13 Giugno 1983 Palermo. Agguato Via Scobar. Uccisi il capitano Mario D’aleo e i carabinieri Giuseppe Bommarito e Pietro Morici.

Mario D’Aleo – Giuseppe Bommarito – Pietro Morici     –    Foto da Antimafiaduemila.com

13 giugno 1983, a Palermo, in via Scobar ci fu una strage. Bersagli furono tre giovani carabinieri: il capitano Mario D’aleo, 29 anni, comandante della compagnia carabinieri di Monreale, massacrato dai criminali di “Cosa Nostra” sotto la sua abitazione, l’appuntato Giuseppe Bommarito, 38 anni ed il carabiniere Pietro Morici, 26 anni, uccisi in macchina, a poca distanza dal portone.
Il capitano D’aleo aveva preso il ruolo di comandante della compagnia dopo la morte del capitano Emanuele Basile, ucciso tre anni prima, il 4 maggio 1980, sotto gli occhi della moglie e della figlia, e ne aveva ereditato le indagini sui traffici illeciti gestiti dai clan di San Giuseppe Jato, Altofonte e Monreale.
Nel 2001 i giudici della prima sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo hanno stabilito che ad ordinare l’uccisione del capitano Mario D’Aleo furono i capimafia che formavano allora la Cupola di Cosa nostra e per questo delitto sono stati condannati all’ergastolo Salvatore Riina, Michele Greco, Pippo Calò, Nené Geraci, Bernardo Provenzano e Giuseppe Farinella.

 

 

 

Foto da monrealenews.it

Mario D’Aleo

 

Fonte: Blog “Giuseppe Bommarito”

Il Capitano dei Carabinieri Mario D’Aleo Nasce a Roma il 16 febbraio 1954. Giovane di carattere vivace, allegro e spensierato, viene apprezzato e stimato dai suoi coetanei, dagli amici e conoscenti. Si mette in evidenza per le sue capacità agonistiche quale rappresentante della squadra calcistica parrocchiale del Quartiere Appio Latino ove ben figurava; Tale attività sportiva gli darà anche successivamente buoni risultati.
Frequenta il liceo scientifico “-Cavour” della Capitale e dopo aver conseguito la maturità nel 1973, inizia la carriera militare entrando all’Accademia di Modena.

Viene nominato sottotenente in spe dell’Arma dei Carabinieri il 20 ottobre 1975 e trasferito alla Scuola di Applicazione in Roma. Il 14 settembre 1977 viene destinato alla Scuola Sottufficiali Carabinieri di Firenze per il 1° Battaglione in Velletri; promosso Tenente, continua nello stesso Comando di Corpo e quindi, in tale grado viene trasferito, in data 28 maggio 1980, all’allora Legione Carabinieri di Palermo, ove assume il Comando della Compagnia Carabinieri di Monreale.

In attesa di imminente matrimonio, perde la vita il 13 giugno 1983 unitamente all’Appuntato Bommarito Giuseppe e al carabiniere Morici Pietro che l’accompagnavano, in un agguato mafioso, a seguito di colpi d’arma da fuoco. Alla sua mermoria , il 31 agosto del 1983, viene conferita la Medaglia d’Oro al valor Civile.

 

 

 

Giuseppe Bommarito

Foto da: mafie.blogautore.repubblica.it

 

Fonte: Blog “Giuseppe Bommarito”

Giuseppe Bommarito è nato il 14 luglio del 1944 a Balestrate, ultimo paese della provincia di Palermo, sulla costa che prosegue con Alcamo Marina (TP).E’ il quinto figlio di Salvatore e di Marianna Badaglialacqua, entrambi di Balestrate. La famiglia era composta, rispettivamente, da due femmine, un maschio, una femmina; si arricchirà, in seguito, di una femmina e un maschio. Sette figli cresciuti con dedizione ed affetto.

La madre che ricordava ogni particolare della nascita di questi figli “pasciuti di latte ed amore“, raccontava che-“Pinuzzu era beddu che aveva u culuri di la nostra terra, crisceva jorno, dopo jorno comu u Bamminu’“. Quel giorno Papà, avvisato della tua nascita, lasciò le spighe da mietere e con la sua vecchia bicicletta ritornò a casa per abbracciare il suo nuovo Bambino e la sua amata sposa, ma anche gli altri figli poterono gioire della presenza del loro affettuoso padre. Ti diedero per nome, Giuseppe, in memoria del fratello di papà, morto a 20 anni ammazzato dalla Vitella che lo portava a comprare farina per mangiare.

Penso che non bisognerebbe mai dare il nome di un morto ad un bambino….è una mia divagazione. Sei nato in via G. Galilei, 50 ed in quella casa sei cresciuto, insieme a tutti noi. Il tuo primo compleanno lo hanno festeggiato nel campo di grano che, adesso, la famiglia riunita mieteva. La mamma raccontava che eri il colore del ”cioccolatte ”, nonostante Lei cercasse di tenerti all’ombra, eri la mascotte di tutti ed il tuo padrino di battesimo si divertiva a colorarti con i gelsi neri. Hai frequentato la scuola elementare, come noi tutti, nella vecchia sede, il tuo maestro era un Paesano (buona garanzia per i nostri Genitori): Orlando.

Terminiati gli studi dell’obbligo, con buon rendimento, presso la Scuola Media Statale” Rettore Evola” inizi a lavorare come manovale edile con nostro cognato Salvatore e con Lui sei emigrato, con il treno del Sole per il “Continente”: Torino.

Fin da piccolo, come noi tutti, eri disponibile a dare il tuo contributo per la vendemmia, la raccolta delle olive e di tutti i prodotti che la terra,coltivata da nostro padre, ci dava. Non ricordo di averti mai sentito lamentare, io lo facevo… amavi la terra che hai sempre generosamente coltivata, fino al giono prima che ti togliessero la vita.
Da quando nostro Padre non era stato più in grado di lavorare, ti eri assunto il compito di continuare a coltivare i campi, insieme al nostro fratello minore, nel tuo giorno di riposo che l’Arma dei Carabiniere concedeva.

Dopo l’Avviamento sei emigrato, con il nostro cognato Salvatore, a lavorare come muratore a Torino. Erano gli anni ‘60, per i Continentali noi eravamo TERRONI., ricordo che quel soggiorno non è durato tanto. Alla tua giovane età avevi sperimentato cosa significava, nella tua stessa Italia, essere considerato Diverso, Sottoprodotto, Braccia e basta. Negli anni ci chiedevi spesso come facevamo noi a vivere al NORD. Ritornato in paese hai continuato a lavorare nell’edilizia ed aiutare papà in campagna. La scelta, dopo l’esperienza torinese, l’avevi già fatta: arruolarti nell’Arma dei Carabinieri.
Nostro Padre era felice ed orgoglioso di avere un figlio Carabiniere; aveva diversi amici Carabinieri ……

Il 20/11/1964 ti arruoli nell’Arma dei Carabinieri, prima come Ausiliario e, dopo aver frequentato il corso presso la Scuola Allievi Carabinieri di Torino, vieni trasferito presso il X Battaglione Mobile CC di Napoli.
Ritorni in Sicilia, alla fine del 1965, e presti inizialmente servizio presso la squadriglia CC di Calatafimi (TP).
Ricordo di essere venuta a trovarti, qualche volta, era un luogo sperduto …era ancora più dura la vita allora per voi Carabinieri ….

Successivamente vieni trasferito presso il Reparto Comando dell’allora Legione Carabinieri di Palermo.
Quel periodo è rimasto impresso nella mia mente: ero anch’io a Palermo, frequentavo l’Università.
Appena era possibile ritornavamo a casa insieme per il fine settimana (con la tua prima macchina – la Fiat 500 azzurra) e poi ancora a Palermo, percorrendo la strada che passava per Monreale. Quanto parlare tra noi, quante confidenze, quanti consigli ci si scambiava…
Durante la settimana, a volte ,venivi a mangiare presso la pensione dove vivevo… i nostri Genitori ci fornivano abbastanza cibo per entrambi.
Avevo l’indispensabile per andare avanti, il cinema sarebbe stato un lusso… e tu, se potevi, me lo pagavi. Avevamo visto il film “IL giorno della civetta” e all’uscita avevamo constatato che ti avevano rubata la macchina, ritrovata abbastanza presto grazie all’intervento della Volante dei Carabinieri.
Quanti fraterni ricordi… Grazie alla educazione avuta dai nostri Genitori, ai Valori trasmessici siamo stati ricchissimi… l’ amore, la solidarietà che ci univa, fin dalla nascita era stato e rimane il nostro patrimonio.

Nel 1970 vieni trasferito a Monreale presso il Comando Compagnia dove rimarrai fino al giorno della tua morte.
Era anche l’anno della mia Laurea in Scienze Naturali e della mio definitivo trasferimento a Milano.
I nostri Genitori continuavano a vederci allontanare … soffrivano… però non si lamentavano… ci sostenevano, come sempre, con affetto ed incoraggiandoci ad andare avanti per avere un futuro migliore. Nostro Padre era felice ed orgoglioso di avere un proprio figlio Carabiniere.
Lui aveva aveva diversi amici tra i Carabinieri che rispettava in quanto Tutori dell’Ordine e della Legalità orgoglioso, perchè li considerava Tutori della Legalità e della Giustizia.

Ricordo che alcuni di noi condividevano poco questa tua scelta, noi studiavamo ed abbiamo cercato di convincerti a riprendere gli studi.
Ogni anno, durante le vacanze estive, ci si rivedeva: il luogo dove si stava tutti insieme con le nostre famiglie ed i nostri Genitori era la campagna vicina al mare….
I giorni volavano in fretta, tra noi l’affetto e l’armonia di sempre anche se avevamo, man mano messo su famiglia.
Si era realizzato il sogno di nostro Padre: quel posto doveva essere luogo di ritrovo per noi fratelli e delle nostre famiglie, doveva ricaricarci di energia positiva per aiutarci a superare un altro anno di separazione.

Intanto da quando avevi sposato la tua prima ed unica fidanzata, il 22/07/1972, Mimma Galante e la vostra famiglia si era arrichita con la nascita di due bellissimi bambini-Salvatore e Vincenzo, vivevi e lavoravi a Monreale.

Sapevamo che non era un luogo tranquillo e spesso avvertivamo attraverso l’espressione del tuo viso la tue preoccupazioni, delle quali difficilmente parlavi.
Ricordo il tuo profondo dolore quando il Capitano Basile era stato cosi barbaramente ucciso.
Lacrime cocenti per il Capitano che stimavi ed ammiravi, che avevi accompagnato come autista a qualsiasi ora del giorno, o della notte, quando Lui “investigatore nato”(cosi’ tu lo ritenevi ) ti chiedeva di andare.
Ricordo anche una frase: ”spero che dal suo sangue nascano altri uomini che vadano avanti… cosi’, forse potrà venire un giorno in cui noi non sentiremo abbinare essere Siciliani ad essere Mafiosi”.

Chissà se pensavi che tu saresti stato Uno di Questi Uomini; subito dopo quanti altri Uomini Giusti hanno insanguinato la nostra amata terra.

 

 

 

Pietro Morici

Pietro Morici – Foto da video  Pietro Morici Memorial

Fonte: Blog “Giuseppe Bommarito”

Il carabiniere Pietro Morici nasce a Valderice (Tp) il 21 agosto 1956.
Termina la scuola dell’obbligo al paese di nascita ove ottiene un buon giudizio finale.
Dopo aver conseguito la licenza media, inizia a gestire con la madre un negozio di generi alimentari situato vicino la Caserma dei Carabinieri, dove negli anni della sua gioventu’ trascorre le giornate.

Ragazzo di carattere aperto, serio e deciso, in seguito, presenta domanda di arruolamento. Quando giunge la comunicazione del Ministero della Difesa, i genitori di Pietro sono contrari alla sua decisione; parte lo stesso per Roma ove raggiunge la scuola Allievi Carabinierei il 5 marzo 1975 data di incorporamento. Successivamente viene trasferito a Milano.

Nel 1976, inaspettato ed improvviso, arriva il trasferimento a Palermo e infine a Monreale, dove Pietro fa l’autista al Capitano Basile il quale lo stima e nutre per lui una notevole considerazione. E’ un ragazzo vivace e molto affezionato alla famiglia, ma nello stesso tempo riservato e non parla mai del suo lavoro.

Quando Basile fu ucciso, nel 1982 dalla mafia locale, mentre era da una festa paesana, venne sostituito dal Capitano D’Aleo, il quale riconfermò come suo autista Morici Pietro che evidentemente era persona che sapeva conquistare la fiducia, il rispetto e le stima dei superiori.
IL 13 giugno del 1983, mentre Morici, l’appuntato Bommarito ed il Capitano D’Aleo si recano a casa di quest’ultimo, due moto li affiancano e li uccidono. Pietro Morici ha appena 27 anni.
Nell’agosto del 1983, a Roma, viene conferita una Medaglia d’Oro al Valor Civile al carabiniere Morici, dall’allora Ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro; medaglia che conserva la madre.
Inoltre, al museo delle Cere di Roma, c’è una stuta del carabiniere Morici in ricordo della sua giovane vita immolata per la difesa dei diritti umani

 

 

 

Fonte: RadioRadicale.it
INTERVISTA A LEONARDO SCIASCIA DEL 15 GIUGNO 1983
Mafia – agguato Via Scobar 

Intervista a Leonardo Sciascia: molte le cose da fare. La mafia non vuole i Carabinieri a Monreale e perciò ha in programma di uccidere tutti i comandanti che si succederanno a Basile e D’Aleo, oppure questo Capitano, come il suo predecessore, sono stati uccisi perché avevano capito qualcosa che la mafia spera di tenere nascosto al suo successore.

SOMMARIO: “Sgomento”, e ricerca di una “spiegazione”, per il nuovo delitto, ma anche certezza che le “leggi eccezionali non possono convivere con una democrazia effettiva”. Non riscontra alcuna parentela tra la mafia che egli, da scrittore, ha analizzato, e questa; non lo convince tuttavia la tesi che la mafia di oggi aspiri ad essere “Stato”. In questa pretesa c’è una “venatura di follia”, e forse ai vertici della mafia c’è qualcuno affetto da “napoleonismo”. Il parlamento cerca di fare qualcosa, ma “molto resta da fare”. Richiestone dall’intervistatore, pensa che, certo, vi sono nel mondo “altri luoghi” paragonabili a Palermo per intensità di violenza.

(AGENZIA RADICALE, notiziario del Movimento Federativo Radicale) DEL 15 giugno 1983)

“Sgomento. Angoscia. Sono disorientato e alla ricerca di una spiegazione anch’io, come tutti a Palermo. Nessuno, ormai, afferra il senso di questa violenza, a meno che non stia dall’altra parte…”
Così risponde Leonardo Sciascia alla domanda: cosa prova di fronte a questa nuova strage mafiosa.

E la richiesta che si è levata di nuove, eccezionali leggi?
Sciascia: E’ comprensibile che in un primo momento nasca una richiesta simile. E’ con la riflessione che ci si ricorda che le leggi eccezionali non possono convivere con una democrazia effettiva. Personalmente, poi, credo che non servirebbero a reprimere efficacemente la mafia. Il problema resta quello di capire le ragioni per le quali la mafia ha colpito queste vittime, in questo momento.

Domanda: Non sono facilmente decifrabili, questi delitti?
Sciascia: Non credo. Procedono a tentoni anche coloro che hanno cercato seriamente di studiare il fenomeno mafioso. Di fronte a questo nuovo delitto, ci si chiede se la mafia non vuole più carabinieri a Monreale e perciò ha in programma di uccidere tutti i comandanti che succederanno a Basile e D’Aleo, oppure se questo capitano come il suo predecessore sono stati uccisi perché avevano capito qualcosa che la mafia spera di tenere nascosto al suo successore.

Domanda:  Dopo il delitto Giuliano e dopo l’assassinio di Terranova lei disse: la mafia alza il tiro sui rappresentanti dello stato perché ha scoperto che non esistono uomini altrettanto capaci e coraggiosi per sostituirli. Sembra ora che Basile aveva trovato un degno successore. Non pensa che quel suo giudizio vada aggiornato?
Sciascia:  Io espressi quella convinzione solo in riferimento a quei due delitti. Resto convinto che Giuliano e Terranova furono uccisi per quello che, personalmente, rappresentavano rispettivamente nella polizia e nella magistratura.

Domanda: Quale parentela corre fra questa mafia potente e sanguinaria che sfida apertamente lo stato e la mafia che lei ha descritto ne “Il Giorno della civetta” e “A ciascuno il suo”? Questa nuova mafia è “figlia” di quella, oppure è qualcosa di totalmente diverso?
Sciascia: Le differenze sono enormi. Mi salta subito agli occhi che la mafia che io ho cercato di descrivere come narratore, legata alla politica, ad una certa parte della politica, non avrebbe mai commesso un crimine così eccitante durante la campagna elettorale.

Domanda:  Lei crede a chi parla di “protagonismo politico della mafia?
Sciascia: È una spiegazione a cui anche io ho dato credito. Mi convince meno la teoria di una “Mafia che aspira ad essere Stato”. Ci sono segni di questo tipo in alcuni crimini mafiosi, è possibile che la mafia abbia questo disegno. Ma c’è in questo una venatura di follia. C’è qualcuno ai vertici di questa organizzazione criminale che è affetto da una specie di “napoleonismo”. Per quanto la forza della mafia possa apparire enorme, infatti, è sempre suscettibile di essere battuta dalla violenza dello Stato, da quella violenza che uno stato esercita quando è costretta a diventare violenza.

Domanda: Questo nostro Stato, le nostre istituzioni hanno risposto adeguatamente alla catena di delitti mafiosi. Si è fatto abbastanza dopo Dalla Chiesa?
Sciascia: Non credo che ci sia riserva mentale da parte del Parlamento a voler combattere contro la mafia anche se nei provvedimenti che sono stati varati non tutto è lubrificato a dovere. Resta molto da fare? Ad esempio, bisogna ancora adeguare l’organico dei magistrati e delle forze di polizia.

Domanda: Come scrittore, come viaggiatore saprebbe indicare un’altra città del mondo così violenta com’è oggi Palermo?
Sciascia:  Dovrei aver viaggiato di più, aver conosciuto più luoghi, per rispondere. Sono convinto, comunque, che esistano – per quanto rari – altri luoghi sulla terra paragonabili a Palermo per l’intensità della violenza.

 

 

 

 

 

Foto da: mafie.blogautore.repubblica.it

Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 18 aprile 2019
Mio fratello Giuseppe Bommarito
di Francesca Bommarito

È tarda mattinata di venerdì. Sono quasi alla fine del mio ennesimo soggiorno a Balestrate, il paese dove sono nata e sono diventata adulta, e che molti, come me, hanno dovuto abbandonare, emigrando per cercare lavoro.

Sto prendendo accordi con il Referente alla salute del locale Istituto Scolastico Comprensivo in merito al progetto sulla Memoria e Legalità che da diversi anni portiamo avanti con l’Arma dei Carabinieri, quando squilla il telefono; leggo: Attilio Bolzoni.
Attilio mi chiede di inviargli la storia di mio fratello che riporterà sul suo Blog; sono contentissima.

L’edificio scolastico in cui mi trovo è in via Giuseppe Bommarito, su un lato è visibile un Murale, che io ho fatto realizzare: sintetizza sia il “tornado” che ha distrutto la vita di tre Carabinieri, che la speranza che riponiamo nei bambini che corrono verso la scuola, con una frase del giudice Caponnetto. E lo stesso luogo in cui io e mio fratello Giuseppe avevamo frequentato la scuola elementare.
Era stato per me il fratello maggiore che mi aveva insegnato a nuotare, ad andare in bici, ballare; quanti momenti di spensieratezza e di complicità. Aveva la capacità innata di portare una nota di allegria, era protettivo, era molto responsabile.

Questo senso di responsabilità l’aveva condotto, quella sera del 1983 a Monreale, a non lasciare il Capitano D’Aleo, anche se c’era Pietro Morici, autista ufficiale, rientrato dopo due settimane di vacanza, che poteva accompagnarlo. Il Capitano, però, gli aveva chiesto di essere presente e non poteva dire di no, anche se aveva promesso a sua moglie che sarebbe tornato per cenare, finalmente, con i figli!
Da qualche mese sapevano di avere i giorni contati. La possibilità di venire uccisi era legata alla recente scarcerazione del capomafia locale, Salvatore Damiani, arrestato su proposta del Capitano D’Aleo in base alla relazione di servizio di Bommarito.

Palermo, 13 giugno 1983, ore 20.40 circa. La Ritmo blu militare, proveniente dalla sede della Compagnia Carabinieri di Monreale, dopo aver percorso poco più di 9 Km, avanza lentamente in via Scobar 22, fa appena in tempo a fermarsi davanti al cancello che si apre nel cortile da cui si accede all’abitazione del Capitano Mario D’Aleo, quando Salvatore Biondino e Pippo Gambino, provenienti da Viale Regione Siciliana, e Calogero Gangi dalla via Holm, a piedi, si muovono verso il civico 22 per dare il segnale a Michelangelo La Barbera e Francesco Paolo Anselmi, che, in auto da via Holm, arrivano contemporaneamente e iniziano a sparare con furia, con diverse armi da fuoco, colpendo senza scampo i tre Carabinieri inermi … Morici si accascia sul volante, il Capitano, mentre sta per aprire il cancello, cade in avanti, accanto ha il quotidiano L’Ora e, sparse ovunque, le albicocche che Bommarito gli aveva portato dalla sua campagna, Bommarito, colpito dalla lupara mentre sta per scendere dall’auto resta supino, i capelli neri macchiati di sangue e lo sguardo rivolto verso il Capitano, come in un ultimo tentativo di proteggerlo (così si legge dal rapporto).

Questa è l’immagine che continuo a portarmi dentro da oltre 35 anni, così apprendo del triplice omicidio, con il telecomando in mano, pietrificata davanti alla Tv che trasmette il telegiornale della notte.
Successivamente cerco di mettere insieme una frase, che ancora oggi sento ripetere da alcuni colleghi di mio fratello: “non doveva accompagnare il Capitano, lo ha fatto per amicizia, aveva voluto fare compagnia a Morici, è morto per caso”, con l’arma usata per ucciderlo, la lupara.
Formulo subito l’ipotesi che la mafia aveva firmato la morte di Giuseppe, voleva punirlo, forse perché aveva detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire.

Su questo triplice delitto cala un silenzio di 10 anni, che rompo quando partecipo alla trasmissione televisiva congiunta Maurizio Costanzo Show-Samarcanda, il 23 Maggio 1993.
Otto anni di indagini preliminari hanno visto imputati e successivamente prosciolti – luglio 1991 – Totò Riina, Bernardo Provenzano, Nené Geraci, Angelo Siino e altri, un processo che inizia nel 1996 e si conclude il 16 novembre 2001, presso la Corte di Assise di Palermo, e definitivamente nel 2012. Condannati i collaboratori di giustizia, auto accusati, e Riina, Provenzano e tanti altri.

L’Appuntato dei Carabinieri Giuseppe Bommarito, arrivato alla Compagnia di Monreale nel 1971, proveniente dalla Legione di Palermo, aveva il ruolo di autista degli Ufficiali e/o Comandanti; dal 1977 era autista e collaboratore fidato del Capitano Emanuele Basile. Tra i due nasce un rapporto di stima e di collaborazione, insieme conducono indagini delicate che colpiscono la mafia di Altofonte, trafficanti di droga, la mafia dei colletti bianchi, il riciclaggio di denaro, banche e loro alti rappresentanti, estorsori…

La sera del 3 maggio,1980 il Capitano Emanuele Basile, già minacciato di morte, ormai in attesa del documento ufficiale relativo al suo trasferimento a San Benedetto del Tronto, accetta l’invito del Sindaco e pensa che può, finalmente, concedersi di uscire con la giovane moglie e la figlioletta di appena 4 anni, senza paura, ed a Bommarito che gli chiede se deve accompagnarlo, risponde sorridendo: “Peppino, ho una moglie e una bambina e anche tu hai una famiglia, vai da loro. Non credo che la mafia possa macchiare di sangue una festa religiosa, così sacra ai Monrealesi, la festa del Crocifisso.

La macchiano e come! La mafia non ha alcuna pietà, non viene fermata neanche da una bambina che sonnecchia sulle spalle del suo papà. Giuseppe piange disperato, quando lo sento al telefono, dopo essersi recato a portare la spada al suo Capitano, ultimo gesto di affetto verso il suo amico e compagno di lavoro.
Seguono mesi di disorientamento, di dolore e malattia. Il motivo, purtroppo, lo comprenderò dopo, probabilmente la paura, mai espressa. Giuseppe decide, comunque, di non fare soltanto l’autista, chiede ed ottiene un’altra mansione: si occupa del parco macchine della Compagnia.

Come farà il giovane ed inesperto Capitano Mario D’Aleo a mantenere la promessa fatta ai fratelli del Capitano Basile, a portare avanti le indagini bruscamente interrotte, a non vanificare il lavoro svolto, a fare giustizia? L’altro autista di Basile viene trasferito immediatamente e tanti altri Carabinieri, spaventati, chiedono ed ottengono il trasferimento, quelli che rimangono scelgono di essere “neutrali”.
Giuseppe da subito, nonostante la paura, sceglie di portare il testimone del sangue versato e affianca il Capitano D’Aleo, sia trasferendogli il patrimonio di conoscenze acquisite nel lavoro con Basile, sia affiancandolo come autista, quando è necessario.
D’ Aleo dimostra, da subito, intelligenza e determinazione nel proseguire il lavoro del suo predecessore. Probabilmente la mafia, inizialmente, non lo teme, appare così giovane, allegro, socievole, sportivo, poi si rende conto che anche lui, come Basile, ha iniziato a colpire santuari mafiosi importanti.

I mafiosi si chiedono chi sta aiutando il Capitano e, con il probabile aiuto di carabinieri collusi, sospettano dell’Appuntato Bommarito e trovano conferme nella relazione che, coraggiosamente, stila e sottoscrive da solo, il 14 luglio 1982 – rifiutandosi di non farne parola con nessuno” come era stato espressamente invitato a fare – avendo visto un incontro sospetto tra il capomafia monrealese Salvatore Damiani, l’ex sindaco di Monreale e un imprenditore locale.
Quella relazione, non sottoscritta dal superiore che era con Bommarito, con la presumibile motivazione che lui di persona non aveva visto i tre soggetti riuniti in una stanzetta riservata, ha giocato, probabilmente, un ruolo determinante nella decisione di Cosa Nostra di eliminare, oltre al Capitano D’Aleo, anche l’Appuntato Bommarito.
Nel marzo 2017 incontro a casa mia a Milano, per la seconda volta a distanza di un anno circa, il generale in pensione, T.B. Honorati che, gentilmente, ha accettato di vedermi per aiutarmi a chiarire dei dubbi in riferimento alla morte di Giuseppe. Mi promette e mi invia 50 pagine del rapporto stilato dal Nucleo investigativo di Palermo, in data 3Agosto 1983, firmato da lui stesso, allora Capitano del Nucleo e ritrovato successivamente sia presso lo studio del nostro avvocato Francesco Crescimanno che nell’archivio dell’aula bunker di Palermo, insieme ad altro materiale interessante e scottante.

Leggo alle pagine 45 e 46, quanto segue:
“l’Appuntato Bommarito temeva per la sua vita dopo l’arresto del Damiani, questo riferisce il fratello Vito alla presenza di (…) Per questo motivo aveva raddoppiato da una settimana l’assicurazione sulla vita. Non resta ormai che dire che il mortale agguato era stato organizzato da tempo e nei minimi particolari. Si ritiene, anzi, che nei confronti del graduato fosse più accesa la volontà di vendetta perché proprio lui con il suo operato, e nonostante sollecitato a tacere, aveva condotto all’’arresto del (……. Riteniamo che anche prima del 13 giugno i killer sarebbero potuti entrare in azione, ma attendevano, se giuste sono le nostre considerazioni, di compiere la vendetta contemporaneamente sull’ufficiale e sull’Appuntato Bommarito. Se ancora sussiste nel palermitano una certa simbologia mafiosa, appare quanto mai emblematico che il solo appuntato Bommarito sia stato colpito, ed alla schiena, da colpi di fucile caricato” a lupara”.”
Ho dovuto aspettare 34 anni circa per avere la certezza che l’ipotesi che avevo formulata da subito, non era frutto di un delirio.

Nonostante quanto riportato nel rapporto del nucleo investigativo, arricchito da altra numerosa documentazione, ci sono voluti quasi 30 anni per avere verità e giustizia parziali; ritengo, infatti, che su quanto realmente accaduto quel giorno in via Scobar non tutto sia stato detto e che non tutti i responsabili abbiano pagato.

 

 

Foto da monrealenews.it

Fonte: cosavostra.it
Articolo del 10 giugno 2019
Mario D’Aleo e l’eredità di Emanuele Basile
di Marta Bigolin

Mario D’Aleo aveva 29 anni quando venne ucciso da cosa nostra. Il capitano dei carabinieri e altri suoi due colleghi perirono sotto i colpi di arma da fuoco per mano della cosca corleonese il 13 giugno 1983.

D’Aleo e i sottufficiali Giuseppe Bommarito e Pietro Morici si trovavano nella loro auto di servizio in via Cristoforo Scobar, quando un gruppo di uomini aprì il fuoco contro di loro. Non ebbero il tempo di reagire e rendersi conto dell’accaduto, le loro pistole erano ancora nelle fondine. Palermo si tinse nuovamente di rosso.

Nel 1981, due anni prima, era stato assassinato Emanuele Basile, all’epoca capitano dei Crabinieri. Mario D’Aleo si trasferì in Sicilia il giorno dopo la morte del suo predecessore e si trovò a lavorare nei luoghi che videro nascere il sodalizio fra Totò Riina e i fratelli Brusca: Monreale e San Giuseppe Jato.

Basile stava indagando su alcune aziende edili legate alla mafia. Il settore dell’edilizia per la mafia, era all’epoca un terreno fertile e inesplorato, a differenza del traffico di droga ormai da tempo entrato nel mirino degli inquirenti. D’Aleo seguì quindi una pista a suo tempo avviata da Basile che vedeva indagata l’azienda “Litomix” la quale produceva calcestruzzi. Quest’ultima era fortemente legata agli interessi dei boss Giuseppe e Giovanni Brusca di San Giuseppe Jato, fedeli di Totò Riina.

Ma non solo. D’Aleo cercava la verità sulla morte di Basile e il collegamento con la mafia. Le indagini portarono il Capitano a far incarcerare i tre esecutori materiali dell’omicidio: Bonanno, Puccio e Giuseppe Madonia. Venne anche individuato Giovanni Brusca come mandante: un mafioso promettente figlio del capo della cosca Bernardo e che piaceva molto a Riina. Non rimase in carcere a lungo e la cronaca ci ricorda che, diversi anni dopo, fu per sua volontà che a Capaci morirono Giovanni Falcone, la moglie e la loro scorta.

Le indagini sui Brusca e Riina, furono fra le sue principali lotte che portarono alla luce come il sistema mafioso fosse radicato in maniera capillare sul territorio, come si evince dalla sentenza del 16 novembre 2001 per il suo omicidio e della sua scorta: “Il Capitano D’Aleo, al pari del suo predecessore, non si era limitato a ricercare quei pericolosi latitanti mediante un’azione pressante anche nei confronti dei loro familiari (come il giovane Brusca Giovanni), ma aveva sviluppato indagini dirette a colpire i ramificati interessi mafiosi nella zona. Nel portare avanti quest’attività, anche tramite fermi ed arresti, l’Ufficiale aveva dimostrato pubblicamente di volere compiere il suo dovere, senza farsi condizionare dal potere mafioso acquisito dai boss e dal pericolo delle loro ritorsioni”.

La sentenza dichiarò che il movente dell’omicidio era di stampo mafioso e molti dei colpevoli vennero condannati ed incarcerati. Ergastolo, in quanto mandanti, per Michele Greco, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Giuseppe Farinella e Nenè Geraci. Gli esecutori materiali sono invece stati individuati in Angelo La Barbera, Salvatore Biondino e Domenico Ganci.

 

 

 

 

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