29 Febbraio 1988 Paceco (TP). Giustiziato Rosario Cusumano, 16 anni, garzone in un panificio. Non aveva rispettato la legge dell’omertà.
Rosario Cusumano, 16 anni appena, è stato giustiziato per qualcosa che non avrebbe mai dovuto sapere. Un testimone da eliminare, che era venuto a conoscenza e forse aveva anche svelato un terribile segreto. E tanto più pericoloso perché era un ragazzo pulito, del tutto estraneo agli affari più cupi e sotterranei del suo paese. Faceva il garzone in un panificio a Paceco, alle porte di Trapani, zona ad alta intensità di mafia. Lo hanno eliminato con una tempesta di colpi sparati con fucile e pistole, con quella pallottola esplosa dritta in gola, proprio mentre si stava recando a lavoro: alle cinque del mattino, in una viuzza a quell’ora deserta ma nel cuore del paese. Nessuno ha visto e sentito niente, anche se i colpi esplosi nel silenzio hanno avuto l’effetto di una bomba. (tratto da ricerca.repubblica.it)
Articolo del 1 marzo 1988 da ricerca.repubblica.it
‘GIUSTIZIATO’ A SEDICI ANNI
di Umberto Rosso
TRAPANI Un colpo di pistola in bocca. Un macabro rituale di morte che lascia pochi dubbi: Rosario Cusumano, 16 anni appena, è stato giustiziato per qualcosa che non avrebbe mai dovuto sapere. Un testimone da eliminare, che era venuto a conoscenza e forse aveva anche svelato un terribile segreto. E tanto più pericoloso perché era un ragazzo pulito, del tutto estraneo agli affari più cupi e sotterranei del suo paese. Faceva il garzone in un panificio a Paceco, alle porte di Trapani, zona ad alta intensità di mafia. Lo hanno eliminato con una tempesta di colpi sparati con fucile e pistole, con quella pallottola esplosa dritta in gola, proprio mentre si stava recando a lavoro: alle cinque del mattino, in una viuzza a quell’ora deserta ma nel cuore del paese. Nessuno ha visto e sentito niente, anche se i colpi esplosi nel silenzio hanno avuto l’effetto di una bomba. Qual era il segreto che Rosario ha pagato con la vita? Potrebbe essere caduto per qualche storia legata alla mafia dei pascoli, quella lunga faida che da anni insanguina il paese: gli ultimi due morti ammazzati il mese scorso, il pastore Giovanni Di Maggio e un suo aiutante tunisino. Ma Rosario forse era stato involontario testimone di qualche episodio ancora più oscuro e pericoloso: un traffico di eroina, un delitto di mafia, qualche incontro che nessuno avrebbe mai dovuto vedere? La zona è uno dei crocevia dei traffici di Cosa Nostra, al centro di una guerra fra boss della vecchia guardia e clan emergenti: uno scontro spietato che, un anno fa, ha portato anche all’ omicidio del vecchio capo-zona di Paceco, Girolamo Marino, detto mommu u nanu, uomo del clan Minore e coinvolto in tutte le pagine nere del trapanese. Affari miliardari con l’eroina, appetiti che hanno scatenato il regolamento dei conti: potrebbe anche portare lontano il delitto di Rosario Cusumano, vittima innocente. Una tragica storia che ne ricorda un’altra, quella di Claudio Domino, morto a 11 anni a Palermo perché probabilmente testimone di un traffico di droga nel suo quartiere di San Lorenzo. L’ultimo giorno di Rosario comincia come sempre. La sveglia suona poco prima dell’alba nella casa di via Roma, un appartamento modesto per una famiglia molto numerosa: i genitori e 6 fratelli. Il padre, Francesco, rimane ancora un po’ a letto: soltanto fra un paio d’ re dovrà presentarsi alla segheria di marmo dove lavora. Una famiglia che tira avanti fra mille difficoltà economiche ma perbene: nessun precedente penale, nessuna amicizia pericolosa, negli archivi dei carabinieri non c’è nulla che li riguardi. Rosario dunque si prepara per una nuova giornata di lavoro nel panificio dove, da alcuni mesi, fa il garzone. Ma non è la sua unica attività. E’ un ragazzo sveglio, che non si accontenta di quel piccolo salario da portare a casa. Vuol farsi avanti e appena finito il turno nel negozio si tuffa in tanti altri piccoli lavoretti: aiuta il padre in fabbrica, oppure bussa alle porte dei commercianti e di tanto in tanto fa il commesso. A volte non si ferma neanche la sera: va a pulire le stalle dei pastori e degli allevatori di bestiame. Un gran lavoratore, uno che sta sempre in giro per il paese, di giorno e di notte: e forse proprio per questo è stato testimone di quel qualcosa che non avrebbe mai dovuto sapere. Rosario esce da casa poco prima delle 5.00 di ieri mattina. Il panificio non è molto distante dalla sua abitazione. Come sempre si avvia a piedi. Percorre qualche centinaio di metri, imbocca via Marengo, un budello sul quale si affacciano le case basse del paese. È proprio qui che lo stanno aspettando per ucciderlo: non si sa ancora se in agguato c’è un killer solitario oppure se i sicari sono in due. Partono i primi colpi, sparati probabilmente a distanza: lo centrano quattro, cinque volte al torace. Rosario stramazza. Per gli assassini, che possono agire protetti dal buio, è adesso facilissimo finirlo: si avvicinano, sparano a bruciapelo. Un colpo in mezzo agli occhi, un altro dritto in bocca. È la firma, il raccapricciante codice di morte che usano per punire chi ha parlato. E il ragazzo resta per alcune ore così, immerso nella pozza di sangue, steso in mezzo alla strada. Nessuno interviene dalle case di fronte. È il suo datore di lavoro, Giuseppe Ciotta, che dà l’allarme. Si sorprende di non veder arrivare al panificio il garzone di solito così puntuale, e corre a casa Cusumano. Tornano in strada con il padre di Rosario, rifanno il percorso del ragazzo: e lo trovano, ormai morto. Soltanto in quel momento si spalancano le finestre di via Marengo. Cominciano gli accertamenti di rito. Il sostituto procuratore di Trapani Franco Messina dispone l’autopsia. I carabinieri stanno interrogando la ragazza di Rosario, la sua famiglia, i suoi amici. Stanno cercando di sapere se il ragazzo aveva parlato con qualcuno di quel tremendo segreto che l’ha portato alla morte. Ma a Paceco si respira un clima di paura, si vive nel terrore. Quel tragico rituale del sasso in bocca, quel colpo sparato dritto in gola è anche un avvertimento per tutti gli altri: se qualcuno sa, dovrà tacere.
Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 1 marzo 1988
Uccidono panettiere di sedici anni poi gli sparano un colpo in bocca
di Antonio Ravidà
L’agguato all’alba, in un centro agricolo del Trapanese.
Gli inquirenti: «La mafia ha voluto far capire che il ragazzo aveva parlato troppo».
TRAPANI — Un garzone di 16 anni. Rosario Cusumano, è stato assassinato a colpi di fucile e pistola a Paceco, 13 mila abitanti, centro agricolo a dieci chilometri da Trapani.
Evidentemente Rosario aveva «sbagliato», ma non si sa come, né con chi. L’omicidio è stato spietato: dopo averlo crivellato di proiettili, gli hanno esploso a bruciapelo il colpo di grazia, mirando alla bocca. Il corpo d’arma da fuoco in bocca, nella simbologia mafiosa sta a significare che il ragazzo aveva «parlato troppo» o avrebbe potuto farlo.
Punizione, quindi, o delitto a scopo preventivo? «Sì, credo che il mistero sia proprio questo e d’altra parte il colpo di grazia in bocca è sin troppo significativo», dice il comandante della compagnia dei carabinieri, il quale aggiunge: «Rosario non era uno sbandato, tutti ce lo descrivono come un bravo giovane che lavorava sodo».
L’agguato in un’alba livida, piovosa. Sceso da casa, in via Drago di Ferro, poco dopo le 5, il ragazzo aveva imboccato via Marendo diretto al panificio dove faceva il garzone, in via Gabriele Asaro. Nessun testimone, due o tre gli assassini che hanno esploso le prime pistolettate e fucilate da circa venticinque metri.
Fra i primi ad accorrere, il padre e la madre, disperati. Lui, il bracciante agricolo Francesco Cusumano, di 43 anni, è incensurato, un’esistenza senza macchia trascorsa tra i campi e la casa. Lei, Salvina Scaduto, 42 anni, è inserviente, addetta alle pulizie nel municipio, dove il sindaco, il democristiano Pio Novara, è a capo di una giunta «anomala»: dc, pci, psi, pri.
Molti i problemi del paese: l’acqua razionata secondo turni di quattro o cinque giorni, un’edilizia selvaggia che ha fatto celermente crescere le statistiche dell’abusivismo, una dilagante disoccupazione giovanile. Paceco è diventato uno dei punti principali della crisi.
Bravo ragazzo Rosario e altrettanto ben visti i quattro fratelli maggiori Flavio di 24 anni, Antonio di 21, Giuseppe di 20, Giuseppina di 18, e i due più piccoli, Maria Rosaria di 13 e Aurelia di 6 anni. Una famiglia numerosa che mai aveva fatto parlare la gente del paese. Nel forno di Francesco Ciotta, dove Rosario lavorava dall’alba al primo pomeriggio, è sceso il lutto.
I compagni di lavoro dicono: «Quand’era libero non se ne restava mai con le mani in mano, ma andava a lavorare in altri negozi». «Sì, non aveva occhi che per il lavoro. Mi hanno portato via un tesoro», ha confermato in lacrime la madre, interrogata con il marito e i figli nella caserma dei carabinieri.
Qui il sostituto procuratore della Repubblica, Franco Messina, ha fatto il punto della situazione a poche ore dall’omicidio. Ci si domanda se Rosario avesse «sgarrato», magari per una ragazzata, o se davvero la mafia abbia deciso di eliminarlo perché sapeva ciò che non avrebbe dovuto conoscere, forse perché aveva visto qualcosa in una delle tante albe di lavoro.
Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 1 marzo 1988
Ucciso dalla mafia a 16 anni
Forse aveva visto troppo
Il delitto a Paceco, nel Trapanese
I mafiosi fra loro si ammazzano cosi, con il fatidico «colpo in bocca». Ma Rosario Cusumano di 16 anni, abbandonato cadavere in una via di Paceco, nel Trapanese, mafioso non lo era di certo, e allora vorrà dire che ha fatto le spese del rituale di Cosa Nostra, perché ha visto, detto o sentito qualcosa di troppo. È stato assassinato a fucilate all’alba di ieri. I killer gli hanno poi sparato in bocca.
PALERMO Ragazzo modello. Gran lavoratore. Tranquillo. Non incline alle cattive amicizie. Di famiglia «povera ma onesta». Sono i carabinieri della stazione di Paceco 35 chilometri a sud di Trapani, un mucchio di anime dedite a pastorizia e agricoltura, a intessere le lodi di un ragazzino di 16 anni che mai, neanche per sbaglio, era finito nei loro archivi. Niente precedenti penali, dunque. Le indagini, quindi, arrancano a vuoto. Rosario era garzone di panificio, in una famiglia che conta in totale, 6 fratelli, è stato assassinato alle cinque di ieri mattina. Rosario dopo aver salutato il vecchio padre Francesco, impiegato in una segheria di marmo, ha imboccato tranquillamente via Marengo, a quell’ora immersa nel buio.
Strada che conosceva a memoria, visto che la percorreva quotidianamente per recarsi al suo appuntamento con forni, teglie e pane in pasta. Senonché questa volta è stato diverso. Due killer? Uno solo? Non si sa. Qualcuno però è uscito dall’ombra, ha puntato il suo fucile a canne mozze, ha esploso diversi colpi, poi il definitivo colpo di grazia. Ma anche l’entità del fuoco è incerta. Sulla ricostruzione della dinamica infatti i carabinieri sono stati avari di particolari. Pare che il titolare del forno, insospettito dell’inconsueto ritardo del suo giovane dipendente, sia andato a cercarlo a casa sua. In via Roma, dove il padre, Francesco Cusumano, non ha potuto far altro che informarlo che Rosario era uscito da tempo. Entrambi, molto meravigliati, hanno deciso di cercare nella zona, alla fine proprio loro hanno trovato il cadavere.
Indecifrabile il movente di una simile esecuzione. A Paceco si esclude che Rosario potesse essere coinvolto nel traffico di droga che pure è abbastanza diffuso nella zona. Da tempo, anche qui, è in corso un duro regolamento di conti fra le cosche, culminato nell’uccisione del vecchio capozona Girolamo Manno, soprannominato «U Nano», nell’ inverno dell’87 Manno, nel Trapanese, voleva dire clan Minore, altra famiglia di spicco al centro delle pagine più nere scritte dalla criminalità mafiosa di questa provincia. È possibile che un garzone di 16 anni si sia trovato invischiato in storie del genere? È possibile che accanto all’attività ufficiale Rosario ne svolgesse un’altra, sotterranea ed illecita? Tutto è possibile. Ma i carabinieri, pur non tralasciando alcuna pista, lo escludono. Sono infatti più propensi a credere che il giovane abituato a camminare per le vie del Paese a quell’ora di notte abbia finito con I ‘esser testimone di episodi compromettenti. SL
Articolo del 3 marzo 1988 da ricerca.repubblica.it
NEL DIARIO SEGRETO DEL RAGAZZO LA PISTA PER SCOPRIRE I KILLER
PACECO Un diario, fitto di appunti, potrebbe portare sulle tracce degli assassini di Rosario Cusumano, il giovane garzone di un panificio di Paceco, di appena 16 anni, assassinato lunedì scorso in un tipico agguato mafioso. Su quelle pagine Rosario avrebbe potuto scrivere quello che secondo gli inquirenti il ragazzo avrebbe visto e che non doveva vedere. Rosario sarebbe stato quindi un pericoloso testimone che andava eliminato ad ogni costo. I suoi killer sono stati spietati: gli hanno sparato anche un colpo di pistola, quello di grazia, in bocca. Adesso quel prezioso documento è nelle mani degli inquirenti che lo stanno sfogliando attentamente nell’ipotesi che possa rivelarsi utile per risalire al movente e all’identità degli assassini di Rosario, figlio di una modesta ma irreprensibile ed onesta famiglia di operai. Quel diario era un piccolo archivio dove Rosario Cusumano appuntava, a fine giornata, le piccole gioie, delusioni, esperienze della sua vita. Sapevamo di quel diario racconta Flavio di 23 anni uno dei sei fratelli della giovane vittima nel quale Rosario appuntava tutti i fatti che gli accadevano. Un’abitudine che era cominciata quando mio fratello aveva 13 anni, ma noi non lo avevamo mai letto. Rosario lo teneva gelosamente custodito in un suo mobiletto e adesso si trova nelle mani degli investigatori. L’uccisione del giovane rimane comunque fino ad ora un grosso mistero, un giallo che ha sconvolto la sua famiglia e l’intero paese che ieri ha partecipato ai funerali del ragazzo. Tutti si chiedono il perché di quella atroce morte eseguita da un commando di killer professionisti che elimina il dubbio che Rosario possa essere stato un bersaglio sbagliato. L’agguato è scattato poco dopo le tre del mattino di lunedì scorso, gli assassini attendevano la vittima in via maestro Asaro Gabriele. Su quella mattina ecco il racconto della madre, Salvina Scaduto, di 44 anni: Lo avevo svegliato alle 3,15, al solito orario, per andare a lavorare nel panificio di Giuseppe Ciotta. Gli ho preparato il latte e prima che uscisse di casa l’ho baciato in fronte. Rosario a piedi ha percorso alcune centinaia di metri e poi è stato raggiunto dai proiettili sparati dai killer. Il ragazzo, secondo i risultati dell’autopsia, è morto all’istante ma i suoi assassini gli hanno sparato ancora un altro colpo in bocca. Una chiara esecuzione di stampo mafioso che avvalora ancor più la tesi secondo la quale Rosario poteva essere stato un involontario testimone di un fatto legato all’attività di qualche cosca. Il cadavere di Rosario è stato scoperto qualche ora dopo da Giuseppe Ciotta, il titolare del panificio dove da qualche anno Rosario Cusumano lavorava per apprendere il mestiere. Ciotta, preoccupato del ritardo del suo picciotto era andato a cercarlo a casa, a poca distanza dal panificio. Il padre di Rosario, Francesco di 47 anni, operaio, aveva detto che il figlio era uscito per andare a lavorare. Ciotta è quindi tornato indietro scoprendo il cadavere di Rosario riverso sull’asfalto in una pozza di sangue ed ha avvisato i carabinieri. Non mi spiego perché l’abbiano ucciso afferma Ciotta era un bravo ragazzo, pieno di volontà e voglia di vivere. E’ un delitto assurdo e quando ho visto il suo corpo ho pensato ad un malore, ad un incidente, non avrei mai creduto che si trattasse di un omicidio. Rosario con la sua modesta paga aiutava la famiglia. Il padre lavora in una segheria di marmo, i suoi due fratelli maggiori fanno i muratori. Il ragazzo all’ora di pranzo spesso non tornava a casa, in quel piccolo intervallo accettava di fare altri lavori per arrotondare il suo stipendio che consegnava interamente alla madre. Non aveva grilli per la testa dice tra le lacrime Salvina Scaduto soltanto il sabato sera mi chiedeva dei soldi per andare in pizzeria con gli amici, poi si recava a Trapani a ballare nella discoteca Oceano. L’ultima volta c’era stato quattro ore prima di essere ucciso con i soliti compagni, tutti bravi, ragazzi. Era tornato a casa poco dopo mezzanotte, abbastanza tranquillo contento di avere passato una bella serata. Non era per niente preoccupato aggiunge la madre e si è messo a letto perché da lì a poche ore si sarebbe dovuto alzare per andare al lavoro.
Articolo del 5 maggio 1988 da ricerca.repubblica.it
‘UOMO DI RISPETTO’ A 20 ANNI IL KILLER DEL RAGAZZO DI PACECO
di Umberto Rosso
TRAPANI Quello lì è uno che traffica droga. Un personaggio pericoloso, un mafioso. Queste parole, che andava ripetendo nei bar e nella piazza di Paceco, sono costate la vita a Rosario Cusumano, il panettiere di sedici anni ucciso a colpi di fucile due mesi fa. Ha osato accusare pubblicamente un ragazzo quasi della sua stessa età ma lanciato a diventare ormai il nuovo boss del paese. I carabinieri del nucleo radiomobile di Trapani e della stazione di Paceco (un centro agricolo a pochi chilometri dal capoluogo) non hanno dubbi: è stato Saverio Barbera, vent’ anni ma già con un fitto curriculum penale alle spalle, ad assassinare il giovane panettiere che non aveva paura di indicarlo come capogang. È questa dunque, secondo le accuse, la chiave per spiegare il giallo di quel delitto commesso nelle prime ore del mattino del 29 febbraio scorso: una scarica di lupara, sparata nel buio e nel silenzio della via Marengo, da un killer solitario. Colpì in pieno Rosario che stava per recarsi al lavoro. Una vittima innocente, senza un’ombra, un ragazzo stimato e benvoluto, conosciuto in paese come un gran lavoratore: all’alba il panificio, poi se ne andava a fare il garzone in una salumeria, e a sera si adattava a pulire la palestra comunale e anche le stalle. Un omicidio misterioso. Si parlò subito, a caldo, di una pista: il giovane aveva visto o detto qualcosa che non avrebbe mai dovuto. Adesso gli investigatori sono giunti proprio a questa conclusione: Rosario ha pagato perché non ha rispettato le regole del silenzio, dell’omertà. Gli è stata cucita la bocca per sempre perché diceva a voce alta ciò che forse tutti gli altri sospettavano: Paceco è ormai invasa dalla droga. E anche di tanti delitti il colpevole è sempre quello lì che gira tranquillamente per strada. Fin quando non è arrivata la vendetta. Una spietata rappresaglia, dicono gli investigatori, messa a segno da Saverio Barbera detto u’surciteddu (il topolino) come atto di forza per affermare la sua potenza di giovane boss emergente. A vent’anni il presunto killer era già riuscito a ritagliarsi una fetta di potere criminale, atteggiandosi a uomo di rispetto: girava, per le strade di Paceco, a bordo di una vettura guidata da autista personale. Una carriera del resto cominciata molto presto. Negli archivi dei carabinieri i fascicoli che lo riguardano dicono che già a dodici anni venne denunciato per un furto: si impadronì di un paio di fucili. Quindi una lunga serie di reati: dalla violazione di domicilio a scopo di rapina agli incendi intimidatori delle case coloniche. Quando l’apprendista boss finisce di scontare un periodo di rieducazione in una casa minorile, non ancora quattordicenne vede come si commette un delitto. Il fratello maggiore, Antonino, e un altro amico vanno ad esercitarsi con le pistole al tiro al bersaglio contro una casa di campagna. E quando un contadino Gaspare Asta interviene e intima di smetterla per tutta risposta viene crivellato di pallottole. Antonino Barbera finisce in carcere. Indicato come il capo di una banda di rapinatori, verrà poi assassinato nel febbraio di due anni fa: gli fracassano il cranio a colpi di pietra. E il fratello più giovane, Saverio, viene interrogato. Detta a verbale: Hanno ucciso mio fratello? Beh, mi fa piacere. Della sua fine non mi interessa proprio nulla. Da quel momento, secondo la ricostruzione dei carabinieri, ne avrebbe preso il posto al vertice della banda che terrorizza il paese. Una piccola ma temibile criminalità la cui ascesa viene favorita anche dalla scomparsa dei grandi boss della mafia, che cadono nella guerra fra le cosche: come Girolamo Marino, detto mammu u’ nanu, il capo della famiglia più potente nella zona (cui i Barbera erano legati). Così in paese si moltiplicano i furti di bestiame, i taglieggiamenti, le intimidazioni. E ad un certo punto la gang guidata da un boss di vent’ anni decide di compiere il gran salto. Nel febbraio dello scorso anno viene messo a segno un colpo ai danni di una macelleria: il titolare cade fulminato a pistolettate. Gli investigatori puntano la loro attenzione su u’ surciteddu, ma non trovano le prove decisive. Ma il vero business si chiama droga, sul mercato degli stupefacenti la giovane mafia di Paceco prova a mettere le mani. E ancora una volta nel mirino dei carabinieri c’ è la banda di Barbera, manovale senza fissa occupazione (l’ultima sua attività è quella di dipendente presso una ditta di pompe funebri) che stacca assegni con tanti zeri da un libretto che poi risulta proveniente da uno stock rubato. Proprio del traffico di droga lo accusava Rosario Cusumano, il panettiere che non si preoccupava di parlare in giro dei suoi sospetti. U’ surciteddu, uomo di rispetto già a vent’ anni, adesso dovrà rispondere di quel delitto.
Fonte: lastampa.it
Articolo del 12 gennaio 2017
Il presidio di Libera nel liceo della città* dei boss al confino
di Gianni Giacomino
L’iniziativa anti-mafia degli studenti dello Juvarra
Nella città che è stata luogo di confino per molti corleonesi, dove il Ros, all’inizio degli anni ’80, sospettava addirittura potesse nascondersi il boss Bernardo Provenzano e che, ancora oggi, è considerata dagli inquirenti «l’ultimo baluardo della mafia siciliana» in mezzo allo strapotere della ‘ndrangheta, il liceo scientifico e classico «Filippo Juvarra» ha deciso di fondare un presidio permanente di Libera all’interno della scuola. Il punto di legalità sarà intitolato a Rosario Cusumano, un 16enne che lavorava come garzone in un panificio a Paceco, alle porte di Trapani e, il 28 febbraio 1988, venne giustiziato perché non aveva avuto paura di denunciare un ventenne del suo paese legato a famiglie mafiose e spacciatore di droga.
La quarantina di studenti che hanno aderito al presidio, coordinati dalla professoressa Rossana Lamberti, hanno ricevuto «l’investitura» ufficiale nella sede di Libera di corso Trapani, dalla referente regionale Maria Josè Fava. Una cerimonia alla quale hanno partecipato anche il sindaco grillino della Reale Roberto Falcone e Barbara Virga, la presidente della neonata Commissione consiliare antimafia. «L’iniziatova degli alunni del liceo è l’esempio da cui partire per fondare un presidio cittadino di Libera, questo è il nostro obiettivo prossimo – dice chiaramente la Virga -. Vorremmo realizzare una casa della legalità a disposizione di tutte le associazioni e le realtà che si lottano contro le organizzazioni criminali». «Ora – continua la Virga – organizzaremo degli incontri con la popolazione e chiederemo di attivare il mercatino di Libera in città perché vogliamo coinvolgere le persone e fare di Venaria una realtà in prima linea nell’opposizione alle mafie».
Gli studenti dello «Juvarra» hanno ricevuto la bandiera di Libera, è stata esposta nella scuola da Rosa Quattrone, collaboratrice dell’associazione e figlia di Demetrio Quattrone, un ingegnere che svolgeva perizie per conto della procura di Palmi nell’ambito di alcune indagini nella piana di Gioia Tauro. Quattrone aveva appena 42 anni quando, il 28 settembre 1991, a Reggio Calabria, venne ucciso a colpi di lupara e di pistola insieme ad un medico trentenne che si trovava in auto con lui.
*Venaria (TO)