4 novembre 1973 Afragola (NA). Ferito gravemente Alfredo Manzoni, bambino di 7 anni, durante un agguato ad un boss, muore in ospedale ad Ariccia (RM) dopo due anni di cure.

Alfredo Manzoni, di anni 7, ferito accidentalmente in maniera grave ad Afragola (NA) nel corso di un regolamento di conti tra cosche rivali il 5 novembre del 1975. Alfredo Manzoni fu colpito da un proiettile vagante nel corso dell’esecuzione del boss Magliulo e gli fu lesa la colonna vertebrale. Dopo due anni di cura in un ospedale di Ariccia, il piccolo, condannato a restare paralizzato per il resto dei suoi giorni, si spense per sopravvenute complicazioni.

Fonte: vivi.libera.it

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 6 novembre 1973
Agguato con il mitra per il costruttore
Mario Magliulo, capo elettore DC, era stato scarcerato un mese fa – Feriti anche un bambino di 7 anni (completa-mente estraneo alla vicenda) ed un «figlioccio» della vittima – Difficili le indagini per individuare gli assassini.

Napoli, 5. Era   stato   scarcerato   poco   più   di   un   mese   addietro   il «boss», grande   elettore   DC, crivellato   di   colpi   ieri   notte   durante   un   agguato, tesogli   davanti   casa, in cui sono rimasti    gravemente    feriti    un    suo figlioccio» ed un bambino di 7 anni, che si trovava a passare.

Lo spietato delitto   è   avvenuto in via Ciampa ad Afragola dove abitava il noto «capo-clan» assassinato, Mario Magliulo, di   53 anni, titolare di   un’impresa   edile   ed   interessato al commercio dei prodotti ortofrutticoli, che aveva accumulato in questi anni una buona dose di «rispetto» nella zona.  Era stato fermato insieme con i figli Vincenzo (25 anni), studente    universitario    ed assessore democristiano al comune) e Giovanni (28 anni) ed i fratelli Luigi e Giuseppe per un altro delitto avvenuto il 9 settembre scorso.  Quella sera   venne   crivellato   di   pallettoni un altro «capo-clan», Giovanni Giugliano, concorrente dei Magliulo.  Gli assassini gli spararono da una vettura in corsa mentre era seduto davanti ad un bar nella stessa   piazza dove egli, nove anni prima, aveva ucciso Antonio Maiello, venendo poi assolto per legittima difesa.

Le indagini dei carabinieri, in quella occasione, si indirizzarono verso la famiglia Magliulo, ma il sostituto procuratore della Repubblica, non avendo riscontrato alcunché a carico di Mario Magliulo ed i due figli, li rimise in libertà dopo alcuni giorni. In prigione rimasero i fratelli Giuseppe e Luigi Magliulo.

Ieri – a poco meno di due mesi di distanza – da quella vicenda, rimasta ancora oscura –  il nuovo agguato.  L’appaltatore stava rientrando a casa   insieme con il   figlio   Giovanni   ed   il «figlioccio» Francesco Catapano, di 21 anni da San Giuseppe Vesuviano: la vettura sulla quale viaggiavano si è fermata davanti al   portone d’ingresso. A breve distanza erano appostati gli assassini, i quali, non appena hanno scoperto la figura di Mario Magliulo, che si avviava verso le scale che portano all’appartamento, hanno premuto i grilletti dei mitra che imbracciavano. Le pallottole hanno raggiunto il «boss» provocandogli ferite gravissime al ventre per cui quando – poco dopo – veniva soccorso e trasportato all’ospedale «Nuovo   Loreto» i sanitari non potevano fare altro che constatarne la morte.

I proiettili hanno provocato gravissime ferite anche al Catapano, colpito alle gambe ed al basso ventre, ed al piccolo Alfredo Manzoni, 7 anni, da Casalnuovo, il quale stava uscendo dall’edificio teatro del sanguinoso assalto insieme con il padre ed altri familiari.  Subito dopo aver sparato i «killer» – ancora ignoti – si sono dileguati a bordo di una «Giulia» che era ad attenderli. I carabinieri del nucleo investigativo, che stanno svolgendo le indagini, hanno raccolto i primi elementi e le prime testimonianze per avviare a soluzione questo «giallo». Stabilire il movente per poter risalire poi ai mandanti, se non agli esecutori materiali, non è molto semplice, date le molteplici   attività della vittima.  g. m.

 

 

Fonte: archivio.unita.news 
Articolo del 17 novembre 1978
Arrestati la madre e uno dei fratelli del giovanissimo killer di Afragola
L’ordine di cattura dopo le indagini della squadra mobile – Il giovanissimo Antonio Moccia uccise uno dei Giugliano nel cortile del Tribunale – La donna è anche indiziata per l’uccisione dell’avvocato Battimelli.

Anna Mazza e Angelo Moccia accusati di concorso in istigazione all’omicidio

Da ieri mattina sono in carcere la vedova del boss Gennaro Moccia, Anna Mazza, e suo figlio Angelo: l’accusa è concorso in omicidio e Istigazione al reato nei confronti del rispettivo figlio e fratello, quell’Antonio Moccia che il 29 maggio scorso uccise nel cortile di Castel Capuano   un «nemico di famiglia», il 37enne Antonio Giugliano. Il ragazzo avrebbe compiuto i 14 anni appena quindici giorni dopo: appena in tempo dunque per essere considerato minore non imputabile, agghiacciante espediente per uccidere a buon prezzo nella ben nota faida di Afragola. L’arresto di Anna Mazza e di suo figlio Angelo Moccia, è avvenuto su ordine di cattura firmato dal sostituto procuratore Alfredo Normanni; la decisione del magistrato lascia intendere che forse questa volta la squadra mobile napoletana ce l’ha fatta ad incastrare con prove sicure coloro che hanno armato la mano di un ragazzino per continuare la sanguinosa catena di vendette. I due, quando all’alba si sono presentati in casa il commissario Vincenzo Perrini, i brigadieri Porbuso e Tremigliozzi, invitandoli a seguirli in questura, non hanno fatto una piega; calmissimi e impassibili, madre e figlio hanno lasciato la casa di Afragola (via Bellini 15) a bordo delle auto della «mobile»; dopo le contestazioni di rito sono stati trasferiti l’una al carcere femminile di Pozzuoli, l’altro a Poggioreale.

In casa Moccia sono rimasti soltanto Teresa, 17 anni, studentessa alle magistrali, e Bruno l’ultimo rampollo di appena 7 anni. Gli altri tre figli sono in carcere: Luigi, il maggiore è detenuto a Cuneo, condannato per tentato omicidio; il secondo Vincenzo è detenuto a Matera, condannato (minorenne) per l’uccisione   del   maresciallo   dei CC D’Arminio, raggiunto dalla scarica di lupara indirizzata contro Luigi Giugliano, unico superstite della famiglia avversaria e attualmente in carcere, fratello dell’ucciso in Castel Capuano. Antonio Moccia infine è rinchiuso nel riformatorio di Avigliano (Potenza) dove l’ha spedito il tribunale per i minorenni quale misura di sicurezza non potendosi procedere contro di lui.

I nomi di Anna e Angelo Moccia erano venuti clamorosamente alla ribalta della cronaca anche nell’agosto     scorso, e una volta tanto non per un omicidio legato alla faida che fa registrare, dal 1960, ben 14 morti, cui sembra vada aggiunto anche l’avvocato Giulio Battimelli (ottobre ’77): nel maggio scorso infatti alla vedova Moccia fu notificata una comunicazione giudiziaria perché si indaga su di lei quale mandante degli ignoti killer. Il 19 agosto infatti un anonimo telefonava ad un quotidiano annunciando che la donna era stata uccisa e bruciata in un’auto: la vedova si era effettivamente allontanata da casa dopo un litigio col figlio Angelo – la cui auto bruciata, rubata la sera prima, fu trovata effettivamente al Frullone – ma dopo giorni di interrogatori e febbrili indagini tornò a casa sua tranquilla e sorridente meravigliandosi di tanto trambusto.  L’anonimo telefonista peraltro aveva provveduto anche a chiamare qualcuno del clan avverso, i Giugliano, e a minacciare grossi guai se la vedova non tornava.

La vicenda del minore non imputabile che spara con due pistole, di un feroce omicidio pubblicamente   compiuto per farla in barba alla legge, non è andato giù alla polizia: il capo della mobile Bevilacqua e il dott. Perrini, dopo un duro rapporto al tribunale dei minorenni che provocò la misura di sicurezza per Antonio Moccia, decisero di proseguire le indagini, anche se i personaggi e l’ambiente sono di quelli assai difficili. Qualcosa di grosso devono avere trovato i funzionari della «mobile», se hanno potuto ottenere l’ordine di cattura e se tengono rigorosamente segreti i particolari delle indagini.

Del resto, con l’abituale atteggiamento di sfida che contrassegna decenni quella e le altre famiglie (i Giugliano, i Magliano, questi ultimi alleati dei Moccia) impegnate nella faida, la vedova Moccia è stata chiarissima in una intervista, quando le chiesero se si rendeva conto che suo figlio aveva ucciso, rispose «come madre dico che ha fatto male, ma come spettatrice dico che non c’è premio per quello che ha   fatto». Nelle tasche dell’uomo ucciso nel cortile di Castel Capuano (Antonio Giugliano era stato da poco prosciolto dall’accusa di essere il mandante dell’uccisione di Gennaro Moccia, avvenuta il 31 maggio del 76 e per la quale sono indicati alcuni della banda che rapì Guido De Martino) la polizia trovò una serie di fotografie di «nemici» e come tali automaticamente «amici» dei Moccia. Si tratta di Raffaele Cutolo, il pistolero omicida fuggito dal manicomio giudiziario di Aversa con l’aiuto di complici che fecero saltare con la dinamite il muro di cinta nel febbraio scorso; e ancora di tre pregiudicati che erano evasi dal carcere di S.  Maria Capua Vetere assieme ad Antonino Cuomo, uno degli indiziati dell’omicidio Battimelli.

Una delle ultime battute giudiziarie della faida, nel giugno scorso, è stata l’assoluzione per Insufficienza di prove in appello di tre componenti il clan Magliulo condannati in primo grado a 75 anni complessivi di reclusione per l’uccisione – nel ‘73 – di Giovanni Giugliano (fratello di Antonio, quello ucciso dal ragazzo, e di Luigi, che è scampato ad una decina di attentati ed è ora in prigione, accusato quale mandante della uccisione di Gennaro Moccia). Antonio Giugliano la mattina in cui fu ucciso dal ragazzo era in tribunale proprio per costituirsi parte civile nel processo contro i Magliulo. L’odio fra le famiglie nacque da vicende politiche paesane: uno dei Magliulo era sindaco dc di Afragola, passò poi ad una lista civica, ci furono scontri fra fazioni per l’affissione di manifesti elettorali, una prima serie di omicidi seguiti da assoluzioni per legittima difesa e quindi il susseguirsi di esecuzioni nelle quali trovarono la morte anche innocenti:  il  piccolo Alfredo  Manzoni di 6 anni, raggiunto dalle pallottole indirizzate a Mario Magliulo e morto dopo due anni di atroci sofferenze; la giovane Assunta Sarracino, incinta perde il figlio, ferita dalle pallottole indirizzate a Giovanni Giugliano; il maresciallo Gerardo D’Arminio falciato dalla lupara indirizzata contro Luigi  Giugliano. Nel tentativo di uccidere Luigi Giugliano morì anche un killer sedicenne, Aniello Silvestro, fulminato dopo che i suoi proiettili non sono andati a segno, in un’auto il cui guidatore, anche egli giovanissimo, riuscì a fuggire.

 

 

Ringraziamo amicidilibera.blogspot.com  per l’aiuto nella ricerca di nomi e storie da non dimenticare:

Dal Libro NAPOLI CRIMINALE di Bruno De Stefano

  • Morirà nell’Ospedale Luigi Spolverini di Ariccia (RM)