23 Settembre 1985 Vomero (NA). Ucciso Giancarlo Siani, cronista del “Mattino”, che aveva raccontato, con estrema cura e abilità, le guerre tra i clan camorristici.

Giancarlo Siani, 26 anni, giornalista del Mattino, fu assassinato dalla camorra il 23 settembre 1985 perché, attento e rigoroso nel suo lavoro, era deciso a conoscere fino in fondo il mondo della camorra e a portare alla luce ciò che di ignoto si nascondeva al suo interno e con i suoi articoli dava molto fastidio alle famiglie mafiose. Erano almeno in due gli assassini che gli spararono mentre era seduto nell’auto sotto casa, in Piazza Leonardo-Villa Majo nel quartiere Vomero di Napoli. Fu colpito 10 volte in testa da armi da fuoco 7.65mm.
Per chiarire i motivi che ne determinarono la morte e identificare mandanti ed esecutori materiali furono necessari 12 anni e le rivelazioni di tre pentiti.
Il 15 aprile del 1997 la seconda sezione della corte d’assise di Napoli ha condannato all’ergastolo i mandanti dell’omicidio (i fratelli Lorenzo, poi morto, e Angelo Nuvoletta, e Luigi Baccante detto Maurizio) e i suoi esecutori materiali (Ciro Cappuccio e Armando Del Core). In quella stessa condanna appare, come mandante, anche il boss Valentino Gionta. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che però dispose per Valentino Gionta il rinvio ad altra Corte di Assise di Appello: si è svolto un secondo processo di appello che il 29 settembre del 2003 l’ha di nuovo condannato all’ergastolo, mentre il giudizio definitivo della Cassazione lo ha definitivamente scagionato per non aver commesso il fatto. (Tratto da it.wikipedia.org)

 

 

 

“Siani, cronista vero” tratto da La bellezza e l’inferno di Roberto Saviano

Il 23 settembre 1985 venne ammazzato sotto casa sua, al Vomero, Giancarlo Siani, giovane cronista del “Mattino” che aveva raccontato, con estrema cura e abilità, le guerre tra i clan camorristici. Giancarlo Siani venne ucciso in una Napoli profondamente diversa da quella apparentemente pacificata di oggi, trecento morti ammazzati l’anno la rendevano una città in perenne guerra.

Il movente preciso del suo assassinio per molti rimane un mistero. Non convince la verità processuale, o almeno non convince tutti. Quell’articolo di quattromila battute firmato da Siani e pubblicato sul “Mattino” il 10 giugno del 1985 aveva generato grandi fastidi nel clan Nuvoletta. Il giovane cronista aveva osato insinuare che l’arresto di Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata, avvenuto a Marano, fosse il prezzo pagato dai Nuvoletta per evitare una insostenibile guerra di camorra con il clan di Bardellino. I Nuvoletta, decisi a disfarsi del loro scomodo affiliato Valentino Gionta che aveva invaso con i propri affari i territori di Bardellino, preferirono venderlo ai carabinieri piuttosto che ucciderlo. L’essere scoperti e denunciati come infami in un articolo sul “Mattino” infastidì il clan di Marano e per suo tramite anche il suo più potente alleato Totò Riina, capo della mafia vincente di Corleone. I Nuvoletta decretarono la morte di Siani per dimostrare al clan Gionta la menzogna della sua ipotesi (in realtà verissima).

Per molti altri osservatori invece quell’articolo non basta a spiegare la condanna a morte, ma pittosto bisogna dirigere l’attenzione verso le ricerche che Giancarlo siani stava facendo sulla ricostruzione del dopo terrremoto, il grande business degli appalti che aveva rimpinguato le tasche di dirigenti politici, imprenditori e soprattutto camorristi. Siani aveva raccolto materiale prezioso con nomi e situazioni per farne un libro che non vedrà mai la luce e le cui bozze non verranno mai ritrovate.

Il movente unico che accomuna le diverse ipotesi è però certo: Siani fu ucciso per quello che scriveva. Questo giovane corrispondente riusciva nei ristretti spazi che gli venivano concessi a ricostruire scenari di camorra, gli equilibri di potere, evitando di arenarsi sul mero dato di cronaca. Giancarlo Siani apriva nuove ipotesi di senso attraverso gli elementi che scovava sul campo o gli venivano forniti dai fatti. Il suo era un giornalismo fondato sull’analisi della camorra come fenomenologia di potere e non come un fenomeno criminale. In tal senso la congettura, l’ipotesi, divenivano nei suoi articoli strumenti per comprendere gli intrecci tra camorra, imprenditoria e politica.

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Giancarlo Siani fu ucciso a ventisei anni, in una serata ancora estiva di settembre, mentre tornava a casa pieno di vita con la sua Méhari da una giornata allegra. La sua giovane biografia, la foto di quel corpo smilzo e occhialuto piegato dai colpi di pistola mostrano quanto fragile fosse quel ragazzo le cui vere parole avevano fatto tremare i capi di potentissime organizzazioni. È proprio in nome della infinita forza della denuncia unita a una terribile fragilità della persona che bisognerà rintracciare le coordinate per far rinascere un nuovo giornalismo d’inchiesta diffuso ed efficace al punto da non costringere a un’eroica e solitaria battaglia i pochi ed inascoltati inviati di provincia.

 

 

 

Giancarlo Siani (He was My Brother)
Video dedicato al giornalista Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra a soli 26 anni.

La canzone in sottofondo è “He was my Brother” di Simon & Garfunkel, scritta da Paul Simon e dedicata ad Andrew Goodman.

In sua memoria è stato stato istituito il Premio Giancarlo Siani (vinto pochi anni fa dallo scrittore Roberto Saviano con il suo libro Gomorra)

 

 

 

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“La Storia Siamo Noi”:

Giancarlo Siani

La morte di Giancarlo Siani
Giancarlo Siani ha appena compiuto 26 anni, è un giornalista determinato a indagare sui crimini della camorra: il prezzo estremo della verità, cercata al di là di tutto, è la condanna a morte eseguita dal clan dei Nuvoletta a Napoli il 23 settembre 1985.

Rimane ancora un enigma la morte di Giancarlo Siani, giornalista precario che scriveva per il quotidiano napoletano “Il Mattino”. Siani aveva, con coraggio e determinazione, indagato sulla camorra, rischiando di persona e scoprendo sulla propria pelle il perverso intreccio fra camorra, politica e criminalità.

La sua potrebbe sembrare una storia come tante se non rimanessero, per l’appunto, dopo tanti anni interrogativi senza risposta collegati ai suoi ultimi giorni di vita.

Era la sera del 23 settembre del 1985 e, come spiega Daniela Limoncelli, collega di Siani: “era una serata normalissima al giornale, stavamo tentando di andare tutti insieme a vedere il concerto di Vasco Rossi e Giancarlo stava cercando invano di trovare i biglietti. Non essendoci riuscito, ritornò a casa”. Aggiunge Goffredo Buccini, giornalista: “Giancarlo era disposto a fare qualsiasi sacrificio pur di fare questo mestiere, ma non avrebbe mai pensato di andare incontro alla morte”. Furono invece tre killer senza volto a uccidere Siani, cogliendolo -così almeno sembrò in un primo momento- di sorpresa. Giancarlo viene ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiere residenziale del Vomero: aveva compiuto 26 anni il 19 settembre, pochi giorni prima.

Chi era Siani?
Giancarlo Siani era un ragazzo mite, simpatico che faceva il giornalista con ferrea determinazione. Iniziò a lavorare subito a Napoli, a Torre Annunziata, a Castellammare, frugando negli oscuri meandri della cronaca e deciso a conoscere fino in fondo il mondo della camorra e portare alla luce ciò che di ignoto si nascondeva nella mafia di quella terra. Siani è insomma un giornalista attento e rigoroso, impegnato nel sociale, ma è anche un giornalista attento alla realtà politica. Naturalmente è anche un ragazzo che si concede gli svaghi tipici della sua età, che progetta le  vacanze con la fidanzata e gioca a pallavolo. Ancora Buccini: “ Giancarlo era un ragazzo multiforme, scafato, adulto, capace di stare fra gli adulti, ma aveva delle leggerezze, delle ingenuità che lo rendevano adorabile”. Era contro il sistema ma era un non violento, faceva il giornalismo acquisendo le notizie dalla strada, fra le persone. Voleva fare questo mestiere ma non aveva raccomandazioni: raddoppiava, quindi, il suo impegno”. Siani aveva dato inizio alla sua attività giornalistica collaborando con la rivista Osservatorio sulla Camorra e con Il lavoro nel Sud, giornale sindacale di denuncia.

“La nostra era una cooperativa di giovani giornalisti…, si facevano sacrifici, non c’era lo stipendio”, racconta Francesco Pinto, direttore de Il lavoro nel Sud. “Destavamo scalpore con le nostre denunce”. Spiega ancora Daniela Limoncelli, ricordando quella tragica giornata: “Nel clima incomprensibile di quella sera cominciammo ad azzardare qualche ipotesi su chi potesse aver ammazzato Giancarlo; in quel momento non ci era chiaro neppure il motivo”. Un altro collega di Siani, Francesco Romanetti, aggiunge: “Giancarlo lavorava da tre mesi alla cronaca di Napoli, ma in realtà la maggior parte del suo lavoro lo aveva svolto a Torre Annunziata: una città in cui la camorra era ovunque. Ma mai la camorra aveva ucciso un giornalista.”

La stranezza della 7 e 65
Un omicidio senza precedenti che sembra quasi firmato dalla camorra… Eppure questo è un delitto strano, singolare, basti pensare all’ arma del delitto, una 7 e 65, una pistola comune. A confermare alcuni moventi e dinamiche del delitto ci sono le parole di Ferdinando Cataldo, il pentito che era destinato a uccidere Siani: una testimonianza clamorosa che lascia però ancora una volta molte zone oscure. Cataldo conferma che per il delitto fu usata una 7 e 65 per confondere le acque. La magistratura, infatti, brancolava nel buio: si poteva trattare di una questione di donne oppure di un delitto che aveva come movente la gelosia. Una pistola 7 e 65 e una serie di piste tutte sbagliate: per ben nove anni le indagini sulla morte di Giancarlo Siani non portano a nulla e allora, per cercare di capirne di più bisogna andare a Torre Annunziata, la città che più di ogni altra è il regno della camorra, la città su cui tanto ha scritto Siani.

Una città con circa 60000 abitanti, un apparato in crisi, oltre 500 cassintegrati e la più alta percentuale di iscritti al collocamento: un terreno perfetto per reclutare disoccupati e trasformarli in efferati killer. Dice Gabriele Sensales, comandante dei Carabinieri di Torre Annunziata nel periodo 1981-1986, che l’arresto di Chiasso, cognato di Valentino Gionta fu un episodio emblematico a Torre Annunziata. Il mafioso fu arrestato in un lido balneare di Torre Annunziata; si era recato al mare portando con sé la sua dose di cocaina e un mitra nella borsa…

Il dramma di una città ostaggio della camorra

Città violenta Torre Annunziata, centro del traffico di droga, serbatoio di killer al servizio della camorra, definizioni che la città si porta appresso da anni e che sembra destinata a non scrollarsi di dosso; l’immagine rimane quella di una terra di nessuno e arena di una  violenza inaudita. Vi erano quartieri in cui si annidavano tutti i latitanti della zona, vere e proprie casbe in cui era impossibile intervenire.
Racconta Limoncelli che Giancarlo si metteva dietro al capitano e succedeva che a volte venisse scambiato per un carabiniere.
Sensales spiega che vi si annidavano tutti i personaggi collegati ai Valentino, i quali nascondevano le armi alla  perfezione. Diventavano quindi fortezze impenetrabili per le stesse forze dell’ordine, bisognava andare lì in forze; Giancarlo era solito indagare fino in fondo ed era proprio questo l’aspetto del suo lavoro che più gli piaceva. E Armando D’Alterio, magistrato, puntualizza che in nessun momento ebbe l’impressione di trovarsi di fronte a una persona imprudente o che non avesse compreso di avere a che fare con qualcosa di ben diverso da un giocattolo; non era certo il tipo di persona che aspirasse a scrivere un articolo solo per avere successo. Dopo gli anni d’oro del contrabbando, in una città che ha perso l’identità industriale e non offre sbocchi occupazionali è fin troppo facile per la camorra occupare il territorio e creare un esercito di tossicodipendenti disposti a tutto. Un ambiente durissimo che Giancarlo Siani, giornalista poco più che ventenne, vuole capire e raccontare.

I Clan della camorra in lotta
I clan della camorra sono in guerra per il dominio del territorio e Torre Annunziata sta diventando un presidio sempre più strategico nella geografia della criminalità. Sono i primi anni Ottanta: a Napoli e nei paesi limitrofi la camorra scatena una guerra senza precedenti. A dettar legge, nella strada, sono le pistole, i kalashnikov, i fucili a canne mozze. Dal 1979 al 1984, cioè in soli cinque anni, i morti sono 769. A fronteggiarsi, due veri e propri eserciti: da una parte la Nuova Camorra Organizzata, la storica formazione alla cui guida c’è Raffaele Cutolo e la Nuova Famiglia, un cartello di clan guidato dalla famiglia Nuvoletta, ormai sempre più potente in ragione della sua affiliazione alla mafia siciliana.

L’obiettivo del clan Nuvoletta è quello di eliminare definitivamente dalla zona Cutolo; per far questo i Nuvoletta trovano un prezioso alleato in un boss emergente e temibile di Torre Annunziata, Valentino Gionta. Spiega Cataldo che Gionta a Torre Annunziata era un “mafioso quotato”, non era l’ultimo arrivato, aveva una famiglia di venti, trenta persone, tutti killer, tutti mafiosi; era, insomma, un capoclan che teneva ai propri uomini, che li aveva fatti crescere tutti quanti insieme. Gionta era uno che proteggeva i suoi: se bisognava commettere un reato, se bisognava ammazzare una persona, se anche ad ammazzarla erano in due comunque Gionta mandava tre, quattro persone di copertura, si preoccupava, non era da questo punto di vista una persona malvagia.

Il progetto di Gionta era un progetto di natura diversa, voleva sì “fare la malavita”, rischiare la vita tutti i giorni però progettava, dopo sette o otto anni di questa vita, che ognuno aprisse un negozio, un bar, qualunque cosa con cui si potesse riciclare il denaro sporco e quello pulito. Avrebbero così potuto condurre una vita normale, immune dall’angoscia di venire scoperti. Gionta era diventato un personaggio, un mito; quando a Torre Annunziata si confezionavano le sigarette, Gionta voleva dire lavoro.

Valentino Gionta contro Giancarlo Siani

Gionta è un boss deciso e rispettato, sono in molti a Torre Annunziata ad appoggiarlo e a temerlo e tiene saldamente nelle sue mani il territorio; ed è proprio in questo territorio che Giancarlo Siani, un giovane della Napoli bene, arriva per fare la sua gavetta da giornalista precario al Mattino. Spiega ancora Sensales che l’ambiente era difficile, pericoloso. Siani ci andò con un occhio da inviato, estraneo a quella realtà, nel senso che non era nato lì. Spiega Limoncelli che quando c’era un dibattito in alcuni circoli di Torre Annunziata e il dibattito verteva sulla camorra, lui andava e parlava. Aggiunge Alfonso Di Maio, Consigliere della Regione Campania negli anni 1975-1985: “Io ho conosciuto Siani la prima volta in un dibattito al festival dell’Unità sui giovani e la droga dove lui fece un intervento di una precisione e di un’acutezza che mi meravigliarono in un giovane della sua età. Per chi si buca e vuole uscirne, per le famiglie che chiedono aiuto attualmente c’è il vuoto”. Spiega Buccini: “Giancarlo aveva per la sua età una rete di relazioni e di rapporti molto ricca e questo gli derivava sicuramente dall’impegno nella società, da quello con i sindacati, con la gente più povera”. Continua Sensales: “Si affacciava in compagnia quasi tutte le mattine; aveva instaurato un rapporto di amicizia con i carabinieri che praticamente operavano sulla strada e anche nei momenti di crisi che vivevo e ne vivevo tanti perché si conduceva una vita molto stressante a Torre Annunziata, Giancarlo mi faceva trascorrere alcuni istanti di serenità”.

Torre Annunziata: un mercato finanziario
Questa era la camorra in quegli anni bui: un vero e propri impero finanziario costruito in pochi anni. Valentino Gionta, boss della Nuova Famiglia, era riuscito a fare di Torre Annunziata il centro di tutti i suoi affari di camorra. Racconta Sensales che a Torre Annunziata gli interessi della camorra erano molto forti, soprattutto nel campo del mercato ittico, intorno a cui ruotava un giro di affari di svariati miliardi. Il più imponente giro di denaro, quindi, ruotava intorno al mercato del pesce, uno dei maggiori dell’Italia meridionale, pesce importato ed esportato in tutto il mondo. Valentino Gionta, una volta eliminati gli esponenti della Nuova Camorra Organizzata, volle imporsi costituendo ad hoc una società. Tra i soci delle due cooperative che lavorano al mercato del pesce spicca un nome che scotta, quello di Gemma Donnarumma, moglie di Valentino Gionta. E’ il modo pulito per mettersi in tasca il ricavato delle attività del mercato. Spiega Cataldo che Siani scriveva articoli sulla famiglia Gionta, anche sulla moglie del boss. Gionta si arrabbiò quando diede inizio alla compravendita dei vestiti firmati. Riciclaggio di denaro sporco in attività commerciali a Torre Annunziata, è questa l’ipotesi che avanzano i carabinieri del capitano Sensales e la Guardia di Finanza dopo aver ordinato la chiusura del negozio di proprietà della sorella di Valentino Gionta. Il contenuto degli articoli di Siani scotta, dà fastidio agli esponenti della camorra. Dalle investigazioni emerge che il boss del clan di Nuova Famiglia ancora latitante avrebbe tentato di inserirsi in attività commerciali a Torre Annunziata riciclando denaro sporco approfittando della copertura dei familiari. Spiega ancora Cataldo che a Gionta, in fondo, sarebbe bastato che qualcuno parlasse con Siani, lo mettesse sull’avviso…

Come una goccia che scava la pietra

Interviene Antonio Bassolino, Presidente delle Regione Campania: “Lui scriveva, era come una goccia che scavava la pietra. Con il sistema delle cooperative Gionta e i suoi gregari danno vita a una serie di altre imprese di camorra. Inevitabile era a quel punto l’infiltrazione nel sistema degli appalti”. Spiega ancora Sensales che Giancarlo nell’ultimo periodo di permanenza a Torre Annunziata gli accennò che stava facendo un accertamento nei seggi ove avevano avuto luogo le votazioni amministrative per fare un po’ la “mappatura” dei personaggi che erano stati votati. Sensales fece capire al giovane giornalista che non era il caso di fare questo tipo di accertamenti per non incorrere in guai giudiziari, anche perché le sue intuizioni andavano nella giusta direzione, le stesse indagini le stava facendo lo stesso Sensales in qualità di comandante dei carabinieri. In quel momento non erano ancora noti tutti gli intrecci della Holding Gionta con il sistema economico, finanziario e politico della città. Restavano aperti inquietanti interrogativi. Continua Bassolino: “La camorra un discorso fatto una volta ogni tanto, cose generiche, le assorbe. Quando vedeva e vede la costanza, la camorra reagisce”. Cataldo afferma in modo chiaro che era difficile per la mafia ignorare articoli del tenore di quelli di Siani; come minimo la polizia si trovava costretta a intervenire e a chiudere negozi e attività commerciali. Se quello era il modo di procedere della camorra, Cataldo afferma però che Gionta mirava al dialogo, non gli piaceva subito ammazzare; e quando diceva “ammazziamo qualcuno” si ammazzava davvero, però prima di arrivare all’omicidio ci ragionava sopra. Articoli come gocce che scavano la pietra, dice Bassolino: Siani ha infatti capito che dietro il boss di Torre Annunziata Gionta si nasconde qualcosa di più, poteri più forti. Il boss insomma può contare su appoggi politici molto importanti. E Sensales conferma che esisteva all’epoca un intreccio politico-affaristico anche con l’Amministrazione Pubblica. Siani aveva capito esattamente questa triangolazione tra camorra, politica, e autorità giudiziaria locale che rispondeva un po’ a rilento a quelle che erano le impellenti esigenze di intervento.

Guerra di mafia: seconda puntata

Una magistratura timida, politici collusi ma anche a un cronista attento come Siani sfugge la complessità della situazione; l’ascesa di Gionta inizia a dare fastidio ai suoi stessi alleati della Nuova Famiglia. A un certo punto questi si ribellano, non ci stanno più, quel boss che sgomita troppo va ridimensionato, merita una lezione, la più dura possibile. Racconta Sensales: “ Il 26 agosto del 1984 fu perpetrato un crimine molto efferato, una vera e propria strage sotto casa di Gionta in via Castello di Torre Annunziata”. E dal telegiornale parole di sgomento: “Massacro senza precedenti a Torre Annunziata, due minuti di fuoco e di morte; questa tragedia senza precedenti è avvenuta in via Castello, fra il marciapiedi e il circolo dei pescatori”. Il bilancio della strage è di otto persone uccise e dodici ferite. Il massacro viene compiuto da quindici uomini armati che arrivano sul posto con un autobus rubato. Vanno dritti all’obiettivo senza esitazione e sparano all’impazzata con mitra, pistole, fucili a canne mozze in direzione del Circolo dei pescatori. In quel momento si celebrava lì vicino una prima comunione; la zona era quindi molto affollata. Il significato del massacro non lascia adito a dubbi: la camorra vuole sancire il predominio nella zona e la lotta è fra due clan che militano sotto la stessa etichetta, la Nuova Famiglia. Sullo sfondo, forse, il mercato della droga; Torre Annunziata, infatti, era diventata un’importante piazza per lo spaccio capillare di stupefacenti.

Racconta Sensales che si voleva colpire il clan di Gionta che stava acquisendo prestigio e potere, Gionta voleva controllare in proprio il mercato della droga, naturalmente il mercato intorno al quale giravano miliardi, sicuramente non quello del piccolo spaccio da piazza che avrebbe attirato l’interesse delle forze dell’ordine. I killer, compiuto il massacro, erano fuggiti a bordo di tre auto. Secondo Sensales il massacro fu voluto soprattutto dalla coalizione della Nuova Famiglia, formata dal clan di Carmine Alfieri e di Bardellino che imperava nella zona del casertano; fu questo il modo per dare un segnale chiaro a Gionta Valentino. Afferma Cataldo che il messaggio arrivò subito, si sapeva da dove venivano i killer anche perché un suo ex amico aveva la pistola, aveva sparato a un killer e quindi si sapeva chi era il killer. Il giorno dopo, racconta il pentito, stavano tutti nel rione dicendo, “ragazzi questa è una guerra lunga e pericolosa, stiamoci chiusi dentro, scendiamo solo per colpire, da oggi in poi possiamo ammazzare in tutti i momenti e noi possiamo essere ammazzati in tutti i momenti”. Da quel momento in poi i mafiosi rimasero barricati nelle loro case, scendevano solo per uccidere, uccidevano e andavano a casa. Per rispondere fecero altri morti, segno della guerra ormai senza frontiere. Era arrivato, dice Cataldo, il momento di rimboccarsi le maniche.

Verso la fine .
“Finita la scuola ce ne andremo via. Vivere qui è diventato impossibile” Sono le parole di un gruppo di ragazzi intervistati da Siani, studenti delle scuole medie, impotenti di fronte all’irreparabile, consapevoli che lì, in quella zona, per loro non ci sarà futuro.” Siani ha iniziato a indagare sul massacro a poche ore dai fatti. Al giovane giornalista non interessano solo e tanto i fatti ma anche il rapporto fra la camorra e la popolazione; ma nella guerra di Torre Annunziata non c’è solo la punizione per le ambizioni e le mire espansionistiche di Gionta; sullo sfondo infatti c’è anche un altro importante bottino da spartirsi: le centinaia di miliardi destinati alla ricostruzione, necessaria dopo il terremoto del 1980. Dice Bassolino: “Il terremoto fu un altro grande spartiacque della nostra storia, attorno al terremoto, in particolare la camorra tentava di fare un salto di qualità”. E prosegue: “La maggior parte degli edifici era inagibile, tutti i fabbricati erano sgombri e alcuni già abbattuti. Camminare per le vie del quartiere chiamato Quadrilatero delle Carceri dava l’idea di camminare in una città fantasma. Nei vicoli c’erano solo calcinacci e oggetti abbandonati”. Secondo Alfonso Di Maio, Consigliere della Regione Campania negli anni 1975-85 Giancarlo Siani riteneva assolutamente accertato che la camorra locale aveva messo le mani sui fondi per la ricostruzione del dopo-terremoto. Disse che Siani lo aveva ripetutamente chiamato soprattutto per leggere delibere del Comune di Torre Annunziata.Continua D’Alterio:” La sua filosofia era che, una volta ottenuta la notizia, per pericolosa che fosse, per eclatante che fosse, l’importante era verificarla”. Di Maio racconta che Siani chiedeva: “Ecco questi atti sono leciti?” In quel momento storico non si trattava solo di ricostruire case o di fare opere poco importanti ma anche e soprattutto grandi opere pubbliche. Siani voleva indagare sulle connessioni tra la camorra di Torre Annunziata e quest’altra camorra e chiese a Di Maio come fare per accedere a quei documenti.

Sulla pista giusta

Giancarlo Siani è sulla pista giusta e le collusioni che sta per scoprire coinvolgono forse ambienti ben più potenti di quelli di Torre Annunziata. L’escalation della violenza non si ferma qui: il 9 giugno del 1985 i carabinieri arrestano Valentino Gionta che si nascondeva nella tenuta dei suoi alleati Nuvoletta. E Il Mattino affida la cronaca dell’arresto proprio a Siani. Ma ancora una volta Siani dimostra di sapere troppo e quell’articolo gli sarà fatale.

Ecco il titolo del suo articolo: Gli equilibri del dopo-Gionta: “Potrebbe cambiare la geografia della Camorra l’arresto del super-latitante Valentino Gionta. Già da tempo negli ambienti della mala organizzata e negli stessi ambienti di Valentino Gionta di Torre Annunziata si temeva che il boss venisse scaricato, ucciso o arrestato”.

Cataldo afferma che dopo l’arresto di Valentino Gionta era uscito sul Mattino un articolo che parlava dell’arresto di Gionta che sosteneva che Angelo e Lorenzo Nuvoletta in pratica si erano venduti a Gionta. “Dopo la strage del 26 agosto dell’anno scorso Gionta è un personaggio scomodo anche per i suoi stessi alleati. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan della Nuova Famiglia: i Bardellino. Un accordo fra Bardellino e Nuvoletta avrebbe avuto come prezzo da pagare proprio l’eliminazione del boss di Torre Annunziata e una nuova distribuzione dei grossi interessi economici dell’area vesuviana”. Queste le parole di Siani.

Racconta Cataldo che partendo da quell’articolo i mafiosi avevano iniziato a discutere, Nuvoletta era incazzato e diceva “no, non lo posso perdonare, bisogna fare qualcosa” e subito Nuvoletta disse che Siani doveva essere ammazzato. La mafia del napoletano non poteva dare un’immagine sbagliata alle persone, un’immagine che sarebbe arrivata in Sicilia, alla mafia siciliana che avrebbe anch’essa letto l’articolo… E allora si progettava di dare una lezione al giornalista, “sai al livello delle gambe, sai qualcosa così.” Ma il clan Nuvoletta voleva la morte di Siani.

I mandanti dell’omicidio Siani
Il clan Nuvoletta ha deciso: Giancarlo Siani deve morire. Ferdinando Cataldo, all’epoca braccio destro di Gionta e oggi pentito della camorra era presente al summit in cui fu decisa la morte di Giancarlo Siani e oggi, per la prima volta, rivela alle nostre telecamere come sono andate, veramente, le cose. Valentino Gionta non voleva ammazzare il giornalista, ma solo “mandare un messaggio”; non voleva poi che fosse ammazzato a Torre Annunziata perché polizia e carabinieri lo avrebbero immediatamente incolpato e rinchiuso in carcere.

Valentino non voleva questo. Diceva: “Lasciamo perdere, questi sono giornalisti, fanno il loro lavoro, dicono un sacco di cazzate. Che ci interessa a noi di ammazzare questo giornalista”. A un certo punto Lorenzo Nuvoletta disse: “I carcerati devono fare i carcerati, questa è una cosa che ce la vediamo noi. Noi abbiamo stabilito di ammazzarlo. Basta. Digli che deve fare il carcerato, che non si deve preoccupare. Quando Gionta ha detto: ormai non posso fare niente, fra virgolette ha fatto come Ponzio Pilato. Se ne è lavato le mani e “Fate”. Però una cosa vi chiedo. Non fatelo a Torre Annunziata perché se succede a Torre Annunziata mi distruggete. A quel punto Cataldo, essendo latitante, si offrì di partecipare al delitto. A questo punto tutto è deciso, sono stati scelti il killer e il luogo dell’omicidio, Siani infatti non sarà ucciso a Torre Annunziata ma a Napoli. La condizione posta da Valentino Gionta è stata accettata. Ma proprio in quegli stessi giorni, a Giancarlo Siani arriva una bellissima notizia: il quotidiano Il Mattino gli offre un contratto di sostituzione estiva. Sede di lavoro: Napoli. Racconta Buccini: “Una bella estate, l’estate dell’85, chiacchierando Giancarlo mi disse che finalmente stava dentro il giornale a Napoli.Una volta entrato però iniziò a dipingere l’ambiente del Mattino come l’ambiente di un ministero, molto lontano dal suo modo di concepire e di fare il giornalismo. E’ giusto anche cercare di capire che cosa fosse Il Mattino. In quegli anni viveva un’anomalia, l’anomalia consisteva nel fatto che era in parte controllato dalla DC.” Scriveva Giancarlo alla fidanzata: “Sono scoppiati dei casini al Mattino per colpa di una che sta alla redazione a Castellammare; nessuno la può vedere, tutti dicono che non fa niente e non sa scrivere e lei si incazza perché certi servizi più importanti li fanno fare a me. Ha scritto anche una lettera al direttore. Ora non so come andrà a finire. Io me ne fotto e scrivo sempre, mi butto su ogni fatto. C’è un particolare: lei è nipote di un senatore DC e io uno stronzo”. Aggiunge Romanetti: “Però è vero che al Mattino era possibile ottenere che fossero più voci e più punti di vista a intervenire su determinate questioni”. Limoncelli: “Eri giovane, ci credevi nel mestiere…” E Romanetti: “Noi ventenni, quasi trentenni di quel periodo là ovviamente pensavamo a un cambiamento”.

L’ultimo giorno
Da Il Mattino, 22 settembre 1985: “Li chiamano muschilli gli spacciatori in calzoncini, i corrieri baby. Questa volta a organizzare il traffico di eroina era una nonna spacciatrice. Era lei a tenere le fila della vendita con altre due persone e il nipote. I muschilli sono agili, non danno nell’occhio, sfuggono al controllo di polizia e carabinieri. Ragazzi, molto spesso bambini già inseriti in un giro di droga. Per loro il futuro può essere solo drammatico, solo malavitoso. Se non diventano consumatori di eroina, se riescono a sopravvivere è difficile che riescano a imboccare strade che non siano quelle dell’illegalità, dello spaccio diretto, dello scippo, del furto.” Racconta Di Maio che Siani gli avrebbe detto: “Sono felice di avere la mia scrivania qui, adesso posso spaziare”. Che cosa voleva dire Siani con quella frase? Qual era il campo più vasto su cui voleva indagare? Durante tutta l’estate dell’85 Siani segue la sua pista e con tutta probabilità arriva anche a scoprire qualcosa di molto importante, poi in settembre…fa una telefonata. Racconta Di Maio: “Quando mi ha telefonato, una telefonata in cui si notava in parte una gioia, lui riteneva di aver raggiunto il suo equilibrio al Mattino, ma che le mie indicazioni erano state preziose e che lui aveva lavorato intensamente, aveva scoperto qualcosa di talmente grosso che non avrebbe potuto nemmeno utilizzare sul Mattino dell’epoca ma che pensava di poter utilizzare su un grande settimanale nazionale.”perché qualcuno mi aveva detto che stava preparando un dossier, lui sminuì questa vicenda, disse che stava raccogliendo documenti ma che non aveva ancora materiale importante, che non era vero che c’era un dossier scottante come si diceva. Poi perché abbia sminuito, perché successivamente abbia raccolto altro, non lo so. “Non mi dice perché capisce che parlando per telefono se dice qualcosa non mi dice che cosa ha scoperto ed è uno scoop, ha bisogno ancora di qualche altra delucidazione”. Confessa Siani alla fidanzata: “In questi giorni stiamo preparando il libro-dossier Torre Annunziata, un anno dopo la strage, ho un sacco di foto bellissime e notizie che nessuno ha mai pubblicato solo che nessuno ha mai trovato i soldi per pubblicarle. Deve essere formato catalogo, secco e lungo, copertina con quattro foto in sequenza. E ancora: “ Questa università ci ha rotto le palle, io forse riprendo a settembre”. Le parole di Pinto appaiono come l’anticipazione di una tragedia: “Ma la cosa che ricordo dell’incontro a Piazza Carità è che lui si confidò dicendo che era stato minacciato dai muschilli, da ragazzi che si erano fermati dicendogli: “ Smettila di scrivere sulla camorra, sulla delinquenza, altrimenti ti spariamo sulle gambe e lui mi chiese un consiglio su che cosa fare. Ne ragionammo insieme e alla fine concludemmo che doveva essere un episodio da ragazzi”. Limoncelli aggiunge: “Quando tu vivevi queste cose in prima persona, è naturale che a volte potevi avere la “minaccia trasversale” anche dello sfrattato che aveva occupato la casa a Secondigliano.

Faceva parte della routine”. Pinto : “ Non si riusciva a immaginare quello che poi sarebbe successo, né io né lui potevamo immaginarlo, è una cosa che mi porto sulla coscienza”. Ma che cosa aveva scoperto Giancarlo Siani, perché con qualcuno ne parlava e con altri no? E perché scrive quella strana lettera alla fidanzata? Ormai l’ora di Siani è scoccata: siamo al 23 settembre del 1985, a Giancarlo Siani restano ormai poche ore da vivere. Dalla redazione del Mattino Siani fa un’altra telefonata, questa volta ad Amato Lamberti, direttore dell’Osservatorio sulla Camorra e Presidente della , Provincia di Napoli:” Mi disse, ti devo dire una cosa, per telefono non te la posso dire, sono in redazione al Mattino. Io gli dissi: Va bene proviamo a incontrarci lì vicino se è una cosa urgente, che mi devi dire perché mi sembrava che lui mi chiedesse un incontro immediato: “No, siamo troppo vicini al Mattino, ci vediamo domattina, io prima di andare al giornale vengo da te”. Nessuno, nessuno saprà mai che cosa realmente volesse dire Giancarlo Siani ad Amato Lamberti, il Pubblico Ministero Antimafia ma D’Alterio ha cercato di ricostruire che cosa è accaduto quella mattina del 23 settembre 1985: D’Alterio: “La mattina del 23 settembre Siani era preoccupato da qualcosa. Che cosa lo preoccupasse quel giorno è solo materia di supposizioni”. Un camorrista di Torre Annunziata che Siani conosceva di vista avrebbe aspettato il giovane giornalista di fronte alla redazione del Mattino. L’uomo avrebbe salutato Siani e lo avrebbe abbracciato. Un calore inconsueto e inaspettato. Scopo di quell’incontro sarebbe stato indicare ai killer la loro vittima. Cataldo: “L’unico che poteva conoscerlo venne sotto al Mattino con la scusa che si trovava a Napoli per fatti suoi, appena è uscito Siani dal Mattino lui è andato lì e : “Ciao Giancarlo come stai?”Lo ha abbracciato e gli ha proposto di andare a prendere un caffè. Intanto, da lontano i killer lo hanno riconosciuto: “Va bè è lui”. E D’Alterio: “Alla fine il progetto di identificarlo in questo modo si è realizzato, non è difficile pensare che Siani si sia impressionato per la stranezza di quel gesto fatto in pubblico senza ragione”. E possa, quindi, aver notato presenze inquietanti. Ed è proprio quello il momento in cui per la prima volta Siani chiede aiuto a una guardia giurata e a un poliziotto.. Ma è un tentativo vano, quella richiesta d’aiuto cadrà nel vuoto. Questo, tuttavia, rimarrà un episodio mai del tutto chiarito.

Le indagini

Dopo l’omicidio di Giancarlo Siani, per sette anni la magistratura brancola nel buio. Solo nel 1992, per puro caso, grazie ad alcune allusioni di un pentito di camorra, D’Alterio riapre l’inchiesta sull’omicidio Siani. Nel 2003, dopo undici anni di processi, arrivano le sentenze definitive:. Mandanti: Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante: ergastolo. Esecutori materiali: Armando Del Core e Ciro Cappuccio: ergastolo. Gaetano Vaiolare: 28 anni di reclusione. Come nel caso dei tanti”misteri d’Italia” tuttavia, qualcuno oggi si chiede ancora se si sia arrivati alla verità ultima del caso Siani e, in caso affermativo, perché mai la si voglia occultare.

 

 

 

Il sito a lui dedicato:   Giancarlo Siani   CRONISTA Libero – MARTIRE per la Verità

 

 

 

 

Giancarlo Siani: cronista martire per la verità
Pasquale Filippone – 28 feb 2009

Giancarlo Siani era un cronista del Mattino di Napoli. Lavorava come corrispondente da Torre Annunziata. Il 23 settembre del 1985 due sicari della Camorra lo assassinarono sotto casa nel quartiere del Vomero. Aveva appena compiuto 26 anni. Nei suoi articoli si occupava di lavoro, droga ma soprattutto di Camorra. Era un precario che frugava nella cronaca di una città violenta, ostaggio del crimine organizzato. A 23 anni di distanza dalla sua scomparsa, amici e colleghi ricordano la storia di Siani, giovane cronista martire per la verità.
Servizio realizzato da Pasquale Filippone e Mariangela Modafferi
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Giancarlo Siani was a journalist and worked at “Il Matino di Napoli”. He was correspondent in Torre Annunziata. On 23 September 1985 two Camorra killer murdered in his home district of Vomero. He had just turned 26 years. In his articles dealt with job, drugs and above all Camorra. He was a precarious who rummage in the chronicle of a violent city, hostage to organized crime. At 23 years after his death, friends and colleagues remember the Siani’s story, a young reporter martyr for the truth.

 

 

 

 

Giancarlo Siani: la verità, 27 anni dopo
Pubblicato il 7 ott 2012
Ucciso dalla famiglia mafioso-camorrista dei Nuvoletta il 23 settembre 1985 e simbolo del giornalismo serio, semplice e impegnato. Giancarlo Siani aveva commesso uno sgarro imperdonabile per il codice di Cosa Nostra, rivelando che erano stati proprio i Nuvoletta a vendere alla polizia Valentino Gionta – ras di Torre Annunziata. La sentenza di morte, però, arrivò anche per altri motivi: articoli che Giancarlo non pubblicò mai, ma che riguardavano gli intrecci tra politica locale, appalti truccati, imprenditori corrotti e malavita organizzata. Ne parliamo con il fratello Paolo, presidente della Fondazione Polis, e con l’autore di un libro inchiesta su Siani, Bruno De Stefano.

 

 

 

 

“Giancarlo Siani. Passione e morte di un giornalista scomodo” di Bruno De Stefano

Edito da: Giulio Perrone, 2012, 2015

Perché un libro su Giancarlo Siani a quasi trent’anni dal suo assassinio? La risposta è semplice: perché di questo giovane cronista ammazzato il 23 settembre del 1985, un lunedì, si parla tanto ma si sa ancora pochissimo, e talvolta quel che si sa non corrisponde totalmente alla realtà. Si sa pochissimo del suo lavoro, del suo impegno e delle sue aspirazioni; ma soprattutto non si sa quasi nulla delle faticose indagini che hanno consentito di condannare killer e mandanti. Il libro che avete tra le mani non racconta solo la storia di un ragazzo di 26 anni finito davanti a un plotone di esecuzione di Cosa Nostra, ma prova ad andare oltre una semplificazione che lo ha trasformato in una sorta di “santino”: il giornalista-eroe giustiziato per aver coraggiosamente svelato le trame segrete della camorra. Leggendo gli atti delle inchieste emerge, infatti, una storia assai più complicata nella quale si mescolano incomprensibili silenzi, palesi omissioni, tentativi di depistaggio, vuoti di memoria inspiegabili, goffe e ridicole contraddizioni.

 

 

 

 

NONINVANO – GIANCARLO SIANI
Fondazione Polis –  24 aprile 2018

 

 

 

 

Leggere anche:

vivi.libera.it
Articolo del 22 settembre 2020
Trentacinque anni fa la camorra uccide Giancarlo Siani. Giancarlo è di tutti
di Ludovica Siani

 

 

fanpage.it
Articolo del 22 settembre 2021
Giancarlo Siani, non solo simbolo anticamorra: ha dato voce alla disperazione degli operai
Intervista a Pasquale Testa
Fondatore di Iod edizioni
A cura di Federica Grieco
È un Giancarlo Siani poco ricordato quello che emerge dal libro “Il lavoro – Cronache del Novecento industriale (1980-1985)”, nato da un’idea di Pasquale Testa, fondatore della casa editrice IOD. Il volume raccogliere gli articoli che il giornalista napoletano dedicò al mondo del lavoro al Sud, tra fabbriche in crisi, uno Stato assente e la disperazione degli operai.

 

huffingtonpost.it
Articolo del 23 settembre 2021
Giancarlo Siani, Il Mattino e quel cerchio che non si chiude
di Federica Fantozzi
Allegato al quotidiano un libro con un’antologia di articoli sull’omicidio, per riaprire una pista ormai “fredda” ma rimasta insoluta.

 

 

 

 

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