3 maggio 1976 Pomarance (PI). Rapito Pietro Maleno Malenotti, 63 anni, produttore cinematografico. Il suo corpo non è stato mai ritrovato

Pietro Maleno Malenotti, produttore cinematografico («La donna più bella del mondo» con Gina Lollobrigida. «La grande strada azzurra» con Yves Montand e Simon Signoret), il 3 maggio del 1976 è a cena nella sua villa di Pomarance, in provincia di Pisa, quando viene rapito da banditi armati. La sua auto «Ford Capri GT 1700» intestata alla moglie verrà ritrovata nell’autostrada del sole nei pressi del casello di Firenze sud. I familiari pagheranno un riscatto, ma il produttore non ha fatto ritorno a casa.
Fonte:  archivio.unita.news

 

 

 

Fonte: it.wikipedia.org

Maleno Malenotti (Castagneto Carducci, 1913 – 1976) è stato un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico italiano.
Pietro Maleno Malenotti (questo il suo nome completo iniziò la sua carriera nel cinema prima come amministratore e direttore di produzione in alcune società cinematografiche, divenendo poi produttore nel periodo del dopoguerra. Tra le sue principali produzioni, sia dal punto di vista dell’impegno produttivo che del successo di pubblico, vanno ricordati: Melodie immortali (1955) sulla vita di Pietro Mascagni, Enrico Caruso, leggenda di una voce (1952) e Giuseppe Verdi (1953) tra i film musicali che hanno caratterizzato una fase della sua carriera, La donna più bella del mondo (1955), una biografia romanzata del soprano Lina Cavalieri, interpretata da Gina Lollobrigida; Ombre bianche (1960), con la regia di Nicholas Ray, ambientato fra i ghiacci del polo artico, tratto dal romanzo “Paese dalle ombre lunghe” di Hans Ruesch e interpretato da Anthony Quinn, nel ruolo di protagonista, affiancato dalla giapponese Yōko Tani, che fu la rivelazione del momento; La grande strada azzurra il primo film di Gillo Pontecorvo.

Tra gli altri furono girati anche Madame Sans-Gêne con Sophia Loren del 1961, con la regia di Christian-Jaque e Arabella con Virna Lisi e con la regia di Bolognini.

Fu vittima di rapimento nel maggio 1976 mentre si trovava nella sua tenuta in provincia di Pisa, e – nonostante il pagamento di un riscatto – non fu mai liberato.

 

 

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Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 4 maggio 1976
L’ex produttore Malenotti è rapito mentre cena solo nel suo cascinale
di Giovanni Nardi
In una tenuta isolata fra le colline di Volterra
Ha 63 anni – Ritiratosi dall’attività cinematografica, cura il podere – La sua famiglia, a Roma, ha già ricevuto una telefonata dei banditi – Il sequestro è stato scoperto soltanto ieri mattina per caso da un muratore.

Pisa, 3 maggio. Il dott. Pietro Maleno Malenotti, 63 anni, fino a qualche anno fa produttore cinematografico, è stato rapito ieri sera mentre cenava. Stamane una telefonata ai figli ha annunciato il rapimento e chiesto il riscatto. E’ successo nei pressi di Micciano, una frazione del comune di Pomarance (Pisa), fra le colline del Volterrano, dove il produttore aveva acquistato due anni fa una tenuta di venticinque ettari denominata «Il Lago». Malenotti si era praticamente ritirato a vivere da solo nella tenuta in mezzo agli ulivi e ai boschi, e aveva restaurato il cascinale, trasformandolo in una dimora ampia e confortevole.

Nel tardo pomeriggio di ieri, Malenotti era stato visto in paese al bar e aveva scambiato quattro chiacchiere con Marilide Nori, la donna che accudiva saltuariamente alle faccende domestiche nella sua abitazione; poi si era diretto verso casa, in una zona isolata e impervia circondata da un bosco.

Stamane alle 7, il muratore Lido Sozzi, 48 anni, arrivando alla tenuta (era stato chiamato per eseguire dei lavori al garage), ha notato che la porta d’ingresso del cascinale aveva i vetri rotti; l’auto del Malenotti non era in garage e il proprietario non rispondeva alle chiamate. Allarmato, il muratore è corso ad avvertire i carabinieri, che sono giunti poco dopo (Micciano dista una ventina di chilometri da Pomarance). Entrati in casa, i militi hanno notato subito la tavola apparecchiata per una persona e le tracce di una cena consumata a metà: Malenotti aveva mangiato la minestra e parte del secondo (pesce); la frutta non risultava toccata. Sia al piano terreno (un salone molto confortevole signorilmente arredato e altri locali), sia nelle camere al piano superiore, tutto appariva in ordine, a parte qualche cassetto aperto.

In garage, dove Malenotti teneva la sua auto, (una Ford Capri 1700 color bronzo dorato, targata Roma, intestata alla moglie Fernanda Faggion) c’erano per terra le cose che di solito stanno dentro il baule: il cric, la borsa degli attrezzi, le catene. Si è perciò pensato che il Malenotti (di corporatura piuttosto esile) sia stato costretto a viaggiare, almeno per un certo tratto di strada, nel baule della propria vettura.

Mentre i carabinieri avviavano le ricerche, a Roma, nella casa dove abitano i figli del produttore, una telefonata anonima annunciava, alle 10, il rapimento. «Abbiamo rapito vostro padre nei pressi di Firenze Certosa. Preparate il denaro». Il figlio Roberto avvertiva i carabinieri della capitale e le indagini si facevano subito serrate.

I rapitori hanno agito indisturbati perche la casa di Malenotti è completamente isolata e assai distante dal paese. Per entrare hanno rotto il vetro della porta d’ingresso (probabilmente il produttore si era chiuso a chiave dall’interno), sorprendendo il padrone di casa a cena. Lo hanno costretto a salire sull’auto e se ne sono andati.

Ad un giornalista la sua domestica ha detto che «il dottore è una persona che non fa male ad una mosca. Non ha nemici, almeno qui; tutti gli vogliono bene. Se qualcuno l’ha rapito è certamente di fuori. Negli ultimi tempi — ha proseguito — si parlava spesso di rapimenti, di sequestri, ma lui non era preoccupato: è un uomo che viveva della sua pensione, come i suoi figli del loro lavoro. Certo, però, chi l’ha rapito ha organizzato tutto a puntino. Probabilmente l’hanno seguito od aspettato quando rientrava. Certo avevano pensato a questo già da tanto tempo, altrimenti mi sarei accorta di qualcosa».

La «Capri» del Malenotti è stata trovata oggi alle 14,30 da una pattuglia della polizia stradale sull’Autostrada del Sole tra i caselli di Firenze Certosa e Firenze Sud, sulla corsia di emergenza, in direzione di Roma. Nel baule una corda arrotolata; a bordo un panno azzurro e numerose carte geografiche; mancavano un cuscino e una coperta, il serbatoio della benzina era vuoto. La vettura doveva essere stata abbandonata da parecchie ore.

Piero Maleno Malenotti era stato a Roma nel giorno di Pasqua, che aveva trascorso con la famiglia; poi era rientrato nella tenuta di Micciano, dove abitava ormai stabilmente da quasi due anni, anche se aveva mantenuto la residenza a Roma.

 

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it
Articolo del 5 maggio 1976
L’ex produttore cinematografico rapito in Toscana
Nessuna traccia di Maleno Malenotti la moglie dice: “Non abbiamo soldi”
Battute e sopralluoghi nelle campagne di Volterra – L’auto del sequestrato ritrovata al casello di Firenze – La famiglia non sarebbe ricca: a stento potrebbe raccogliere 30 milioni.

Pisa, 4 maggio. Sopralluogo notturno al cascinale di Pietro Maleno Malenotti, l’ex produttore cinematografico di 63 anni scomparso domenica sera e con tutta probabilità vittima di un sequestro. Il procuratore della Repubblica di Pisa, dottor Josto Ladu, insieme con la moglie ed i figli di Malenotti, si è recato, all’una, nella casa di campagna vicino a Micciano — frazione del comune di Pomarance, sperduta fra le colline del Volterrano — da dove il produttore è scomparso, e per due ore ha passato al setaccio tutte le stanze alla ricerca di ogni possibile traccia. Apparentemente non manca nulla. A parte la porta d’ingresso, che ha i vetri rotti, non risultano altri danni. Alle 7 di stamane, i familiari di Malenotti sono tornati a Roma e più tardi hanno chiesto il «silenzio stampa» sulla vicenda.

A Pomarance, dove gli inquirenti hanno stabilito il quartier generale per le indagini, il procuratore della Repubblica ha detto: «Il ratto a scopo di estorsione dovrebbe essere confermato dalla telefonata ricevuta dal figlio, nella quale l’anonimo interlocutore ha parlato di sequestro. Dunque, è da qui che bisogna partire per le indagini, anche se non vengono trascurate altre ipotesi».

Gli elementi che destano negli inquirenti qualche perplessità (ecco perché il magistrato parla di «altre ipotesi») sono essenzialmente due: la consistenza del patrimonio del produttore e il luogo del rapimento.

Maleno Malenotti, dopo un periodo di notorietà e di una certa fortuna attorno agli Anni 50 e 60, nei quali produsse, da solo o in società con altri, film di buon successo commerciale, da tempo era uscito dal giro. A sessantanni si era praticamente ritirato, tornando alla giovanile passione per i campi (è laureato in agraria e in veterinaria) con l’acquisto della tenuta «Il lago», nei pressi di Micciano, dove aveva sistemato in maniera molto confortevole il vecchio cascinale.

In mezzo agli ulivi ed ai boschi Malenotti ha trascorso la maggior parte di questi ultimi due anni. La moglie ed i figli (ne ha quattro: il più piccolo è Piero, quattordicenne) hanno continuato ad abitare a Roma dove la famiglia non ha mai mostrato di avere una consistenza patrimoniale tale da interessare l'”industria” dei sequestri; ed è noto che i rapitori sbagliano di rado. I familiari del produttore, parlando con gli inquirenti, hanno detto di non possedere molto; farebbero fatica a racimolare venti-trenta milioni.

Se le cose stanno davvero così, se cioè la famiglia Malenotti non è in grado di sborsare molto, viene meno uno dei motivi che sarebbero alla base del rapimento con richiesta di riscatto. Inoltre, il tempo e il luogo del sequestro: è successo al buio, poco prima delle 21, quando Malenotti stava cenando da solo e guardando la televisione.

I rapitori hanno raggiunto lo sperduto cascinale percorrendo strade fuori mano e due chilometri di mulattiere, o era gente molto pratica del posto, oppure ha dovuto fare tutta una serie di sopralluoghi preventivi. Ma né a Micciano, né nelle sparse fattorie che nel raggio di qualche chilometro circondano la casa, nessuno ha notato movimenti sospetti.

I rapitori, poi, si sono trattenuti nella casa a lungo, perché ogni stanza risulta perquisita anche se non manca nulla. Sono stati ritrovati anche i libretti degli assegni del produttore. Mancava, naturalmente, l’auto, ritrovata lunedì pomeriggio sull’Autostrada del Sole a circa cento chilometri dalla casa, forse per depistare le indagini.

Per tutta la giornata i carabinieri hanno ispezionato sia con pattuglie che dall’alto (in elicottero è salito più volte lo stesso procuratore della Repubblica) la zona impervia circostante: sono, infatti, molti i casolari isolati e abbandonati che potrebbero servire da comodo rifugio. g. n.

 

 

 

Fonte: archiviolastampa.it
Articolo del 27 Dicembre 1976
Natale con i rapitori

Hanno passato il Natale insieme ai loro rapitori. I personaggi più noti delle cronache dei sequestri, come numerosi altri “colleghi” di sventura, sperano, insieme a parenti ed amici, di non iniziare il nuovo anno in mano ai banditi.

Questo ’76, già triste e famoso per tutta una serie di gravi motivi, ha fatto registrare — come purtroppo sta avvenendo ogni anno, da un po’ di tempo a questa parte — un nuovo record nei sequestri.

Una notte di Natale terribile hanno patito, a Milano, i genitori di Emanuela Trapani, la studentessa figlia dell’uomo d’affari che voleva acquistare l’Inter, rapita il 13 dicembre mentre andava a scuola. Sono stati bloccati i beni della famiglia (il padre della ragazza. Nino Trapani, ricopre cariche importanti e possiede azioni di numerose aziende, fra cui la Helene Curtis). Il provvedimento avrebbe provocato una battuta d’arresto nei contatti fra parenti e rapitori, contatti presi, ed è la prima volta, da una donna per telefono. Sarebbero stati chiesti molti miliardi di riscatto.

Sempre a Milano, altri due rapiti hanno passato la notte di Natale nella “cella” del sequestro: sono Mario Ceschina, industriale farmaceutico, fratello dell’editore Ceschina; l’uomo fu rapito circa due mesi fa. In quegli stessi giorni, un altro milanese fu sequestrato: Luigi Milani, anche lui ancora in mano dei banditi.

A Napoli intanto, proprio la mattina di Natale, è stata ritrovata dai carabinieri una altro auto servita per il rapimento del banchiere Antonio Fabbroncini, 77 anni, sequestrato il 21 dicembre. La vettura, rinvenuta nelle campagne di Somma Vesuviana, è risultata rubata in una zona fra Napoli e Salerno. Inoltre si è appreso che sarebbe avvenuto un altro “contatto” fra i banditi e la famiglia del banchiere che sarebbe in mano dei Nap (nuclei armati proletari) «per vendicare la morte di Martino Zicchitella ».

Il giorno di Natale i famigliari dell’industriale fiorentino Serafino Martellini, 54 anni, rapito la notte del 14 novembre alla periferia di Firenze, hanno ripetuto l’appello fatto ai banditi la sera prima, perché «si facciano vivi». La moglie ed i figli dell’industriale — di cui non si sa nulla da una decina di giorni — sono in ansia per le cagionevoli condizioni di salute del congiunto. Martellini è il settimo rapito in Toscana, dove cinque persone sono ancora in mano ai sequestratori: Alfonso De Sayons, Luigi Pierozzi, Piero Baldassini, Pietro Maleno Malenotti e Bartolomeo Neri.

Anche due famiglie torinesi sono in ansia per i loro cari che non hanno fatto ritorno a casa per Natale: sono i parenti di Romano Rosso e di Adriano Ruscalla. Per quest’ultimo, in particolare, si stanno facendo strada le più tragiche ipotesi, perché da troppo tempo non ci sono contatti con i rapitori. Unica luce di speranza, per i parenti dei rapiti torinesi, è che si ripeta la terribile avventura di Carla Ovazza che passò Natale in «compagnia» dei banditi, ma fu lasciata per Capodanno. r.s.

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 20 luglio 1979
Sequestri: una sentenza esemplare ma non tutti i misteri  sono sciolti
di Giorgio   Sgherri
Il  verdetto dell’assise fiorentina chiude un capitolo atroce e doloroso.
Restano gli interrogativi sulla morte di Bartolomeo Neri, Maleno Malenotti, Marzio Ostini – Individuato il nucleo esecutivo dell’«anonima» –  La litania dei «non ricordo» e «non so» interrotta dalle testimonianze.

È una sentenza quella dell’Assise fiorentina che individua e inchioda l’anonima sequestri sarda: quattro ergastoli, due condanne a 20 anni, una a 25 anni, una a 24, una a 22, una a 21, una a 18, una a 16, due a 10 e altre pene minori per complessivi 236 anni e quattro mesi di carcere.

Una sentenza — a differenza di quella di Siena che mandò assolti i sequestratori di Marzio Ostini — che dà una esemplare risposta al crimine organizzato, anche se non c’è pena al mondo che possa ripagare le sofferenze e i lutti delle famiglie che hanno perduto i loro cari. Un verdetto che chiude un capitolo atroce e doloroso dei rapimenti in Toscana e in particolare di quelli di Alfonso De Sayons (anche se il corpo non è stato ritrovato), Luigi Pierozzi e Piero Baldassini.

La loro tragica fine non è più un mistero. Altri misteri rimangono da scoprire, che fine hanno fatto Bartolomeo Neri, possidente di Follonica, Maleno Malenotti, produttore cinematografico scomparso nel grossetano e Marzio Catini, possidente milanese rapito nel senese? Si riuscirà a individuare i responsabili? Per Marzio Ostini c’è qualche probabilità. C’è ancora un’istruttoria in corso, così come per Bartolomeo Neri si indaga dopo la incriminazione di due persone.

Il verdetto dei giudici fiorentini individua in Giacomino Baraglin, Luigi Lodu, Antonio Baragliu e Giovanni Piredda il nucleo esecutivo dell’anonima sequestri che per quattro anni ha imperversato in Toscana.

Giovanni Piredda viene invece indicato come il capo dell’esecutivo. Non a caso i suoi lo chiamavano «cervello elettronico». Quando venne raggiunto dal mandato di cattura si trovava nel carcere di Rebibbia per aver il 27 gennaio 1977, in concorso con altri, sequestrato a scopo di estorsione il ricercato Albino Selvotti che pagò brevi manu 60 milioni per la sua liberazione.

Con l’ingresso di Giovanni Piredda nel processo di Firenze l’organigramma della banda dei sardi con ausiliari siciliani si completò. Piredda dovrà vedersela con il giudice di Montepulciano che conduce l’istruttoria supplementare per il sequestro di Marzio Ostini e che vede indiziati del reato anche il sindaco di Radicofani Alberigo Sannini e il padrino dei sardi dell’alto Lazio Giò Maria Manca.

A Siena Giacomino Baragliu, indicato come uno degli uccisori di Marzio Ostini, sfuggì alla condanna con un’insufficienza di prove. Contro l’istruttoria, quella di Montepulciano, piena di lacune, affrettata, superficiale, finì per vincere la strategia dell’omertà portata avanti con caparbietà dagli imputati e dai loro difensori.

La stessa strategia si è ripetuta a Firenze con gli imputati impegnati nella litania dei «non ricordo», dei «non so». Ma oltre il grosso del materiale accusatorio (appunti, banconote del riscatto Baldassini e indizi vari) alle carte processuali ci sono allegate le testimonianze di due donne, Antonietta Atzeni e Luisa Calamai.

Imputati e difensori hanno cercato di screditare le due testi definendole «puttane» le cui accuse sono state pagate col denaro. La Calamai verrà in aula e confermerà punto per punto le sue accuse anche in un drammatico confronto con il suo ex fidanzato Pietro De Simone.

La svolta al processo si avrà quando il figlio di Luigi Pierozzi, Anile riconoscerà in aula nella voce di Giuseppe Buono quella del rapitore che aveva tenuto i contatti telefonici con la famiglia. Buono vacilla e incomincia a meditare, a valutare il pro e contro sulla convenienza di rompere il muro dell’omertà. Un mese dopo si deciderà a vuotare il sacco, a «tradire» l’anonima sequestri. Indicherà agli inquirenti il luogo dove è stato «sepolto» Piero Baldassini, l’industriale pratese rapito il 10 novembre del 1975. La «tomba» verrà trovata in una cisterna di un casolare nel pistoiese. È il primo decisivo colpo di maglio alle strategie del silenzio degli imputati, poi verranno altre rivelazioni, la scoperta della fossa dove è stato gettato il corpo di Luigi Pierozzi, un pozzo di una cascina a Calenzano.

Per l’anonima sequestri è la fine. Il ritrovamento dei due cadaveri inchioderà alle loro responsabilità gli imputati e permetterà ai giudici togati e popolari di emettere una sentenza, un verdetto, che deve aiutare nella lotta contro il crimine che continua a imperversare.