30 novembre 1986 Brindisi. Muore Francesco Ciccio Guadalupi, presidente di Assindustria, ferito in un tentativo di rapina in data 11 ottobre.

Francesco Ciccio Guadalupi, allora presidente di Assindustria Brindisi, ferito in un tentativo di rapina messo in atto l’11 ottobre del 1986 all’interno dello stabilimento di pastorizzazione del latte che aveva sede nel rione Casale, morì dopo una lunga agonia il 30 novembre dello stesso anno. È il primo omicidio di Vito Di Emidio, sicario della Scu, allora diciannovenne. Di Emidio negli anni successivi fu pluricondannato per 416bis, per omicidi e altri reati. Una carriera criminale da boss riconosciuto.

Fonte: vivi.libera.it

 

 

Fonte: brindisireport.it
Articolo del 28 gennaio 2015
Omicidi Scu: definitivi i tre ergastoli per il gruppo di fuoco. Per Bullone la pena è da ridurre
di Roberta Grassi

BRINDISI – Confermati i tre ergastoli per Giuseppe Tedesco (Capu ti bomba) Pasquale Orlando (Yo-Yo) e per Daniele Giglio, annullata con rinvio la sentenza di condanna a 27 anni per Vito Di Emidio, detto Bullone, pentito e reo confesso, “alleggerito” dei reati compiuti in materia di armi perché il tempo che è trascorso ha lasciato che si prescrivessero. Più lieve la pena di 5 mesi per Marcello Laneve, che era stato condannato a 5 anni in appello, mentre tutto da rifare per Cosimo Poci, come Laneve imputato solo di associazione di stampo mafioso e per cui la Cassazione ha deciso un annullamento con rinvio.

E’ la sentenza di questa sera, decisa dagli Ermellini, che mette il punto a uno dei periodi più sanguinari della Scu brindisina, quello in cui era attivo come una scheggia impazzita Vito Di Emidio, il cui esordio fu con l’omicidio di don Ciccio Guadalupi, allora presidente di Confindustria e il prosieguo con una ventina d’altri delitti da lui compiuti o ordinati. Al suo servizio un gruppo di fuoco altrettanto violento, composto principalmente dal cognato Giuseppe Tedesco e poi anche da Yo-Yo, e da Giglio. Gli avvocati sono Fabio Di Bello, Marcello Tamburini, Daniela D’Amuri, Paolo D’Amico.

E’ così che le condanne sono passate in giudicato, condanne al carcere a vita che non potranno più essere messe in discussione, mentre il conto per il personaggio principale è stato affidato a una Corte d’Appello diversa rispetto a quella che si è già espressa per una riduzione. Il processo in questione è quello che si è concluso nel 2011 in primo grado e nel febbraio 2013 in appello fra le rumorose proteste dei parenti degli imputati. Proprio quello sorto dalle dichiarazioni di Di Emidio che però, davanti alla Corte d’Assise di Brindisi, protestando per l’eccessiva rigidità del programma di protezione a suo carico, per l’insufficienza del sostegno economico alla sua famiglia, si fece cogliere da un’amnesia che gli costò cara. Fu riarrestato su ordinanza di custodia cautelare, dopo aver abbandonato la retta via della collaborazione.

Successivamente, quindi, tornò a ricordare i minimi particolari, a riferire minuziosamente le circostanze di fatti accaduti qualche lustro addietro, tra Brindisi e Bar, in Montenegro, dove i suoi si rifugiarono da latitanti e dove furono compiuti delitti atroci, tra cui l’uccisione di Giuliano Maglie, il cui corpo, nascosto sotto la cuccia di un cane, è stato ritrovato solo quando Bullone ha cominciato a parlare.

Pasquale OrlandoI fatti di sangue sono una sfilza e sono avvenuti in un periodo compreso tra il 1986 al 2001 sono stati tutti confessati da Di Emidio che, caso per caso, ha chiamato in correità gli altri imputati, senza fare sconti di sorta in virtù dei legami di parentela. Il debutto, don Ciccio Guadalupi, l’allora presidente di Assindustria, che fu ucciso in un tentativo di rapina messo in atto l’11 ottobre dell’86 all’interno dello stabilimento di pastorizzazione del latte a Brindisi. Poi Vincenzo Zezza, anno 1991, colpito a bordo di una Citroen Dyane.

Michele Lerna fu invece ammazzato nel corso di una rapina a San Michele Salentino, nel 1997, freddato in camera da letto dopo che Bullone aveva ripulito la sua abitazione. Il 26 giugno del 1998, fu ucciso Salvatore Luperti, ammazzato sulla litoranea Nord di Brindisi, poi il 22 gennaio del 1992 l’omicidio di Nicola Petrachi, che non aveva voluto pagare la quota che spettava al gruppo per il contrabbando di sigarette. Poco dopo, una decina di giorni più tardi, morì Antonio De Giorgi, sotto una pioggia di proiettili davanti a un bar del rione Paradiso. La condanna a morte di Antonio Luperti e il ferimento di Giovanni Lonoce, e quindi anche il sequestro e l’omicidio di Giuseppe Scarcia, il cui corpo fu sotterrato. Gli omicidi di Giacomo Casale e Leonzio Rosselli, al Sant’Elia di Brindisi. E di Giuliano Maglie, detto Naca Naca. Nel calderone non vi sono solo uccisioni, ma anche furti e rapine, azioni necessarie a rifornire la frangia della Sacra corona riferibile a Bullone di denaro contante, utile per finanziare affari e latitanza.

 

 

 

Foto da: vivi.libera.it

Fonte: vivi.libera.it
Articolo del 29 novembre 2019
Don Ciccio Guadalupi, il re del latte fresco
di Tea Sisto

Sorridente, tra gli uomini delle forze dell’ordine in borghese. Elegante e formale, in giacca e cravatta, eppure in sella al suo Ciao. Un mezzo anticonvenzionale in un’occasione importante, quella della visita a Brindisi dell’ambasciatore del Sud Africa. Fine settembre 1986. Siamo in corso Garibaldi, in pieno centro, sotto la prestigiosa sede dell’Associazione degli industriali di Brindisi e questo scatto, quasi spensierato, è ultima immagine pubblica del suo presidente, Francesco Guadalupi, per tutti don Ciccio. Poche settimane dopo don Ciccio, il Presidente, don Ciccio, il “re del latte fresco”, don Ciccio, l’uomo retto e l’orgoglio della sua città, fu ferito mortalmente in un agguato. Morì il 30 novembre di quello stesso anno, dopo 49 giorni di agonia nei quali più passava il tempo, più la città perdeva la speranza di un miracolo. Lasciò una città orfana e attonita e due figli, poco più che adolescenti, distrutti dal dolore, Maria Pia e Fortunato. Aveva 61 anni. Sono trascorsi 33 e il dolore resta immutato.

L’11 ottobre del 1986 era un sabato. Don Ciccio Guadalupi, che dedicava tutto il suo tempo libero, all’azienda di famiglia che riforniva di latte fresco tutte le famiglie di Brindisi e provincia con il marchio Latte Villanova, era negli uffici dello stabilimento, immerso nel verde del quartiere Casale, in via don Carlo Gnocchi. Era andato lì subito dopo pranzo per controllare, nel suo piccolo ufficio, la contabilità del fine settimana. Era solo ed era così assorto da non sentire che qualcuno era entrato. Si era trovato davanti due ragazzi, uno alto circa un metro e sessanta, l‘altro poco più. Indossavano caschi da motociclista di cui uno coloratissimo. Capì che era una rapina. No, che non se l‘aspettava. Reagì e i banditi spararono con il fucile, lo ferirono e fuggirono via. Qualcuno, allertato da quello sparo nel silenzio di un pomeriggio d’autunno, chiamò le forze dell’ordine e l’ambulanza. Settimane dopo, la tragedia. Ci sono voluti molti anni per risalire ai killer. Uno di quei due ragazzotti era il killer dei killer, Vito Di Emidio, detto Bullone, all’epoca appena diciannovenne e al suo esordio nella carriera criminale. Fu lui, nel 2011, ormai collaboratore di giustizia, a dire durante il processo: “Non ricordo con precisione quante persone ho ammazzato. Forse 20 o di più. Non posso ricordarle tutte”. Ma di certo si ricordava dell’omicidio di esordio: quello di don Ciccio Guadalupi. In seguito Bullone entrò a pieno titolo nella Sacra Corona Unita. Era un serial killer sia come mandante, che come esecutore materiale di una serie infinita di omicidi. Quel giorno di ottobre del 1986 qualcuno aveva detto a lui e al suo complice che don Ciccio il sabato pomeriggio sarebbe rimasto solo nell’azienda vuota accanto a una cassaforte piena di soldi. Quale preda più vulnerabile e facile? I due rubarono una moto e si presentarono. Nessun ostacolo. Di fronte alla reazione di don Ciccio, non si resero conto che l’imprenditore aveva lanciato per terra un borsello con i soldi dell’incasso. Scapparono dopo aver sparato. Francesco Guadalupi è vittima innocente di mafia. Il suo nome è stato letto per la prima volta il 21 marzo scorso da tutti i palchi d’Italia, tra altri mille di vittime innocenti, al termine delle manifestazioni di Libera contro le mafie nella Giornata della memoria e dell’impegno. Dal 1993 il latte Guadalupi non esiste più, incorporato da una multinazionale. Li dove sorgeva lo stabilimento, in via Don Carlo Gnocchi, ci sono palazzine residenziali e, soprattutto, la Caserma dei carabinieri del quartiere Casale.