13 Marzo 2001 Surbo (LE) Resta ucciso Antonio Della Bona, operaio di 33 anni, padre di due bambini, mentre era nel bar “Mille Foglie”. Innocente vittima di una guerra tra clan.

Il 13 marzo del 2001 fu assassinato per sbaglio l’operaio Antonio Della Bona trovatosi per caso nella traiettoria dei proiettili che uccisero il pregiudicato Fabrizio Negro.
Fonte: vivi.libera.it

 

 

 

 

 

Fonte:  ricerca.repubblica.it
Articolo del 15 marzo 2001
‘Qui si muore gratis’
di Davide Carlucci

«Ai suoi figli non abbiamo ancora detto niente. Del resto, come si fa a spiegare, a due bimbi di due e cinque anni, che il loro papà è morto per sbaglio? Non riusciamo a spiegarcelo noi…». Il fratello di Antonio Della Bona, ucciso per un errore nel Bar «Mille sfoglie» di Surbo, insieme al vero obiettivo del massacro, Fabrizio Negro, è un uomo corpulento con la barba incolta e le mani spesse e callose. È il tratto distintivo di tutti i familiari dell’innocente assassinato raccolti in silenzio all’esterno della casa del defunto, dalle cui persiane verdi giunge un costante ululato di dolore, a volte acuto come una sirena, altre cantilenante come una nenia.

Una famiglia di lavoratori. Molti, nell’edilizia. Come Antonio che oltre a lavorare nella «Arte pietra», un’azienda artigianale specializzata nella lavorazione della pietra leccese, faceva questo e quello, ora imbianchino ora decoratore, «non si tirava mai indietro», dicono in salentino parenti e amici. Lavoratori. Suo fratello stava per l’appunto lavorando quando ha saputo della morte di Antonio. Gli altri familiari, invece, hanno sentito i colpi di kalashnikov, il bar era proprio dietro l’angolo e sono andati a vedere cos’era successo. Uno dei due morti, in quel lago di sangue, era Antonio. Qualcuno non ha retto ed è svenuto. «Fino a quando si uccidono tra di loro, ma se poi uccidono ‘nu bravo cristiano…», è il ritornello che ripetono tutti in questo paesino ormai Lecce.

La morte di un pregiudicato, dunque, viene considerata «normale» e qualcuno aggiungendo che Negro, la vittima dell’agguato, era «predestinato». Perché «se per esempio ti offriva qualcosa al bar e tu rifiutavi era capace di far scoppiare una rissa», dice Marco, (il nome è di fantasia: pochi, qui, si sentono di dare nome e cognome).

Ma anche i «morti per errore» qui non sono una novità. «Mio fratello stava andando in campagna, a lavorare nel suo uliveto racconta Salvatore Leone. Prima gli hanno sparato, poi lo hanno bruciato». Era il 29 agosto ’91, così moriva Vincenzo Leone, 63 anni, «colpevole» di aver assistito a un altro omicidio. Massimo ha soli venticinque anni e ha già due ricordi da cancellare: quando «gambizzarono» suo padre e quando, proprio davanti ai suoi occhi, una motocicletta affiancò un’auto e sparò contro il conducente di un’automobile. Anche allora fu un errore: i sicari volevano far fuori il proprietario della macchina, che l’aveva prestata, per qualche ora, a un suo amico… Se non un errore, invece, fu un imprevisto a causare la morte di Toni Vincenti, figlio del boss del paese, Angelo, ora in carcere, durante un tentativo di rapina. Vincenti junior fu colpito da un colpo di fucile esploso dalla vittima dell’assalto. In quell’episodio era coinvolto anche Negro, il bersaglio dei rapinatori al «Mille sfoglie». Ed è una delle tante «piste» su cui sta lavorando la squadra mobile della polizia di Lecce.

Ivano Pagliara, il figlio del titolare del Bar «Mille sfoglie», è un sopravvissuto. All’interno del locale, al momento dell’agguato, c’era anche lui. «Adesso sto bene dice ho superato lo shock. Ma ieri è stato un inferno. È durato tutto molto poco. Ho visto gli uomini incappucciati, temevo che fosse una rapina. Allora mi sono subito messo per terra e non ho capito più niente. Poi, ho pensato solo a chiamare l’ambulanza. Domani è giorno di chiusura, dopodomani riaprirò. Non sarà facile, ma io devo lavorare».

Sulle dinamiche dell’agguato ci sono ancora versioni discordanti. Da appurare, ad esempio, è se Negro abbia tentato di salvarsi proprio riparandosi dietro Della Bona. I sicari, però, nell’entrare all’interno del bar hanno utilizzato entrambe le entrate, proprio con l’intenzione di braccarlo. Secondo alcune «voci», Negro era già sfuggito, a luglio, a un altro tentativo di omicidio. Questa volta non bisognava fallire. Ma dopo aver ucciso, nell’uscire dal bar, i banditi hanno sparato dei colpi in aria. Un gesto forse simbolico, secondo Valentino Chironi, avvocato e responsabile di Forza Italia. «Quello che colpisce in questo episodio, oltre alla morte di un innocente, è proprio la platealità con cui è avvenuto il duplice omicidio. Come se questi incappucciati volessero lanciare un segnale, come se volessero dire: “Noi vogliamo tenere in scacco la gente di questo paese”». Insomma qui non è l’ordinaria amministrazione di un paese attraversato dagli episodi di gangsterismo che insanguinano, ancora, il Salento e la Puglia. È come se si volesse riaffermare un dominio.

Qui tutti ricordano quando arrivò quel decreto firmato dal presidente della Repubblica, che ordinava lo scioglimento per mafia del municipio di Surbo, uno dei primi in Italia. Era il 28 settembre 1991 e il ministro Vincenzo. Scotti, sulla base delle indagini della Prefettura decretò lo scioglimento per infiltrazioni mafiose. «La cosca Vincentiera scritto nel decreto ha il potere di determinazione di tutte le scelte politico amministrative del Comune di Surbo, valendosi di varie forma di intimidazione e della presenza di uomini di fiducia segue una sfilza di nomi di consiglieri del pentapartito. «Alcuni di questi amministratori si legge poi rappresentavano il tramite. Inoltre, a seguito di rapporto dei carabinieri, l’Alto commissario rileva che “emergono da più fatti i collegamenti tra il Vincenti e ben più di un componente del consiglio comunale”».