11 giugno 1988 Torino. Uccisa Michela Ansaldi Paolino, 16 anni. Testimone in una guerra tra bande catanesi.

Erano appena usciti da una birreria, Michela Ansaldi Paolino, 16 anni, la sua amica 17enne A. M. e i giovani pregiudicati Roberto Caserta, 27 anni, ed il fratello Maurizio, 35 anni, quando sono stati bersagliati da numerosi colpi di pistola. I fratelli Caserta e Michela sono morti sul posto mentre la sua amica è rimasta gravemente ferita.
Mesi dopo le indagini stabilirono che i due fratelli avevano litigato all’interno del locale con i proprietari ma che sono stati poi crivellati di colpi da altre persone, estranee alla prima lite, che li stavano attendendo all’esterno.

 

 

Fonte: L’Unità
Articolo del 13 giugno 1988
Sparatoria a Torino, 3 morti e un ferito gravissimo
di Nino Ferrero
Furiosa sparatoria l’altra notte a Torino. Particolarmente pesante il bilancio: tre morti e una giovane gravemente ferita. Le cause potrebbero derivare da una banale lite esplosa all’interno di una birreria. Gli inquirenti tuttavia non escludono l’ipotesi di un feroce «regolamento di conti» tra bande rivali.
Gli assassini sono riusciti a fuggire. La squadra mobile di Torino sta conducendo le difficili indagini.

TORINO. Come nel mitico Far West, ma ormai tanti anni fa, o come nella «ruggente» Chicago anni Trenta… Una parola in più, un gesto di troppo e scoppia il diverbio che subito si tramuta in lite, concludendosi quindi a raffiche di pistola. Cosi l’altra notte in un locale pubblico della periferia cittadina, la birreria «Danton» di corso Umbria.

Secondo le prime indagini, la lite tra due gruppi di giovani, sarebbe iniziata all’interno del locale, e proseguita poi fuori. All’improvviso, i colpi secchi di alcune pistolettate. Poi il rumore di un’auto che si allontanava sgommando. Sull’asfalto, in una pozza di sangue che si allargava sempre più, il corpo di un uomo. All’interno di un auto, parcheggiata a breve distanza, altri due cadaveri: un uomo e una donna, e una ragazza gravemente ferita.

Le vittime sono i fratelli Roberto e Maurizio Caserta, di 27 e 35 anni e Michela Ansaldi Paolino; colpita da una pallottola che le si è conficcata nella schiena, la diciassettenne A. M., subito ricoverata al vicino ospedale Maria Vittoria: è in prognosi riservata. I due fratelli Caserta, originari di Caltanissetta, erano già noti alla polizia. Pregiudicati con precedenti per rapine varie e porto abusivo d’armi (l’altra notte però erano entrambi disarmati). Incensurate invece le due donne.

Secondo le prime indagini svolte dalla mobile, la lite tra i due fratelli e un gruppo di giovani (forse tre o quattro), sarebbe iniziata all’Interno della birreria «Danton». È probabile che gli aggressori abbiano volutamente provocato i due Caserta, rivolgendo apprezzamenti non proprio galanti, all’indirizzo delle due donneche li accompagnavano. Il litigio, sempre più violento, si è poi spostato sulla strada, nei pressi della birreria.

Mentre uno dei due fratelli, Roberto, il più giovane, saliva subito in macchina con le due donne, l’altro, Maurizio, continuava la lite, sul marciapiede, con i giovani «provocatori». Improvvisamente sono apparse le pistole, e Maurizio è caduto sull’asfalto crivellato di colpi.

Come se non bastasse (come appunto se l’obiettivo fosse l’eliminazione di entrambi i fratelli, gli assassini hanno attraversato la strada di corsa e raggiungendo l’auto – una «Golf» – in sosta lungo il marciapiede opposto, senza alcuna esitazione, hanno continuato a far fuoco contro i tre occupanti della vettura.

Secondo i primi rilievi della polizia scientifica, il giovane Roberto Caserta sarebbe stato il primo ad essere ucciso dai micidiali colpi sparati a freddo dai suol spietati «esecutori». Quindi, probabilmente per eliminare due pericolose testimoni, gli assassini hanno svuotato i caricatori delle pistole contro le due donne.

Michela Ansaldi Paolino, seduta accanto al posto di guida, raggiunta al collo e al torace da quattro colpi, è deceduta sul colpo. La più giovane, A. M., terrorizzata da quanto stava accadendo, si è rannicchiata sul sedile posteriore, volgendo la schiena agli sparatori e cercando di ripararsi con le mani e le braccia. La ragazza è riuscita cosi a sopravvivere, pur restando gravemente colpita alle spalle.

Secondo i medici dell’ospedale Maria Vittoria, un proiettile le avrebbe leso la colonna vertebrale. La prognosi è riservata, ma se la ragazza riuscirà a farcela potrà essere un preziosissimo teste per gli inquirenti. Per il momento, nessun’altra traccia. Nella mattinata di ieri la polizia ha perquisito le abitazioni di alcuni amici dei due fratelli assassinati.

 

 

ricerca.repubblica.it
Articolo del 17 luglio 1988
PURE TORINO SPARA SEI “ESECUZIONI” IN MENO DI UN MESE

TORINO Sei vittime in un mese, le ultime tre in cinque giorni. Il conto dei delitti compiuti a Torino in questo inizio d’estate è davvero pesante. Lo era già ieri mattina prima che l’ultimo omicidio venisse consumato, al quinto piano di una abitazione popolare del quartiere Lingotto. La vittima, Roberto Buongiorno di 39 anni, era ancora in vestaglia. Con lui c’erano la moglie e i due figli. Il killer si è presentato alle otto in punto, ha suonato il campanello e ha fatto fuoco non appena Buongiorno ha socchiuso la porta d’ingresso. Un colpo solo, calibro 12, che gli ha trapassato il volto. Un’esecuzione da professionisti. Roberto Buongiorno non era un nome nuovo per la polizia. Aveva precedenti per armi, estorsione, spaccio di banconote false e furto. Secondo gli inquirenti aveva continuato la sua attività di taglieggiatore.

Cinque giorni prima la lupara aveva sparato ancora e il gestore di una discoteca, Luigi Pacella di 34 anni, ci aveva rimesso la vita. Pacella aveva paura: una settimana prima di morire aveva fatto testamento. Un mese fa, di fronte a una birreria della periferia nord di Torino: due killer fecero fuoco contro i fratelli Maurizio e Roberto Caserta di 37 e 25 anni e le due ragazze che erano con loro, Michela Ansaldi di 16 anni e A. M. di 17. Solo quest’ultima di salvò. Proprio indagando su quella esecuzione, la polizia risalì a Roberto Buongiorno, vittima dell’omicidio di ieri. Poco prima di abbandonare la birreria, uno dei fratelli Caserta gli aveva telefonato.

Ancora misterioso è invece il movente dell’assassinio di Walter Briatore, il commesso viaggiatore freddato venerdì mattina a pochi metri dalla sua auto nel popolare quertiere di Santa Rita. Briatore era incensurato e gli inquirenti escludono che la sua morte possa avere a che fare con la feroce guerra tra bande che fa da sfondo agli atri cinque omicidi. Viveva da solo, era separato dalla moglie e da pochi mesi aveva messo su con alcuni soci una ditta per la fornitura di generi alimentari a ospedali e mense. Un uomo tranquillo, insomma.

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 17 luglio 1988
Quei 13 colpi davanti al pub
di Angelo Conte
Un mese fa l’omicidio dei fratelli Caserta

Una notte tiepida e serena. Le strade ancora piene di gente, uscita elettrizzata dal concerto di Bruce Springseen. Attenuata la musica di una discoteca invade il marciapiede di corso Umbria, davanti al 42. La quiete è scossa da 13 colpi di pistola, intervallati da pause di pochi secondi. Tre morti: due giovani pregiudicati e una ragazza di 16 anni.

Quel delitto, la notte fra l’11 e il 12 giugno, ha profondamente segnato il mondo della mala torinese. E dire che il “movente”, se sono centrate le impressioni degli investigatori, è stato banale: una donna contesa. Il sangue di quella sera sembra aver dato uno scossone a equilibri che si andavano assestando. Se si eccettua infatti, l’esecuzione di Giulio Papaleo alla fine di febbraio, le lotte fra bande cittadine, quest’anno, non avevano provocato vittime.

Come il triplice delitto di corso Umbria possa aver rotto la tregua non si sa. I due pregiudicati uccisi (Roberto e Maurizio Caserta) avevano precedenti per rapina, ma non erano certamente capibastone, La ragazza (Michela Ansaldi Paolino) caduta, probabilmente per caso, sotto i colpi dei killer era addirittura figlia di un ex poliziotto.

Il “filo” che potrebbe unire quella strage ai successivi delitti di mala non è sempre chiaro. Ma un legame stretto c’è certamente con l’esecuzione di Roberto Bongiorno, il destinatario della disperata telefonata fatta da Maurizio Caserta pochi minuti prima di morire: “Vieni a darci una mano”. Bongiorno, che conosceva i contendenti (tutti come lui di Caltanissetta), avrebbe potuto fare da paciere, ma quella sera si mosse con una pistola in tasca. Perché? Era solo una precauzione.

Carabinieri e polizia hanno in mano molti pezzi di un difficile puzzle: occorre collocarli al posto giusto. L’incastro più difficile è rappresentato dall’uccisione di Luigi Pacella, sabato scorso in Via Stradella. Aveva avuto contatti attraverso un socio in affari con il clan dei catanesi, organizzazione a cui era stato vicino anche Roberto Bongiorno, arrestato nell’85 per avere protetto la latitanza torinese di Salvatore “Turi” Ercolano, ritenuto il braccio destro del boss Nitto Santapaola (il probabile mandante del delitto Dalla Chiesa).

È in questo complesso gioco di bande che va cercata la chiave degli ultimi delitti, mentre cresce la preoccupazione per gli sviluppi di una faida dai contorni ancora indefinibili.

 

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 6 luglio 1989
Torino, per la mafia è terra di frontiera. Un «tribunale» decide, i killer sparano.
di Ivano Barbiero
La lunga catena di delitti comincia con l’assassinio di Giuseppe Papaleo. Dietro ogni agguato, la guerra per la spartizione del traffico della droga. E poi? Sempre più difficili le indagini.

La lunga catena di delitti comincia con l’assassinio di Giuseppe Papaleo. Dietro ogni agguato, la guerra per la spartizione del traffico della droga. E poi? Sempre più difficili le indagini. C’è un tribunale che decide le esecuzioni. È quello della mafia. Non ha appelli, non ha volti, non accetta «errori». E Torino, «terra dì frontiera», è semplicemente una delle tante isole di quest’arcipelago costruito sulla legge della P 38. In più di un’occasione gli inquirenti hanno rimarcato che nell’«isola Torino» c’è un vuoto nella leadership della mala e qualcuno sta cercando di approfittarne tentando di occupare gli spazi lasciati vuoti dal clan dei catanesi. Dov’è il comune denominatore, oltre a quello del controllo del traffico della droga, che arma la mano dei sicari? Attorno a quale tavolo si decidono le sentenze? Come risposta rimane la lunga serie di cadaveri.

La catena di delitti che negli ultimi due anni ha insanguinato la città e l’hinterland viene aperta il 29 febbraio ’88 con l’omicidio di Giuseppe Papaleo, personaggio di secondo piano della mala, scoperto il 29 febbraio a Castiglione con 4 proiettili calibro 38 in corpo. Ucciso altrove e poi abbandonato in una zona che presto verrà ribattezzata «discarica dei morti». Una pausa e si arriva a sabato sera 11 giugno: fuori dal pub Danton di corso Umbria si scatena l’inferno. Muoiono i fratelli Maurizio e Roberto Caserta assieme a Michela Ansaldi, 16 anni, che aveva accettato di uscire insieme con l’amica, Angela Migliore, 17 anni, scampata per buona sorte alla stessa fine. Mesi dopo le indagini stabiliscono che i due fratelli hanno litigato all’interno del locale con i proprietari, ma sono stati crivellati di colpi da altre persone, estranee alla prima lite, che li hanno attesi all’esterno.

L’11 luglio è la volta di Luigi Pacella, gestore della discoteca Ypnos, di via Carelli, a cadere sotto i colpi di lupara in un agguato tesogli sotto casa, in via Stradella 30. La «firma» della lupara — che porta insieme sfregio e morte — ha precisi riscontri: nei due anni precedenti nel Torinese ha ucciso soltanto tre volte. Prima di Pacella ha stroncato le vite di Francesco Rinella, un palermitano considerato potente boss mafioso, e di Santo Miano, fratello di Ciccio e Roberto Miano, ritenuti i capi del clan dei catanesi. Tutte esecuzioni con precisi riferimenti agli strati più profondi della malavita torinese, con strettissimi legami con potenti organizzazioni del Sud. Tutti delitti ancora impuniti.

Non passa una settimana dall’agguato a Pacella e il 16 luglio si registra un nuovo regolamento di conti. Stavolta ci lascia la pelle Roberto Bongiorno, 38 anni, pregiudicato, in libertà provvisoria, ucciso con un pallettone calibro 12 a casa sua in via Millefonti 20. Nel soggiorno c’erano anche la moglie della vittima e i due figli, di 10 e 6 anni. Lui ha aperto senza sospetti né esitazioni, il killer gli ha messo la canna alla fronte. Bongiorno era l’uomo cui la notte fra sabato e domenica 11 giugno, i fratelli Caserta telefonarono prima di essere massacrati a rivoltellate.

Il 23 agosto c’è una nuova vittima designata: Francesco Di Gennaro, 43 anni, «Franco il Rosso» per gli amici, già bersaglio l’anno prima di un agguato da parte di uno sconosciuto che gli aveva sparato due colpi alla testa mentre saliva in auto. Per non sbagliare stavolta sono due i killer; incappucciati entrano nel bar di via Pollenzo 37: uno tiene a bada i clienti, l’altro esplode tre colpi a pallettoni.

E si arriva all’«ottobre di fuoco». Il giorno 4, verso le 22, davanti ad un bar di via Don Monaldo viene ucciso a colpi di lupara Michele Mosto, 50 anni, già noto a polizia e carabinieri per un lungo curriculum di reati. Nella stessa mattinata è stato registrato un altro misterioso delitto, nel deposito di un demolitore in lungo Dora Colletta 179. Un uomo viene trovato cadavere all’interno di una vettura distrutta dal fuoco. Chi era? Perché il delitto? Interrogativi tuttora senza risposta. Dodici anni prima, il 24 settembre ’76, in quello stesso spiazzo di auto accatastate due killers avevano esploso una ventina di colpi con pistole e fucile a canne mozze, uccidendo Carmelo Fogliano, 43 anni, catanese, pendolare del carcere, ricercato da mesi. In seguito si scoprì che l’obiettivo erano i fratelli Francesco e Giovanni Camazza. Dietro Quell’agguato sempre il traffico ella droga. Il 25 ottobre, in via Asiago, alle 7 di mattina, Giuseppe Valentino, 52 anni, operaio calabrese, viene ucciso in strada a colpi di lupara. Due killers in auto l’affiancano mentre va al lavoro in bici. Oscuro il movente: uno sgarro, un «rifiuto» inatteso, un tassello della guerra in atto fra cosche?

Finisce invece in una cava di Moncalieri, con due proiettili nella testa, la «fuga» di un pregiudicato di 22 anni, Fortunato Marselli, residente a Sinopoli, Reggio Calabria. Sulle prime si era pensato scappasse da un «doppio fidanzamento», ma quando il 3 dicembre, in via San Secondo, viene freddato sotto casa Ottavio Napoli, uno dei proprietari della cava in cui il Marsetti aveva trovato ospitalità e rifugio, dai carabinieri del Nucleo operativo e dalla Mobile torinese arriva la conferma che «c’è odore di droga dietro i due omicidi».

La stessa aria che si respira il 14 dicembre per lo «spietato regolamento di conti» in un’agenzia di assicurazioni, la Ticino, di via Brandizzo. I sicari arrivano incappucciati su un’auto, spalancano la porta e fanno fuoco con grosse pistole automatiche sul titolare e un amico: Francesco «Franco» Costanzo, 37 anni, originario di Siderno Marina, sposato con tre figli, già implicato negli anni precedenti in storie di armi e droga, e Vincenzo Caccamo, 35 anni, originario di Locri, titolare di una piccola impresa edile.

Quest’anno invece i delitti di mafia iniziano con l’uccisione di Urbano Curinga, un calabrese ucciso il 27 maggio a Castellamonte. Il 23 marzo è la volta di Giulio Perona, freddato a Pianezza a colpi di pistola. Il 10 aprile a Castiglione Torinese viene trovato carbonizzato Antonio Reale, calabrese. Undici giorni dopo, a Grugliasco, si scopre il cadavere bruciato di Santo Priolo. Il 2 maggio tocca a Massimo Gatto, ucciso a colpi di pistola a Volpiano. Sei giorni dopo è la volta di Domenico Minervino, gettato in una roggia a Pancalieri, con cinque pallottole nella schiena. Il 30 maggio a Gassino viene trovato cadavere Vincenzo Lucente. Il 21 giugno un altro cadavere carbonizzato, quello di Pasquale Franzè, scoperto a Rivoli, e otto giorni dopo, l’uccisione di Francesco Barba a Rivalla. L’altro ieri l’omicidio di Pino Torinese: Valentino Giordano, 39 anni, giustiziato e gettato giù dall’auto, la decima vittima di quest’anno. Tanti nomi, altrettante «croci» in una «città parallela» alla Torino che cerca di crescere.