27 Ottobre 2000 San Giovanni in Fiore (CS): Ucciso Gianfranco Madia, 15 anni. insieme al nonno Francesco Talarico, 61 anni.

Gianfranco Madia, 15 anni, fu ucciso a colpi di “lupara” insieme al nonno Francesco Talarico, 62 anni, sulla superstrada che collega Camigliatello a San Giovanni in Fiore, il 27 Ottobre del 2000.

 

Articolo del 5 Dicembre 2000 da ilcrotonese.it    
San Giovanni in strada: la mafia qui non passerà
di Mario Morrone

SAN GIOVANNI IN FIORE – La manifestazione pubblica, “deliberata” dal Consiglio comunale straordinario, all’indomani dell’imboscata di Garga, al seguito della quale morirono il giovane Gianfranco Madia e il nonno Francesco Talerico, si è svolta sabato 1 dicembre con concentramento al bivio Cappuccini.
Da qui un corteo, guidato dal sindaco Riccardo Succurro, dagli assessori, dal presidente del Consesso civico, Agostino Audia, e gran parte dei consiglieri comunali e dai genitori del 15enne Gianfranco, si è snodato per le principali strade della città: via Roma, via XXV Aprile, piazza Abate Gioacchino e sino al piazzale del Comune.
Alla manifestazione hanno partecipato, inoltre il presidente della Provincia di Cosenza, Antonio Acri, il deputato sangiovannese Mario Oliverio, numerosi cittadini, quasi tutti gli studenti delle scuole secondarie, i quali hanno anche esposto alcuni cartelloni con frasi in ricordo dello sfortunato Gianfranco Madia.
“La mafia non passerà, perché qui il tessuto sociale è ben radicato nelle coscienze della gente”, hanno detto alla fine della manifestazione sia il sindaco Succurro, che il presidente della Provincia di Cosenza Antonio Acri.
Alcune critiche esterne si sono pure registrate all’indirizzo dell’organizzazione della manifestazione, del tipo “a San Giovanni non esiste un problema mafia; perché non sono stati coinvolti i partiti, tutte le scuole e ogni organizzazione della società”.
Della manifestazione, tuttavia, la città è stata informata con manifesto murale e per mezzo d’invito pubblico, attraverso una macchina munita d’altoparlante.
Insomma una manifestazione riuscita, quasi ad esorcizzare quel triste giorno di ottobre, quando sotto il piombo caddero due persone, di cui un quindicenne.
E il ricordo è stato soprattutto per Gianfranco. Erano a lui dedicato, infatti, cartelloni tenuti alti dai numerosi studenti e compagni di scuola: “Gianfranco ci manchi”, “Gianfranco eri il Sole, dopo la tempesta”. Ancora striscioni con slogan densi di significato.
La San Giovanni “montanara” ha così risposto all’impennata criminale, mai verificatasi prima. Quella dell’1 dicembre è la risposta pubblica alla criminalità organizzata, voluta a seguita di un consiglio comunale straordinario convocato alla bisogna.
E il sindaco Succurro l’ha detto a chiare note: “In queste manifestazioni di difesa della nostra città non v’è alcun colore politico, e noi non cederemo di un millimetro a difesa dei nostri valori. I nostri padri – ha concluso Succurro – ci hanno consegnato un paese sano, noi abbiamo l’obbligo e il dovere di lasciarlo intatto ai nostri posteri, in rispetto della legalità e della democrazia che è alla base di ogni uomo e alla convivenza civile”.
In piena convergenza a Succurro, hanno fatto eco tutta la rappresentanza degli amministratori presenti, tra i quali Oliverio e Acri. Quest’ultimo ha assicurato l’appoggio dei membri della Commissione nazionale antimafia.

 

 

Articolo del 4 Ottobre 2009 da lavocedifiore.org
Calabria, San Giovanni in Fiore (Cosenza) verso la grande delinquenza organizzata. Perché fingere? Serve coscienza e Polizia
di Emiliano Morrone

Dopo gli ultimi fatti di sangue, ancora la posizione netta di “la Voce di Fiore”, nato nel comune calabrese che ha il record nazionale di disoccupazione ed emigrazione

E ora? Diranno che è tutto a posto, che s’è trattato d’eccezione, d’accidente nello scoppio di colpi di 7,65 previsti a salve per le riprese del film “Da Obama a Gioacchino, al nosocomio di larghe intese”?

Diranno, dopo l’agguato ai due giovani gravemente feriti da un killer vicino l’ospedale, che San Giovanni in Fiore fa provincia di Cosenza, che le armate stanno giù verso Crotone e che nella città calabrese, povera ma buontempona, non c’è nulla da spolpare?

Diranno che il territorio è preservato dalla ’ndrangheta, “denuclearizzato” a modo, lontano dalle porcherie del fiume Oliva, monitorato in cima dai conventuali e schermato da pini rigogliosi, resistenti alla processionaria?

Diranno che qui l’aria e l’acqua sono incontaminate, e di conseguenza lo è integralmente anche il territorio, comprese le discariche che si vogliono moltiplicare?

Diranno che ci sono almeno 31 chilometri dal centro silano, religiosamente puro e puramente religioso, al primo avamposto della ’ndrangheta spa, quanti bastano a scongiurare in loco la presenza di imprenditoria o macelleria della holding criminale?

Diranno che s’è trattato d’un caso del tutto casuale, magari come quello del fortunato di Bagnone (Massa-Carrara) che ha svoltato col record al Superenalotto?

Diranno che quando Gian Antonio Stella si occupò sul Corriere di questa realtà economica e sociale, un turpe lo ubriacò con rosso di Krimisa e gli fece scrivere la baggianata dei 24 autosaloni e delle 10 beccherie, dei 6mila disoccupati, degli emigrati a gogò, dei 2mila assistiti e dei 3.500 pensionati su 18mila abitanti?

Diranno che una simile situazione, fantasiosa, poi, per esempio non può mai indurre a consumo e traffico di stupefacenti, di cui la ’ndrangheta è leader?

Diranno che lo scorso lunedì giravano le ronde la notte della sparatoria, ma con ottima “paisanella”, grappa locale, festeggiavano un momento la vittoria della Reggina calcio?

Diranno che i latitanti Guirino Iona, Silvio Farao e Cataldo Marincola si nascosero, per sfuggire alle guardie, in un altro altopiano, non nella Sila, di cui San Giovanni in Fiore è il comune più importante?

Diranno che le statistiche dei delitti non permettono di irrobustire l’ordine pubblico e che una dozzina di carabinieri e un presidio della Guardia di Finanza sono sufficienti a controllare un’area di soli boschi nella direttrice Cosenza-Crotone, 109 chilometri senza un posto di Polizia?

Diranno che il barbaro assassinio di Francesco Talarico (61 anni) e Gianfranco Madia (15 anni) a colpi di lupara fu qui un altro caso eccezionale da espungere dagli archivi?

Diranno che l’omicidio di Antonio Silletta, e della madre che morì di crepacuore, non interessa la zona perché avvenuto fuori della giurisdizione amministrativa e, visti i precedenti della vittima, si può chiudere, con Victor Turner, come “epilogo naturale d’un dramma sociale qualunque”?

Diranno che frequenti accoltellamenti e violenze per la via, stile Bronks o Josephine Street, si possono giustificare col tipico e innocuo calore dell’animo meridionale, sangiovannese?

Diranno, sociologia in tasca, che le sorti del comune non vanno compromesse con stupidi allarmismi, ed è probo, per l’immagine e la salute pubblica, ribadire che sparuti eventi di sangue vanno isolati dal contesto bucolico?

Diranno che qualcuno esagera strumentalmente e che la politica intera non può rimproverarsi immobilismo, come per l’ingabbiatura ferma dell’Abbazia florense, forse richiamo a Santiago Calatrava?

Questa città si sta sciupando, si svuota e sfiorisce a dispetto del suo nome. Forse perché non vuole rendersi consapevole. Né vuole intendere che la criminalità non ha partito e provincia, agisce come e quando vuole, e non le importa di Gioacchino da Fiore.

A San Giovanni in Fiore è urgente affrontare responsabilmente la questione della sicurezza, a questo punto; la quale non si può risolvere con l’assistenzialismo debordante, causa d’un malessere e squilibrio sociale che annunciano la grande delinquenza organizzata.

 

 

Articolo del 2 Aprile 2010 da gazzettadelsud.it
La lunga catena di delitti impuniti in Sila
di Arcangelo Badolati
Agguati, casi di lupara bianca e cadaveri carbonizzati segnano l’ingerenza della ‘ndrangheta tra i boschi

Un tappeto di cadaveri steso tra contrafforti inespugnabili. Con vallate, boschi e vette sferzate dal vento gelido trasformati in un cimitero per morti ammazzati. L’altopiano silano negli ultimi anni è stato utilizzato dalle cosche crotonesi per nascondere i corpi delle vittime della lupara bianca e per dare alle fiamme le salme dei “picciotti” condannati a morte dai tribunali della ‘ndrangheta di Petilia Policastro, Cotronei, Belvedere Spinello, Cutro, Mesoraca e Cirò. È quanto sembra emergere dalle indagini condotte dalla procura antimafia di Catanzaro. La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha infatti assunto il coordinamento delle indagini sugli ultimi due delitti ordinati dai “padroni” dei boschi. Il primo ha visto soccombere un macellaio di San Giovanni in Fiore, Antonio Silletta, 36 anni, trovato carbonizzato tra i faggi a gennaio del 2007. La scoperta del cadavere fece morire di crepacuore, poche ore dopo, pure la madre della vittima. Il secondo riguarda, invece, un fotografo napoletano, residente a Petilia Policastro: si chiamava Paolo Conte, aveva 44 anni, e venne trovato incenerito, il 29 agosto del 2006, all’interno della sua auto, nella boscaglia che lambisce il lago Ampollino. Considerate le condizioni del cadavere fu persino difficile capire come fosse stato assassinato. Solo dopo accuratissimi esami necroscopici, compiuti dal prof. Aldo Barbaro, si scoprì che era stato ucciso con un colpo di pistola sparato alla nuca. Esattamente come Silletta. Ignoti gli autori dei due crimini, oscuro il movente. Come sempre. È d’altronde difficile per chiunque districarsi nella selva d’interessi, faide, traffici, alleanze, che fanno da sfondo ai tanti omicidi compiuti a cavallo del massiccio silano negli ultimi anni. La Sila allunga le sue pendici di roccia sino alle aree ioniche del cosentino e del crotonese. Zone ad alta densità mafiosa. La lotta tra lo Stato e l’antistato tra i contrafforti battuti dal vento, si combatte facendo i conti con i volti imperscrutabili degli allevatori, i proverbiali silenzi dei pastori, le continue transumanze del bestiame e i rumori di potenti fuoristrada assurti a simbolo d’una ostentata ricchezza ottenuta gestendo terreni e floride coltivazioni.
Vi sono ancora numerosi casi insoluti. Per esempio quello della misteriosa scomparsa, nel settembre del 2005, di Giuseppe Loria, operaio ventiquattrenne di San Giovanni in Fiore. Il ragazzo, estraneo ad ambienti a rischio, era stato lasciato da un conoscente davanti a un albergo cittadino. Loria fece intendere che avrebbe dovuto incontrare un amico. Da quel pomeriggio, però, nessuno l’ha più visto. La madre ha più volte lanciato disperati appello caduti, purtroppo, nel vuoto. Tra i boschi di San Giovanni in Fiore, nell’agosto del 2003, venne trovato pure il corpo carbonizzato di Gaetano Covelli, 42 anni, di Petilia Policastro. Il venti dicembre dello stesso anno, in località Bocca di Piazza, fu invece assassinato a colpi di fucile caricato a pallettoni, un allevatore di Colosimi, Gianfranco Mancuso, di 46 anni. Le tre vicende – pur se non collegate tra loro – testimoniano la ferocia della criminalità montana.
I delitti consumati tra le montagne del massiccio calabrese celerebbero un groviglio d’inconfessabili interessi, legati alla gestione di terreni, capi di bestiame e aziende agricole. Beni spesso destinatari di lucrosi finanziamenti pubblici. Sullo sfondo si muoverebbero i segreti interessi delle fameliche cosche della ‘ndrangheta crotonese, che hanno individuato nell’area dell’Altopiano un’oasi d’impunità. Per piegare le flebili resistenze degli onesti, i picciotti danneggiano colture e allevamenti, tagliano alberi, rubano bovini. Quando la “cura” appare insufficiente, sparano a “pallettoni”. Oppure ricorrono al collaudato sistema della lupara bianca. Sistema diabolico e efficace che potrebbe essere stato adoperato proprio per far sparire Giuseppe Loria. Magistrati e investigatori non escludono che sotto i maestosi alberi secolari del massiccio montuoso siano stati nascosti pure i resti di Annibale Alterino e Damiano Mezzorotolo, due cognati di Cariati, di cui non si hanno notizie da quasi quattro anni. Sul versante cosentino della Sila sarebbero stati seppelliti – secondo alcuni pentiti – anche i corpi di Francesco Salerni, scomparso nel 1985 e di Giovanni Leanza, sparito nel 1991. Entrambi vivevano a Cosenza. Simile, ma ancora più cruenta, la fine fatta fare ai fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo, uccisi nella città dei bruzi e squagliati nell’acido in una radura silana. I resti vennero distrutti utilizzando – come si evince dalle rivelazioni di due collaboratori di giustizia – un bidone di grande dimensioni ricolmo di una sostanza dal potere scarnificante. È in questo mondo di “tragedie” mafiose e di malaffare che si stanno muovendo i magistrati inquirenti di Cosenza e della Dda di Catanzaro. In Sila si concentrerebbero anche gl’interessi dei trafficanti di droga dell’area ionica. Interessi di cui parlò per primo, nel lontano 1997, un pentito siciliano, di Barcellona (Messina). La “gola profonda” fece esplicito riferimento a incontri avvenuti a San Giovanni in Fiore per stabilire l’entità dei carichi da trattare. Il collaboratore parlò pure di un esponente delle forze dell’ordine su cui i “narcos” potevano contare per trasferire le partite di cocaina e eroina. Le sue dichiarazioni non hanno però mai avuto sbocchi processuali.
Tra le montagne l’uso del fucile calibro 12 è una tragica costante che collega una decina di agguati compiuti nel triangolo geografico Lorica-San Giovanni in Fiore-Trepidò. L’elenco delle azioni di fuoco compiute è lungo e agghiacciante. Nel ’93 Mario Carvelli, 43 anni, imprenditore agricolo di Crotonei, cadde falciato dai pallettoni nell’area crotonese della Sila. Pochi mesi dopo, identica fine fece un altro allevatore Fausto Musacchio, 50 anni, sempre di Crotonei. Il 13 agosto del ’98, a Trepidò, in una zona non lontana da un villaggio turistico posto a ridosso dall’Ampollino, venne trucidato un piccolo allevatore, Giuseppe Angotti, 44 anni, sempre di Crotonei. Nove mesi dopo, esattamente il 12 maggio del ’99, sulla Statale 107, rimasero feriti in un altro agguato gli allevatori Vittorio Schipani, 58 anni e Antonia Costante, 49, di San Giovanni in Fiore. Il 27 ottobre del 2000 l’imprenditore agricolo Francesco Tallarico, 62 anni, e il nipote Gianfranco Madia, di 15, entrambi sangiovannesi, furono assassinati a colpi di “lupara” sulla superstrada che collega Camigliatello a San Giovanni. Nel settembre 2001, toccò all’allevatore di Cariati, Tommaso Greco, ammazzato sulla Ss 107, in territorio di Lorica.

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