16 Aprile 1993 Reggio Calabria. Ucciso Giuseppe Marino, Vigile Urbano di 42 anni.

Foto da targatocn.it

Il 16 aprile 1993 il vigile urbano Giuseppe Marino viene ucciso a Reggio Calabria nei pressi della Villa Comunale mentre sta verificando il rispetto dell’ordinanza comunale che vieta il transito e la sosta di automobili e motocicli lungo il Corso Garibaldi. Sposato e padre di due bambine, Giuseppe Marino aveva 43 anni. Del suo omicidio si è autoaccusato il pentito Calabrò.

Fonte: stopndrangheta.it

 

 

 

 

 

Articolo da LA STAMPA del 17 Aprile 1993
Multa un’auto in divieto, ucciso Vigile urbano a Reggio Calabria, ferito collega 
di Diego Minuti
Scene da Far West in centro: fuoco sugli agenti mentre arriva il carro-attrezzi

REGGIO CALABRIA Si può morire per aver fatto spostare con il carro-attrezzi un’auto in sosta vietata. È accaduto ieri, in pieno centro città: un vigile urbano è morto sotto i colpi di pistola, un altro è ricoverato all’ospedale in gravi condizioni. La vittima si chiamava Giuseppe Marino, aveva 43 anni. Il ferito è Orazio Palamara, 38 anni.

Tutto è accaduto nel centralissimo corso Garibaldi, nel cuore di Reggio Calabria, da alcuni settimane fonte di una vivace polemica. La giunta e, in particolare, l’assessore al traffico e vicesindaco liberale, Amedeo Matacena, 74 anni, hanno deciso di far rispettare senza deroghe il divieto di transito e sosta nella strada: possono circolare soltanto i mezzi pubblici e i pochi veicoli autorizzati. Un impegno che si è concretizzato in un maggior controllo da parte dei vigili urbani. E proprio in un giro di perlustrazione erano impegnati, secondo una prima, frammentaria ricostruzione, le due guardie municipali diventate bersaglio di un folle. Marino e Palamara avevano appena elevato alcune contravvenzioni e chiamato il carro-attrezzi dell’Ari per far portare via alcune auto che avevano contravvenuto il divieto di transito e sosta quando è entrata in scena la follia.

Mentre l’operazione sgombero era in corsa è arrivato il killer: ha cominciato a sparare all’impazzata, trasformando Reggio in una città del Far West. I colpi a ripetizione, ne sono stati sparati almeno quindici, hanno ferito i due vigili alla testa. È scattato subito l’allarme, in pochi minuti sono stati organizzati i soccorsi. Ma quando Giuseppe Marino è arrivato al pronto soccorso degli Ospedali riuniti ai medici non è rimasto altro che constatarne il decesso. Il collega, Orazio Palomara, invece, è stato sottoposto a un lungo intervento chirurgico ed è ora ricoverato con prognosi riservata anche se i medici sono ottimisti sulle sue condizioni. E proprio la sua testimonianza potrà risultare utile al sostituto procuratore della Repubblica, Santi Cutroneo, per ricostruire la vicenda: gli inquirenti, infatti, non escludono altre ipotesi. Cioè che i due vigili siano caduti vittime di un agguato dettato da altri motivi anche se l’omicidio per la sosta vietata appare il più credibile. Nonostante la sua follia.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 18 Aprile 1993
Sulla multa il nome del killer
di Diego Minuti
Reggio Calabria, le ultime contravvenzioni al centro delle indagini
Nessun testimone per il vigile ucciso.

REGGIO CALABRIA  Il giorno dopo l’omicidio del vigile urbano, «freddato» con quindici colpi di pistola mentre multava le auto in sosta, l’unica testimonianza del feroce agguato sono alcuni mazzi di fiori. Qualcuno li ha poggiati sul marciapiede nel punto in cui l’agente è caduto senza vita. Ma la gente tira dritto. Reggio Calabria stupita e forse anche scioccata da un simile esempio di violenza neppure si interroga su una morte così balorda. La gente non si domanda perché Giuseppe Marino sia stato ucciso e il collega Orazio Palamara ferito in pieno centro città mentre svolgevano le loro funzioni. Colpevoli soltanto di aver cercato di far rispettare un’ordinanza del Comune: il divieto di transito e di sosta in corso Garibaldi.

Un silenzio che coinvolge tutti, anche chi venerdì sera c’era e ha visto quel vigile morire. Ed erano in tanti: alle venti nel corso principale la gente che si affretta nei negozi oppure chiacchiera per la strada è ancora tanta. Ma nessuno si è presentato al commissariato per dare un’indicazione, un aiuto agli investigatori. Chi è stato interrogato ha smentito di aver assistito alla scena: «Ho sentito i colpi, quando mi sono girato era già accaduto tutto», un ritornello che si è ripetuto più volte negli uffici della squadra mobile. Neanche una telefonata anonima. Così, davanti a una morte così assurda, Reggio si trova spaccata in due. Da un lato il Palazzo, le istituzioni, le forze politiche, che dicono le cose che andrebbero fatte, che sottolineano gli errori nei quali non si dovrebbe cadere; dall’altro la gente comune, a cominciare dai familiari del vigile urbano ucciso, che in un primo tempo avevano detto che non volevano funerali in forme ufficiali, solo una cerimonia semplice, nella chiesa del quartiere, ad Arangea. Poi hanno cambiato idea.

Il Comune, tuttavia, ha provato a scuotere l’indifferenza della città, con un manifesto che è un invito «a tutta la popolazione a partecipare ai funerali di Marino come atto di ribellione contro la violenza e come affermazione corale della città a volere cambiare». Il Consiglio comunale esprime anche «solidarietà ai familiari di Marino e riconoscenza al corpo dei vigili urbani, oggi così duramente provato. In democrazia la sola forza vittoriosa resta la legge. Non abbiamo altra forza che la legge e la osserveremo fino alla fine. Questo sentiamo oggi di riaffermare, con l’animo affranto, dinanzi alla salma del concittadino caduto. Tutti vogliamo liberarci dalla schiavitù della violenza».

Ma intanto, tra i vigili urbani monta la polemica e il colonnello Salvatore Minniti ha deciso di dimettersi da comandante del Corpo. Una decisione che sembra quasi una resa di fronte ad una situazione che è divenuta insostenibile in una città dove si può morire magari per una multa inflitta a chi pensava d’essere il padrone della strada. Ma i vigili ormai sono in rivolta, aperta. Vanno all’attacco. Chiedono le dimissioni non solo di Minniti, ma anche del contestato assessore alla Polizia urbana, il cavaliere del Lavoro Amedeo Matacena, un uomo fin troppo rude nei rapporti per potere pensare che voglia tornare sulle sue decisioni. Ed è stato proprio lui, all’atto del suo insediamento, a volere che l’ordinanza che vietava il traffico su corso Garibaldi fosse fatta rispettare nei confronti di chiunque. Tanto che l’altro giorno nella rete delle multe è finito anche suo figlio: implacabilmente multato.

Ma far rispettare la legge è difficile, soprattutto se si è in pochi. Dicono i sindacalisti: «I vigili urbani in servizio a Reggio sono meno della metà di quelli previsti dall’organico». Mentre in Comune sale la polemica, gli investigatori sono sconsolati: «Poi la gente ci accusa di non trovare i responsabili degli omicidi, ma nessuno ci aiuta» dice amareggiato uno degli inquirenti. Comunque le ore successive all’omicidio sono state occupate da una serie di controlli sull’attività dei due vigili. I bollettari sono stati passati al setaccio e molte delle persone che Marino e Palamara avevano multato sono state chiamate in questura per verificare gli alibi.

 

 

 

Articolo di Repubblica del 18 aprile 1993 
A REGGIO CALABRIA ANCHE IL CODICE STRADALE È NELLE MANI DEI BOSS
di Filippo Veltri

REGGIO CALABRIA – Quando alcuni anni fa l’allora Alto commissario antimafia Domenico Sica, durante una delle sue visite a Reggio Calabria, si lasciò andare a una sconsolata dichiarazione – “Qui per andare da un rione all’altro ci vuole il lasciapassare della mafia” – molti avevano gridato alla “criminalizzazione” della città. Da venerdì sera quella frase ha trovato una sanguinosa conferma. L’assassinio del vigile urbano Giuseppe Marino e il ferimento del suo collega Orazio Palamara su corso Garibaldi hanno fatto ripiombare un’intera città nell’incubo della violenza. Pochi i dubbi della squadra Mobile, che da trentasei ore cerca di dare un volto e un nome a un killer che ha agito con un unico scopo: si è voluto dimostrare che chi comanda a Reggio Calabria non è lo Stato, ma la ‘ndrangheta. La motivazione dell’agguato è legata all’attività dei vigili, che da poco più di una settimana cercano di far rispettare un’ordinanza comunale di divieto al transito e alla sosta lungo questo chilometro di strada, definito il “salotto buono” di Reggio, dove si affacciano i negozi più lussuosi e dove di sera passeggiano migliaia e migliaia di persone.

L’unico dubbio è se abbia agito un killer per vendetta personale, dopo un’ “offesa” subita dal Corpo dei vigili (una multa per esempio) o, se a monte, ci sia un disegno terroristico-mafioso per ristabilire le “regole”.

A Reggio, infatti, le regole della mafia sembrano essere saltate da almeno otto mesi: indagini su tangentopoli e comitati d’affari tra politici, imprenditori e mafiosi; cosche sotto tiro; latitanti che dopo decenni vengono arrestati: a Reggio (Antonino Imerti) o nei rifugi dorati d’Oltralpe (Mico Libri); amministrazioni comunali decapitate, affari saltati, terremoti elettorali. È stata proprio l’amministrazione comunale nata dopo il voto del 13 dicembre, che il 6 aprile scorso ha deciso di innescare un giro di vite su uno scandalo che da anni era davanti gli occhi di tutti, riproponendo un’ordinanza che vieta il transito ai mezzi privati su corso Garibaldi. Un tentativo di isola pedonale, sistematicamente fallito negli anni scorsi visto che l’ordinanza è stata ignorata da tutti e corso Garibaldi era diventata una strada come tutte le altre, con il traffico impazzito, auto e motorini parcheggiati in doppia e tripla fila, feriti e morti in incidenti stradali.

Da dieci giorni i vigili urbani avevano inasprito i controlli con multe e carri rimozione in funzione per più ore al giorno. Una rivoluzione in una città in cui applicare la legge è diventato impossibile. Nasce di qui la decisione di dare una lezione ai vigili. Il killer solitario, appostato dietro la “Ritmo” di servizio dei due, ha sparato quindici colpi di una pistola da guerra calibro 9×21 con lo scopo di uccidere: tutti i colpi a bersaglio alla testa e al torace. Palamara si è salvato per un autentico miracolo (Giuseppe Marino gli ha fatto praticamente da scudo) e ora è ricoverato in prognosi riservata agli Ospedali Riuniti. Lo sconcerto è stato enorme nell’intera città.

Ieri pomeriggio è stato immediatamente convocato il comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e l’amministrazione comunale ha fatto affiggere un manifesto per ribadire che la frontiera a Reggio Calabria è il rispetto della legge a tutti i costi. “Insisteremo – dice il sindaco, l’anziano senatore democristiano Giuseppe Reale, alla guida dal 13 marzo di un bicolore Dc-Pli – perché la forza della legge trovi completa applicazione a Reggio”. Protestano con forza i vigili: “Siamo allo sbaraglio”. Un altro segnale di malessere viene, inoltre, dalla decisione dei familiari del vigile urbano ucciso di far svolgere i funerali in forma strettamente privata.

Le indagini della polizia scavano, nel frattempo, nell’attività di Marino e Palamara. Sono stati sequestrati i bollettari dei due vigili per scovare una pista; decine di persone sono state controllate per verificare se siano state usate armi. Un lavoro difficile che si scontra con il muro di omertà: nessun testimone si è infatti presentato, spontaneamente o anche in maniera anonima, nonostante la sparatoria sia avvenuta quando i negozi erano ancora aperti e corso Garibaldi era affollato di gente. Né particolari elementi utili sono giunti dall’interrogatorio di Palamara. Su Reggio martoriata è, insomma, ripiombato il buio.

 

 

 

 

Articolo da La Stampa del 20 Aprile 1993
Due fratelli i killer del vigile

REGGIO CALABRIA. Ucciso per vendetta, dopo che s’era permesso di multare un piccolo boss della ‘ndrangheta. La squadra mobile ha fermato a Reggio Calabria due giovani, i fratelli Antonio e Bartolo Votano, di 27 e 22 anni. Accusa, l’omicidio di Giuseppe Marino, il vigile urbano ucciso la sera di venerdì scorso in un agguato lungo corso Garibaldi, la via principale della città. Antonio e Bartolo Votano sono stati bloccati dagli agenti la scorsa notte nelle loro rispettive abitazioni. Entrambi pregiudicati, sarebbero affiliati alla cosca mafiosa dei Libri, alleata con quella dei De Stefano nella «guerra di mafia» che ha insanguinato la città tra il 1985 e il 1990. Gli atti relativi al fermo dei Votano sono stati trasmessi ieri al sostituto procuratore della Repubblica, dottoressa Alessandra Provazza, che entro oggi dovrà decidere se convalidare il provvedimento.

Nell’agguato in cui è stato ucciso Giuseppe Marino, che aveva 43 anni, è rimasto ferito un altro vigile urbano, il maresciallo Orazio Palamara, 38 anni. Palamara, ricoverato agli «Ospedali riuniti» di Reggio Calabria, è stato comunque dichiarato fuori pericolo. Secondo quanto è emerso dalle indagini, obiettivo dell’agguato di venerdì sera era Giuseppe Marino, mentre Palamara sarebbe stato ferito per errore. I fratelli Votano sarebbero stati mandante l’uno ed esecutore l’altro, ma ancora non è stato reso noto quale dei due abbia sparato. Le ipotesi degli investigatori subito dopo il delitto hanno comunque trovato conferma: il vigile sarebbe stato ucciso per vendetta. Uno dei fratelli Votano, nei giorni scorsi, era stato multato da Giuseppe Marino, per violazione del divieto di accesso all’isola pedonale di corso Garibaldi. Per vendicarsi, il pregiudicato avrebbe dato ordine al fratello di ucciderlo.

Non è escluso che, nell’agguato, i fratelli Votano si siano avvalsi della complicità di altre persone. Alle cronache la famiglia Votano è nota. Un terzo fratello, Nicola, di 28 anni, fu ucciso il 26 aprile del 1990 in un agguato con un altro giovane, Antonino Ferro, di 24 anni. Il quarto fratello, Giovanni, di 30 anni, sorvegliato speciale, fu coinvolto nel mese di ottobre del 1991 nella cosiddetta «operazione Santa Barbara» che portò all’arresto di una cinquantina di presunti affiliati alle cosche mafiose cittadine. Al processo fu poi assolto. Fa sapere la squadra mobile di Reggio in un comunicato: «Le indagini sull’assassinio di Giuseppe Marino si sono rivelate estremamente difficili per l’omertà che ha circondato il lavoro degli inquirenti, e per il notevole spessore criminale dei soggetti ritenuti responsabili del grave fatto di sangue». Giuseppe Marino, prosegue il documento della polizia, è stato ucciso «a causa dell’impegno profuso nell’espletamento dei propri doveri». [Ansa]

 

 

 

Art. da L’Unità del 20 aprile 1993

 

 

 

Articolo del 27 Giugno 2014 da stopndrangheta.it
Giuseppe Marino, vittima del dovere
di Romina Arena
Il 16 aprile 1993 il vigile urbano Giuseppe Marino viene ucciso a Reggio Calabria nei pressi della Villa Comunale mentre sta verificando il rispetto dell’ordinanza comunale che vieta il transito e la sosta di automobili e motocicli lungo il Corso Garibaldi. Sposato e padre di due bambine, Marino aveva 43 anni. Del suo omicidio si è autoaccusato il pentito Calabrò.

Vittima del dovere –  Giuseppe Marino ha 43 anni, è vigile urbano a Reggio Calabria e la sera del 16 aprile 1993 sta verificando il rispetto dell’ordinanza comunale che vieta il transito e la sosta di automobili e motocicli lungo il Corso Garibaldi, la principale arteria cittadina. Ribadito dal sindaco democristiano Giuseppe Reale, eletto nel 1993 dopo la tangentopoli che aveva travolto la Giunta Licandro, il provvedimento è entrato in vigore da poco, ha prodotto non pochi mugugni e fatica ad essere accettato dagli automobilisti reggini. Sono circa le 20:00 quando Marino ed il suo collega Orazio Palamara, di pattuglia nei pressi della Villa comunale, vengono raggiunti dai colpi esplosi a bruciapelo da una pistola calibro 9×21, un’arma da guerra che non lascia scampo al primo, morto sul colpo mentre sta salendo in macchina, e solo per un incrocio di casualità risparmia la vita al secondo. Pur senza escludere alcuna pista, gli inquirenti restringono quasi subito il campo delle indagini all’ambiente di lavoro, e nello specifico si concentrano sui bollettari dei due vigili urbani. Sembra plausibile che l’omicidio sia maturato proprio intorno all’attività di Marino in ottemperanza all’ordinanza comunale. Sin da subito, tuttavia, le indagini sbattono contro la difficoltà di ricostruire la dinamica dell’agguato; gli investigatori non riescono ad acquisire testimonianze apprezzabili, nessun testimone diretto che sappia o abbia voglia di fornire informazioni utili nonostante l’omicidio sia avvenuto in un in una zona centralissima della città ed in un orario in cui la strada è ancora molto affollata. Un’incertezza che si rispecchia nelle varie ricostruzioni giornalistiche dell’accaduto: i principali quotidiani locali e nazionali non riescono, infatti, a fornire una versione univoca dei fatti, con lacune che non si riescono a colmare.

Le ricostruzioni – Una primissima ricostruzione tentata da Filippo Veltri sulle colonne di Repubblica riconduce l’omicidio al gesto di un folle, indispettito da una multa elevata ai suoi danni dai due vigili. Secondo questa versione, il killer avrebbe sparato appostandosi dietro la Fiat Ritmo in dotazione alla polizia municipale con lo scopo di uccidere entrambi ma il corpo di Marino, cadendo attinto dai proiettili, avrebbe fatto da scudo a Palamara salvandogli, di fatto, la vita. Qualche dettaglio in più a corredo di questa ricostruzione viene da Diego Minuti, il quale su La Stampa specifica che il killer avrebbe sparato 15 colpi all’impazzata, mentre Marino e Palamara fanno rimuovere dal carro attrezzi la sua auto in sosta vietata. Nessuna ricostruzione, fino ad ora, cita i nomi di eventuali indiziati, né dipinge la vicenda come un agguato a possibile matrice ‘ndranghetista. Sulle pagine del Corriere della Sera, qualche giorno dopo, si inizia a leggere una versione diversa: Marino sarebbe stato ucciso per vendetta dopo aver multato un piccolo boss della ‘ndrangheta. È proprio in questa versione che emergono per la prima volta due particolari importanti: che l’omicidio possa essere ricondotto in un’ottica ‘ndranghetista e che i presunti killer possano avere un nome. I fratelli Antonio e Bartolo Votano, ritenuti affiliati alla cosca dei Libri, sono indiziati di “omicidio, tentato omicidio e detenzione abusiva di pistola”, secondo una nota della Procura. All’origine, per gli inquirenti, ci sarebbe sempre una contravvenzione elevata un anno prima ad Antonino Votano, il maggiore dei fratelli. In quel frangente Votano sarebbe stato denunciato per oltraggio a pubblico ufficiale ed il processo, svoltosi l’8 marzo 1993, un mese prima dell’omicidio, lo ha condannato a due anni e mezzo di detenzione dopo la testimonianza cruciale di Marino. Secondo i magistrati, quindi, l’agguato sarebbe maturato come vendetta eseguita da Bartolo Votano che  la sera del 16 aprile, appostato dietro una cabina telefonica nei pressi della Villa Comunale, avrebbe aperto il fuoco contro Marino ed il suo collega. L’accusa però non regge al vaglio del tribunale: entrambi i fratelli Votano vengono assolti in via definitiva per non aver commesso il fatto, mentre  ad autoaccusarsi dell’omicidio sarà il pentito Giuseppe Calabrò, condannato come esecutore materiale. Ancora oscuro il movente e senza nome i mandanti.

La famiglia, la città e le istituzioni – Quell’aprile del 1993 la città non sembra quasi accorgersi dell’accaduto. A parte qualche sparuto mazzo di fiori poggiato sul luogo dell’agguato, il resto è silenzio. La giunta Reale, dal canto suo, prova a scuotere l’intorpidita indifferenza della comunità reggina affiggendo un manifesto pubblico per invitare “tutta la popolazione a partecipare ai funerali di Marino come atto di ribellione contro la violenza e come affermazione corale della città a volere cambiare”. Ma dopo i funerali ufficiali – chiusa in uno stretto riserbo la famiglia avrebbe preferito  una celebrazione più intima e raccolta ad Arangea, dove Marino viveva con la moglie Paola e le due figlie Lavinia e Maria – è l’oblio. Oggi Reggio prova a riprendersi un pezzetto di quella storia, facendone memoria viva, chiedendo che a Giuseppe Marino ed al collega Giuseppe Macheda – un’altra vittima del dovere – venga intitolata la caserma dei vigili urbani della città.

 

 

 

Fonte: strill.it
Art8icolo del 15 ottobre 2014
Memorie – Macheda e Marino, il cammino ritrovato della memoria
di Anna Foti

Bloccare cantieri mentre l’abusivismo edilizio imperversa e sanzionare un divieto di transito mentre in tanti si sentono padroni della città, sprezzanti della legge e delle regole fondanti del vivere civile. Questi possono diventare atti eroici, dirompenti al punto da esporre chi li compie, senza le istituzioni e la società civile compatte al loro fianco, ad un destino violento di morte, di impunità e poi anche di oblio.
Almeno rispetto questa seconda morte, altrettanto imperdonabile e colpevole per tutti, nessuno escluso, bisogna rimediare con il massimo impegno e senza indugiare oltre.

Proprio domani alle ore 11, presso il comando della Polizia municipale di Reggio Calabria guidato da Domenico Crupi, comandante, e Luigi Nigero, vice comandante avrà luogo la cerimonia di intitolazione ai vigili urbani Giuseppe Macheda e Giuseppe Marino, assassinati per avere compiuto il loro dovere e avere disdegnato il compromesso. L’apposita delibera è stata firmata nel mese di settembre dal prefetto, commissario del comune di Reggio Calabria, Gaetano Chiusolo. Si trattava di un impegno assunto in occasione della piantagione dell’albero di alloro in piazza Castello nell’ambito della campagna di Libera e Stop ndrangheta, sostenuta da familiari e colleghi, e intitolata “Il ricordo lascia il segno”. La campagna era stata avviata alcuni mesi prima con una nuova raccolta di firme e quella di domani sarà un’occasione per ricordare e seminare una nuova speranza di cambiamento.

L’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini procederà con la benedizione alla presenza della massime autorità locali tra cui il procuratore capo della Repubblica Federico Cafiero De Raho, il prefetto Gaetano Chiusolo, l’assessore alla Cultura e alla Legalità, Eduardo Lamberti Castronuovo, già assessore comunale alla Polizia Municipale. Presenti la famiglia del compianto colonnello Cosimo Fazio e una delegazione delle scuole della zona. Invitati anche i comandi di polizia municipale delle altre quattro province calabresi.

Giuseppe Macheda, agente della Polizia municipale assegnato alla squadra antiabusivismo, è stato ucciso a Reggio il 28 febbraio 1985 lasciando la moglie Domenica Zema in attesa di un maschietto, suo omonimo Giuseppe Macheda.

Giuseppe Marino, agente della polizia municipale in squadra, è stato ucciso nei pressi della villa comunale per una multa di troppo la sera del 16 aprile 1993. Aveva quarantatre anni e ha lasciato moglie e due figli. Quella sera rimase ferito anche il suo collega, Orazio Palamara.

Entrambi sono stati riconosciuti vittime del dovere ed il loro nome è inciso, tra quelli dei vigili d’Italia caduti nell’adempimento del dovere, sul monumento eretto a Palmi, in provincia di Reggio Calabria.

Altro collega di lavoro e amico, era l’attuale ispettore Domenico Porcino, allora brigadiere, impegnato da sempre in prima linea contro l’oblio e la dimenticanza al punto da essersi fatto promotore di una petizione (la prima), rimasta allora senza seguito concreto e finalizzata proprio all’intitolazione della caserma ai colleghi uccisi nell’adempimento del loro dovere. Un obiettivo finalmente raggiunto, nonostante i ritardi, che commuove e rende onore ai due uomini che non ci sono più, alle loro famiglie, al loro servizio reso ad una comunità che troppo spesso dimentica senza neppure conoscere e che deve invece riappropriarsi della sua memoria.

Libera Memoria di Reggio, gruppo di familiari e volontari impegnato nella riscoperta delle storie di vittime innocenti dimenticate, propone di sostenere questa battaglia di civiltà e di rendere patrimonio collettivo queste, come anche tante altre storie, impegnandosi, in particolare, per inserire anche Giuseppe Marino (Giuseppe Macheda c’è già) tra le vittime innocenti che Libera ha adottato (www.libera.it).

Negli anni Ottanta venne attentamente monitorata la collina di Pentimele, particolarmente appetibile per edificazioni non a norma, che avrebbero prodotto notevoli danni ambientali.

Un’azione contenitiva dell’abusivismo edilizio, e dunque di contrasto dirompente alla pervasività della ndrangheta del cemento, al punto da essere espletata di concerto con la sezione della polizia di Stato, in servizio alla Procura in qualità di polizia giudiziaria. Fioccarono gli arresti ed i sequestri di cantiere. Nel 1984 con l’insediamento del pretore Angelo Giorgianni, la squadra venne ampliata. In quel frangente storico anche l’agente Giuseppe Macheda venne assegnato alla squadra di motociclisti specializzata nella vigilanza edilizia, per combattere l’abusivismo e le speculazioni edilizi. Quegli ultimi giorni del febbraio 1985 furono decisivi e scanditi da numerose intimidazioni. Prima l’incendio dell’auto di un collega, Ferdinando Parpiglia, e la sera del 28 febbraio quei colpi di fucile alle spalle, sotto casa mentre fa ritorno, fu fatale. Giuseppe Macheda sarebbe diventato padre tre mesi dopo.

La reazione fu tanto immediata quanto effimera. Il consiglio comunale guidato dal sindaco socialista Giovanni Palamara condannò il gesto confermando la volontà di non abbassar la guarda sul fronte della lotta all’abusivismo edilizio, chiedendo un’azione congiunta di Polizia, Carabinieri e Finanza per fronteggiare la prepotente e sanguinaria mafia del cemento. I vigili sfilarono silenziosamente in strada e ad oggi è ancora forte la consapevolezza che sia stata la solitudine del corpo e degli agenti impegnati, in quella che avrebbe dovuto essere la battaglia contro gli interessi della ndrangheta a Reggio in quel momento, ad avere tragicamente consegnato il giovane Macheda a quel destino violento. La sfida per la legalità nel settore trafficato dell’edilizia a Reggio, si è giocata in quegli anni, negli anni dei condoni (1985 – 1994 – 2003).

Inizialmente furono arrestate tre persone ritenute i mandanti: l’appaltatore Carmelo Ficara, 31 anni e latitante, Francesco Faccì, 31 anni arrestato su un traghetto nello Stretto di Messina e cognato di Ficara ed il collega Roberto Barreca, di 28 anni, arrestato a Milano. Nessun esecutore materiale è mai stato arrestato e processato anche dopo la scelta di testimoniare di Maria Cozzupoli, madre di Natale Polimeni, sicario delle ndrine di Archi, ucciso il primo marzo del 1987, già stato ridotto in sedia a rotelle in un precedente agguato. La madre raccontò che il figlio aveva commesso omicidi e che aveva però rifiutato di uccidere il vigile urbano che stava svolgendo accertamenti sulla proprietà di Ficara, contattato dalla stesso Ficara. Il pubblico ministero Giuseppe Loris chiese tre ergastoli ma lo ottenne solo per Ficara. In primo grado Faccì e Barreca vennero assolti con formula dubitativa che in secondo grado diventò piena. La corte di Appello di Reggio assolse anche Ficara nel 1990. L’omicidio Macheda è ad oggi impunito.

Nove colpi di pistola calibro 9×21 uccisero Giuseppe Marino e tre ferirono il maresciallo Orazio Palamara, in pieno corso Garibaldi, nei pressi della Villa comunale, alle otto di sera del 16 aprile di ventuno anni fa. I primi indiziati furono Antonino e Bartolo Votano. Anni dopo, rivendicò l’agguato il collaboratore Giuseppe Calabrò, coinvolto anche nel delitto dei carabinieri Fava e Garofalo e di altri attentati a componenti dell’Arma dei primi anni Novanta.

 

 

 

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Giuseppe Marino – 16 aprile 1993 – Reggio Calabria (RC)
Era un uomo onesto, che con onestà svolgeva la propria professione. Perché la differenza la fa il modo in cui decidiamo di stare al mondo, di vivere, di occuparci della nostra comunità. E Giuseppe incarnava con questo spirito la sua professione.

 

 

 

 

 

 

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