18 Settembre 2008 Castel Volturno (CE). Strage di San Gennaro. Morirono 6 giovani ghanesi: Ibrahim Muslim “Alhaji”, Karim Yakubu “Awanga”, Julius Francis Kuame Antwi, Sonny Abu Justice , Eric Affun Yeboa, Wiafe Kwadwo Owusu.

 

Strage di San Gennaro: “A Castelvolturno (CE), il 18 settembre 2008, 7 killer della camorra uccisero con 120 proiettili sei persone di colore: Cristopher Adams, Kwame Antwi Julius Francis, Eric Affum Yeboah, Alex Geemes, El Hadji Ababa, Samuel Kwaku. Viene ferito Joseph Ayimbora.
La strage degli immigrati pare sia stata causata nell’ambito del mercato della droga. A quanto risultato dagli accertamenti effettuati dagli inquirenti è emerso che gente della comunità volesse costituire un clan a sé stante per la gestione dello spaccio, come dimostrato da tentati omicidi e missioni punitive avvenute tempo addietro contro gli immigrati a conferma di questa tesi.
I tre principali responsabili della strage sono stati inchiodati da foto segnaletiche dei carabinieri mostrate al ghanese Joseph Ayimbora durante il ricovero in ospedale. Grazie alla testimonianza dell’unico sopravvissuto, è emerso che i sicari indossavano divise della polizia.
Il 25 marzo 2011 la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere ha emesso quattro ergastoli per Giuseppe Setola, Davide Granato, Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e una condanna a 30 anni per Antonio Alluce, riconoscendo come aggravanti quelle dell’odio razziale e della finalità terroristica”
Segue su:  fondazionepolis.regione.campania.it

 

 

 

Le vittime della Strage (Nelle foto: Da Sn a ds e dall’alto in basso)

IBRAHIM MUSLIM “ALHAJI” (Ghana 16.08.89)

Viveva in Italia da cinque anni. Gestiva la sartoria “Ob ob exotic Fashions”. Il suo corpo è stato ritrovato senza vita accasciato sulla macchina per cucire, perché quella sera stava terminando di lavorare per poi consumare il pasto serale del periodo del Ramadan, insieme a due amici che lo avevano raggiunto.

KARIM YAKUBU “AWANGA” (Ghana 9.06.80)

Aveva un permesso di soggiorno per “protezione umanitaria” ottenuto a Siracusa. Lavorava saltuariamente come muratore ma non rifiutava di lavorare nelle campagne. Si trovava nella sartoria perché aveva iniziato a collaborare con Alhaji per la vendita dei vestiti.

JULIUS FRANCIS KWAME ANTWI (Ghana 24.11.77)

Era fuggito dal suo Paese nel 2002, attraversando il deserto del Niger e fermandosi in Libia per lavorare come muratore e guadagnare la somma necessaria per pagarsi il viaggio attraverso il Mediterraneo. Francis aveva formalizzato la sua domanda di asilo a Crotone e poi si era trasferito a Castelvolturno, ottenendo dopo diversi anni la “Protezione Umanitaria”. Lavorava come muratore e piastrellista e si era iscritto ad un corso di formazione per apprendere il mestiere di saldatore. Viveva in un appartamento situato sopra la sartoria dove è avvenuta la strage ed era sceso in strada perché Eric, un’altra delle vittime, lo aveva chiamato: aveva un lavoro da offrirgli come muratore.

JUSTICE SONNY ABU (Ghana 1.12.82)

Era in Italia dal 2002 e aveva ottenuto il permesso di soggiorno per protezione umanitaria. Faceva il barbiere a Napoli, in piazza Garibaldi. La sera della strage era andato nella sartoria per un saluto agli amici.

ERIC AFFUN YEBOA (Ghana 12.09.83)

Si trovava sul luogo della strage unicamente perché era passato a prendere Francis. Il suo cadavere è stato ritrovato riverso al volante della sua auto, parcheggiata davanti alla sartoria. Aveva chiamato Francis e lo stava aspettando: aveva ancora la cintura di sicurezza allacciata. Eric era in Italia dal 2004, proveniva dal Ghana ed era sprovvisto di permesso di soggiorno. Da poco tempo si era trasferito a Castelvolturno dove aveva iniziato a lavorare come carrozziere.

KWADWO OWUSU WIAFE (Ghana 5.05.1980)

Faceva il muratore ma, come anche Awanga, anche lui non rifiutava di lavorare nelle campagne.

 

Joseph Ayimbora: anche lui ghanese, è l’unico sopravvissuto alla strage. Nonostante le  gravi ferite alle gambe e all’addome, ha finto di essere morto. Ha un permesso di  soggiorno dal 1998. La sua collaborazione con le forze dell’ordine è stata decisiva per  la ricostruzione dei fatti e l’individuazione degli assassini.Il 14 aprile del 2011, finalmente arriva la sentenza di primo grado contro gli assassini dei ghanesi. Quattro ergastoli e una condanna a 23 anni. Massimo della pena per Giuseppe Setola, capo dell’ala stragista del clan di Gomorra, Davide Granato, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia. A 23 anni di reclusione è stato condannato il quinto imputato, Antonio Alluce. Il solo Cirillo è stato assolto dalla partecipazione alla strage incompiuta.

(Tratto da da  raffaelesardo.blogspot.com)

 

n.b. Le foto ed i nomi indicati sono quelli citati nel processo (salvo errori ed omissioni)

 

 

 

Articolo del 14 aprile 2011 del corrieredelmezzogiorno.corriere.it
Strage di Castel Volturno: 4 ergastoli
Per Setola & Co. l’aggravante razziale
La sentenza in corte d’Assise, carcere a vita anche per Davide Granato, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia. Per Antonio Alluce 30 anni: partecipò solo in parte.

CASERTA – Un altro ergastolo per Giuseppe Setola, già condannato in contumacia al fine pena mai, e questa volta riconosciuto colpevole del delitto più orrendo di una carriera malavitosa ventennale: la Strage di Castel Volturno del 13 settembre 2008. A emettere la sentenza la I corte d’Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha riconosciuto al boss e ai componenti del suo gruppo di fuoco l’aggravante dell’odio razziale come pure quella della finalità terroristica. Con Setola erano imputati altre quattro persone, i fiancheggiatori del boss stragista Davide Granato, Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e Antonio Alluce. Stesso destino, carcere a vita per tutti tranne Alluce, che dovrà scontare 30 anni di reclusione. A Setola e i suoi i pm contestavano non solo l’agguato in cui persero la vita i sei immigrati africani davanti la sartoria Ob ob Exotic, ma anche l’omicidio, poche ore prima, di Antonio Celiento, titolare di una sala giochi di Baia Verde.

Nella requisitoria il pubblico ministero Cesare Sirignano aveva puntato il dito contro «la strategia terrorista e stragista seguita e perseguita da Setola e dal suo gruppo, ma anche la contrapposizione tra queste comunità per il controllo del traffico di droga nel territorio di Castelvolturno, nel cui ambito e come vittime innocenti vengono sacrificati i soggetti di colore trucidati o feriti nei due episodi contestati agli imputati. E non è un caso – sottolineava il pm – che i delitti siano stati commessi nel territorio di Castel volturno, terra da sempre mortificata, devastata e martoriata anche perchè roccaforte del clan Bidognetti e rifugio, quando non residenza, di gran parte degli elementi di vertice del clan». Prima che la corte si ritirasse in camera di consiglio, Setola ha reso una dichiarazione spontanea di 45 minuti. Si è dichiarato innocente della strage, affermando di avere compiuto solo estorsioni, e ha definito inattendibile e animato da sentimenti di vendetta il pentito Oreste Spagnuolo, che lo accusa: lo fece picchiare negli anni Novanta, ha spiegato, perchè rubava. Setola ha anche messo in guardia contro la «dittatura mediatica» attuata, a suo dire, dai giornali. Il 27 marzo scorso un altro ergastolo era stato inflitto a Setola, Cirillo e Letizia per l’omicidio dell’imprenditore Sergio Orsi.

 

 

 

Terzo anniversario strage ghanesi Castel Volturno – 18 settembre 2011

 

 

 

Video RAI3 – Un giorno in Pretura

Il clan dei Casalesi: la strage di San Gennaro

Quanto vale la vita a Castelvolturno? E’ la sera del 18 settembre 2008 quando sei giovani africani vengono barbaramente uccisi da un commando di camorristi.

Tanto sangue non si era mai visto. Per una notte la statale Domiziana si trasforma in uno scenario infernale. Quella che verrà definita la strage di San Gennaro, è preceduta da un altro omicidio a distanza di pochi chilometri e pochi minuti. E, solo un mese prima, sempre a Castelvolturno, c’era stato un analogo tentativo di strage ai danni di altri africani, usciti indenni solo per un caso.

Dietro tutti questi delitti, il clan dei Casalesi, retto in quel momento dal latitante Giuseppe Setola. Proprio quel clan reso famoso da Roberto Saviano in Gomorra.

Nella Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, viene celebrato il processo a Giuseppe Setola e ad altri quattro killer del suo gruppo di fuoco. L’accusa per tutti è di strage con finalità terroristica con l’aggravante razzista.

 

 

 

Video RAI3- Un giorno in Pretura

Il clan dei casalesi: ’o Cecato

Continua il racconto della strage di San Gennaro: sei ragazzi ghanesi uccisi sotto i colpi di più 120 proiettili.

Subito si pensa ad un regolamento di conti tra trafficanti di droga, ma tutti i sei ragazzi sono estranei al traffico di stupefacenti. Ma allora perché e da chi sono stati uccisi?

Tutti gli indizi portano al clan dei Casalesi e in particolare a Giuseppe Setola, detto ‘O Cecato, che era evaso dal carcere nell’aprile del 2008 e in nove mesi di latitanza aveva compiuto ben 18 omicidi. Il processo ripercorre questa terribile scia di sangue per ricostruire il clima in cui è avvenuta la strage di San Gennaro.

 

 

 

Video RAI3 – Un giorno in Pretura

Il clan dei casalesi: Il giorno dopo

E’ il 18 settembre 2008. In una sartoria, sulla Domiziana, cadono sei ragazzi ghanesi sotto il fuoco di un numero spropositato di colpi. Solo uno si salva. Tutti gli indizi portano al clan dei Casalesi.

Il giorno dopo gli Africani – delle diverse comunità presenti a Castelvolturno –  scendono per le strade. Nei loro volti c’è incredulità, sconcerto e indignazione. Una tale efferatezza non si era mai vista prima.

La protesta ha come obiettivo quello di mettere a tacere le dicerie, amplificate anche dalla stampa, che quei sei ragazzi fossero degli spacciatori e non degli onesti lavoratori. In modo da indirizzare le indagini su una pista diversa da quella del regolamento di conti.

L’ultima parte di questo processo, quindi, analizza le prove a carico di Giuseppe Setola e degli altri quattro imputati e soprattutto il vero movente.

 

 

 

Articolo del 28 Febbraio 2012 dacorrieredelmezzogiorno.corriere.it
Joseph Ayimbora si salvò fingendosi morto
Scampò alla strage di Castel Volturno, dopo tre anni muore l’unico testimone
L’eccidio dei sei cittadini africani per mano dei Casalesi di Setola. Per il medico legale l’uomo è stato stroncato da un’aneurisma, ma il pm dispone l’autopsia sul cadavere

CASERTA – È morto per cause naturali, nella località protetta in cui si trovava, Joseph Ayimbora, il cittadino ghanese sopravvissuto alla strage di Castel Volturno del settembre 2008 che con la sua testimonianza indirizzò le indagini verso il boss Giuseppe Setola e i suoi uomini. La sera della strage, Ayimbora si trovava assieme con altri immigrati africani nella sartoria «Ob Ob exotic fashion», presa di mira dai killer del clan dei Casalesi. Si finse morto e riuscì in questo modo a beffare gli assassini.

Nelle ore successive, il ghanese riferì alla polizia dettagli preziosi per l’identificazione di Setola e degli altri componenti del commando, Davide Granato, Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e Antonio Alluce, tutti condannati di recente all’ergastolo tranne Alluce, condannato a 30 anni.

Ayimbora ha poi testimoniato al processo, recentemente mandato in onda dalla trasmissione Rai «Un giorno in pretura». Secondo il medico legale che ha esaminato la salma, l’uomo è stato stroncato da un aneurisma. Il pm Cesare Sirignano ne ha comunque disposto l’autopsia.

 

 

 

Articolo del 30 Gennaio 2014 da ilmattino.it
Strage degli immigrati a Castel Volturno, sentenza in Cassazione: 4 ergastoli ai killer del gruppo Setola
La sentenza emessa questa sera dai consiglieri della prima sezione della Corte di Cassazione.

CASTEL VOLTURNO – Condanna definitiva all’ergastolo per i killer della strage di Castelvolturno in cui morirono, la sera del 18 settembre del 2008, sei immigrati africani. Al carcere a vita sono stati condannati Giuseppe Setola detto O’Cecato e gli affiliati al gruppo dell’ala stragista del clan dei Casalesi: Giovanni Letizia, Alessandro Cirillo e Davide Granato.

La sentenza definitiva è stata emessa questa sera dalla prima sezione della Suprema Corte di Cassazione di Roma, relatore Lucia Laposta.

Per Antonio Alluce, affiliato del gruppo, è stata confermata la condanna a 23 di reclusione. I reati contestati sono di strage aggravata dalla finalità di agevolazione dell’organizzazione mafiosa del clan dei Casalesi e dall’aggravante di odio razziale, mentre è stata esclusa, già in Appello, la finalità terroristica.

 

 

 

 

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