26 agosto 1984 Torre Annunziata (NA). Strage di Sant’Alessandro. Resta ucciso Francesco Fabbrizzi, 54 anni, vittima innocente.

Francesco Fabbrizzi era un padre di famiglia completamente estraneo agli ambienti della criminalità. Il 26 agosto 1984, il giorno di Sant’Alessandro, verso mezzogiorno, un autobus turistico giunge a Torre Annunziata nei pressi del Circolo dei pescatori. È domenica e nella chiesa della piazza si sta celebrando messa. L’autobus si ferma proprio al centro della piazza e a scendere dal veicolo non sono turisti in gita, ma un commando di killer della camorra.
I sicari cominciano a sparare alla cieca; perdono la vita otto persone e sette sono feriti. È un atto di guerra nei confronti del boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta, da parte dei gruppi rivali delle famiglie Bardellino, Alfieri e Fabbrocino. Dell’accaduto si occupa anche il giornalista Giancarlo Siani in un articolo dedicato ai rapporti tra i Nuvoletta e i Bardellino che segnerà la condanna a morte del cronista.
Tra le vittime della strage c’è anche Francesco. L’uomo aveva 54 anni, una moglie e un figlio appena ventenne. Francesco è riconosciuto “vittima innocente della criminalità organizzata” dal Ministero dell’Interno. Nell’agosto 2010 Francesco è stato inoltre ricordato dall’amministrazione comunale di Torre Annunziata e dalla associazione “Alilacco-Casa della solidarietà” nell’ambito di una commemorazione pubblica in ricordo del terribile fatto di sangue.
Nel mese di agosto 2016, in occasione del 32° anniversario di Francesco Fabbrizzi, vittima innocente della camorra, il presidio oplontino di Libera “Pastore e Staiano” lo ricorda – attraverso le parole del suo referente cittadino, Michele Del Gaudio – che, con grande commozione, promette un impegno concreto per lo sviluppo civile e sociale del Rione Carceri.
Fonte: fondazionepolis.regione.campania.it

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 27 agosto 1984
Strage della camorra nel Napoletano Otto uccisi da quindici killer in piazza
di Adriano Luise
«Spedizione punitiva» a mezzogiorno a Torre Annunziata – Gli assassini sono arrivati in pullman .
Il regolamento di conti consumato in tre minuti: il gruppo dei «rivali» è davanti al Circolo dei pescatori, su di loro si abbattono duecento colpi di mitra, di pistola e di lupara – Dodici feriti, tra essi una bambina – Panico all’uscita dalla messa – Gli assassini a volto scoperto – Un piano perfetto per la fuga.

NAPOLI — Una domenica di terrore e di sangue a Torre Annunziata, la ridente cittadina della fascia vesuviana a qualche chilometro da Pompei. Un’altra strage compiuta dalla mano della camorra In una giornata di festa e di sole.

Nuovi lutti, altri drammi. Otto vite sono state stroncate, otto uomini uccisi a colpi di mitra, pistole e lupara. Individuati quali vittime prescelte tra testimoni atterriti e increduli. Un solo errore: un colpo ha trafitto un estraneo alla lotta tra clan rivali.

È stata una esecuzione allucinante, compiuta con lucida determinazione da un commando di quindici killer decisi a dare la morte nella logica del cieco regolamento di conti, della vendetta.

Erano le 11.40 e sono stati tre minuti d’interno che rimarranno ben Impressi nella mente di coloro che hanno avuto la sventura di trovarsi presenti. Attimi di angoscia e di panico sotto l’incalzare delle detonazioni, oltre duecento, tra le urla della gente che era appena uscita dal tempio di San Francesco da Paola-dopo la messa. “Ho visto morire sotto i miei occhi — racconta un anziano pescatore, Pasquale Cecero —. La gente crollava a terra e tanto sangue dovunque, sui muri del circolo. Sembrava che si fosse scatenata la guerra”.

Una decina di feriti: alcuni gravi, altri meno. Anche in questa tragica circostanza sono rimasti coinvolti molti innocenti, bambini che si sono trovati sulla traiettoria dei proiettili, nel raggio di azione di sicari senza scrupoli, risoluti ad eseguire le sentenze emesse dal tribunale ombra.

Le vittime sono presunti camorristi con precedenti penali e legati al clan della “Nuova Famiglia”. Sono Corrado La Rana. 26 anni; Guido Solgi, ventinovenne; Giuseppe Montuori, quarant’anni; Giovanni Grillo, trentaduenne; Vincenzo De Laurentis, quarantanovenne, incensurato ma imparentato a Gallo; Gennaro Scognamiglio, di 29 anni; Francesco Fabrizi, trentaduenne; Antonio Frizzi, trentacinquenne, è il giovane rimasto ucciso dal proiettile vagante ed estraneo alla lotta. Tra i feriti la piccola Rita Monico, 9 anni, raggiunta ai glutei, è stata ricoverata con prognosi di 40 giorni; Luigi Nesti, 13 anni, ferito a un braccio; Salvatore Agresti, settantasettenne, è stato raggiunto da una pallottola a un piede: Giuseppe Viola, di 33 anni; tra i più gravi Nicola Balsamo, 33 anni; Carmine Gallo, settantaquattrenne, zio di Giovanni Gallo, e pasquale Donnarumma, cinquantacinquenne, suocero di Valentino Gionta. temibile boss della Nuova Famiglia», capozona di Torre Annunziata, nei confronti del quale gli Inquirenti suppongono fosse diretto l’attentato. Per Nicola Balsamo, Pasquale Donnarumma e Carmine Gallo la prognosi è riservata e sono piantonali nell’ospedale sotto rigorosa sorveglianza.

L’agguato mortale come si è detto è avvenuto alle 11.40. Ha avuto come teatro d’azione via Castello, Il corso principale della cittadina che l’attraversa parallelamente al litorale e che nel tratto verso Pompei prende il nome di via Roma.

Una domenica come le altre, fervente di vita, ricca di animazione nelle strade e ai caffè. Affollato come al solito il Circolo ricreativo dei Pescatori, a pochi metri dalla chiesa di San Francesco, al piano terra dello stabile numero 1 dove risiede la famiglia di Valentino Gionta. Intorno ai tavoli, gruppi di soci impegnati in partite a scopone, altri sull’uscio a chiacchierare, a far previsioni sul derby del Napoli di Maradona con la Casertana.

Nessuno ha fatto attenzione all’arrivo dell’autocorriera, un po’ sgangherata, con targa Avellino. Vi si intravedeva soltanto l’autista. Steso sul pavimento, ben nascosto alla vista, c’è il commando che di lì a poco seminerà terrore e morte. All’improvviso uno stridore di treni e il pullman si blocca davanti al Circolo. Contemporaneamente si aprono le portiere, ne discendono gli assassini. Sono a volto scoperto, impugnano mitra, pistole e lupara: irrompono nel Circolo Pescatori — locale dove di solito, secondo gli inquirenti, si riuniscono gli affiliati alla -Nuova Famiglia— e non lasciano scampo.

Con le armi spianate allontanano chi non è nella loro lista, poi con agghiacciante fermezza, ad una ad una selezionano le vittime che faranno fuori senza pietà. Qualcuno tenta, in una disperata difesa, di opporsi. Ma non trova aiuto nella pistola che nasconde in tasca. E così l’esecuzione avviene in un’atmosfera che ricalca le tragiche sequenze delle imprese dei gangster degli Anni Trenta.
Compiuta la strage, realizzo il piano criminoso, il commando, per nulla intimidito, si porta in strada. Deciso a stroncare qualsiasi reazione, riprende a sparare. Una raffica intimidatoria verso l’ingresso del palazzo del boss Giunta, contro chiunque ha in animo di frapporre ostacoli alla fuga.

La gente è in preda al panico, si scatena nella strada un caos indescrivibile. Qualcuno cerca riparo dietro le auto in sosta, qualche altro si rifugia nel tempio e negli androni dei palazzi. Ma c’è chi cade, raggiunto da proiettili di rimbalzo, travolto dalla precipitosa e incontrollata ressa determinata dalla paura.

Il commando di killer ha messo a punto, per realizzare l’obiettivo, un piano studiato in ogni particolare. Abbandona l’autocorriera, troppo lenta per la fuga, tiene già pronte altre auto parcheggiate in precedenza nella zona: una -Uno-, una -127-, una .Giulietta’ una moto Honda. Risulteranno insufficienti ad accogliere tutti gli uomini e, con le armi in pugno, gli assassini s’impossessano di altre vetture: una -Golf e un’-Alfa sud-, sottratte ai conducenti. Si dividono, partono verso direzioni opposte. Il killer alla guida della moto, ad una curva abbordata ad eccessiva velocità, sbanda e cade, ma riesce ad alzarsi e a riprendere la corsa.

Scatta l’allarme. L’intervento dei soccorritori è immediato. Confluiscono nella zona numerosi mezzi della polizia. Sono istituiti posti di blocco e dall’alto si controlla la rete autostradale con elicotteri, ma fino a tarda sera nessuna traccia dei criminali.

Per tutta la giornata, Torre Annunziata è sembrata una città in stato di guerra. Presidiati via Castello e via Roma, il porto, l’ospedale civile, l’area circostante, in un’atmosfera densa d’inquietudine e di tensione.

Si ricordano altri allucinanti delitti, altre esecuzioni che però non hanno mai assunto tali vaste proporzioni. Torre Annunziata, infatti, è stata al centro di lotte tra clan, ha avuto le sue vittime anche innocenti.

Nel luglio del 1982 fu ucciso il maresciallo Luigi D’Alessio, ferito il capitano dei carabinieri Sensale, ma sul selciato rimase mortalmente ferita anche una ragazza, Rosa Visone. Aveva appena sedici anni.

Ieri un’altra lotta, un nuovo episodio della tragica guerra tra clan rivali. Perché l’agguato mortale? Le indagini sono ai primi passi. Si possono soltanto avanzare ipotesi.
Sono cutoliani che cercano di riorganizzare le proprie fila?

La corriera usata dai killer risulta rubata il primo agosto a Cosenza, la targa che vi è stata apposta è falsa. Vi potrebbero essere agganci con la ‘ndrangheta calabrese, ma sono indizi che richiedono ancora il supporto di approfondimenti.

Non si esclude neppure che l’eccidio del Circolo possa essere lo sbocco di una faida interna al clan di “Nuova Famiglia” per la rivalità accesasi negli ultimi tempo tra i boss Bardellino e Nuvoletta e che finisce per coinvolgere anche i loro affiliati, schieratisi a favore dell’uno o dell’altro.

Valentino Gionta, 35 anni, presunta vittima designata di quest’agguato è un personaggio di rilievo della “Nuova Famiglia”. Sorvegliato speciale, latitante da tempo, gli si addebitano vari reati, ma è sempre riuscito a farla franca.

Nel Marzo del 1983, alla prima comunione dei suoi due figli, in un festino con cinquecento invitati, cantanti ed orchestrina, i carabinieri nel corso di una “sorpresa” rinvennero sotto i tavoli del ristorante un vero arsenale: mitra, pistole, lupare.
In quell’occasione, Gionta riuscì a dileguarsi fuggendo attraverso una finestra del locale.

 

 

 

Fonte:  archivio.unita.news
Articolo del 28 agosto 1984
Il buio dopo la strage  
di Luigi vicinanza
Napoli: gravi ammissioni di investigatori e autorità
«Sono ignoti esecutori e mandanti». Un  po’  di  «volanti»  contro la  camorra. 
Scalfaro riferisce a Craxi ma il governo non prende iniziative – Solo qualche arresto minore e  un  deludente vertice a Napoli – Il «superprefetto» Boccia: «Gerarchie saltate» – Alinovi:  «Sfida allo Stato e ai suoi poteri»

NAPOLI —  Sei funzionari, 60 agenti di PS, 30 specialisti della Criminalpol, 20 «volanti». È lo sforzo massimo che lo Stato Italiano può approntare subito per combattere la nuova ondata di criminalità che sconvolge il napoletano. I «rinforzi» stanno per giungere a Napoli. «Certo, so già che si dirà che è poca cosa, ma è il massimo che possiamo fare subito per potenziare le forze dell’ordine a Napoli», ammette il capo della polizia, Giuseppe Porpora.

E quasi per smontare In anticipo le critiche, ricorda le sue origini partenopee: «Sono nato a Castellammare di Stabia, ho studiato a Torre del Greco.  Ce la metteremo tutta per ricercare i colpevoli della strage di Torre Annunziata…».  Ieri sera, intanto, il presidente del Consiglio Craxi, rientrato a Roma, è stato Informato dal ministro dell’Interno Scalfaro, sulle indagini In corso per la strage di Torre Annunziata e sulle Iniziative che si stanno adottando.

La sensazione è che i poteri pubblici siano stati colti impreparati dall’esplosione di una nuova sanguinosa, spietata guerra tra bande camorriste.  Abdon Alinovi, comunista, presidente della Commissione antimafia, denuncia «un vero e proprio salto di qualità del crimine organizzato e perfino delle sue tecniche operative».  «I codici gerarchici sono saltati; i capi sono in galera ma sul mercato della delinquenza ci sono ancora troppi cani sciolti» afferma il prefetto di Napoli Riccardo Boccia. «Nel vuoto di potere provocato dall’uscita di scena dei boss riconosciuti, chi vuol farsi strada spara e ammazza».  Fino a provocare una strage come domenica a Torre Annunziata. Otto morti e sette feriti: una città di 70 mila abitanti nel terrore.  Ma gli inquirenti non sono ancora in grado di rispondere con certezza ai troppi interrogativi che meritano una risposta: perché tanta violenza?  Chi ha armato la mano dei killer? Quali sono i traffici da controllare?

Il super-prefetto» Boccia abbozza un’analisi: «Decapitata l’organizzazione cutoliana, si è creata una situazione magmatica all’interno della Nuova famiglia» che — è bene ricordarlo — non è un gruppo omogeneo bensì una federazione di bande.

Ci sono capi e capetti che intendono muoversi in modo autonomo: chi è più piccolo è anche il più feroce perché vuole affermare con il terrore la sua supremazia».

In   Prefettura   lo   scenario   tratteggiato come sfondo alla strage di domenica vede due clan, un tempo alleati, ora in guerra: i Gionta (obiettivo della spedizione) e gli Alfieri.  In gioco il controllo del traffico di carne e di pesce, oltre che della stessa droga. Dopo i maxi-blitz occorre ridisegnare la mappa del potere camorristico. In città —  dice Boccia —  sono stati conseguiti buoni risultati; nell’hinterland   invece   c’è   ancora   molto da fare. Il degrado di Napoli trova in provincia forme anche più esasperate.  La lotta alla camorra si presenta più difficile».

La tesi del conflitto locale non convince Alinovi: «Sarebbe riduttivo considerare quello che è accaduto a Torre Annunziata solo   come   un   episodio   particolarmente efferato e sanguinoso di un regolamento di conti tra bande rivali. Vi è l’obiettivo di seminare smarrimento e terrore a livello di massa ben oltre Torre e la stessa area di Napoli. E c’è una manifestazione di potenza che sfida lo Stato, le sue leggi e i suoi poteri».

La «piovra» estende i suoi tentacoli soffocanti su tutta la vita civile. Da capitale del contrabbando di sigarette oggi Torre Annunziata si è trasformata in un centro di traffici apparentemente leciti e puliti.

La camorra entra in tutti i settori: gli imprenditori e i commercianti onesti sono costretti a farsi da parte. Il mercato ha le sue regole economiche, i camorristi le hanno sconvolto a colpi di pistola» riconosce il prefetto.

Ha ragione dunque il presidente della Commissione antimafia a sostenere che la posta in gioco è alta. È in discussione il destino della seconda regione in Italia. Afferma ancora Alinovi: Sono tra coloro che non hanno sottovalutato i colpi recentemente inferti dalle forze dell’ordine ed alcuni magistrati alle bande camorristiche. Il riconoscimento è giusto e necessario.

Ma i fatti dimostrano che dedurre da singole operazioni o singoli risultati conseguenze ottimistiche costituisce uno sbaglio. Né mi sembra che i fatti di Torre possano essere slegati da manifestazioni criminali più o meno recenti anche in altre regioni del sud dove si pone questo stesso problema.

Certo i provvedimenti da adottare nell’area napoletana sono estremamente urgenti: rafforzamento della presenza delle forze dell’ordine, assistite dalla solidarietà, e dalla collaborazione delle istituzioni e della cittadinanza. Urgentissime anche le misure da prendere in Campania, come in Calabria e in Sicilia per il funzionamento della giustizia: uomini, strutture, mezzi.

L’esecutivo e lo stesso Parlamento sono dinnanzi ad una prova: volontà politiche, tempi e modi di realizzazione non possono non essere commisurati a queste esigenze. Ma sia chiaro —  conclude Alinovi —  che Torre Annunziata è l’emblema dell’estrema degradazione sociale di vaste aree del Mezzogiorno e la fuga dello Stato su questo versante si paga anche in termini di diffusione della barbarie».

Luciano Violante, responsabile della commissione giustizia del   PCI e membro della commissione parlamentare antimafia sottolinea, a sua volta, altri aspetti gravi e preoccupanti.

«Come è dimostrato dalla vicenda Cutolo-Cirillo — dice Violante — in Campania è più stretto che altrove   l’intreccio tra crimine organizzato, settori del mondo politico e settori delle istituzioni statali. Questo intreccio crea scandalose impunità, rende inadeguata la risposta istituzionale, isola i magistrati, i poliziotti e gli altri funzionari onesti e capaci, sviluppa l’arroganza delle bande armate della camorra che hanno compiuto negli ultimi quattro mesi, nel solo napoletano, 44 omicidi, uno ogni tre giorni.
Queste stragi non indeboliscono il crimine organizzato ma rafforzano i gruppi che risultano vincitori e preparano sanguinose vendette di cui possono restare vittima anche cittadini innocenti.
La strage di Torre Annunziata —  continua Violante —  dimostra la incongruità   delle   valutazioni ottimistiche che si erano fatte in primavera, anche dallo stesso ministro degli Interni, sulla baso della riduzione del numero di omicidi rispetto allo scorso anno.
La camorra, infatti,    esiste    indipendentemente  dagli  omicidi:  come  la  mafia,   quando   non   uccide  è perché ha  raggiunto  l’assoluto dominio oppure perché sta preparando  attacchi  più  gravi  del  consueto. La camorra — concludo Violante — si potrà abbatterò solo se verranno attaccati con continuità e senza cedimenti i suoi quattro   polmoni: traffico   di   droga, corruzione della spesa pubblica, circolazione   illegale di armi, estorsioni. Bisogna ora verificare   cosa   il   governo   ha   fatto su questo piano e per quali ragioni magistratura o polizia non sono state messe in grado di applicare sino in fondo la legge antimafia in Campania. È opportuno, infine, che la Commissione    antimafia   riprenda   subito in esame la situazione del napoletano   per sentire   il   ministro degli Interni e quello della Giustizia.

 

 

Fonte: archivio.unita.news 
Articolo del 29 agosto 1984
Torre Annunziata, per paura niente funerali
Già tumulate ieri sera,  in gran  segreto, per motivi di ordine pubblico, le salme delle otto vittime della strage.
di Maddalena Tulanti
Dopo quattro giorni la strage non ha né mandanti, né moventi .
Ritrovate tre auto del commando carbonizzate in una campagna.

NAPOLI — Dopo quattro giorni di indagini la strage di Torre Annunziata non ha mandanti né moventi. O meglio ne ha troppi.

I funerali delle vittime che avrebbero dovuto tenersi stamane all’alba, «in forma strettamente privata» per ragioni di ordine pubblico, così come aveva deciso il prefetto, forse non si svolgeranno affatto.  Infatti ieri sera le salme delle otto vittime sono state tumulate in gran segreto e alla presenza di pochi familiari che erano riusciti ad apprendere la notizia. I feretri sono stati accompagnati al cimitero sotto una forte scorta di polizia a distanza di 20 minuti l’uno dall’altro e ciò, secondo la polizia, per evitare incidenti».

Carabinieri e polizia, intanto, saltellano da un’ipotesi all’altra, ora cercano di restringere l’efferato agguato a una faida locale fra i due clan «padroni» della città, i Gionta e gli Alfieri; ora suggeriscono le alleanze più strane fra i clan maggiori della camorra per riuscire a delineare un quadro più preciso. Di conseguenza le uniche certezze in mano agli inquirenti in questo momento sono veramente poche.

Elenchiamole. Innanzitutto le auto usate dal commando che ha assalito a mezzogiorno di domenica. Sono state ritrovate carbonizzate la 127, la Golf e la Giulietta in un campo di pomodori nell’agro Mariglianese, nel Nolano, a pochi chilometri da Torre Annunziata. La strada per raggiungere questa campagna è conosciuta solo da gente del posto perché lontana dal circuito provinciale, dunque del commando doveva far parte qualcuno di Torre Annunziata o che comunque aveva stretti collegamenti con la città. La Giulietta presenta tre fori. I carabinieri ne deducono che si è svolta una sparatoria fra gli «aggrediti» e gli «aggressori» e giungono ad affermare che qualcuno del commando (uno, due?) è rimasto ferito.

Opposta la tesi della polizia.  I tre fori ci sono, ma ciò non rappresenta una prova certa della sparatoria né tanto meno quella dell’esistenza di feriti.  Contraddittorie le forze dell’ordine anche sulle armi. I carabinieri sostengono che sono state usate armi da guerra, i Kalashnikov per esempio, micidiali mitra usati dai guerriglieri nel Medio Oriente, già utilizzati in qualche agguato mafioso.

La prova sarebbe in tre bossoli di arma lunga ritrovati sul posto e che possono essere inseriti in questi tipi di mitra.  Per niente d’accordo la polizia.  «I bossoli ritrovati sono quelli sequestrati da noi —  ha ribadito il capo della Mobile Malvano —  vale a dire 34 di calibro 12 e cinque di altro calibro. Di Kalashnikov nemmeno l’ombra».

E veniamo agli arrestati.  Non sono cresciuti di numero, sono sempre tre, né sono stati accusati per la strage. Giorgio Riso, per detenzione abusiva di armi e Pasquale Donnarumma per favoreggiamento. Un po’ più grave si fa la situazione di Ciro Galasso. Ora e stato arrestato anche per associazione per delinquere di stampo mafioso.  Ricco sfondato (fra le altre cose nelle valigie sono stati ritrovati due assegni, l’uno di 93 e l’altro di 97 milioni), Ciro Galasso sarebbe alleato degli Alfieri, avversari dei Gionta.

Potrebbe avere a che vedere con la strage? I carabinieri si limitano a dire che gli Alfieri — e dunque anche il Galasso — avevano tutto da guadagnare nel distruggere i Gionta. Intanto perché i loro «affari» si incrociavano — macellazione delle carni, contrabbando di sigarette, mercato ittico —; e poi perché ora che a Torre Annunziata aveva finalmente — per la prima volta — il proprio macello, le due bande erano entrambe interessate alla sua conquista. Questo secondo i carabinieri il pomo della discordia fra i due clan e da qui l’importanza conferita all’arrestato. Di diverso avviso la polizia. Ciro Galasso non c’entra nulla — secondo i poliziotti — e al momento gli elementi sono talmente poveri di significato che non è possibile seguire un’ipotesi sicura.

In questo panorama confuso l’unica certezza è che le forze dell’ordine, pur se lavorando con grande sacrificio in battute stremanti e difficili sia in Campania sia in altre regioni del Mezzogiorno (e a questo proposito ieri si è parlato insistentemente di tre fermi operati in Calabria) sono completamente disorientate.  Devono rifare la «conta» delle bande, dei clan, delle alleanze.  Tanto più che molti di quelli arrestati sono tranquillamente nelle loro case, in libertà provvisoria o agli arresti domiciliari: come si fa a considerarli «innocui»?

Nel Casertano sono 110 gli accusati di camorra a continuare (perché no?) a dirigere i loro affari dalle loro case. Pochi nomi per tutti.  Agli arresti domiciliari c’è Ernesto Bardellino, fratello del più noto Antonio, ex sindaco di S.  Cipriano di Aversa.  Ci sono i fratelli Di Cicco, spietati killers di Lusciano ed esperti nel racket delle estorsioni.  C’è Pasquale Di Girolamo, fratello del crudele Carmine, 50 omicidi sulla coscienza, ex-cutoliano trasbordato al clan avversario. E poi Alfonso Giusti, segretario del deputato democristiano Iannelli, di Santa Maria la Fossa; e il sindaco dello stesso comune, Roberto Martino, il quale, pur agli arresti domiciliari, continua a riunire la giunta del Comune a casa sua.  E c’è ancora un altro sindaco, Gravante, socialista stavolta, di Grazzanise, accusato di estorsione; e l’assessore provinciale all’agricoltura, Raffaele Ferraiuolo, il quale è stato accusato di aver «versato» i soldi del terremoto destinate alle campagne a bande mafiose e che, in libertà provvisoria, è tornato tranquillamente a far l’amministratore.

Nel Salernitano la stessa cosa. Secondo i carabinieri sono 80 gli arrestati per camorra tornati in libertà; da aggiungere alle cifre che fornisce la polizia, che parlano di altre 40 persone. Due nomi per tutti, Giuseppe Maisto, feroce killer cutoliano della Valle dell’Irno, ora tranquillo nella sua abitazione di Mercato S. Severino.  E Antonio Arpaia, cutoliano anch’egli,

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 27 agosto 1985
Torre Annunziata, a un anno dalla strage le autorità scelgono di non ricordare

NAPOLI — Non una messa e neppure un mazzo di fiori.  Né una cerimonia pubblica.  La città «ufficiale» ha preferito ignorare un anniversario imbarazzante: 8 morti e 7 feriti, la strage di Sant’Alessandro.  A Torre Annunziata, esattamente un anno fa, la camorra consumò una delle azioni più sanguinarie dal dopoguerra ai giorni nostri. Obiettivo dichiarato Valentino Gionta (il boss rimasto fortunosamente illeso ed arrestato solo nello scorso mese di giugno) e il suo clan.

Era il 26 agosto 1984, una domenica mattina calda e, apparentemente, tranquilla.  Poco prima   di mezzogiorno un pullman   da   gran turismo si ferma in piazza Castello, nel popolare quartiere delle carceri, proprio davanti al circolo dei pescatori.  E quello il quartier generale di Gionta; il capo sta distribuendo ai suoi uomini la paga domenicale.  Un «commando» di almeno 15 persone vi fa irruzione seminando terrore e morte.  Due minuti di inferno nel corso dei quali vengono esplosi centinaia di colpi di mitra e di pistola.  Al termine restano a terra 8 morti e 7 feriti.  Di quelle vittime — alcune completamente estranee al mondo della delinquenza — resta ora solo il ricorso nell’animo dei familiari.

Anche il luogo dell’eccidio ha mutato aspetto: il   circolo dei   pescatori, per   esempio, non esiste più.  Il muro di silenzio è stato rotto solo dal Pci che ha tappezzato le strade con un lungo manifesto ricordando le vittime della strage e innanzitutto le promesse che in quei giorni i poteri dello Stato (governo e Regione Campania) profusero a piene mani.

I comunisti nei giorni scorsi hanno chiesto all’amministrazione   comunale   di   organizzare   una cerimonia ufficiale, ma la giunta pentapartito ha risposto negativamente.  Disoccupazione (10 mila iscritti al collocamento su una popolazione di 57 mila abitanti) crisi del porto e delle aziende siderurgiche, droga e disgregazione giovanile sono argomenti sempre all’ordine del   giorno.   Su   questo   retroterra   Valentino   Gionta aveva costruito il suo impero criminale.

Contro Gionta, legato alla famiglia Nuvoletta di Marano, si sarebbe scatenata l’offensiva degli Alfieri e dei Fabbrocino, coloro cioè che nella zona torrese curano gli interessi del superboss Antonio Bardellino, signore incontrastato del traffico internazionale di droga.  La strage di Torre insomma, sarebbe un tassello della più vasta lotta per il potere criminale in Campania.

Tuttavia ad un anno di distanza, al di là di questo sommario scenario, non hanno ancora un volto né gli esecutori materiali della strage né i mandanti.  Il giudice istruttore Giuseppe Palmeri ha fatto sapere che per la fine dell’85 sarà in grado di completare l’inchiesta.  Per il momento tra il materiale raccolto, emerge una certezza anche uno dei killer sarebbe rimasto ucciso nel corso della sparatoria, ma il suo corpo non è mai stato trovato perché trascinato via dagli altri membri del «commando» e fatto sparire.

 

 

 

Fonte:  torresette.news
Articolo del 24 agosto 2016
Torre Annunziata – Libera ricorda Francesco Fabbrizzi, vittima innocente di camorra

L’uomo rimase ucciso durante la strage di Sant’Alessandro

Il 26 agosto 2016 ricorre il 32° anniversario di Francesco Fabbrizzi, vittima innocente della camorra.

L’uomo rimase ucciso durante la famigerata strage di Sant’Alessandro avvenuta a Torre Annunziata nel 1984 nell’allora Circolo dei Pescatori, nei pressi della chiesa di San Francesco.

Il presidio oplontino di Libera “Pastore e Staiano” lo ricorda – attraverso le parole del suo referente cittadino, Michele Del Gaudio – con commozione e promette un impegno concreto per lo sviluppo civile e sociale del Rione Carceri.

Francesco era un padre di famiglia completamente estraneo agli ambienti della criminalità. Fu coinvolto per caso nella cosiddetta Strage di Sant’Alessandro.
Il 26 agosto 1984 verso mezzogiorno un autobus turistico giunse a Torre Annunziata nei pressi del Circolo dei Pescatori, abitualmente frequentato dagli uomini del clan Gionta.

Era domenica e nella chiesa adiacente si stava celebrando messa. Il pullman si fermò e scesero non gitanti, ma un commando di ben quattordici killer, che cominciarono a sparare contro gli avventori del bar, ammazzando otto persone e ferendone sette. Fu un atto di guerra nei confronti del boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta, da parte dei gruppi rivali delle famiglie Bardellino, Alfieri e Fabbrocino. Dell’accaduto si occupò anche il giornalista Giancarlo Siani in un articolo dedicato ai rapporti tra i Nuvoletta e i Bardellino, che in seguito segnò la sua condanna a morte.

Tra le vittime del massacro ci fu anche Francesco, 54 anni, sposato, con un figlio appena ventenne, che è stato poi ufficialmente riconosciuto “vittima innocente della criminalità organizzata” dal Ministero dell’Interno.

Nell’agosto 2010 è stato inoltre ricordato dal Comune di Torre Annunziata nell’ambito di una commemorazione pubblica in ricordo del terribile fatto di sangue.

 

 

 

Fonte:  ilmattino.it
Articolo del 26 agosto 2019
Torre Annunziata, la strage di Sant’Alessandro 35 anni fa: «Morti, feriti e sangue ovunque»

Avvenne 35 anni fa, il 26 agosto di una calda domenica del 1984, poco dopo le 12 a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, una delle stragi di camorra più sanguinarie ed eclatanti della storia nella quale si contarono 8 morti e 7 feriti, tra cui innocenti. Dal nome del Santo del giorno è ricordata come «Strage di Sant’Alessandro». L’allora giovane carabiniere Andrea Buonocore, oggi in pensione, in servizio alla centrale operativa della Compagnia di Torre Annunziata, ricevette diverse concitate telefonate anonime in stretto dialetto: «Correte ci sono tanti morti, feriti e sangue dovunque».

L’esperto militare, conoscitore di luoghi e circostanze delle faide di camorra nel territorio, non esitò a far convergere sul luogo segnalato l’autoradio più vicina, Dice all’ANSA il carabiniere in congedo: «Ricordo che i colleghi facevano fatica a spiegarmi quello che non avevano mai visto prima ed io a prendere nota per riferire al comandante della Compagnia. Sono attimi che ho scolpito nelle mia mente e che ricordo con trepidazione ed entusiasmo per aver contribuito nell’immediato a gestire una situazione che coinvolse l’intera Arma dei carabinieri che fece convergere su Torre Annunziata centinaia di uomini e numerosi ufficiali. I militari contribuirono ad avviare una struttura investigativa complessa di cui il punto di riferimento rimase il valoroso allora capitano Gabriele Sensales». La «strage di Sant’Alessandro» ebbe una rilevanza mediatica internazionale, con inviati di tutte le principali testate giornalistiche mondiali. Le complesse indagini condotte dalla magistratura con l’apporto di carabinieri, polizia e gdf, spiegarono che l’evento clamoroso fu l’epilogo di una lotta per il controllo dei numerosi interessi criminali dei vari clan di camorra, inizialmente spartiti con un accordo di «cartello», poi saltato per le mire espansionistiche di Valentino Gionta che fece alleare il clan di Torre Annunziata con quello di Lorenzo Nuvoletta di Marano, ritenuto «proconsole» della mafia siciliana.

Tra gli otto morti vi fu anche una vittima innocente, il padre di famiglia Francesco Fabbrizzi di 54 anni che transitava tra via Castello e Via Roma, nei pressi del «circolo dei Pescatori», frequentato da esponenti del clan di Torre Annunziata ed anche, come era solito fare la domenica, dal capoclan Valentino Gionta, vero bersaglio dei 15 sicari dei clan Bardellino e Alfieri, armati fino ai denti per punirlo di aver violato accordi miliardari sugli interessi illeciti della camorra nella vasta area Vesuviana. La strage fu attuata in modo spettacolare e particolarmente cruento. I killer giunsero sul posto occultati in un bus turistico rubato in Calabria. Scesero dal veicolo suddivisi in due gruppi che indirizzarono una fitta pioggia di proiettili contro le persone che sostavano all’esterno e all’interno del locale. Furono attimi in cui i colpi schizzavano da tutte le parti e solo per una fatalità non fu colpito il capoclan, protetto dallo scudo umano dei suoi fedelissimi. I morti rimasero sui marciapiedi, 7 feriti furono accompagnati da conoscenti in vari ospedali della zona. Valentino Gionta riuscì a scappare nei vicoli del popoloso quartiere da cui aveva iniziato la carriera criminale, trasformandolo inizialmente in un enorme mercato delle sigarette di contrabbando e poi in centrale criminale da cui si controllavano gli appalti e il redditizio controllo del mercato delle carni, in contrapposizione con il clan di Carmine Alfieri di Nola.

 

 

 

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