sottoposto al regime di sorveglianza speciale, avrebbe organizzato l’agguato.

Alle cinque della sera il questore di Taranto, Raffaele Valla annuncia la svolta nelle indagini, mentre, poco distante dagli uffici della Polizia, centinaia di persone assistono ai funerali di Raffaella nella chiesa di Sant’Egidio. Ci sono tutti i compagni di classe della quinta elementare B, dove la bambina andava a scuola. Ma ci sono anche tante persone di una città sotto choc per un omicidio nelle cui modalità la realtà ha superato la fantasia.

Da qualche settimana Caforio era uscito di prigione dove aveva scontato una condanna a quattro anni per traffico di stupefacenti. Quando era in carcere aveva saputo di una presunta relazione tra sua moglie e Antonio Lupoli, il padre di Raffaella. Già in cella aveva giurato di vendicarsi. E lo ha fatto. Secondo la Polizia, l’ uomo ha assoldato Francesco Pulpo, giovane incensurato. E martedì sera è scattato il piano. Caforio e Pulpo a bordo di un motorino hanno seguito Lupoli mentre andava a prendere la figlia. Poi l’hanno pedinato. Quando la “Tipo” bianca ha rallentato, nei pressi di un incrocio, il killer è entrato in azione.

Ai poliziotti Pulpo ha raccontato d’aver fatto fuoco per timore di essere a sua volta ucciso se non avesse ubbidito a Caforio. E poi ha aggiunto di non aver visto che accanto a Lupoli c’era la bambina. Sono partiti i colpi. Cinque, secondo la Polizia. Solo un proiettile ha sfiorato il braccio di Angelo Lupoli. Altri tre, invece, hanno colpito Raffaella, che mentre si accasciava, ha detto al padre: “Guarda, c’ è tanto sangue…”. I sicari sono fuggiti, Lupoli ha ingranato la marcia ed è corso in ospedale. Ma qualcuno è riuscito a riconoscere la motocicletta utilizzata nell’agguato. E così la Polizia è risalita ai due killer.

 

 

 

 

 

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