2 gennaio 1974 Guardavalle (CZ). Ucciso Rocco Gallace, 13 anni, vittima di una faida

Una storia iniziata come tante altre, in Calabria, con la faida tra due ‘ndrine in lotta per il controllo del territorio, tra le famiglie Randazzo e Tedesco: quest’ultima, alleata della famiglia Gallace, organizza un’imboscata ai danni dei rivali il giorno di Capodanno. I due fratelli Francesco e Domenico Randazzo perderanno la vita e altri loro familiari rimarranno feriti gravemente. Per Nunziato Randazzo vendicare la morte dei fratelli diventa una questione fondamentale. E non si sarebbe fermato di fronte a nulla. Il giorno dopo, quando viene visto avvicinarsi alla tenuta della famiglia Gallace armato di lupara, l’intera famiglia si rifugia in casa. Ma nessuno si rende conto che mancano all’appello Rocco Gallace e Cosimo, di 13 e 11 anni. Sarà proprio quest’ultimo, che assisterà all’omicidio del fratellino da uno spioncino, a raccontare l’accaduto. Una prima fucilata ferisce lievemente Rocco alla gamba, immobilizzandolo. Rocco piange, implora pietà: ha solo 13 anni e non c’entra niente con quanto accaduto il giorno prima. Ma per Nunziato, questo non conta. Rocco è un Gallace, non meno dei suoi fratelli. Gli appoggia la canna del fucile sul collo e preme il grilletto.
“L’ha ucciso come un capretto”, dirà Cosimo.
Per Nunziato Randazzo il sangue di un tredicenne non è sufficiente. Nella stessa giornata ucciderà altre quattro volte, per poi sparire. Cinque anni più tardi, nel 1979, morirà in un ospedale di Roma, a causa di una cirrosi.
Fonte: facebook.com/cannibaliere  – Post del 19 marzo 2021

 

 

 

Da L’Unità del 3 gennaio 1974 Pag. 6
Cinque morti e dieci feriti in Calabria per una allucinante faida tra famiglie
di Franco Martelli
L’agguato nelle strade affollate — Nel giorno di Capodanno le prime due vittime — Poi il susseguirsi spaventoso delle vendette — Freddato anche un ragazzo di tredici anni – Legami mafiosi e con gli agrari del posto — Uno dei presunti sparatori si è costituito ieri sera — All’ospedale di Catanzaro dove erano stati ricoverati i feriti arrestato un giovane armato con pistola in tasca: voleva portare a termine il giro delle vendette — Guardavalle messo in stato d’assedio — Altri armati in giro potrebbero sparare.

GUARDAVALLE, 2. Quasi una guerra in questo piccolo centro calabrese che sorge in una cupa vallata ai primi contrafforti delle Serre, in provincia di Catanzaro. Una faida fra due famiglie, o meglio, tra due cosche mafiose, ha causato, finora, cinque morti e dieci feriti. Almeno tre persone, questa sera, mentre telefoniamo, sono latitanti, armate, nelle montagne
sovrastanti e si cercano per proseguire lo sterminio.

Tra di loro ci sarebbe qualche ferito e l’uomo che ha sicuramente ammazzato tre delle cinque vittime (tra esse un ragazzo di tredici anni).

Il paese è praticamente in stato di assedio. Posti di blocco sono istituiti nelle vie di accesso. Gli occhi dei carabinieri sono puntati su decine di case del paese dove abitano famiglie legate per parentela o per vincoli di altra natura alle cosche in guerra. Le strade
sono zeppe di gente sgomenta, cupa, che evita di parlare con gli estranei e stringe le spalle quando si cerca di dissipare la fitta coltre di mistero che avvolge questa spaventosa faida. Alla caserma dei carabinieri, dove abitualmente sono in servizio due o tre militi, sono giunti il comandante della regione,colonnello Ippolito, quello del nucleo investigativo di Catanzaro,
i carabinieri della tenenza di Soverato. Ci sono anche i carabinieri della compagnia di Rosarno, specializzati in rastrellamenti, unità cinofile, un elicottero ha sorvolato oggi
per molte ore, inutilmente, la montagna e le vallate a caccia dei latitanti.

Stamane, nell’ospedale di Catanzaro dove sono ricoverati cinque dei molti feriti, è stato arrestato un giovane muratore, figlio di uno dei feriti. Era armato di pistola e forse intenzionato, probabilmente, a finire qualche ferito. Altri due feriti sono ricoverati
nell’ospedale di Locri.

Stasera poi si è costituito ai carabinieri di Stilo (Reggio Calabria) uno degli sparatori.
E’ Liberato Tedesco, 32 anni. Armato di doppietta, aveva una ferita da arma da taglio. Ha ammesso di avere esploso una pistolettata contro Luigi Randazzo e poi di aver fatto fuoco
su altre due persone, per vendicarsi appunto del ferimento.

Lunga catena
Lo sfondo di questa agghiacciante tragedia è costituito certamente dallo scontro per la supremazia nella zona, fra cosche mafiose e i motivi di attrito si allungano, come anelli di una stessa catena, molto indietro negli anni. Di mezzo ci sono i furti di bestiame, i controlli dei suoli edificatori nelle zone rivierasche, forse il contrabbando delle sigarette (è sicuro che lo specchio di mare Jonio prospiciente sia uno dei punti di sbarco delle navi contrabbandiere): le guardanie nei consorzi di bonifica e delle aziende degli agrari locali: alcuni sono soltanto srettamente legati all’oliveto, mentre altri hanno dato vita ad aziende moderne nelle strisce di pianura della riviera.

Cerchiamo, ora, di ricostruire in qualche modo e per quanto è possibile farlo nel momento In cui telefoniamo, la dinamica della incredibile e folle sparatoria.

Ore 19,30 di ieri sera, giorno di Capodanno. In piazza Immacolata, affollata da centinaia di persone, arrivano, pistola in pugno, quattro persone: Liberato e Nicola Tedesco, fratelli, Vincenzo ed Adatzio Gallace, fratelli anche essi. Questi ultimi legati ai primi che costituiscono la famiglia guida della cosca. Aprono il fuoco all’indirizzo prima di Luigi Randazzo, 49 anni, guardiano ai consorzi di bonifica, che viene crivellato e si accascia in una pozza di sangue.

Vicino a lui la moglie rimane illesa. Il fuoco continua mentre la gente si disperde nei vicoli adiacenti, lungo la strada che fa da corso principale del paese, attraversando la piazza. Gli spari sono indirizzati verso gli altri tre fratelli del morto, Domenico, invalido, deceduto questa notte all’ospedale di Catanzaro, Vito Salvatore, guardiano ai consorzi di bonifica, Francesco, proprietario di una ruspa.

Sul posto, sono stati trovati più di venti bossoli, tutti calibro 38. Gli sparatori, portato a termine l’assalto, si allontanano. Sul loro cammino, qualche attimo dopo, si trovano Antonio Daniele, Vito Fama e Raffaele Vetrano, nipote, quest’ultimo, dei Randazzo, che sembra accorressero verso la piazza attratti dalla sparatoria.

I Tedesco e i Gallace aprono il fuoco anche contro di loro e li feriscono gravemente. Poi la fuga. Il corpo di Luigi Randazzo viene portato all’obitorio del paese, gli altri, i feriti, vengono avviati all’ospedale di Catanzaro. Durante la notte, come si è detto, muore anche Domenico Randazzo, 50 anni, più volte ricoverato in ospedali psichiatrici. Nelle ore successive si organizza il secondo tempo della tragedia. Alcuni familiari dei Randazzo piangono i morti e altri si barricano nelle case. Nunziato Randazzo, 48 anni, fratello delle due vittime, che non si trovava sul posto al momento della sparatoria, cova la sua vendetta personale. Ha tutto il tempo di armarsi di fucile, mentre sul paese si abbatte una violenta grandinata e mentre carabinieri e magistratura avviano le indagini di rito.

Alle prime luci del giorno, Nunziato Randazzo ha già raggiunto una mandria di proprietà dei Gallace. Tutta la famiglia, però, è barricata in un capanno. Allo scoperto c’è soltanto un ragazzo. Rocco, 13 anni, che Nunziato Randazzo fredda sul colpo. Mezz’ora dopo, una bambina di non più di dieci anni, parente dei Gallace, bussa alla porta della caserma dei carabinieri e dà la notizia dell’uccisione del ragazzo.

II feroce assassino prosegue il suo itinerario della morte raggiungendo via Giordano, alla periferia del paese dove, sulla porta della loro abitazione, spara e ferisce Nicola Tedesco e Agazio Samà, rispettivamente suocero e genero, il primo parente dei Tedesco, direttamente implicato nella sparatoria. Agazio Samà, 26 anni, manovale, muore nella macchina durante il trasporto all’ospedale.

Ricaricata l’arma, Nunziato Randazzo sale in paese. Verso le 8,30, sulla sua strada, incontra Benito Reitano estraneo, sembra, alla faida, ma nemico personale del Randazzo. Spara anche contro di lui e lo ferisce gravemente al capo. Costeggiando il centro abitato lungo il torrente, Nunziato Randazzo raggiunge quindi l’abitazione di una cugina dei Tedesco. Maria Carmela. Si fa aprire, spalanca la porta e scarica la doppietta sulla donna che crolla sull’uscio senza vita. Ma non finisce neanche qui. Nunziato Randazzo raggiunge la contrada Buttoria e scarica altri due colpi contro Giuseppe e Raffaele Andreacchio legati, sembra, ai Gallace.

Qui si chiude il secondo tempo della tragedia e Nunziato Randazzo sparisce. Con lui, risultano introvabili alcuni uomini della cosca avversa, quella dei Tedesco.

La scintilla
Altri componenti di questa ultima famiglia, trovano il modo, stamane, di raggiungere addirittura – l’ospedale di Catanzaro. Uno di loro, Andrea, viene fermato all’entrata della corsia dove sono piantonati i ricoverati (ci sono anche suo padre e il cognato morto, Agazio Samà) con una pistola calibro 38 nella tasca. Viene fermato anche, nei pressi dell’ospedale, Francesco Chiesari, cognato di Benito Riitano, uno dei feriti, anch’esso armato, ma rilasciato perchè in possesso di porto d’armi.

Ma quale la scintilla di questa assurda tragedia? Abbiamo parlato di cosche mafiose rivali.
Sono quelle dei Randazzo e dei Tedesco, con attorno a loro altre famiglie, altri gruppi; molti, come si è visto, feriti o morti. L’antefatto che salta di più agli occhi, ma che non è il solo (e quasi certamente non è determinante) è un omicidio avvenuto cinque anni fa: il 31 dicembre del ’68 viene, infatti, ucciso Vincenzo Bruno Tedesco, padre dei protagonisti della sparatoria di ieri sera. A sparare è Bruno Daniele ora in carcere, anche se in attesa di giudizio.

Il movente del delitto è un altro fatto di sangue: il ferimento, avvenuto sette giorni prima, dello stesso Bruno Daniele. Nunziato Randazzo, inoltre, è stato in galera per omicidio oltre venti anni fa. In questi anni, poi, i Tedesco e i Randazzo sono stati continuamente implicati in sparatorie, attentati, scontri armati, spesso rimasti coperti dalla omertà. Le due cosche, però, non erano mai, fino ad oggi, arrivate allo scontro diretto in paese. Le due famiglie inotre, avrebbero legami precisi con la mafia della zona di Locri, Siderno, Gioiosa, e non
è da escludere neanche che l’assalto di ieri sera possa essere stato deciso e attuato su ordine della mafia. Probabilmente l’obiettivo era rappresentato soltanto dal primo morto, Luigi Randazzo, che come si è detto è stato il primo a cadere crivellato di colpi.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 6 gennaio 1974 Pag. 5
A Guardavalle si allenta la paura
di Franco Martelli
DOPO I SEI MORTI LA GENTE VUOLE LIBERARSI DALL’INCUBO
Molti cercano i giornalisti per parlare, chiarire, spiegare — Condannato a nove mesi senza condizionale uno dei Tedesco che aveva tentato di avvicinarsi armato ai feriti in ospedale — il dramma del paese nel racconto del vice sindaco compagno Pasquale Gregorace — Continuano le indagini per chiarire i motivi dell’odio tra le due famiglie che hanno dato il via alla strage.

GUARDAVALLE, 5. Da stamane, il portoncino della caserma dei carabinieri di Guardavalle è sbarrato. Si apre, di tanto in tanto, per qualche attimo, per farvi entrare uomini delle due coscheavverse che si sono date battaglia nei giorni scorsi nella sanguinosa faida che è costata la vita a sei persone.

Il primo ad entrare nella caserma, stamane, è stato Giuseppe Gallace, padre di Rocco, 13 anni, ucciso da Nunziato Randazzo e di Agazio e Vincenzo Gallace che, con Nicola e Liberato Tedesco, conponevano il commando che ha teso l’agguato ai fratelli Randazzo il giorno di Capodanno, uccidendone due e ferendone gravemente altri due.

Ora, Agazio e Vincenzo Gallace sono latitanti, come Nicola Tedesco e Nunziato Randazzo, e la loro ricerca da parte dei carabinieri continua a risultare vana. L’uomo è arrivato stretto fra due carabinieri e con sulle spalle un vecchio fucile arrugginito.

Dopo di lui, sempre accompagnato dai carabinieri, sono arrivate altre tre persone, sembra appartenenti alla famiglia dei Randazzo. Dietro di loro, altri carabinieri portavano fucili sequestrati probabilmente nelle abitazioni dei fermati dove sono state effettuate delle perquisizioni. Sono in corso gli interrogatori e, mentre telefoniamo, sul loro conto deve essere ancora presa una decisione.

Stamane, intanto, a Catanzaro, in Pretura, si è celebrato per direttissima il processo a carico di Andrea Tedesco, l’uomo che è stato arrestato all’ingresso della corsia dell’ospedale di Catanzaro dove sono ricoverati i feriti della faida e che, probabilmente, era intenzionato a finire qualcuno di loro appartenente alla famiglia Randazzo. Aveva addosso una pistola calibro 38 (da cui l’arresto e la condanna, stamane, a 9 mesi). Come lui, quella mattina, all’entrata dell’ospedale di Catanzaro, vennero fermate altre 14 persone delle cosche avverse che, probabilmente, avevano raggiunto l’ospedale con la medesima intenzione di Andrea Tedesco.

Tre degli otto feriti, intanto, sono stati dimessi dagli ospedali di Locri e di Catanzaro e hanno fatto ritorno a Guardavalle.

Intanto, la tensione nel paese sembra essersi in qualche modo allentata. La gente, a differenza dei primi giorni, vuol discutere, cerca i giornalisti, si addensa, come ha fatto stamane, di fronte alla stazione dei carabinieri e discute. Ma i carabinieri continuano a battere, a gruppi di due o tre, le strade di tutto il paese. Ci sono, infatti, i quattro latitanti che contribuiscono a mantenere indubbiamente sempre desto il clima da incubo che da cinque giorni grava su Guardavalle. Ognuno sa, d’altra parte, che una volta scattata la molla della faida, della vendetta, è assai difficile fermarla.

Abbiamo parlato con Giovanni Tedesco, 16 anni, cugino dei Tedesco direttamente implicati nella faida. Egli è emigrato da un anno a Milano; fa il manovale. Con lui c’è anche un fratello maggiore.Qui abita la madre da sola. Il padre è in carcere dal 1959 per tentato omicidio.
Come il fratello, Giovanni Tedesco è tornato a Guardavalle dieci giorni fa, per le feste. Il viso già segnato dalla fatica: «Ci sono sempre stati litigi fra alcuni gruppi delle due famiglie. I motivi — aggiunge — non li conosco. Sono andato via da qui per forza, Dobbiamo, io e mio fratello, trovarci da vivere. Vorrei ritornare qui, ma non ho prospettive. Qui lavoro se ne trova sempre meno. Io sono amico dei figli dei Randazzo. Il giorno di Capodanno, fino a poche ore prima della sparatoria, eravamo insieme».

«Noi — ci dice il vice sindaco, compagno Pasquale Gregorace, uno dei primi iscritti al PCI a Guardavalle — non siamo tra coloro i quali dicono di aver paura, di provare vergogna quando esplosioni di violenza come questa, cui stiamo assistendo, finiscono col mettere in luce problemi grandi, che non sono mali passeggeri nella nostra comunità. La disgrazia che ha colpito tante famiglie ha, infatti, radici profonde nella storia e nella struttura di
Guardavalle. Non si tratta di fare moralismo, né scandalismo, né tanto meno razzismo. Anzi, condanniamo chi tenta di fare questo. Ma, quando manca la prospettiva e tutto viene lasciato nelle mani della iniziativa dei singoli, della improvvisazione, e niente si fa per sviluppare la agricoltura, per creare lavoro e condizioni di vita civile, dignitosa, le reazioni possono essere svariate. C’è chi prende la via dell’emigrazione; chi, ostinatamente, cerca di trovare da lavorare e da vivere qui e c’è chi cerca di migliorarsi, di andare avanti. Ma c’è anche chi non si è saputo liberare pienamente del passato, un passato di pregiudizi, e cerca di arrangiarsi inserendosi, magari, nel sistema degli intrallazzi e degli illeciti. E’ la strada sbagliata — continua il compagno Gregorace — che, se non è mafia, porta certamente alla mafia o sotto le grinfie della mafia, che rende tutto più drammatico, porta ai lutti, alle disgrazie, che assurdamente sono ritenute inevitabili. Ma per fortuna, la popolazione, malgrado l’emorragia dell’emigrazione, malgrado i mille tentacoli del sottogoverno e malgrado la disgregazione, resta sostanzialmente la stessa che nel ’43 si ribellò, mettendo in fuga gli agrari nelle vesti di gerarchi fascisti e che, negli anni successivi, prese parte alle lotte per la terra e che oggi è rappresentata dai braccianti, dai contadini, dai lavoratori che, pur stentando a trovare da vivere onestamente, rimangono onesti, ed anche dai giovani che lottano
assieme a noi forse in condizioni più dure che negli anni dell’immediato dopoguerra».

Sul fronte delle indagini, intanto, la pista che si segue, come si diceva nei giorni scorsi, è quella dello scontro tra cosche rivali, le cui maglie si allargano fino ad oltre 150 persone, anche se gran parte di loro sono rimaste estranee alla assurda regola della faida.
Si cerca, in particolare, di capire i legami tra i personaggi più importanti delle due famiglie (in pratica, i morti e i latitanti) e l’organizzazione mafiosa della zona che ha un ruolo nel contrabbando delle sigarette, nel traffico di moneta falsa, nelle guardianie presso i Consorzi di bonifica, negli appalti e sub-appalti (tutti gli appalti dei lavori pubblici della zona sono nelle mani della mafia di Locri, Siderno e Gioiosa».

In serata è stato reso noto l’arresto di Giuseppe Gallace, per detenzione abusiva di armi e il fermo per essere «gravemente indiziato» di concorso in omicidio di Rocco Vetrano (nipote di Nunziato Randazzo al quale ultimo avrebbe fatto da guardaspalle nell’uccisione di almeno tre persone).

Rocco Vetrano e Nunzio Randazzo, comunque, sembra siano stati aiutati anche da una terza persona che avrebbe fatto da autista, con una «500» di color blu di cui non si conosce il proprietario, negli spostamenti dell’itinerario della morte.

Sono state eseguite molte perquisizioni nelle abitazioni di famiglie appartanenti alle due cosche e sono state sequestrate quattro pistole e tre fucili.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 2 marzo 1974 Pag. 5

S’ALLARGA IL CERCHIO DELLA FAIDA
di Franco Martelli
Almeno duecento ormai coinvolti nella catena di vendette a Guardavalle.
Un paese pieno di paura e silenzio – Anche una donna arrestata – L’ultima vittima aveva cercato scampo a Torino ma ne era stata ricacciata dagli stessi parenti terrorizzati – Intere famiglie lasciano le abitazioni e si danno la caccia – Il coraggio di parlare – Una strana concezione «culturale».

GUARDAVALLE, 1. Otto morti e dieci feriti in due mesi. I due clan mobilitano ormai non meno di duecento persone. Chi porta i cognomi Randazzo, Tedesco, Gallace, Andriacchio, Daniele, Famà è, in un modo o nell’altro, dentro l’assurda logica della faida. E lo sa e ha paura perfino di parlarne. Si muove e agisce come non avesse quel terribile problema addosso. Dopo la nuova giornata di fuoco un silenzio terribile è tornato nelle strade, nelle case umide, nei dirupi
e nella boscaglia che sta attorno a Guardavalle. Altri due morti sono stati portati all’obitorio, mentre tre giovani sono stati arrestati e quasi certamente verranno accusati
di aver preso parte al «commando» mascherato che ha agito ieri per conto dei Randazzo contro i Tedesco. Sono Antonio Daniele, Vito Famà e Giuseppe Franco, quest’ultimo proveniente da un paesetto della confinante provincia di Reggio. La faida non conosce confini né di terra, né di parentela.

Il Famà e il Daniele, figli di una stessa madre sono infatti anche nipoti della donna che loro stessi avrebbero ucciso ieri. Erano appena guariti delle ferite di Capodanno, quando i Tedesco (un commando di quattro persone anche allora) avevano condotto il primo sanguinoso e premeditato assalto ai Randazzo.

Gli arresti, i lunghi interrogatori, i pattugliamenti dei carabinieri, il viavai delle «gazzelle», lungi dal buttare acqua sul fuoco della faida, acuiscono i rancori, scavano
fossati più profondi fra le famiglie, spingono i riluttanti a sentirsi ormai anche loro
dentro la logica assurda della guerra aperta fra le due cosche. Questa notte, ad esempio, è stata arrestata, cerche trovata in possesso di una pistola, Maria Andreacchio, 47 anni, madre del tredicenne Rocco Gallace, ucciso il giorno di Capodanno, cognata di Salvatore Gallace,
ucciso ieri, madre di altri due Gallace in galera per l’assalto del primo gennaio. Era andata
via da Guardavalle con il marito e gli altri figli ma, dopo qualche settimana, quando i carabinieri avevano allentato la morsa sul paese, la famiglia aveva fatto ritorno, forse nella consapevolezza che la vendetta poteva raggiungerla ovunque, e tanto valeva quindi rimanere in
paese.

Anche la donna uccisa ieri, Angela Rosa Daniele – 87 anni, il marito ucciso sei anni fa, due figli in galera, altri parenti uccisi o feriti alcuni giorni dopo lo scoppio della catena di vendette — era partita un giorno per Torino. Qui però, un parente non se l’era sentita di tenerla in casa e l’aveva rispedita a Guardavalle dove la donna aveva ripreso a lavorare nel suo negozio di frutta e verdura dove ieri è stata uccisa: sembra che lei fosse la prima vittima designata nell’elenco delle persone che ha fisso in testa Nunziato Randazzo, il latitante «giustiziere» cui si attribuivebbe la responsabilità di aver organizzato la sortita
di ieri. «Ha avuto sempre una lingua lunga» dice impietosamente di lei la gente legata ai Randazzo. Non le perdonano di aver sempre dichiarato che i suoi figli e suo marito «sono stati uccisi dalla mafia».

Salvatore Gallace, il pastore diciottenne, il cui corpo senza vita è stato trovato ieri a un’ora di cammino da Guardavalle vicino al suo ovile, sembra che, assieme ad altri giovani della famiglia Tedesco, dei Gallace, degli Andreacchio da tempo partecipasse a delle «battute» a caccia di Nunziato Randazzo. Una caccia che è costata a lui stesso la vita.

Quanta gente manca ora dalla – propria abitazione? Quanti individui sono a cercarsi fra macchie e boschi per proseguire lo sterminio magari quando l’attenzione su Guardavalle sarà di nuovo diminuita?

«Oggi è peggio che a Capodanno — ci ha detto un giovane studente — perchè non vi è più certezza su dove incomincia e dove invece finisce il confine della faida. Il cerchio si è allargato, insomma. Ieri, poi, poteva essere una strage di ancor più vasta portata. La macchina che ha seminato la morte, infatti, ha attraversato il corso principale fra le 11 e le 12, e i colpi di pistola e fucile non si sono contati. C’è stato il fuggi-fuggi. Poteva succedere di peggio. Nel bar, nel negozio dove c’erano i bersagli del commando per fortuna in
quel momento non si trovavano altre persone». Nel bar c’era un ragazzo, un Andreacchio ferito ad una mano, non si sa fino a qual punto casualmente.

Ma che cosa e chi scava tanto profondo odio nell’animo di questi contadini, di questi giovani, delle donne? Per comprendere questa tragedia occorre, a nostro avviso, tener presente l’innesto che si sta operando (a Seminara molti anni addietro, a Guardavalle più di recente) in Calabria fra vecchia e nuova mafia, fra vecchi e nuovi interessi, in una condizione economica e sociale lacerata e piena di contrasti.

Questo l’inizio: quando poi da uno sgarbo in affari si passa al sangue, scatta di nuovo l’antico meccanismo della falda. Un giornalista del Nord scrisse tempo fa che queste popolazioni non si presentano mature a recepire la «cultura» dell’Italia industrializzata. La realtà è che è difficile per costoro recepire solo la «cultura» restando esclusi nei fatti dal progresso economico e sociale.

 

 

 

Al posto sbagliato
Storie di bambini vittime di mafia

di Bruno Palermo

Rubettino Editore, 2015

Le mafie hanno sempre ucciso i bambini. Le regole per le quali donne e bambini non vanno toccati sono un falso mito. Un mito smentito dai 108 nomi racchiusi nelle storie di minori vittime innocenti di mafia contenute in questo lavoro. Storie che servono per fare e costruire memoria. Conservarla, tramandarla. Storie note e meno note che diventano veri e propri simboli della barbarie umana. Ogni nome, ogni racconto diventa parte di un dolore collettivo. Un moto di resistenza civile che nasce dal sangue innocente delle vittime e dal dolore dei loro familiari.
Non esiste né un posto sbagliato, né un momento sbagliato per i bambini vittime di mafia: un campo di calcetto, il portone di casa, la pizzeria in cui si lavora, la piazza sotto casa, l’auto dei genitori. Al posto sbagliato ci sono sempre assassini e mafiosi.
Prefazione di Luigi Ciotti