27 Maggio 1993 Firenze. Strage Via dei Georgofili, Galleria degli Uffizi. Un’autobomba provoca la morte di cinque persone: Angela Fiume, il marito Fabrizio Nencioni, le Figlie Elisabetta di 8 anni e Caterina, di 50 giorni, e lo studente Dario Capolicchio.
Il 27 maggio 1993, pochi minuti dopo l’una del mattino, a Firenze, in via dei Georgofili, si verificò una terribile esplosione, che sconvolse il centro storico della città. L’esplosione distrusse la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Sotto le sue macerie morirono la custode dell’Accademia, Angelamaria Fiume in Nencioni, e i componenti della sua famiglia, il marito Fabrizio Nencioni e le bambine Nadia Nencioni, di nove anni, e Caterina Nencioni di 50 giorni. Si incendiò inoltre un edificio di via dei Georgofili e tra le fiamme morì Dario Capolicchio. Quarantotto persone rimasero ferite, anche gravemente
Subirono gravi danni numerosi edifici della zona, la Chiesa di S. Stefano e Cecilia e il complesso artistico monumentale della Galleria degli Uffizi. Dipinti di grande valore furono distrutti mentre il 25% delle opere presenti in Galleria subì danni. A determinare l’esplosione fu una miscela ad alto potenziale collocata all’interno di una vettura.
I processi hanno accertato che i mandanti e gli autori materiali della strage erano esponenti della mafia e che ad ispirarla era stata l’avvenuta formale deliberazione di «una sorta di stato di guerra contro l’Italia» da attuarsi utilizzando una precisa strategia di tipo terroristico ed eversivo, che andava oltre i consueti metodi e le consuete finalità delle varie forme di criminalità organizzata. Con essa si intendeva «costringere lo Stato Italiano praticamente alla resa davanti alla criminalità mafiosa».
Le sentenze hanno ricordato che – dopo i fatti del 1992, che avevano determinato la morte dei magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e delle persone addette alla loro tutela – lo Stato aveva reagito elaborando normative penitenziarie di rigore a carico degli esponenti di mafia (il noto art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario) e normative di favore per quegli esponenti della criminalità organizzata che decidevano di collaborare con gli organi di polizia o giudiziari. Si trattò, come si legge nelle sentenze, di una svolta nell’atteggiamento statale, che servì a intaccare la «presunzione di onnipotenza e di libertà» dei capi di mafia. Da qui, la scelta di tentare di “ammorbidire” lo Stato minacciando i suoi organi che «perseverando nella linea dura intrapresa avrebbero provocato al Paese lutti e distruzioni a non finire».
A indurre negli esponenti della mafia l’idea di ricorrere alle nuove forme di attentato contro il patrimonio artistico, fu un trafficante di opere d’arte. Spiegò ai capi di mafia che «ucciso un giudice questi viene sostituito, ucciso un poliziotto avviene la stessa cosa, ma distrutta la torre di Pisa veniva distrutta una cosa insostituibile con incalcolabili danni per lo Stato». Fu in questa ottica e seguendo le medesime modalità esecutive, che la mafia fece seguire alla strage di via dei Georgofili, quella al Padiglione di Arte Contemporanea di via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993, e, il giorno successivo, 28 luglio, a distanza di cinque minuti tra loro, gli attentati ai danni della Basilica di San Giovanni e della chiesa di San Giorgio a Velabro a Roma. A differenza della strage di via dei Georgofili e di quella di via Palestro, questi ultimi due attentati non provocarono morti, ma il ferimento di oltre venti persone e il danneggiamento di edifici e luoghi di culto.
(Nota da: memoria.san.beniculturali.it)
Foto e nota tratti da: adnkronos.com
Nadia Nencioni non aveva ancora nove anni. Sua sorella Caterina cinquanta giorni. Il 27 maggio 1993 la bomba di via dei Georgofili le seppellì sotto montagne di macerie con il padre Fabrizio e la mamma Angela mentre il giovane studente di architettura Dario Capolicchio mor’ carbonizzato nel rogo del suo appartamento. A diciotto anni di distanza le oscure ragioni di quella strategia terroristica, che oltre Firenze colpì Roma e Milano, sono state quasi del tutto individuate: gli uomini che azionarono le autobombe in nome e per conto di Cosa Nostra, e chissà per quali altri mandanti, volevano costringere lo Stato a far marcia indietro sul ”carcere duro” per i boss mafiosi e sulla legge sui pentiti.
Tratto da: reti-invisibili.net
L’attuale associazione è stata creata nel luglio del 2001, sostituendo un precedente comitato che inizialmente ha tutelato le vittime e i danneggiati dell’ attentato del 27 maggio 93 e poi ha coordinato quanti si sono costituiti nel processo come parti civili.
L’ASSOCIAZIONE
L’associazione riunisce le vittime e i familiari delle vittime della Strage di Via dei Georgofili avvenuta a Firenze nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993.
Si propone di (dall’ art.3 dello Statuto):
– rappresentare ed assistere le Vittime e i loro familiari nei confronti della Legge e delle Istituzioni e coordinare tutti gli interventi economici, giudiziari e tecnici a tal fine necessari ed opportuni;
– incoraggiare, favorire e promuovere le iniziative a favore di tutta la verità sulle stragi del ’93 e a favore del mantenimento della memoria
Per le vittime, per noi che abbiamo vissuto questo orrore sulla nostra pelle e su quella dei nostri familiari, Memoria e Verità sono due concetti intimamente connessi e non possiamo concepire l’ una senza l’ altra.
Perciò ci batteremo sempre affinché su questa vicenda venga fatta piena luce e il ricordo delle vittime innocenti possa limpidamente vivere nelle coscienze, non inquinato da lati oscuri, misteri irrisolti, responsabilità e connivenze non accertate e non perseguite. Lo abbiamo detto e continueremo a dirlo: NON C’È MEMORIA SENZA VERITÀ
GLI EVENTI
Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, alle ore 1.04, a Firenze, in un’ antica via del centro storico, via dei Georgofili, ai piedi della storica Torre del Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili , deflagra un’autobomba.
Si tratta di un Fiat Fiorino imbottito di 250 chilogrammi di una miscela esplosiva composta da tritolo,T4, pentrite, nitroglicerina. L’esplosione provoca il crollo della Torre e la devastazione del tessuto urbano del centro storico per un’estensione di ben 12 ettari, con un impatto che è stato definito ” bellico”.
Muoiono Caterina Nencioni di 50 giorni, Nadia Nencioni di 9 anni, Angela Fiume di 36 anni, Fabrizio Nencioni di 39 anni, Dario Capolicchio di 22 anni. Angela, custode dell’Accademia dei Georgofili, risiedeva nella Torre con la sua famiglia. Dario, che proveniva da Sarzana e studiava architettura a Firenze, muore trasformato in una torcia umana nella sua abitazione, posta nell’edificio di fronte alla Torre. I feriti sono 48, moltissime famiglie rimangono senza tetto.Viene danneggiata anche la Galleria degli Uffizi, situata a pochi metri dalla zona dell’ esplosione e altri edifici di interesse storico- artistico.
Si perdono per sempre capolavori e preziosi documenti, ma soprattutto si perdono per sempre cinque vite.
L’ipotesi di un attentato prende corpo fin dal giorno successivo, quando i vigili individuano il cratere che é di 3 metri di diametro e 2 di profondità. Altrettanto rapidamente si scopre che il Fiat Fiorino è stato rubato a Firenze in via della Scala non molti giorni prima dell’attentato e “imbottito” a Prato. In breve tempo, inoltre, gli inquirenti individuano negli uomini dell’organizzazione mafiosa ” Cosa Nostra”gli esecutori materiali della strage. Dopo un lungo iter processuale vengono comminati 15 ergastoli, definitivamente attribuiti dalla Cassazione il 6 maggio 2002.
Dieci anni, però, non sono stati sufficienti a scoprire chi ha ordinato questa strage, o, quantomeno, chi ne era a conoscenza e non l’ha fermata perché i suoi interessi coincidevano con quelli della Mafia.
Quanto ancora dovremo aspettare per scoprire quei volti ?
L’ITER PROCESSUALE
12 Giugno 1996 – udienza preliminare. Il Giudice Soresina dirà che dietro a questa strategia stragista si intravedono “menti più fini” di quelle mafiose di cosa nostra.
12 Novembre 1996 – Apertura del processo. I familiari delle vittime non ritengono che la strage sia stata eseguita esclusivamente ad opera della mafia e credono fermamente alle “menti fini” di cui ha parlato il giudice il giorno dell’udienza preliminare.
6 Giugno 1998 – Sentenza di primo grado che si conclude con 14 ergastoli e condanne varie
21 Luglio 1999 – Viene depositata la motivazione di sentenza nella quale viene dedicato ampio spazio al famoso episodio del proiettile di Boboli, ossia il 5 Novembre del 1992 nel giardino di Boboli a Firenze viene fatto ritrovare un proiettile di artiglieria confezionato in un sacchetto per rifiuti , il tutto collocato vicino al alla statua del Magistrato Cautius, inventore della cauzione.Questo episodio fu definito dagli allora inquirenti l’anticamera delle stragi del 1993.I familiari delle vittime danno una loro interpretazione a quel messaggio:
“congelate quelle specifiche investigazioni…..” Si rafforza l’idea fra le vittime che la strage di Firenze non sia stata voluta soltanto da Cosa Nostra.
21 Gennaio 2000 – Sentenza stralcio relativa a Riina Salvatore, Graviano Giuseppe e altri. Due ergastoli.
6 Maggio 2002 – Sentenza di Cassazione.Confermati 15 ergastoli. Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro non si presentano in Cassazione, lasciando aperti molti interrogativi. Antonino Messana, l’uomo nella cui abitazione di Prato venne imbottito di tritolo il Fiat Fiorino usato per l’ attentato,viene rinviato nuovamente a processo.
Il 13 marzo 2003 la Corte d’ Assise d’ Appello di Firenze ribadisce la condanna a 21 anni di carcere.
I familiari delle vittime esternano la loro soddisfazione per questa condanna. Messana si era sempre dichiarato vittima delle minacce mafiose e costretto , pena la sua vita e quella della sua famiglia, a prestare la sua abitazione come base, ma ovviamente una sua preventiva denuncia avrebbe potuto evitare la strage del 27 maggio ’93.
Articolo di La Stampa del 28 Maggio 1993
«Firenze ostaggio dei boss»
di Giovanni Bianconi
Vigna lanciò l’allarme: la «Piovra» abita qui
ROMA Qualcuno evoca una nuova strategia della tensione, e il terrorismo adesso è mafioso. Lo dice il ministro dell’Interno Mancino, lo dimostra la presenza dei super-poliziotti antimafia tra le macerie di via Georgofili a Firenze, come due settimane fa intorno al cratere di via Fauro a Roma. Stavolta, a differenza che ai Parioli, ci sono state le vittime, ma anche la strage di ieri può essere letta come un’azione dimostrativa e simbolica: perché Cosa Nostra ha colpito uno dei musei più famosi del mondo; perché Firenze è la città del procuratore Piero Luigi Vigna – uno dei magistrati più impegnati sul fronte antimafia – e di Antonino Caponnetto che, come e anche più di Maurizio Costanzo, è diventato uno dei simboli «popolari» della resistenza contro la Piovra. Le indagini sono appena all’inizio, e pure gli investigatori più esperti aspettano di avere qualche elemento concreto per fare altre ipotesi e dare chiavi di letture più precise. Per adesso ci sono le analogie con l’attentato di Roma – forse l’esplosivo è dello stesso tipo, spiega ancora il ministro dell’Interno – e le cifre, le certezze sulla presenza mafiosa a Firenze e in Toscana. A gennaio è stato proprio il procuratore Vigna, che fa parte anche della speciale commissione per i programmi di protezione per i pentiti, a dipingere un quadro più che allarmante alla commissione parlamentare Antimafia. «La Toscana – ha riferito Vigna -, che negli Anni Settanta era la terza regione in Italia per l’invio di soggiornanti obbligati dalla Sicilia e da altre regioni, è divenuta luogo privilegiato di residenza e di insediamento sia di personaggi mafiosi appartenenti alle correnti perdenti (aspetto singolarissimo di cui l’esempio più significativo è quello di Mutolo), sia di personaggi appartenenti alle correnti vincenti (Giacomo Riina, Santapaola ed altri)». Ed ecco le cifre sulla Piovra in Toscana: 804 persone indagate per delitti di mafia, di cui 290 per l’articolo 416-bis (associazione mafiosa) e traffico di droga insieme. Fino al gennaio scorso erano state arrestate 113 persone. Poi c’è il traffico di armi e di esplosivi, che nell’ex-Granducato vede uno dei principali crocevia. Ancora Vigna parlò all’Antimafia di «un’indagine partita dalla scoperta di un grosso traffico di armi pesanti, esplosivi e almeno un congegno per attivazione di cariche esplosive che si sviluppa dalla Romagna attraverso Montecatini Terme e la Sicilia. Le armi e le munizioni venivano indicate come “giubbotti e bottoni”. Le intercettazioni parlano anche di carichi di esplosivo che, nell’estate del 1991, sarebbero arrivati a Catania». A tirare le fila di queste operazioni, che secondo lo stesso Vigna potrebbero avere propaggini anche in Croazia, sono «personaggi mafiosi appartenenti al clan di Santapaola», il boss catanese arrestato due settimane fa. Con l’inchiesta sull’autoparco di Milano, condotta sempre dalla direzione distret¬ tuale antimafia di Firenze, è stato stroncato un commercio di armi e droga di cui Vigna dà questa dimensione: «Pensate che questo signore (uno degli arrestati, ndr) in soli due mesi e mezzo ha pagato (ovviamente si paga meno rispetto a quando poi si rivende) 1,2-1,3 miliardi per rifornimenti di eroina da distribuire attraverso la sua rete ai signori dell’autoparco». Con questi presupposti e con simili basi non è difficile, per i signori del terrore mafioso, organizzare una strage a Firenze. Anche se, considerata l’ora in cui è avvenuta l’esplosione e anche il giorno (quello del riposo settimanale per la trattoria che si trova nella via dove è scoppiata l’autobomba), gli investigatori ritengono possibile che si sia mirato ancora una volta all’intimidazione. I collegamenti con l’attentato romano di via Fauro so- no già un filone concreto di indagine, con lo scambio di informazioni e di identikit avvenuti tra gli inquirenti delle due città. Sempre il procuratore Vigna colui che ha portato a termine l’inchiesta sulla strage terroristico-mafiosa sul rapido 904, nel 1984 – all’indomani dell’attentato a Costanzo aveva detto: «Come per gli stupefacenti, più aumentano i sequestri più vuol dire che l’arsenale è ben fornito… Il consistente approvvigionamento di esplosivi può preludere ad una serie programmatica di azioni». Da via dei Georgofili, ieri, è arrivata la drammatica conferma. «La strategia del terrore di Cosa Nostra – spiega il sociologo e studioso di mafia Pino Arlacchi può durare a lungo, e può avere lo scopo di costringere lo Stato e la società, che in questo momento stanno conseguendo dei risultati importanti contro la mafia, ad un compromesso, ad una trattativa. Le bombe sono un segno di potenza, della capacità di terrorizzare il Paese». Arlacchi aggiunge anche un’altra interpretazione: «Visto che vanno a colpire fuori dalla Sicilia, questa strategia può sollecitare tentazioni separatiste. Qualche altra bomba e potrebbero alzarsi voci di forze anti-meridionali per dire “lo Stato nazionale non ce la fa a sostenere questa forza d’urto, e allora tenetevi la Sicilia, il vostro territorio”». I collegamenti degli investigatori non sono solo con l’attentato di via Fauro, ma anche con il periodo in cui Cosa Nostra scatena questa nuova offensiva. Quello dell’arresto di centinaia di mafiosi, ma anche delle inchieste giudiziarie sui rapporti tra mafia e politica, sugli intrecci tra Cosa Nostra e la massoneria che pure in terra toscana è molto forte.
Articolo di La Repubblica del 28 Maggio 1993
UFFIZI, È STATO PEGGIO DELLA GRANDE ALLUVIONE
di Paolo Vagheggi
L’ATTENTATO NEL CUORE DELLA CITTÀ STORICA
L’area interessata dall’esplosione copre il nucleo più antico del centro storico fiorentino.
Il monumento più colpito è la Galleria degli Uffizi. L’autobomba ha letteralmente sventrato la Torre de’ Pulci, che ospitava l’Accademia dei Georgofili, all’angolo con via Lambertesca, uccidendo il vigile Nencioni, la moglie e le due figlie. L’onda d’urto dei duecento chili di esplosivo ha colpito come un maglio gli Uffizi, distruggendo volte, lucernari, quadri, statue. Particolarmente devastato il Corridoio Vasariano, che unisce gli Uffizi a Palazzo Pitti attraverso Ponte Vecchio. Nell’area interessata dall’esplosione hanno avuto danni anche Palazzo Vecchio, il Museo di Storia della Scienza e la chiesa di Santo Stefano in Ponte. La forza della deflagrazione si capisce dalla descrizione dei suoi effetti. La miscela di pentrite e tritolo ha disintegrato il Fiorino utilizzato come autobomba. Il motore del furgoncino è stato letteralmente sparato a quindici metri di distanza ed ha sbriciolato al suo passaggio un portone in legno. Il paraurti è stato trovato appeso ad una sbarra di ferro al secondo piano del palazzo davanti all’Accademia dei Georgofili. Al terzo piano dello stesso palazzo era rannicchiato il corpo carbonizzato della quinta vittima, Dario Capolicchio.
ECCO IL BILANCIO DEI DANNI ALLE OPERE
Disintegrati tre capolavori che si trovavano nel Corridoio Vasariano: Il tributo a Cesare e Giocatori di carte di Bartolomeo Manfredi, Natività di Gherardo delle Notti. Danneggiati 30 dipinti e 4 sculture. Gravi lesioni all’ edificio cinquecentesco della Galleria. Il punto più colpito è il Corridoio che ha una volta crollata, danneggiata l’ala di ponente degli Uffizi. In frantumi finestre e lucernari. Inagibile la scala del Buontalenti dove si trova l’uscita dei visitatori. Distrutta l’Accademia dei Georgofili, davanti alla quale è esplosa la bomba. Sotto le macerie è rimasto l’archivio: migliaia di documenti e più di 40 mila volumi. Un dipinto di Giotto, la “Madonna della Costa”, è segnato dalle schegge dei vetri. Gravi danni alla cupola della chiesa, all’altare del Giambologna e alla scala del Buontalenti. Tutti i vetri di Palazzo Vecchio in frantumi. Museo di storia della scienza: da accertare i danni sulle apparecchiature del ‘ 600.
Articolo di La Repubblica del 28 Maggio 1993
NELL’ ARCHIVIO DEI GEORGOFILI SEPOLTI 40 MILA VOLUMI
di Manuela Zandro
FIRENZE – Non è un palazzo sventrato di Sarajevo. È l’Accademia dei Georgofili, anzi era. Non esiste più: un edificio storico che fa parte del complesso degli Uffizi, la Torre dei Pulci, ora è sventrato. La bomba è esplosa proprio davanti, nella viuzza medievale che ha raccolto come un imbuto e ingigantito gli effetti dell’ esplosione. E qui dentro sono morte quattro persone, tra cui due bimbe figlie della custode. Ma sempre qui si è consumato anche uno scempio culturale senza precedenti. Sotto le sue rovine adesso è sepolto l’ archivio dei Georgofili: migliaia di documenti storici e più di quarantamila volumi, un tesoro unico al mondo, una collezione irripetibile. Si potranno salvare solo se le ruspe dei vigili del fuoco riusciranno a spostare quintali e quintali di macerie senza strappare fogli delicatissimi e manoscritti che risalgono fino al Settecento. Solo se nel frattempo non pioverà, e se la bomba che è esplosa a pochi metri non ha bruciato la carta. Nessuno se la sente di quantificare i danni: è impossibile, il valore di quell’ archivio è inestimabile. L’ istituzione era una delle più antiche di Firenze e una delle più importanti al mondo, perchè fu la prima a raccogliere, dal 1753, tutti gli studi sull’ agricoltura e le scienze agrarie. Fra gli accademici, che segnarono profondamente la cultura illuministica, ci furono Vittorio Fossombroni, Neri Corsini, Cosimo Ridolfi, Bettino Ricasoli, Giovanni Baldasseroni. L’ Accademia dei Georgofili si formò per volere del canonico Ubaldo Montelatici che riunì diciotto persone in una casa di Pitti per avviare studi sulle scienze agricole. Ma il suo periodo d’ oro fu sotto Pietro Leopoldo di Lorena, quando diventò il più importante centro di studi illuministici. Ora intere raccolte del “Giornale agrario Toscano”, gli studi sulle bonifiche idrauliche della Valdichiana, quelle delle Maremme, le prime ricerche sulla mezzadria, sono sotto le macerie. Tra poco l’ Accademia avrebbe compiuto i tre secoli di vita, ora invece è schiacciata da quintali di barbarie. La rabbia del suo presidente, Franco Scaramuzzi, ieri era soffocata da un dolore non celabile. “Ce la faremo anche stavolta” diceva sconvolto durante la notte prima che i vigili sbarrassero via Lambertesca come una zona di guerra e impedissero atti di sciacallaggio. Già nel ‘ 66 i documenti dei Georgofili furono semidistrutti dall’ Arno e fu solo con l’ intervento dei volontari, gli ‘ angeli del fango’ , che il patrimonio fu salvato. Stavolta sarà molto più dura. Non tutto è perduto, ma occcorreranno tempo, soldi, pazienza. E fortuna. L’ attaccamento dei fiorentini alle proprie istituzioni è fortissimo: alla Galleria degli Uffizi, ai Georgofili, al deposito di arte sacra della Curia, ieri accorrevano spontaneamente decine e decine di restauratori della sovrintendenza, dell’ Opificio delle Pietre Dure, e moltissimi maestri artigiani. Per salvare il salvabile.
Per la lettura del giornale: archivio.unita.it
Articolo del 7 Luglio 2014 da gonews.it
Stragi del ’93, la Corte d’assise d’appello conferma la condanna all’ergastolo per Cosimo D’Amato
La Corte d’assise d’appello di Firenze ha confermato la condanna all’ergastolo per Cosimo D’Amato, il pescatore della provincia Palermo che fornì il tritolo per le stragi mafiose del 1993 a Roma, Firenze e Milano e per quella fallita del gennaio 1994 allo stadio Olimpico di Roma estraendolo da residuati bellici in fondo al mare (L’uomo non è invece, stato condannato per l’attentato a Maurizio Costanzo). Tra 90 giorni le motivazioni della sentenza. D’Amato, 69 anni, era stato condannato dal gup di Firenze il 23 maggio 2013 con rito abbreviato. La sentenza d’appello è stata pronunciata nel pomeriggio dalla II sezione dopo la discussione di stamani. La procura generale, con i sostituti Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, ha confermato la richiesta dell’ergastolo così come nel processo di primo grado. La difesa di Cosimo D’Amato rappresentata dall’avvocato Corrado Sinatra, tra i punti di appello ha ribadito la richiesta di assoluzione ritenendo l’imputato estraneo alle stragi poiché non consapevole dell’utilizzo fatto del tritolo da lui recuperato, per la pesca di frodo. D’Amato deve anche pagare le spese processuali sostenute dalla parti civili. La sentenza è stata letta dal presidente della Corte d’assise Alessandro Nencini. D’Amato è anche imputato nel processo per la strage di Capaci, su cui procede la procura di Caltanissetta. Il pescatore ha chiesto il rito abbreviato insieme al pentito Gaspare Spatuzza, Giuseppe Barranca e Cristoforo Cannella. D’Amato venne arrestato dal centro operativo Dia di Firenze nel novembre 2012, a seguito di indagini coordinate dalla Dda di Firenze proprio sulla base di dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, che riferì della consegna al clan Brancaccio dell’esplosivo per le stragi mafiose. D’Amato, cugino del boss Cosimo Lo Nigro, si è difeso dicendo che il tritolo da lui recuperato da ordigni bellici della Seconda Guerra Mondiale in fondo al mare serviva per la pesca di frodo e che comunque non sapeva per quale scopo servisse. Una linea non creduta dagli inquirenti e dai giudici. Oltre a dimostrare che D’Amato metteva a disposizione del clan Brancaccio il tritolo per le stragi, la Dia di Firenze ha ricostruito immersioni e relative quantità di tritolo estratte dai residuati bellici, per una somma di circa una tonnellata nel biennio 1992-1994, quantità compatibile con le necessità delle stragi per cui il pescatore è stato condannato e ben superiore a quanto sarebbe stato sufficiente per semplici attività di pesca di frodo. L’esplosivo veniva recuperato da ordigni bellici inesplosi, bombe d’aereo e proiettili di contraerea. L’associazione dei Georgofili, il pescatore sapeva “Cosimo D’Amato non poteva non sapere che dopo le stragi del 1992, del qual esplosivo si è occupato, se avesse avuto un’altra ingente richiesta di esplosivo solo ancora strage poteva essere”. Lo scrive in una nota il presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, dopo la sentenza della corte d’assise di appello di Firenze che ha confermato l’ergastolo al pescatore siciliano che fornì “tutto l’esplosivo per le stragi del 1993″. “Manifestiamo la nostra soddisfazione per una sentenza che ancora una volta fa giustizia a livello mafioso per le nostre sofferenze – aggiunge Maggiani Chelli – In quanto al fatto, messo in risalto dall’avvocato della difesa che tutto risalirebbe a 21 anni fa, quando nessuno sapeva cosa fosse via dei Georgofili con tutti quei poveri morti, e Cosimo D’Amato non poteva sapere nulla della strage di Firenze, non ci crediamo”. “Il mondo, piaccia o no, la notte del 27 maggio 1993 sapeva cosa fossero gli Uffizi e gli Uffizi hanno dato il nome alla strage di Firenze – prosegue la nota -, e anche un modesto pescatore con la ‘terza alimentare’ non poteva non essere stato colpito dal ‘boato’ con il quale la mafia cosa nostra ha fatto morire i nostri figli, tanto più se a quel boato aveva partecipato. ‘A ognuno il suo con grande correttezza’, come direbbe oggi Gabriele Chelazzi e per D’Amato Cosimo l’ergastolo, perché se lo merita tutto. E ora sia la volta delle indagini sui concorrenti nella strage di via dei Georgofili, perché noi non abbiamo chiuso qui le nostre richieste”.
Fonte: ANSA
Articolo dell’8 Luglio 2014 da antimafiaduemila.com
Il pg Crini: “Strage Uffizi è l’ultimo atto”. Ma i parenti delle vittime lanciano l’allarme
Crini in corte d’assise d’appello: “Il nostro lavoro adesso è finito”. La replica: servono altre indagini.
L’inchiesta ha dimostrato che la decisione di seminare terrore, distruzione e morte a Roma, Firenze e Milano fu presa dai vertici di Cosa Nostra. Fra i 17 condannati per strage ci sono i boss Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella, Matteo Messina Denaro (l’unico ancora latitante). Ma sin dall’inizio gli inquirenti hanno trovato tracce di contatti con realtà esterne alla mafia. Lo stesso pg Crini, nella sua requisitoria di ieri, ha ricordato due passaggi dell’inchiesta che possono far ipotizzare accordi fra mafia e politica sottesi alla campagna stragista del ’93, o quanto meno trattative per fermare gli attentati soddisfacendo le richieste di Cosa Nostra. Il mafioso pentito Gaspare Spatuzza ha riferito che, di fronte alle sue perplessità per la morte di bambini (nella strage dei Georgofili a Firenze il 27 maggio ’93 persero la vita con i loro genitori Nadia e Caterina Nencioni di 9 anni e 50 giorni), il boss Giuseppe Graviano gli disse: «La sai fare politica?». E poi ha raccontato che in un incontro al bar Doney di Roma, nel gennaio ’94, Graviano gli comunicò trionfante: «Abbiamo chiuso, abbiamo il Paese nelle mani», annunciando che erano stati trovati nuovi referenti in Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi, all’epoca sul punto di annunciare la sua discesa in campo. Su questi ed altri spunti i magistrati fiorentini hanno indagato per anni, senza però trovare riscontri riguardo a una effettiva condivisione della strategia del terrore da parte di elementi esterni a Cosa Nostra. Sui presunti “concorrenti esterni” non esiste ancora una verità accertata. Ma il dubbio non è mai stato fugato.
Commenta la signora Giovanna Maggiani Chelli, presidente della associazione dei familiari delle vittime di via de’ Georgofili: «I riferimenti del pg Crini ai due passaggi dell’inchiesta che alludono a rapporti fra mafia e politica ci fanno sperare che quando ha detto che questo processo è l’ultimo atto dell’inchiesta sulle stragi intendesse riferirsi soltanto alla associazione mafiosa e non anche alla politica pronta ad accordarsi con la mafia. Noi speriamo che quei riferimenti alludano a un futuro dell’indagine diverso da quello strettamente mafioso». (f. s.)
Tratto da: La Repubblica dell’8 luglio 2014
Articolo del 14 Gennaio 2016 da antimafiaduemila.com
Strage Georgofili: al via nuovo processo boss Tagliavia
A Firenze si è riaperto ieri un capitolo doloroso della nostra storia che attende ancora risposte e sentenze definitive. Al via, di fronte alla seconda sezione penale della Corte d’Appello di Firenze, il nuovo processo al boss mafioso Francesco Tagliavia per la strage di mafia di via dei Georgofili, avvenuta a Firenze il 27 maggio 1993. Quella notte nell’attentato morirono 5 persone e tra loro due bambine, ci furono 48 feriti e vennero danneggiate 148 opere d’arte. Dopo un iter giudiziario che seguì alla strage piuttosto complesso. Nel 2013 la Corte d’Assise d’Appello condannò il boss Tagliavia all’ergastolo accusandolo di strage, devastazione, porto di esplosivo e furto di una macchina. Ma la Cassazione, nel 2014, accogliendo il ricorso della difesa, annullò con rinvio la condanna all’ergastolo di Tagliavia perchè, contro di lui, secondo le tesi difensive, non ci sarebbero le prove. Il principale accusatore di Tagliavia è il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che raccontò che il boss oltre che aver messo a disposizione la ‘manodopera’ avrebbe anche partecipato alla fase di preparazione dell’attentato. Secondo il pg la sentenza di condanna non era “lacunosa ma svolgeva una valutazione attenta e un ragionamento probatorio stringente” sul coinvolgimento di Tagliavia nelle stragi.
Nel corso dell’udienza il pg Sandro Crini ha ribadito la richiesta dell’ergastolo. “Sono 22 anni che seguiamo processi e aspettiamo giustizia completa per la strage di via dei Georgofili – scrive la presidente dell’associazione fra le vittime della strage dei georgofili, Giovanna Maggiani Chelli – e ancora non ci siamo rassegnati all’isolamento al silenzio che regna ed imperversa. Ormai è palese, deve esserci un chiaro ordine di scuderia: di quella strage non se ne ha da parlare”.
Articolo del 21 gennaio 2017 da antimafiaduemila.com
Strage dei Georgofili in Cassazione chiesta conferma ergastolo per Tagliavia
Confermare la condanna all’ergastolo per il boss di Corso dei Mille, Francesco Tagliavia. E’ questa la richiesta che il sostituto procuratore generale della Cassazione, Mario Pinelli, ha fatto nella sua requisitoria davanti alla Seconda sezione penale della Suprema Corte presieduta da Giacomo Fumu.
Tagliavia è accusato di aver messo a disposizione i suoi uomini e prestato il suo assenso alla strage mafiosa del 27 maggio 1993, in via dei Georgofili a Firenze. Una strage in cui morirono cinque persone, tra le quali due bambine, e rimasero ferite altre quaranta, avvenuta con lo scoppio di una autobomba che danneggiò gravemente anche il patrimonio artistico nei pressi degli Uffizi.
Tagliavia venne arrestato nel maggio 1993. Uno dei suoi “soldati”, Pietro Romeo, l’aveva chiamato in causa già nel corso della prima inchiesta avviata immediatamente dopo gli attentati, ma le sue dichiarazioni non erano state ritenute sufficienti per procedere a carico del boss. Cosa che è stata resa possibile quando nel 2008 sono sopraggiunte le dichiarazioni d’accusa di Gaspare Spatuzza che ha contribuito a riaprire le indagini non solo sui fatti del ’93 ma anche su quelli del ’92 con le stragi di Capaci e via d’Amelio.
E’ la seconda volta che la posizione di Tagliavia viene esaminata dai supremi giudici che, in precedenza, avevano annullato con rinvio il verdetto d’appello affinché fosse compiuta una più analitica valutazione degli elementi di prova a supporto delle dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Pietro Romeo sul coinvolgimento del boss nella strage fiorentina. Era stato invece escluso l’apporto di Tagliavia negli attentati di Via Palestro a Milano, e per quelli al Velabro e a Via Fauro a Roma, compreso quello fallito allo stadio Olimpico. Per queste accuse, era stato prosciolto. Nel dibattimento svoltosi ieri in Cassazione, gli avvocati delle parti civili – costituite dai familiari delle vittime, Comune di Firenze e Regione Toscana, Ministero della Difesa – hanno chiesto ai supremi giudici di confermare l’ergastolo per Tagliavia rilevando che nell’appello bis i giudici avevano dato per accertata la partecipazione alla riunione di Santa Flavia e la piena credibilità dei pentiti. La decisione è attesa tra stasera e domani. La Cassazione ha infine rinviato al prossimo 20 febbraio la decisione sul ricorso del boss Francesco Tagliavia contro la condanna all’ergastolo per la stage di Via dei Geogofili a Firenze. Lo si è appreso al termine della camera di consiglio della Seconda sezione penale che emetterà il verdetto il prossimo 20 febbraio.
Articolo del 23 Gennaio 2017 da palermotoday.it
Mafia, il caso del pescivendolo straricco: “Sentenza Tagliavia potrà chiarire la trattativa”
La Cassazione decide sull’esattore dei boss palermitano, chiamato il “Gioielliere”. L’appello del presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime dell’attentato di via dei Georgofili
“Sono 23 anni che aspettiamo la verità sulla strage di via dei Georgofili del 27 Maggio 1993 , aspetteremo anche un altro mese”. Così Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime dell’attentato di via dei Georgofili a Firenze dopo che la sentenza della Cassazione per Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo in un processo di appello bis, “a sorpresa, per ragioni di difficoltà della materia – dice Maggiani Chelli all’agenzia Ansa – sarà emessa il 20 Febbraio”.
“Un mese di tempo – aggiunge – per stabilire se il capo famiglia di Cosa nostra sapesse o meno che Lo Nigro, Giuliano e Barranca stavano per venire a Firenze ad ammazzare i nostri figli con 277 chili di tritolo caricati nel magazzino di casa sua”. “Come mai tanto tempo – chiede però Maggiani Chelli – per vedere scritto sulla carta bollata della Cassazione che Spatuzza è attendibile? E la trattativa c’è stata? Perché di questo si tratta, di un processo quello a Tagliavia che non solo chiama in causa nella strage il pescivendolo straricco palermitano, ma soprattutto chiarisce bene a quale sopruso siamo stati sottoposti da una orda di barbari mafiosi che hanno creduto in chi gli aveva promesso che sarebbe stato annullato il 41 bis e tanto altro ancora”.
Francesco Tagliavia, sessant’anni, in un libro mastro del racket è stato indicato dai mafiosi più semplicemente come Ciccio Taglia. Era un esattore dei boss. Di professione pescivendolo, svolgeva la sua attività Sant’ Erasmo. Chiamato non a caso, “il gioielliere”, nei primi anni Novanta era considerato uno dei padrini emergenti operanti nella zona orientale di Palermo. Secondo le rivelazioni dell’ex boss pentito Salvatore Cancemi, Tagliavia brindò insieme a Totò Riina e agli altri membri della cupola dopo la strage di Paolo Borsellino. Enzo Scarantino raccontò di aver consegnato proprio a Tagliavia, Pietro Aglieri e Lorenzo Tinnirello, l’auto imbottita di tritolo per uccidere Paolo Borsellino. Macchina che i tre posteggiarono davanti al portone dello stabile di via D’Amelio, la mattina di domenica 19 luglio 1992.
Fonte: ilfattoquotidiano.it
Articolo del 20 aprile 2018
Trattativa Stato-mafia, ora verità sulla morte dei nostri figli dopo 25 anni di scuse.
di Giovanna Maggiani Chelli
Presidente Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili
“[…] ai vertici di Cosa nostra era arrivata come una trattativa avviata ed arenata. Questo – non solamente questo, certo, ma anche questo – ha comportato una decisione i cui risultati sono negli atti di questo processo”. Così disse nel 1998 il pm Gabriele Chelazzi durante la requisitoria per le stragi del 1993, primo dibattimento.
Non aveva ancora in mano sentenze passate in giudicato né c’era ancora stata la tanto discussa sentenza di Cassazione al boss Francesco Tagliavia, che sanciva l’esistenza della trattativa, ma che la strage di via dei Georgofili fosse stata il risultato di quella “sofisticata tecnica investigativa” – così come è stata definita in tutti questi anni – era indubbio anche per Gabriele Chelazzi già allora.
È d’obbligo la frase “aspettiamo le motivazioni di sentenza”, e la pronunciamo. Ma, dopo 25 anni di battaglie, se non sapessimo ancora perché i nostri figli sono morti vorrebbe dire che non ci siamo dedicati a sufficienza a cercare le prove.
Venticinque anni sono tanti ma la strage è uno di quei reati che non cade mai in prescrizione. Abbiamo tempo, abbiamo eredi e con fede aspettiamo che chi fino a ieri ha cercato mille scuse per non fare il proprio dovere, ora con indagini accurate proceda a rinvio a giudizio dei “concorrenti di Cosa nostra” per la strage di via dei Georgofili e per le stragi del 1993. Indagini inerenti i mandanti oltre Cosa nostra sono state aperte per la terza volta a Firenze, così hanno riportato i quotidiani il 31 ottobre scorso. Noi chiediamo solo un dibattimento: nel bene o nel male abbiamo bisogno di verità.
A chi ha perso i figli sotto il tritolo non si può chiedere di accettare la dicitura “tecniche investigative”.
Fonte: rainews.it
Articolo del 26 maggio 2018
Firenze, 25 anni fa la strage di via dei Georgofili
La notte tra il 25 e il 26 maggio del 1993 una bomba colpì il cuore di Firenze.
Vittime della strage mafiosa furono Angela Fiume e Fabrizio Nencioni, le loro figlie Nadia e Caterina e lo studente di architettura Dario Capolicchio.
È da poco passata l’una del 27 maggio del 1993. Un Fiorino, carico di esplosivo ad alto potenziale è parcheggiato in via dei Georgofili, a pochi metri dagli Uffizi, nel pieno centro di Firenze. Una violenta deflagrazione distrugge la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili. Perdono la vita Fabrizio Nencioni, la moglie Angela e le loro due figlie, Nadia, 9 anni, e Caterina, nata da appena 50 giorni. Muore anche lo studente di architettura Dario Capolicchio. Altre 41 persone rimangono ferite. Ingentissimi i danni anche ad alcuni ambienti della Galleria degli Uffizi e del Corridoio Vasariano: il 25 per cento delle opere d’arte presenti viene danneggiato. I capolavori più importanti, protetti dai vetri di protezione che attutiscono l’urto, si salvano, ma alcuni dipinti vanno perduti per sempre. restano danneggiati anche Palazzo Vecchio, la chiesa di S. Stefano, Ponte Vecchio e le abitazioni circostanti, moltissime famiglie restano senza un tetto.
Il movente
A ordinare la strage, come altre bombe che esplosero nello stesso anno a Roma e Milano, fu Cosa Nostra, che voleva così condizionare il funzionamento degli istituti democratici e lo svolgimento della vita civile del paese e ottenere un allentamento del regime del 41 bis. A Firenze, come nel resto d’Italia, la risposta fu compatta e la condanna ferma e senza possibilità di appello; e venticinque anni dopo si tiene viva la memoria di quell’attentato e delle sue vittime innocenti con iniziative e convegni.
Il processo
Alle inchieste che ricostruirono ciò che accadde e il movente della strage lavorò un pool di magistrati fiorentini che era composto da Gabriele Chelazzi, Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, sotto la guida dell’allora procuratore capo della Repubblica Pier Luigi Vigna, coadiuvato dal procuratore aggiunto Francesco Fleury. I responsabili materiali della strage vennero individuati velocemente. Resta ancora aperta la ricerca degli eventuali mandanti ‘occulti’, che Chelazzi aveva avviato e per cui l’associazione ‘Tra i familiari delle vittime’ chiede la riapertura delle indagini.
Il processo sulla strage dei Georgofili si aprì il 12 novembre 1996. La sentenza di primo grado arrivò il 6 giugno 1998, con 14 ergastoli e varie condanne. Nel 2000 fu la volta della sentenza stralcio relativa a Riina, Graviano e altri, con due ergastoli. Nel 2002 la Cassazione confermò 15 ergastoli. Tra i condannati Bernardo Provenzano (all’epoca latitante, fu arrestato nel 2006) e Matteo Messina Denaro (considerato, dopo l’arresto di Provenzano, il capo di Cosa nostra, latitante). Nel 2009 nuovi elementi d’accusa hanno portato la procura della Repubblica di Firenze, guidata da Giuseppe Quattrocchi, a chiedere la riapertura della vecchia inchiesta, archiviata, sui mandanti ‘occulti’ delle stragi del 1993, con imputato Francesco Tagliavia accusato di essere uno dei responsabili degli attentati del 92/93. I pm Quattrocchi, Nicolosi e Crini hanno motivato la richiesta di riapertura dell’inchiesta con l’esigenza di nuove indagini che hanno preso spunto dalle rivelazioni dei collaboratori di giustizia, uno dei quali, Spatuzza, direttamente coinvolto nell’esecuzione dell’attentato di via dei Georgofili. Il 5 ottobre 2011 il boss mafioso Francesco Tagliavia è stato condannato all’ergastolo per tutte le stragi del ’93 di Roma, Firenze e Milano. La sentenza è la prima che ha riconosciuto la piena attendibilità del pentito Gaspare Spatuzza, l’ex reggente del mandamento di Brancaccio. Un nuovo processo si è aperto il 27 maggio 2013 per la cosiddetta ‘trattativa Stato-mafia’. Il 20 aprile 2018 la Corte di Assise di Palermo ha condannato il boss mafioso Leoluca Bagarella a 28 anni di reclusione, il boss mafioso Antonino Cinà a 12 anni, l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex vertici del Ros Antonio Subranni e Mario Mori a 12 anni, l’ex colonnello Giuseppe De Donno a 8 anni. Assolto l’ex ministro Nicola Mancino, mentre è intervenuta la prescrizione per il pentito Giovanni Brusca.
Il ricordo
Per commemorare il 25mo anniversario della strage è stata allestita agli Uffizi una video installazione immersiva con immagini e suoni di quella notte drammatica accompagnata dall’esposizione del primo dipinto distrutto dalla bomba e poi restaurato, L’Adorazione dei pastori di Gherardo Delle Notti. L’iniziativa è stata organizzata dagli Amici degli Uffizi nella sala di San Pier Scheraggio. Sulla tela dell’Adorazione verranno inoltre proiettate le parti mancanti del dipinto, impossibili da recuperare dopo la deflagrazione: un inserto simbolico, realizzato con il fine di ricucire virtualmente le parti dell’opera andate perdute.
Il restauro de I giocatori di Carte
Sabato, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, ‘I giocatori di Carte’ di Bartolomeo Manfredi – distrutto dell’esplosione della bomba ai Georgofili, il 27 maggio 1993 – tornerà alla città grazie alla campagna di raccolta fondi “Cultura contro terrore” promossa nel giugno 2017 dal Corriere Fiorentino, Gallerie degli Uffizi e Ubi Banca per il restauro del dipinto. Con la cifra raggiunta, 26.527.50 euro (il traguardo era 22.212 euro), grazie alla generosità di quanti hanno contribuito, è stato possibile restaurare anche la cornice e realizzare una pubblicazione, in collaborazione con l’editore Mandragora, per raccontare la storia di questa impresa. Il quadro, sarà poi esposto al pubblico nell’auditorium Vasari degli Uffizi, aperto eccezionalmente dopo il corteo che alle 1,04 di domenica notte muove da Palazzo Vecchio al luogo dell’attentato. Resterà in mostra per tutta la settimana seguente, mentre al termine dei lavori per il Corridoio Vasariano, tornerà nel luogo in cui si trovava la notte della bomba. La tela di Manfredi che era appesa di fronte alla finestra sulla torre dei Georgofili, con l’esplosione della bomba fu strappata dai vetri distrutti dal tritolo. Subito dopo l’attentato fu messa in sicurezza e ricoperta con carta velina e così è rimasta per 24 anni. Ora, grazie alle nuove tecnologie disponibili e alla perizia della restauratrice Daniela Lippi, quasi ogni frammento tra quelli recuperati dopo l’attentato, ha ritrovato il suo posto. E ha ripreso forma la scena di vita quotidiana del 1600 che raffigura un gruppo di giovani uomini, seduti in un’antica locanda intorno a un tavolo di legno, mentre giocano a carte.
Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 21 aprile 2019
Nadia e Caterina, sorelle sotto le bombe
di Alessia Pacini
Uno scoppio e poi il silenzio. La fine di una vita, all’improvviso, si misura con una manciata di secondi. Siamo a Firenze, la notte è quella tra il 26 e il 27 maggio 1993. Una Fiat Fiorino carica di 250 chili di tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina esplode in via dei Georgofili, provocando il crollo della Torre dei Pulci, sede della famosa e omonima Accademia del capoluogo toscano. L’obiettivo è chiaro: colpire il cuore e l’anima della città bagnata dall’Arno, ovvero il museo degli Uffizi.
In quella notte andranno perse opere d’arte, 48 persone rimarranno ferite e cinque persone perderanno la loro vita. Tra queste, insieme allo studente Dario Capolicchio, anche la famiglia Nencioni: il babbo Fabrizio, la mamma Angela e le due piccole di casa: Nadia e Caterina.
Nadia e Caterina sono sorelle: hanno rispettivamente 9 anni e 50 giorni e il loro legame è forte e acerbo allo stesso tempo. A loro, però, non viene lasciato il tempo di farlo fiorire e diventare forte. Nadia e Caterina sono le vittime collaterali di un attentato mafioso voluto dai vertici di Cosa Nostra subito dopo quelli di Capaci del maggio 1992 e di Via d’Amelio del luglio dello stesso anno.
Dopo 18 anni da quella notte di orrore e terrore che ha lasciato anche un cratere di 4 metri e mezzo nel suolo fiorentino è Gaspare Spatuzza, pentito e collaboratore di giustizia, a parlare in tribunale: “Ho partecipato alla strage di via d’Amelio. Capaci ci appartiene, via d’Amelio ci appartiene… Ma i morti di Firenze e di Milano no. Io sentivo il malessere per la bambina di Firenze. E solo da poco, mi scuso, ho capito che le bambine uccise erano due, Nadia e Caterina. Ora mi inginocchio davanti allo Stato e chiedo perdono”. Chiede perdono, Spatuzza, dopo 250 chili di tritolo, nitroglicerine e pentrite e l’uccisione di Nadia e Caterina.
Oggi il ricordo delle due sorelle è presente e si fa vivo: a Corleone (Palermo) un asilo porta il nome di Nadia e Caterina; a Quarrata (in provincia di Pistoia), nel 2010 è stato inaugurato un giardino in loro nome; alle piccole Nencioni è dedicato un asilo anche a Campi Bisenzio, così come a San Casciano (nella regione del Chianti), dove i nomi di Nadia e Caterina potranno essere letti all’entrata di un nido.
Il ricordo delle due vittime più giovani si fa forte proprio tra i più piccoli, affinché la memoria delle vite spezzate delle sorelle possa mettere radici e crescere. Così come il loro rapporto sarebbe cresciuto nella consapevolezza della presenza dell’altra, allo stesso modo chi studierà in quelle aule e giocherà in quel parco potrà diventare grande nel ricordo di chi non ha potuto.
“Il tramonto si avvicina”, ha scritto Nadia. E continua: “un momento stupendo. Il sole sta andando via (a letto), è già sera tutto è finito”. È, infine, quella poesia oggi a dare il nome all’operazione – Tramonto, appunto – che si spera possa portare in carcere Matteo Messina Denaro, l’ultimo latitante di peso dell’ala stragista di Cosa Nostra
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