23 Dicembre 1984. Strage treno 904 NA-MI – S. Benedetto in Val di Sambro (BO). In quella galleria sono rimasti i corpi di 15 persone e centinaia ne sono usciti feriti in maniera anche gravissima, alcuni morendone a distanza di anni.

Foto delle vittime da memoria.san.beniculturali.it e da  noninvano.it

Alle 19.08 del 23 dicembre 1984, il treno rapido 904 proveniente da Napoli fu squassato da una esplosione violentissima mentre si trovava all’interno della galleria di San Benedetto Val di Sambro (BO), la “galleria degli Appennini”, nei pressi della quale – dieci anni prima – si era consumata la strage sul treno Italicus. A causare la detonazione fu una carica di esplosivo radiocomandata, collocata su una griglia portabagagli mentre il treno era fermo alla stazione di Firenze. L’esplosione provocò nell’immediato quindici morti e circa trecento feriti. A distanza di qualche tempo e per conseguenza dei traumi allora subiti, i morti saliranno a sedici.
Dai processi e dalle relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta è emerso essersi trattato di una strage la cui ideazione ed esecuzione erano state il frutto di un intreccio di interessi e legami coinvolgenti, a vario titolo, criminalità organizzata comune e criminalità mafiosa. Dalle sentenze, è emerso con particolare chiarezza che la strage era stata organizzata da esponenti di vertice di Cosa Nostra per «allentare momentaneamente la morsa repressiva e investigativa» cui la organizzazione veniva sottoposta a seguito degli «effetti devastanti prodotti dalle rivelazioni» di alcuni collaboratori di giustizia, ai quali «gli inquirenti davano credito» emettendo «centinaia di provvedimenti restrittivi». «Di fronte a una situazione nuova» e per essa «destabilizzante», «Cosa Nostra» dovette ricorrere alla violenza indiscriminata propria dello stragismo terroristico, e «in tal senso non fu priva di significato la scelta della galleria degli Appennini, in quanto luogo storicamente scelto dalla eversione di destra (secondo il comune sentire) per i suoi attentati».
Appartenenti ai diversi versanti criminali saranno individuati e condannati per la strage o, talora, per i reati che, nel corso delle indagini, a essa si erano collegati (come quelli riguardanti il  procacciamento dell’esplosivo).
Nota da  memoria.san.beniculturali.it  

 

 

 

Fonte: reti-invisibili.net 
La Strage del Rapido 904

“Associazione Feriti e Familiari delle Vittime della Strage sul Treno 904 del 23 Dicembre 1984”

LA STORIA

Il 23 Dicembre 1984 il rapido “904” proveniente da Napoli e diretto a Milano era strapieno di viaggiatori. La maggior parte di essi andava a trovare i loro cari per le feste di Natale.
Quel treno non giunse a destinazione. Nella galleria di S. Benedetto Val di Sambro una volontà criminale, politico mafiosa, eversiva delle Istituzioni, volle un massacro di cittadini innocenti. Tutto fu predisposto per provocare il maggior numero possibile di vittime: l’occasione del Natale, la potenza dell’esplosivo, il “timer” regolato per fare esplodere la bomba sotto la galleria, in coincidenza del transito, sul binario opposto, di un altro convoglio. Solo il tempismo del conducente che prontamente bloccò la linea evitò una strage maggiore.
In quella galleria sono rimasti i corpi di 15 persone e centinaia ne sono usciti feriti in maniera anche gravissima, alcuni morendone a distanza di anni.

Elenco delle Vittime

Giovanbattista Altobelli – Nato ad Acerra (NA) il 1° maggio 1933. Operaio.
Anna Maria Brandi – Nata a Hainée St. Paul La Louvrière (Belgio) il 5 giugno 1958. Studentessa universitaria.
Angela Calvanese in De Simone – Nata a Napoli il 10 agosto 1951. Insegnante.
Anna De Simone – Nata a Napoli il 21 dicembre 1975. Scolara.
Giovanni De Simone – Nato a Napoli il 10 maggio 1980.
Nicola De Simone – Nato a Napoli il 1° maggio 1944. Operaio.
Susanna Cavalli – Nata a Parma il 17 gennaio 1962. Studentessa universitaria.
Lucia Cerrato – Nata a Napoli l’11 novembre 1908. Pensionata.
Pier Francesco Leoni – Nato a Parma l’11 marzo 1961. Studente universitario.
Luisella Matarazzo – Nata a Torino il 26 gennaio 1959. Studentessa universitaria.
Carmine Moccia – Nato a Luogosano (AV) il 18 aprile 1953. Operaio.
Valeria Moratello – Nata a Verona il 6 marzo 1962. Studentessa universitaria.
Maria Luigia Morini – Nata a Imola (BO) il 25 giugno 1939. Vigilatrice d’infanzia.
Federica Tagliatatela – Nata a Napoli l’11 giugno 1972. Studentessa (figlia di Taglialatela Gioacchino).
Abramo Vastarella  – Nato a Napoli il 23 Marzo 1955. Carpentiere.

In seguito al trauma riportato:
Gioacchino Taglialatela – Nato a Ischia (NA) il 26 Aprile 1937. Geometra.
Giovanni Calabrò

 

 

Foto da roadtvitalia.it

RAPIDO 904: LA MANCATA VERITÀ
di Patrizia Tramma

Non vogliamo dimenticare: certo mai più si placherà il dolore scolpito nelle anime.

Allora per dare un senso alle morti dobbiamo ricostituire la “Memoria storica” che è consapevolezza sulle ragioni e sugli scenari che hanno prodotto la Strage e sull’atteggiamento delle Istituzioni.

Dopo il sangue, il terrore, il vuoto, i familiari delle vittime hanno affrontato la vicenda processuale.

In primo e in secondo grado la magistratura, in base alle risultanze raccolte dagli inquirenti, condanna all’ergastolo Pippò Calò, esponente di primo piano della Mafia, ed i suoi uomini per l’esecuzione materiale del reato di Strage, mentre un’accertata fattiva collaborazione di elementi di spicco della camorra quali Giuseppe Misso, porta nei suoi confronti, ed in quelli dei suoi uomini, a pesanti condanne detentive.

La Cassazione ribalta queste decisioni ignorando tutto il castello accusatorio sostenuto dalle prove raccolte dagli inquirenti e per mano di Corrado Carnevale annulla la sentenza nei confronti di Calò e Misso rinviando il giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Firenze.

La Corte, riformando parzialmente la sentenza, condanna per strage Calò, ma ne assolve Misso condannandolo per detenzione abusiva di esplosivo e riducendone la pena a soli tre anni.

Alla fine di questo giudizio di rinvio, stranamente due figure chiave del processo, Galeota, braccio destro di Misso, e sua moglie, sono uccisi in un agguato.

In un secondo giudizio di rinvio, a seguito di stralcio, il noto esponente missino Abbatangelo, già condannato in primo grado per strage alla pena dell’ergastolo, viene assolto da tale accusa per non aver commesso il fatto, e condannato per porto e detenzione abusiva di esplosivi.

La Corte di Cassazione rigetta, successivamente, i ricorsi proposti dai familiari delle vittime contro la sentenza di secondo grado nei confronti di Abbatangelo, e li condanna al pagamento delle spese processuali.

Dalla vicenda processuale del “Rapido 904” andata avanti per 5 lunghissimi giudizi, emerge un quadro inquietante in cui, alla strategia eversiva di destra, si lega la manovalanza mafiosa e camorristica che organizza e porta a termine con agghiacciante “professionalità” il compimento della strage.

La Commissione parlamentare Stragi, presieduta dal Senatore Gualtieri, nel 1994 ha evidenziato un chiaro contesto in cui sono maturate le azioni terroristiche riportabili alla strategia della tensione, senza riuscire in alcuni casi, come questo del “Rapido 904”, ad individuare un più ampio ambito di responsabilità, avvertendo che restano non pienamente chiariti i contesti diversi e i più ampi disegni strategici cui le stragi sono state funzionali.

Il lavoro della Commissione Parlamentare ha puntato il dito sulla distrazione e assenza dei servizi Sismi e Sisde che avrebbero dovute cogliere e segnalare ogni attività di tipo terroristico; ha illuminato il contrasto e le sue ragioni tra giudicati di diverso grado operato dalla Cassazione, ha evidenziato la possibilità e l’attualità della reiterazione di atti criminali alla scopo di turbare e condizionare lo svolgimento della vita democratica del Paese, mettendo in luce come nel caso dei più recenti attentati del 1993, vi sia stata un’opera sistematica di disinformazione della “falange armata” che si è avvalsa di un supporto informativo e logistico non disponibile sul semplice mercato criminale.

La ricostruzione del quadro processuale, come emerge dal lavoro delle Commissioni Parlamentari (v. anche le relazioni della Commissione presieduta dal Sen. Pellegrino) colpisce la evidente distrazione e in alcuni casi volontà di settori delle Istituzioni, di non fare piena luce sulle vicende di stragismo.

Noi non vogliamo dimenticare che invece dietro a questi orrori c’è stato un disegno preciso, volto a generare terrore, a condizionare la libera determinazione dei cittadini nell’esprimere la loro volontà politica, usando il sangue invece del confronto politico.

Non vogliamo dimenticare che la Giustizia alla fine ha condannato i Familiari delle Vittime al pagamento delle spese processuali, permettendo che personaggi implicati in vicende di tale gravità, facciano ancora parte della vita politica del paese.

Non vogliamo dimenticare che le Autorità territoriali non ci sono state vicine per mantenere la “Memoria Storica” di questa vicenda, testimoniando che solo attraverso la consapevolezza la cultura civile può contrastare la reiterazione di tali strategie che, purtroppo, oggi ritornano a turbare la vita del nostro Paese.

Non vogliamo dimenticare che solamente facendo luce su questa ed altre stragi, altri innocenti forse saranno risparmiati e che il silenzio della morte risuonerà di voci di Verità e di Giustizia.

***

La Costituzione della Associazione è avvenuta nel 1985. Come riportato nello statuto, essa non ha scopo di lucro e “si prefigge di ottenere con tutte le iniziative possibili la giustizia dovuta, nonchè l’integrale risarcimento dei danni morali e materiali subiti”. Mira inoltre alla “formazione di una coscienza collettiva”.

[…]

SEDE:

Associazione Feriti e Familiari delle Vittime della Strage sul Treno 904 del 23 Dicembre 1984 – C/o Calabrò Via Lepanto 29 80125 Napoli

 

 

Articolo del 23 Dicembre 2009 da  dammil5.blogspot.com
PROMEMORIA 23 dicembre 1984 Italia, San Benedetto Val di Sambro: il rapido 904 Napoli viene devastato dall’esplosione di una bomba.

Italia, San Benedetto Val di Sambro: il rapido 904 Napoli – Milano, un treno carico di passeggeri, in gran parte in viaggio per le vacanze natalizie, viene devastato dall’esplosione di una bomba. Al termine dei soccorsi si conteranno 15 morti e più di 100 feriti. L’attentato segna l’ingresso della mafia nel teatro dello stragismo di stato.
La Strage del Rapido 904, o Strage di Natale, è il nome attribuito ad un attentato dinamitardo avvenuto il 23 dicembre 1984 presso la galleria di San Benedetto Val di Sambro, ai danni del treno rapido n.904 proveniente da Napoli e diretto a Milano.
L’attentato è avvenuto nei pressi del punto in cui poco più di dieci anni prima era avvenuta la Strage dell’Italicus: come quest’ultima e la strage della stazione di Bologna, l’attentato al treno 904 è da inserirsi nel panorama della strategia della tensione.
Questo attentato è di fatto l’ultima azione sanguinaria del periodo dell’eversione nera, ma per le modalità organizzative ed esecutive, e per i personaggi coinvolti, è stato indicato dalla Commissione Parlamentare sul Terrorismo come il punto di collegamento tra gli anni di piombo e l’epoca della guerra di Mafia dei primi anni novanta del XX secolo.

L’attentato
L’attentato venne compiuto domenica 23 dicembre 1984, nel fine settimana precedente le feste natalizie. Il treno era pieno di viaggiatori che ritornavano a casa o andavano in visita a parenti per le festività.
Il treno intorno alle 19.08 fu colpito da un’esplosione violentissima mentre percorreva la direttissima in direzione nord, a circa 8 chilometri all’interno del tunnel della Grande Galleria dell’Appennino (18 km), in località Vernio, dove la ferrovia procede diritta e la velocità supera i 150 km/h. La detonazione fu causata da una carica di esplosivo radiocomandata, posta su una griglia portabagagli del corridoio della 9ª carrozza di II classe, a centro convoglio: l’ordigno era stato collocato sul treno durante la sosta alla Stazione di Firenze Santa Maria Novella.
Al contrario del caso dell’Italicus, questa volta gli attentatori attesero che il veicolo penetrasse nel tunnel, per massimizzare l’effetto della detonazione: lo scoppio, avvenuto a quasi metà della galleria, provocò un violento spostamento d’aria che frantumò tutti i finestrini e le porte. L’esplosione causò 15 morti e 267 feriti. In seguito, i morti sarebbero saliti a 17 per le conseguenze dei traumi.
Venne attivato il freno di emergenza, e il treno si fermò a circa 8 chilometri dall’ingresso sud e 10 da quello nord. I passeggeri erano spaventati, e a questo si affiancava il freddo dell’inverno appenninico. Il controllore Gian Claudio Bianconcini, al suo ultimo viaggio in servizio, chiamò i soccorsi da un telefono di servizio presente in galleria e sopravvisse all’esplosione.

I soccorsi
Bianconcini, sebbene anch’egli ferito da alcune schegge nella nuca, organizzò anche i primi soccorsi con l’aiuto di altri passeggeri, nonostante il freddo e il buio, dato che i neon di emergenza della galleria, isolata elettricamente, avevano poca autonomia.
I soccorsi ebbero difficoltà ad arrivare, dato che l’esplosione aveva danneggiato la linea elettrica e parte della tratta era isolata, inoltre il fumo dell’esplosione bloccava l’accesso dall’ingresso sud dove si erano concentrati inizialmente i soccorsi, per cui ci impiegarono oltre un’ora e mezza. I primi veicoli di servizio arrivarono tra le venti e trenta e le ventuno: non sapevano cosa fosse successo, non avevano un contatto radio con il veicolo fermo e non disponevano di un ponte radio con le centrali operative periferiche o quella di Bologna. I soccorsi una volta sul posto parlarono di un “fortissimo odore di polvere da sparo”.
Venne impiegata una locomotiva diesel-elettrica, guidata a vista nel tunnel, che fu per prima cosa usata per agganciare le carrozze di testa rimaste intatte, su cui furono caricati i feriti. Un solo dottore era stato assegnato alla spedizione.
Con l’aiuto della macchina di soccorso i feriti vennero portati alla stazione di San Benedetto Val di Sambro, seguiti subito dopo dagli altri passeggeri. L’uso della motrice diesel però rese l’aria del tunnel irrespirabile, per cui servirono bombole di ossigeno per i passeggeri in attesa di soccorsi.
Uno dei feriti, una donna, venne trovata in stato di choc in una nicchia della galleria, e fu portata a braccia fino alla stazione di Ca’ di Landino.
Arrivati alla stazione di San Benedetto, ai feriti vennero offerte le prime cure, e quelli più gravi furono portati a Bologna da una quindicina di ambulanze predisposte per il compito, che viaggiavano scortate da polizia e carabinieri. Le cure ai feriti leggeri durarono fino alle cinque di mattina.
Venne allestito rapidamente un ponte radio, e la Società Autostrade fece in modo di mettere a disposizione un casello riservato al servizio di emergenza. I feriti vennero portati all’Ospedale Maggiore di Bologna, facendosi largo nel traffico cittadino grazie ad una razionalizzazione delle vie di accesso studiata proprio per i casi di emergenza. Per ultimi furono trasportati i morti: fortunatamente la neve cominciò a cadere solo durante questa ultima fase.
Il piano di emergenza era frutto delle misure predisposte dopo la Strage del 2 agosto 1980, e questa operazione fu la prima sperimentazione del sistema centralizzato di gestione emergenze costituito a Bologna.
Nonostante le condizioni ambientali estremamente avverse, l’opera di soccorso e l’operato dei soccorritori furono ammirevoli per l’efficienza dimostrata, tanto che poco dopo il servizio centralizzato di Bologna Soccorso sarebbe diventato il primo nucleo attivo del servizio di emergenza 118.
Alla grande abilità ed organizzazione delle forze dell’ordine e dei soccorritori si aggiunse anche una certa fortuna: cominciò a nevicare solo dopo la conclusione delle operazioni di trasporto, e il vento soffiò i fumi dell’esplosione verso sud, rendendo possibile l’accesso dal lato bolognese da cui arrivavano i soccorsi. Le attrezzature dei vigili del fuoco prevedevano solo bombole con mezz’ora di autonomia, che altrimenti sarebbero state insufficienti.

Elenco delle vittime (età in anni)
Giovanbattista Altobelli (51)
Anna Maria Brandi (26)
Angela Calvanese in De Simone (33)
Anna De Simone (9)
Giovanni De Simone (4)
Nicola De Simone (40)
Susanna Cavalli (22)
Lucia Cerrato (66)
Pier Francesco Leoni (23)
Luisella Matarazzo (25)
Carmine Moccia (30)
Valeria Moratello (22)
Maria Luigia Morini (45)
Federica Taglialatela (12)
Abramo Vastarella (29)
Gioacchino Taglialatela (50 successivamente)
Giovanni Calabrò (67 successivamente)

Le indagini
Venne predisposta una perizia chimico-balistica da parte della Procura della Repubblica di Bologna, per capire le dinamiche dell’esplosione e il materiale utilizzato.
Emerse che un testimone aveva visto una persona sistemare due borsoni in quel punto presso la stazione di Firenze, per cui l’inchiesta fu trasmessa alla Procura della Repubblica di Firenze.
Nel marzo 1985 a Roma vennero arrestati per altri reati (traffico di stupefacenti e altro) Guido Cercola e il pregiudicato Giuseppe Calò, detto “Pippo”, noto per aver avuto rapporti con la mafia.
L’11 maggio seguente venne identificato il covo dei due arrestati. in un edificio rustico presso Poggio San Lorenzo di Rieti: nella perquisizione venne rinvenuta una valigia, nascosta in cantina, che conteneva due valigette più piccole. Queste contenevano a loro volta un apparato ricetrasmittente, delle batterie, alcuni apparecchi radio, antenne, cavi, armi ed esplosivi.
Le perizie condotte prima a Roma e poi a Firenze dimostrarono come quel tipo di materiale fosse compatibile con quello usato nell’attentato al treno: anche l’esplosivo era del medesimo tipo, con la stessa composizione chimica.
Il 9 gennaio 1986 il Pubblico Ministero Pierluigi Vigna imputa formalmente la strage a Calò e a Cercola: sarebbe stata compiuta
« …con lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato »
Emersero dei rapporti tra Cercola e un tedesco, Friedrich Schaudinn, che sarebbe stato incaricato di produrre alcuni dispositivi elettronici da usarsi per attentati. Questi vennero trovati in casa di Pippo Calò.
Vennero a galla diverse linee di collegamento tra Calò, mafia, camorra napoletana, gli ambienti del terrorismo eversivo neofascista, la Loggia P2 e persino con la Banda della Magliana: questi rapporti vennero esplicitati da diversi personaggi vicini a questi ambienti, tra cui Cristiano e Valerio Fioravanti, Massimo Carminati e Walter Sordi. Le deposizioni che spiegavano i legami tra questi tre ambienti della criminalità emersero al maxiprocesso dell’8 novembre 1985, di fronte al giudice istruttore Giovanni Falcone.
La Corte di Assise di Firenze il 25 febbraio 1989, comminò la pena dell’ergastolo per Pippo Calò, per Cercola e per altri personaggi legati ai due (Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi e Giuseppe Misso, boss della Camorra detto Il Boss del Rione Sanità), con l’accusa di strage. Inoltre, decretò 28 anni di detenzione per Franco Di Agostino e 25 per Schaudinn, più una serie di altre pene a altri personaggi emersi dall’inchiesta, per il reato di banda armata.
Il secondo grado venne celebrato dalla Corte di Assise di Appello di Firenze, con sentenza emessa il 15 marzo 1990 da una commissione presieduta dal giudice Giulio Catelani. Le condanne all’ergastolo per Calò e Cercola vennero confermate, e anche Di Agostino si vide la pena commutata in ergastolo. Misso, Pirozzi e Galeota vennero invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo. Il tedesco Schaudinn venne invece assolto dal reato di banda armata, ma rimase incolpato della strage e condannato a 22 anni.
Il 5 marzo 1991 la 1a sezione della Corte di Cassazione presieduta dal discusso giudice Corrado Carnevale annullò la sentenza di appello. Il sostituto Procuratore generale Antonino Scopelliti era contrario e mise in guardia i giudici dal far prevalere l’ impunità del crimine.
Carnevale rinviò comunque di nuovo a giudizio gli imputati presso un’altra sezione della Corte d’Assise di Firenze. Quest’ultima il 14 marzo 1992 confermò gli ergastoli per Calò e Cercola, condannò Di Agostino a 24 anni e Schaudinn a 22. In compenso, Misso si vide la condanna commutata a tre soli anni per detenzione di esplosivo, mentre le condanne di Galeota e Pirozzi vennero ridotte a un anno e sei mesi: tutti e tre vennero assolti dai reati di strage.
Quello stesso giorno, Galeota e Pirozzi, insieme alla moglie Rita Casolaro ed alla moglie di Giuseppe Misso, Assunta Sarno, stavano ritornando a Napoli quando, durante il viaggio, incorsero in un agguato: la loro auto fu speronata e mandata fuori strada da alcuni killer della camorra che li seguivano sull’autostrada A1, all’altezza del casello di Afragola/Acerra, alle porte di Napoli. Le armi da fuoco dei killer lasciarono sul terreno Galeota e la Sarno, quest’ultima addirittura con un colpo di pistola in bocca. Soltanto Giulio Pirozzi e sua moglie riuscirono miracolosamente a uscire vivi da quella che fu una vera e propria esecuzione di camorra, anche grazie al sopraggiungere di un’auto della polizia stradale dal senso inverso di marcia, che così impedì ai killer di completare il lavoro, e gli assassini si dileguarono. Pirozzi, benché ferito gravemente, si salvò anche perché si era finto morto nel corso della sparatoria.
La 5a sezione penale della Cassazione il 24 novembre 1992 confermò la sentenza, riconoscendo la “matrice terroristica mafiosa”.
Il 18 febbraio 1994 la Corte di Assise di Appello di Firenze concluse il giudizio anche per il parlamentare dell’MSI Massimo Abbatangelo, la cui posizione era stata stralciata dal processo principale. Abbatangelo fu assolto dal reato di strage, ma venne condannato a sei anni di reclusione per aver consegnato dell’esplosivo a Giuseppe Misso, nella primavera del 1984.
Le famiglie delle vittime fecero ricorso in Cassazione contro quest’ultima sentenza, ma persero e dovettero rifondere le spese processuali.
Guido Cercola si è suicidato in carcere a Sulmona il 3 gennaio 2005, soffocandosi con dei lacci di scarpe. Rinvenuto agonizzante in cella, morì durante il trasporto in ospedale.

A questo indirizzo una galleria fotografica:

http://www.fotoviva.org/archivio/displayimage.php?album=8&pos=20

 

 

Stragi italiane – “Il rapido 904”   

di Eliana Iuorio
In pochi a ricordare, in pochi a parlarne ancora.
La strage di Natale del 1984, avvenuta sul rapido 904 da Napoli a Milano, dove persero la vita 15 persone (salite a 17, dopo l’attentato) e riportarono gravissime ferite nel corpo e nell’anima ben 267 tra uomini, donne e bambini, segna, per la Commissione Stragi, l’inizio delle stragi di mafia culminate negli anni ’90.
Enza Napoletano, Donna coraggiosa e forte, che in quello scompartimento stava trovando la morte insieme ai suoi due bambini, racconta, ai nostri microfoni dell’attentato e della vita, tornata dopo il sangue e le ferite. Quelle che ancora oggi, è difficile cancellare.

 

 

 

 

Rapido 904. Una Strage al buio

Diario Civile con un’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti

Di Alessandro Chiappetta, regia di Agostino Pozzi

Sono passati 31 anni dal dicembre del 1984, che per l’Italia non fu un Natale di festa. Il 23 dicembre, infatti, una bomba piazzata sul Rapido 904, aveva ucciso 15 persone (che nel tempo sarebbero diventate 16) e ne aveva ferite 267.

Un eccidio che sconvolse il paese, appena uscito da quindici anni violenze e angoscia provocate dal terrorismo politico di destra e sinistra. E al terrorismo si pensò subito nelle indagini iniziali, prima di capire che dietro la strage c’era un’alleanza tra mafia, camorra ed eversione di destra, come hanno poi dimostrato i processi degli anni successivi. L’obiettivo era distrarre l’opinione pubblica e spostare l’attenzione delle forze investigative dalla Sicilia, dove le inchieste di Falcone e Borsellino stavano segnando colpi importanti contro Cosa Nostra.

A distanza di tanti anni, le vittime della strage del Rapido 904 sono ancora segnate da quella esperienza, nel corpo e nello spirito. Alcune di loro ricostruiscono gli attimi dell’esplosione, la paura e la sofferenza di quei momenti, vissuti anche attraverso le immagini della Rai che ripresero l’arrivo di morti e feriti alla stazione di San Benedetto val di Sambro.

 

 

 

 

Articolo del 23 Dicembre 2013 da ilsole24ore.com   
XXIX anniversario della strage del rapido 904, si ricordano le 17 vittime

di Deborah Dirani

Le valigie piene di regali, incastrate sopra la testa, i panini e il tè caldo spillato dai thermos. Sono da poco passate le 7 di sera e il viaggio per Milano è ancora lungo, attesa e languore del Natale che sta per arrivare e con lui i parenti che non si vedono da tanto, forse da un anno. Il rapido 904 corre nella Grande Galleria dell’Appennino, 18 chilometri di buio angusto tra le pareti di roccia. Nessuna via di fuga, quando si passa da lì si spera sempre che vada tutto bene, diversamente sarebbe una strage. E strage è infatti: alle 19.08 del 23 dicembre 1984 tra le tante valigie con regali di vita ce ne sono due, appoggiate da qualcuno tra i bagagli della carrozza 9 alla stazione di Firenze, che portano dentro la morte. Sono le 19.08, il rapido 904 è all’ottavo chilometro della galleria quando un boato d’inferno lo schianta. E’ un attentato, si capirà immediatamente, nessun deragliamento, nessun errore umano è la causa della morte di 17 persone (15 sul colpo e 2 per le ferite riportate). L’Italia sta mettendo fuori la testa dagli anni di Piombo, Bologna è vicina e con lei il ricordo del 2 agosto. Ma questa volta non c’entrano i Nar, non c’entra lo stragismo politico, non c’entrano rosso e nero.

C’entra solo la Mafia “con lo scopo pratico di distogliere l’attenzione degli apparati istituzionali dalla lotta alle centrali emergenti della criminalità organizzata che in quel tempo subiva la decisiva offensiva di polizia e magistratura per rilanciare l’immagine del terrorismo come l’unico, reale nemico contro il quale occorreva accentrare ogni impegno di lotta dello Stato”, spiegherà il Pubblico Ministero Luigi Vigna durante la sua requisitoria il 9 gennaio 1986. Sul banco degli imputati, accusati di avere organizzato la strage, sono Guido Cercola e Pippo Calò, due pregiudicati affiliati alla Mafia, arrestati durante un’operazione antidroga a Roma a marzo del 1985. Un arresto fortunato perché dalle indagini condotte sui due e dalle perquisizioni del loro covo, a Rieti, si scopre che gli autori dell’attentato del rapido 904 sono proprio loro. Tra sentenze di primo, secondo e terzo grado il processo andrà avanti per anni, per la cronaca, va ricordato che ad annullare la sentenza d’Appello, che condannava all’ergastolo i due e a parecchi anni di reclusione altri complici, tra cui il boss del Rione Sanità Giuseppe Misso, fu il giudice Giuseppe Carnevale, passato alla storia col poco lusinghiero soprannome di ‘ammazza sentenze’ e accusato, ma infine prosciolto, di concorso esterno in associazione mafiosa. Misso e la moglie, incidentalità della sorte, furono ammazzati in un agguato proprio lo stesso giorno della sentenza di Carnevale.

L’ultimo atto della Cassazione, giunto nel 1992, confermò tutte le condanne, e nel 2011 la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli emise un’ordinanza di custodia cautelare per Totò Riina, riconosciuto dai magistrati napoletani come il mandante della strage.

 

Articolo del 13 Maggio 2014 da  rainews.it      
Strage rapido 904: Riina rinviato a giudizio come mandante

Il capo di Cosa Nostra, Totò Riina, è stato rinviato a giudizio come mandante della strage del Rapido 904 avvenuta il 23 dicembre 1984. Il processo inizierà a Firenze il 25 novembre 2014

Il gup di Firenze ha rinviato a giudizio il boss di Cosa nostra Totò Riina per la strage del rapido 904, con l’accusa di essere il mandante dell’attentato che il 23 dicembre 1984 costò la vita a 16 passeggeri e dove rimasero ferite 269 persone. Il processo si aprirà il 25 novembre 2014.

“Riina sta facendo il parafulmine d’Italia di tutto quello che si può immaginare – ha affermato Luca Cianferoni, avvocato del boss – credo che la giustizia dovrebbe andare a fondo anche a distanza di tanti anni su fatti così gravi, nel rispetto soprattutto delle vittime, ma anche chiedersi, prima di andare dietro alle parole di un pentito che parla dopo tanti anni, se non ci sia un interesse personale”.

“Il punto dirimente è questo – ha continuato Cianferoni – siamo qui, trent’anni dopo questo gravissimo fatto, con sentenze ormai storiche nelle quali non si era mai parlato di Riina, e Giovanni Brusca, pochi anni fa, nella concomitanza di suoi problemi con la giustizia, ha tirato fuori dal cappello questa novità”.

Difesa Riina: “Esplosivo usato è generico”
“Dire che questo esplosivo – ha sottolineato il legale del capo di Cosa Nostra a proposito del materiale usato per la strage del 23 dicembre 1984 – è simile a quello utilizzato nell’attentato a Paolo Borsellino, è qualcosa di molto generico, perché non parliamo di un esplosivo introvabile,  purtroppo ce ne sono tonnellate in tutto il mondo”.

Avvocato del Boss: “Totò Riina non sta bene”
Ai giornalisti che gli chiedevano notizie sullo stato di salute del suo assistito, Cianferoni ha risposto, prima dell’udienza, che “Totò Riina non sta bene. La linea è quella della riservatezza, e intendo mantenerla anche adesso. Ma posso assicurare che di salute non sta affatto bene”.

Udienza preliminare nell’aula bunker di Firenze
L’udienza preliminare è iniziata questa mattina nell’aula bunker di Firenze davanti al gup del Tribunale, Francesco Bagnai. Riina ha partecipato all’udienza in videocollegamento dal carcere milanese di Opera, dove si trova sottoposto alla misura dell’articolo 41 bis.

Accusa nei confronti di Riina
Salvatore Riina è accusato, in concorso, quale “mandante, determinatore e istigatore della strage da lui programmata e decisa con l’impiego di materiale esplosivo appartenente all’organizzazione ed utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi degli anni ’90”. All’udienza la pubblica accusa è stata rappresentata dal pm della Procura fiorentina, Angela Pietroiusti. Sono stati presenti all’udienza anche gli avvocati delle parti civili. Le indagini, che hanno portato alle accuse nei confronti di Riina, si sono riaperte nel 2010 con le testimonianze di alcuni pentiti di camorra raccolte dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. Successivamente anche il pentito di Cosa nostra Giovanni Brusca ha confermato il ruolo di mandante di Riina nella strage del rapido 904.

Già condannati per la ‘strage di Natale’
Per la ‘strage di Natale’, sulla linea ferroviaria Firenze-Bologna, in passato sono già stati condannati il mafioso Pippo Calò, i suoi aiutanti Guido Cercola e Franco Di Agostino e l’artificiere tedesco Friedrich Schaudinn.

 

 

Articolo del 24 novembre 2014 da ilmattino.it   
Strage treno Milano-Napoli, Riina a processo: «È lui il mandante»

Totò Riina torna sul banco degli imputati per un nuovo processo. Domani, martedì 25 novembre, nell’aula bunker di Firenze, inizia davanti alla Corte d’Assise il dibattimento per la strage del treno rapido 904 Napoli-Milano del 23 dicembre 1984, dove il boss dei boss di Cosa Nostra compare come unico imputato.
L’accusa. Riina è accusato di essere il mandante, il determinatore e l’istigatore dell’attentato che costò la vita a 16 passeggeri e dove rimasero ferite 267 persone.

Gli altri criminali. Per la strage del rapido 904 sono stati già condannati in concorso, in via definitiva, i boss Giuseppe Calò, Guido Cercola, Franco Di Agostino e l’artificiere Friedrich Schaudinn. Durante l’udienza preliminare che si è svolta il 13 maggio scorso davanti al Tribunale di Firenze, conclusa con il rinvio a giudizio di Riina, che era in videocollegamento dal carcere di Parma, si sono costituite come parti civili la Presidenza del Consiglio dei ministri, il ministero dell’Interno, la Regione Toscana, l’associazione dei famigliari delle vittime della strage del rapido 904 e anche alcuni singoli famigliari.

Riina, il mandante. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Firenze, che ha condotte le indagini, Riina è da considerare il mandante della strage di trent’anni fa «nella qualità di capo indiscusso» di Cosa Nostra. La strage fu programmata e decisa da Riina, secondo la Procura, «con l’impiego di materiale (esplosivo e congegni elettronici)» appartenente all’organizzazione criminale e poi utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi mafiose del 1992 e 1993.

Cronaca di una strage. La strage terroristica del 23 dicembre 1984, con una bomba fatta scoppiare alle ore 19.08 all’interno della grande galleria dell’Appenino tosco-emiliano a San Benedetto Val di Sambro, fu commessa, secondo l’atto di accusa della Procura di Firenze, «al fine di agevolare od occultare» l’attività di Cosa Nostra per mantenere ed assicurare «l’impunità degli affiliati e garantendo la sopravvivenza della stessa organizzazione». Secondo l’inchiesta, la strage del rapido 904 fu ordinata da Riina come risposta al maxi processo istruito dall’allora giudice Giovanni Falcone che pochi mesi prima aveva disposto 366 mandati di cattura contro boss e affiliati di Cosa nostra.

Le testimonianze. Oltre alle testimonianze di pentiti di camorra e dell’ex capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato (Palermo), Giovanni Brusca, tra le prove a carico di Riina ci sono i materiali esplosivi e i congegni elettronici utilizzati per la strage terroristica, che sarebbero stati prelevati dallo stesso deposito utilizzato poi per le successive stragi mafiose dei primi anni Novanta, compresa la strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992 in cui fu ucciso il giudice Paolo Borsellino.

Le indagini. Secondo le indagini, prima condotte dalla Dda di Napoli e poi trasferite a Firenze per competenza territoriale, l’esplosivo (tra cui tritolo e dinamite) sarebbe stato prelevato da un deposito in contrada Giambascio a San Giuseppe Jato, controllato da Giovanni Brusca. A ‘incastrarè Riina, oltre alle dichiarazioni rese da Giovanni Brusca, ci sono le testimonianze concordanti di numerosi pentiti, tra i quali Luigi Giuliano, Guglielmo Giuliano, Salvatore Stolder, Francesco Franzese, Gioacchino La Barbera, Leonardo Messina, Antonino Giuffrè, Giovanbattista Ferrante e Salvatore Giuliano, oltre alle indagini e agli accertamenti condotti dal Ros dei carabinieri di Napoli.

Le perizie. Agli atti del processo è allegata anche una consulenza con analisi comparativa dei diversi reperti rinvenuti e sequestrati nell’ambito delle indagini sull’attentato al rapido 904 e l’esplosivo rinvenuto a Poggio San Lorenzo e quello in occasione del maxi sequestro di contrada Giambascio di San Giuseppe Jato e altri «analoghi episodi di analoga matrice avvenuti tra la fine degli anni ’80 e fino alla prima metà degli anni ’90».

 

Articolo del 25 Novembre 2014 da firenze.repubblica.it      
Strage del rapido 904, Riina a processo: Minniti ammesso come teste

Nell’attentato del 23 dicembre 1984 ci furono 17 morti e 267 feriti. Via libera della Corte d’Assise di Firenze per le testimonianze del sottosegretario con delega all’intelligence e del direttore del Dis

di FRANCA SELVATICI

“Il boato. Lo sferragliare del treno. Poi un silenzio di tomba. Persi conoscenza, quando mi ripresi non potevo muovermi e oltre che dal dolore fui sopraffatto dal terrore di non avere più gli arti. Non li sentivo più, avevo paura di toccarmi e di non trovare le gambe”. Trenta anni fa, il 23 dicembre 1984, Antonio Ceraldo, maestro di scuola ora in pensione, era sul rapido 904 Napoli Milano quando il treno, appena imboccata la Grande Galleria dell’Appennino, fu squassato da un’esplosione causata da un ordigno piazzato su un portabagagli del corridoio della nona carrozza di seconda classe, piena di viaggiatori che stavano andando a trascorrere il Natale con le famiglie emigrate al Nord.

Questa mattina Ceraldo era nell’aula bunker di Firenze, a costituirsi parte civile contro Salvatore Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra, che oggi, sulla scorta delle dichiarazioni di alcuni pentiti, fra cui Giovanni Brusca, e delle perizie sugli esplosivi, è accusato di essere stato il “mandante, determinatore e istigatore della strage da lui programmata e decisa con l’impiego di materiale (esplosivo e congegni elettronici) appartenenti all’organizzazione ed utilizzato poi, in parte, anche nelle successive stragi degli anni Novanta”. Per l’attentato, che causò la morte di 16 persone, fra cui tre bambini, e il ferimento di altri 267 viaggiatori, sono già stati condannati, con sentenza divenuta definitiva nel 1992, l’ex capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova Pippo Calò — il “cassiere” di Cosa Nostra per conto della quale ha riciclato immense somme di denaro —i suoi collaboratori Guido Cercola (suicida in carcere nel 2005) e Franco Di Agostino e Friedrich Schaudinn, esperto di elettronica e artefice del congegno che fece esplodere la bomba mentre il treno correva in galleria.
Antonio Ceraldo è stato presidente della Associazione dei familiari delle vittime. Ricorda l’orrore di quei momenti, l’imbottitura dei sedili di gommapiuma polverizzata, lamiere contorte ovunque, e i lamenti dei feriti e le grida di aiuto e la voce disperata della signora Rosaria Gallinaro che chiamava sua figlia Federica di 12 anni, che non rispondeva perché l’esplosione l’aveva uccisa. Ricorda, Antonio Ceraldo, il vento che soffiava da Nord e penetrava in galleria disperdendo i fumi. “E questa fu la nostra salvezza”.
Contro Riina si sono costituiti parte civile, oltre a molti sopravvissuti e parenti delle vittime, la Presidenza del Consiglio, la Regione Toscana e Libera. “E’ grave — osserva Ceraldo – che questa mattina non si siano costituiti parte civile né il Comune di Napoli né la Regione Campania. D’altra parte — ricorda — tutto quello che è stato fatto in Campania per ricordare è stato fatto solo grazie all’associazione”.
Quella sera del 23 dicembre 1984 Patrizia Rummo aspettava a Monza il marito Abramo Vastarella: “Avevo 24 anni, lui 29. Faceva il carpentiere. Stava tornando a casa e portava i giocattoli per i nostri tre bambini Daniela, Marco e Davide. Davide aveva appena sei mesi”. Ora è accanto a lei. “Sentii la notizia dell’attentato alla tv. Poi un mio parente, che era andato in stazione ad aspettare Abramo, mi disse che il treno non sarebbe arrivato. Ci mettemmo in macchina per andare a Bologna a cercare mio marito negli ospedali. Ma non c’era. E quando mi dissero che avrei dovuto riconoscere il corpo mi imbottii di sedativi”.
Dal processo si attende che “venga aggiunta giustizia”. A sostenere l’accusa è il pm antimafia Angela Pietroiusti, al fianco della quale stamani si è seduto il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. La corte di assise è presieduta da Ettore Nicotra. Al suo fianco il collega Raffaele d’Isa e nove giudici popolari, di cui otto donne.

La Corte d’assise di Firenze ha ammesso le testimonianze del sottosegretario con delega all’intelligence, Marco Minniti, e del direttore del Dis, Giampiero Massolo. E’ stata la difesa del boss a chiedere che i due testimoni siano ascoltati in aula. Il pm di Firenze Angela Pietroiusti si era opposta a tale richiesta.
Il presidente della corte Ettore Nicotra ha accolto le richieste della difesa di Riina perchè “non può ritenersi l’assoluta irrilevanza” delle testimonianze di Minniti e Massolo. I giudici hanno comunque spiegato che delimiteranno il tema delle due testimonianze per garantire “la pertinenza dell’esame ai fatti oggetto del processo.
Il pm si era opposto ritenendo che, sia riguardo Minniti sia riguardo Massolo nel fascicolo non ci sia “alcun elemento di prova circa la loro conoscenza dei fatti”. La loro testimonianza, aveva aggiunto, avrebbe “un contenuto meramente esplorativo, più che una prova sarebbe un’attività di indagine”, si tratterebbe “della cosiddetta
prova a sorpresa: verrebbe pregiudicato il diritto alla controprova”.
“Apriamo gli armadi dei servizi segreti”, ha detto il difensore di Totò Riina, Luca Cianferoni.  “La difesa di Riina – ha aggiunto Cianferoni – accoglie con soddisfazione questa apertura verso la ricerca della verità. L’anziano imputato, ormai gravemente malato, si è posto in aula senza riserve: tutti vorrebbero che parlasse, lo fa in aula tramite il suo avvocato”.

 

Articolo del 25 Novembre 2014 da corrieredelmezzogiorno.corriere.it     
Strage rapido 904, il sopravvissuto: «Grave che Napoli non sia parte civile»

Moglie vittima: «C’è molta rabbia, aspettiamo giustizia»
La Regione Campania: per noi solo un banale disguido

FIRENZE – «È grave che questa mattina non si siano costituiti parte civile il Comune di Napoli e la Regione Campania». Lo ha detto Antonio Ceraldo, ex presidente dell’associazione dei familiari delle vittime e feriti della strage del rapido 904, e uno dei 267 feriti che quella sera era sul treno partito da Napoli e diretto a Milano. «Fino ad oggi – ha spiegato al termine della prima udienza del processo a Firenze che vede imputato Totò Riina – tutto quello che è stato fatto in Campania per ricordare, è stato fatto solo e grazie all’associazione».

Antonio aveva 31 anni la sera del 23 dicembre 1984. Era sul rapido 904 e stava raggiungendo la famiglia, emigrata da Afragola a Modena negli anni Settanta. Era sotto la galleria San Benedetto Val di Sambro, quando all’improvviso ci fu l’esplosione: «Un boato e lo sferragliare del treno. Poi il silenzio – questo il primo ricordo di Antonio Ceraldo -. Poco a poco si sentivano i lamenti, i nomi, le persone che cercavano altre persone. I pianti. Io mi sono ritrovato intrappolato nel corridoio, non sentivo più il mio corpo, temevo di aver perso le gambe».

«Solo dopo diversi anni sono riuscito a prendere il treno. Ogni volta che passo sotto la galleria San Benedetto Val di Sambro è una sofferenza. Una ferita aperta, per cui dopo trent’anni spero ci possa essere la verità ». «Il processo di oggi può aggiungere giustizia, c’è molta rabbia – ha aggiunto Patrizia Rummo, moglie di una delle vittime, Abramo Vastanella -. Quando ci fu la strage, io avevo 24 anni, mio marito 29. Avevamo tre figli, il più piccolo oggi ha 30 anni. Quel giorno sentii la notizia alla tv. Quando mi dissero che avrei dovuto riconoscere il corpo di mio marito mi imbottii di sedativi».

Il governatore campano Stefano Caldoro aveva dato mandato all’Avvocatura regionale per presentare la richiesta di costituzione di parte civile al processo sulla strage del rapido 904, ed è stato «per un banale disguido» se l’Avvocatura non è riuscita a farlo. È quanto si apprende da fonti della Regione Campania, in relazione all’episodio. Stamane, a Firenze, l’ex presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, Antonio Ceraldo, aveva definito «grave» la mancata costituzione di parte civile da parte del Comune di Napoli e della Regione Campania. «Il presidente Caldoro aveva dato mandato agli uffici di procedere» ed adesso, si apprende a palazzo Santa Lucia, sta cercando di individuare le responsabilità dell’accaduto. Dalla Regione si sottolinea che «continua in ogni caso l’impegno della Giunta», anche attraverso la Fondazione Polis, al fianco dell’Associazione `Tra i familiari della strage´, con l’attuazione del protocollo d’intesa per la costruzione di un archivio della memoria ed il potenziamento degli strumenti di comunicazione per la collaborazione a distanza tra i familiari sparsi sull’intero territorio nazionale.

 

 

Articolo del  23 Dicembre 2014 da rainews.it

Trent’anni fa la strage del Rapido 904, passaggio dagli Anni di Piombo agli attentati di mafia

Il 23 dicembre 1984 una carica di esplosivo esplose nella galleria ferroviaria che attraversa l’Appennino, provocando 16 morti e 267 feriti. Commemorazioni a Napoli e San Benedetto Val di Sambro

23 dicembre 1984, ore 19.08: nella galleria ferroviaria tra Vernio e San Benedetto Val di Sambro si scatena l’inferno. Due valigie piene di esplosivo piazzate nel Rapido 904 partito da Napoli e diretto a Milano esplodono causando 16 morti e 267 feriti.  Sono passati 30 anni da quella strage. I sopravvissuti e i famigliari delle vittime non dimenticano quella tragedia.

Nel tunnel un inferno di fuoco
Il treno era pieno di viaggiatori diretti a casa per le festività natalizie. La bomba, un carico di esplosivo di peso stimato tra 12 e 16 chilogrammi, fu fatta esplodere con un radiocomando nel mezzo della galleria, nel cuore dell’Appennino. Il tunnel moltiplicò gli effetti della deflagrazione. Chi era a bordo si trovò al buio in un inferno di fuoco, grida e lamiere. Il luogo della strage è praticamente lo stesso dove, 10 anni prima, era stato compiuto l’attentato del treno Italicus.

Le condanne
Per l’attentato sono stati condannati con sentenza divenuta definitiva l’ex capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova Pippo Calò e i suoi collaboratori Guido Cercola (suicida in carcere nel 2005), Franco Di Agostino e Friedrich Schaundin. Più recentemente alcuni pentiti hanno accusato Totò Riina di essere il mandante dell’attentato.

L’avvio delle stragi di mafia
La strage del Rapido 904 è considerata il punto di passaggio dagli Anni di Piombo e dalla Strategia della tensione alle stragi di mafia. Sarebbe stata una prima risposta ai mandati di cattura relativi al Maxiprocesso a Cosa Nostra emessi nel settembre 1984 dai giudici Falcone e Borsellino. Il tipo di esplosivo utilizzato era lo stesso impiegato per la strage di Via d’Amelio, in cui nel 1992 persero la vita lo stesso Borsellino e cinque agenti della sua scorta.

Le commemorazioni
Per ricordare l’anniversario sono state organizzate diverse commemorazioni. Le principali sono state quelle di San Benedetto Val di Sambro, sul piazzale della stazione, e di Napoli, dove al binario 11 è presente una targa in memoria delle vittime.

Il messaggio di Napolitano
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato un messaggio a Rosaria Manzo, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime. “A trent’anni dall’orrenda strage sul rapido 904 Napoli-Milano – ha scritto Napolitano – il mio partecipe e commosso pensiero va alle sedici vittime innocenti ed ai tanti feriti. Trasmettere alle giovani generazioni il ricordo di un crimine così efferato e di tutti quelli che, con crudele violenza, hanno colpito il nostro Paese per destabilizzarne le istituzioni è un dovere della comunità nazionale per scongiurare ogni rischio di rimozione e per riaffermare i valori di democrazia e di giustizia, che sono a fondamento del nostro patto costituzionale e garanzia irrinunciabile di crescita civile e sociale”.

 

 

Articolo del 27 Gennaio 2015 da antimafiaduemila.com
Fonte ANSA

Rapido 904, pentito Messina: “Cosa Nostra dietro Falange Armata”

Firenze. “Ho sempre saputo che la Falange Armata rivendicava gli attentati, ma che era Cosa Nostra che li faceva”. Così il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, sentito al processo di Firenze sulla strage del Rapido 904, svela la vera natura dell’oscura organizzazione terroristica italiana di estrema destra.  “Mi è stato riferito che il treno 904 fu fatto saltare da Falange Armata – continua ha raccontare il pentito rispondendo alla domande del pubblico ministero sulla reale esistenza di Falange Armata – dietro la Falange Armata c’era Cosa Nostra…loro (gli altri boss mafiosi, ndr) mi hanno detto che era espressione di Cosa Nostra”.
Per la strage del treno Rapido 904 diretto da Napoli a Milano, che il 23 dicembre 1984 provocò 17 morti e 267 feriti sono stati condannati definitivamente nel 1992 i boss mafiosi Pippo Calo’, Guido Cercola e Franco Di Agostino e l’artificiere tedesco Friedrich Schaudinn.

Al processo unico imputato è il boss Salvatore Riina, accusato di aver ordinato la strage, aprendo così il periodo delle stragi in Sicilia e in Continente che si susseguirono fino al 1993.
“Nessuno poteva ordinare un omicidio o una strage senza l’ordine della commissione” provinciale, ha infatti spiegato Messina “ci sono regole precise e il mandamento deve valutare se uno deve morire oppure no. Per una strage così serve l’ordine della commissione”.
In quell’epoca, durante la guerra di mafia degli anni ’80 prevalsero i Corleonesi, e Messina aveva detto in precedenza che “nel 1984 la commissione di Palermo era governata da Michele Greco, ma loro (gli altri mafiosi, ndr) dicevano che il capo era Totò Riina”.
Leonardo Messina, rispondendo al presidente della Corte D’Assise, ha spiegato che fare questa strage “fu una dimostrazione di forza” in quanto la strage “era un segnale che Cosa Nostra voleva dare agli amici politici, e un segnale che voleva dare all’interno dell’organizzazione perché loro non avevano più l’egemonia, la stavano perdendo”.

“Ci sono sempre stati rapporti tra noi della mafia e uomini dello Stato” ha poi proseguito Messina, “per esempio mi ricordo che negli anni ’80 ci fu il caso delle 23 mitragliette rubate alla questura di Varese. Venne da me, ed ero in un paesino, una donna, che noi sapevamo dei servizi segreti, a trattare per lo Stato. Ci venne detto che rivolevano queste armi, erano gli anni del terrorismo”. Il furto di mitragliette e anche di sei pistole dall’armeria della questura risale al 1987, poi le indagini attestarono che le armi dovevano andare alla mafia. Le mitragliette furono recuperate in Lombardia e in un processo furono condannate sei persone, fra cui un agente della questura lombarda”. “Inoltre dentro la mafia non potevano esserci i comunisti, eravamo anticomunisti”, ha aggiunto Messina, “il terrorismo da noi in Sicilia non poteva esserci ma nel resto d’Italia preoccupava”. In merito alla presenza in Lombardia di famiglie mafiose, Messina ha quindi detto che “una si trasferì a Busto Arsizio quando scoppiò la guerra tra famiglie a Gela (Caltanissetta). Per non stare a farsi ammazzare, si spostarono al Nord”.

L’udienza è poi andata avanti con il pentito Gaspare Mutolo: “Mi sono convinto che la mafia aveva a che fare con la strage del treno – ha raccontato – quando alcuni anni più tardi i mafiosi decisero di mettere una bomba in un’auto a Roma per tentare di uccidere un centinaio di poliziotti” allo stadio Olimpico. “La mafia era diventata di Totò Riina, con lui i Corleonesi persero la ragione umana”. Mutolo ha però precisato che le sue sono deduzioni. “Prima ero convinto che la mafia mai avrebbe fatto un attentato su un treno, ci potevano essere donne e bambini che la ‘vecchia’ mafia non toccava. Ma dopo le stragi del 1992-93 mi sono convinto del fatto che anche la strage del 1984 era stata voluta da Riina. Gli altri seguivano i suoi ordini perché avevano paura, prima o poi faceva uccidere chi lo contraddiceva” ha concluso.

 

 

Fonte:  cosavostra.it   Articolo del 16 dicembre 2017
La Strage del Rapido 904. Natale rosso sangue
di Francesco Trotta

Accadde il 23 dicembre del 1984 quando il Rapido 904, partito da Napoli direzione Milano, fu squarciato dall’esplosione di una bomba radiocomandata, piazzata su una griglia portabagagli mentre il treno era in sosta a Firenze.

Alle 19.08 della sera precedente alla Vigilia, all’altezza della galleria di San Benedetto Val di Sambro, vicino al punto in cui dieci anni prima si era consumata un’altra strage, quella dell’Italicus, si consumò un massacro di innocenti. Il treno era colmo di passeggeri che andavano a trovare i propri cari per le feste.

Natale rosso sangue. Quella del Rapido 904 è una strage poco raccontata e poco ricordata. Una delle tante che svegliarono un’Italia sempre pronta a riaddormentarsi presto. Per massimizzare i danni, gli attentatori attesero che il treno percorresse la galleria. Buio. All’improvviso la luce e il boato. Fiamme. Freddo che non aiutava chi cercava di darsi da fare.

Il macchinista ferito, Gian Claudio Bianconcini, chiamò i soccorsi da un telefono di servizio nella galleria, poi con i sopravvissuti si dette da fare. Spostare rottami, corpi maciullati, salvare chi veniva trovato. Mezzi che non arrivavano per via della linea elettrica guastata dall’esplosione. Prima si portarono via i feriti. Poi i morti. O meglio, quella che restava di loro.

Anna De Simone aveva nove anni quando fu uccisa. Suo fratello Giovanni quattro. Fu la vittima più giovane di questa tragedia. Nicola, il padre, morì, come pure la madre Angela. Sarebbe dovuta arrivare a Milano anche Federica che aveva dodici anni e lì avrebbe dovuto trovare il Natale. Il padre Gioacchino morì per i traumi, non subito ma poco dopo, non come la figlia il cui corpo uscì cadavere da quella galleria, a pezzi. Famiglie distrutte. Non numeri. Non entità astratte. Vite. Che pesano poco nei conti della Storia, quella con la S maiuscola. Ma che danno un senso al sentirsi umani. Sembrava uno scenario di guerra. In quel giorno di Natale, c’era chi aspettava la neve. E trovò il sangue.

Un crimine che, nonostante alcune condanne, sembra sempre impunito. Emersero nomi e legami. Mafiosi, camorristi e fascisti. E si capì che era proprio una guerra: Pippo Calò, il cassiere di Cosa Nostra; Guido Cercola e Franco Di Agostino, malavitosi legati allo stesso Calò. Ma bisogna partire dal contesto storico per trovare i nessi di questa strage.

L’Italia del 1984 vive una situazione politica incerta. La relazione di Tina Anselmi sulla Loggia P2 provoca le dimissioni del ministro Pietro Longo (Psdi), mentre iniziano le indagini sulla “Gladio” e il Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti denuncia una loro “gravissima degenerazione”. E infatti non passa molto tempo che scattano le manette per il generale Pietro Musumeci, accusato di depistaggio per la strage di Bologna, i colonnelli Giuseppe Belmonte e Secondo D’Eliseo e il faccendiere Francesco Pazienza. Ma il 1984 è soprattutto l’anno delle rivelazioni di Tommaso Buscetta.

Attraverso i processi celebrati e dalle relazioni della Commissione parlamentare d’inchiesta è emerso che l’ideazione e l’esecuzione della strage del Rapido 904 erano il frutto di un intreccio di interessi e legami convergenti. Nelle sentenze, infatti, si scrive che la strage fu organizzata dai vertici di Cosa Nostra per “allentare momentaneamente la morsa repressiva e investigativa” cui la mafia siciliana veniva sottoposta a seguito degli “effetti devastanti prodotti dalle rivelazioni” di alcuni collaboratori di giustizia, ai quali “gli inquirenti davano credito” emettendo “centinaia di provvedimenti restrittivi”. A seguito dell’attività della magistratura siciliana, Cosa Nostra rispose con una violenza indiscriminata simile a quella dello stragismo terroristico, e “in tal senso non fu priva di significato la scelta della galleria degli Appennini, in quanto luogo storicamente scelto dalla eversione di destra (secondo il comune sentire) per i suoi attentati”.

Non stupisce allora questa strategia criminale, che avrebbe avuto seguito anche un decennio dopo, con le bombe del 1993. Non stupisce nemmeno questo connubio di interessi criminali, con uomini legati alla Banda della Magliana e pure all’estrema destra, come Valerio e Cristiano Fioravanti, Walter Sordi e persino Massimo Carminati.

Ma alla giustizia pare importare poco delle vittime se le condanne di primo e secondo grado spariscono per magia grazie a certi giudici come Corrado Carnevale, con processi da rifare. Nel 1992 comunque si giunse a sentenza definitiva (grazie agli ammonimenti di Antonino Scopelliti); ma fu definitiva solo per alcuni degli uomini coinvolti nella strage. Nel 1994 la Corte di Assise di Firenze dispose il carcere anche per il parlamentare dell’MSI, Massimo Abbatangelo, che secondo gli inquirenti, aveva consegnato l’esplosivo, ma fu condannato a soli sei anni. Che vuoi che sia di fronte a una vita che non c’è più. Le famiglie delle vittime che fecero ricorso in Cassazione persero e dovettero pagare le spese processuali.

Nel 2011 Totò Riina fu rinviato a giudizio come unico mandante della strage. In primo grado fu assolto per insufficienza di prove. Poi la morte, quella di Riina, fa terminare in qualche modo un processo già beffato pure dalla pensione del giudice che seguiva il caso (un processo che sarebbe toccato iniziare da capo). Che vuoi che importi dei morti di trent’anni fa di cui spesso non ci si ricorda il nome? Natale rosso sangue e il Rapido 904 che neppure nella verità è arrivato mai a destinazione.

 

 

 

Leggere anche:

 

ilmattino.it/rubriche/criminapoli
Articolo del 17 dicembre 2021
Napoli, la strage del Rapido 904 e l’ambiguo ruolo del clan Misso
di Gigi Di Fiore

 

 

 

 

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