31 Luglio 1979 Limbadi (VV). Assassinato Orlando (Nando) Legname, agricoltore, 31 anni. Non sottostava alla legge della ‘ndrangheta.

Orlando “Nando” Legname aveva 31 anni, era sposato e aveva un figlio piccolo. È stato assassinato con una azione di vera guerra nel suo podere di Limbadi (VV) il 31 luglio 1979.
Si era riscattato dal lavoro di bracciante con il suo tormentato vagare da emigrante, prima in Germania e poi in Argentina, diventando un coltivatore diretto, impegnato nel lavoro e nella lotta politica contro la mafia, per una agricoltura rinnovata. Per questo, per l’attaccamento al lavoro e alla terra, alle bestie che allevava, era da tutti stimato.
” Da qualche tempo la situazione, però, è diventata invivibile. Si respira un’aria strana. E non è soltanto un’impressione: le richieste delle cosche si sono fatte più pressanti e, soltanto nelle ultime settimane, i clan si sono fatti vivi con l’incendio di un trattore e il furto di una motopompa. Capita così di fare un po’ più tardi la sera, per controllare, per dare l’idea che in azienda ci sia sempre qualcuno, per cercare di scongiurare missioni notturne dei picciotti dei clan. La famiglia Legname, in paese lo sanno tutti, non accetta prepotenze e prevaricazioni. Le cosche lo capiscono e per questo decidono di dare una lezione. Lo fanno in azienda, per chiarire da subito qual è il motivo, qual è l’obiettivo. Per dimostrare che nessuno può sottrarsi alla legge della ‘ndrangheta.” (tratto da Dimenticati di D. Chirico e A. Magro Cap. XV La Sinistra nel mirino Pag. 332)

 

 

 

Articolo da L’Unità del 3 Agosto 1979
Un’altra vittima delle cosche mafiose il giovane contadino ucciso a Limbadi
di Enzo Lacaria
Orlando Legname, comunista, si era opposto alla «mazzetta»
Emigrato in Germania e in Argentina, era tornato al paese d’origine dove aveva acquistato un pezzo di terra – Da qualche tempo era oggetto di pesanti intimidazioni – Grande folla ai funerali.

REGGIO CALABRIA – Le recenti sentenze della Corte di Assise di Locri e della Corte di Appello di Reggio Calabria hanno tranquillizzato la mafia calabrese che -. con il trionfo del mito dell’impunità – ha scatenato nella regione una violenta offensiva criminosa: al sequestro del piccolo Fabio Sculli ed al quasi contemporaneo rilascio del 75enne industriale Giuseppe Aloi, all’intensificarsi di attentati dinamitardi contro commercianti, professionisti, albergatori, imprenditori dei  versanti jonico e tirrenico, della piana di Gioia Tauro e del Reggino, ha fatto seguito la barbara uccisione del giovane contadino comunista Orlando Legname, di 31 anni, di Limbadi, un piccolo comune al confine tra la provincia di Catanzaro e i comuni dell’alta piana di Gioia Tauro.
Una grande folla di cittadini (oltre tremila persone) assieme ad una delegazione ufficiale del PCI e ad una larga rappresentaza delle organizzazioni del partito della zona, ha accompagnato al cimitero, in un doloroso silenzio, la salma del compagno Orlando Legname. Perché è stato ucciso? Nessuno, qui, ne fa mistero: volevano la «mazzetta» anche da lui che, giovanissimo, era emigrato in Germania e poi in Argentina per una manciata di denari che dovevano servirgli per comprare la terra e lavorare duramente ma in proprio. La mafia non va per il sottile: per mantenere l’esercito dei «picciotti» e dei «capi bastone», per finanziare le sue imprese speculative (edilizia e lavori pubblici) e criminose (sequestri, contrabbando di droga e diamanti) ha bisogno di molto denaro, che spilla a quanti appena emergono dalla miseria.
Orlando Legname si era riscattato dal lavoro di bracciante con il suo tormentato vagare da emigrante: assieme al padre ed ai fratelli era diventato un coltivatore diretto, impegnato nel lavoro e nella lotta politica contro la mafia, per una agricoltura rinnovata. Per questo, per l’attaccamento al lavoro e alla terra, alle bestie che allevava, era da tutti stimato.
L’intera famiglia del giovane assassinato è politicamente impegnata: dal vecchio genitore, Giuseppe, militante comunista e dirigente della Federbraccianti.CGIL, negli anni ’50, gli anni delle lotte contadine, in Caloabria, contro il latifondo, al fratello, Giacomo, consigliere comunale del PCI ed impiegato all’ENEL che era con Orlando la notte del tragico agguato. I mafiosi volevano soldi per «lasciarlo in pace»; ma lui non voleva subire il ricatto. Anche Orlando Legname parlava pubblicamente contro la mafia, diceva di non temerla: l’agguato mortale gli è stato teso qualche settimana dopo che la Corte d’Assise di Locri, ha con la sentenza di assoluzione per «insufficienza di prove», lasciato impunito un delitto che aveva suscitato esecrezione in tutto il paese.
Il piccolo comune di Limbadi è sotto la diretta protezione della mafia di Gioia Tauro Rosarno: di Limbadi è Mancuso, oggi incarcerato dal pretore di Vibo, definito «prestanome» dei capi mafia dal tribunale di Reggio Calabria, al processo dei 60, dell’acquisto della cava di pietre e della fornitura e trasporto del pietrisco per la costruzione del porto di Gioia Tauro.
Per quell’affare – che ha fruttato quasi 10 miliardi di lire alle varie cosche mafiose – furono «convinti» ad abbandonare i terreni una trentina di piccoli coltivatori.
Le modalità dell’esecuzione di Orlando Legname lasciano pochi margini di supposizione: i suoi assassini sapevano che da qualche tempo lui e suo fratello Giacomo dormivano nella casetta di campagna, in contrada Coglio. Erano da poco passate le 3 quando i due fratelli sono stati svegliati da alcuni spari, serviti proprio per farli uscire dall’abitazione. Per nulla intimoriti i due fratelli sono usciti e, da direzioni opposte, si sono diretti verso il luogo dove ritenevano fossero stati sparati i colpi. Vicino alla stalla giaceva il cane ucciso con una fucilata; la stessa sorte era toccata ad una mucca raggiunta dai pallettoni a lupara.
Sono stati pochi drammatici attimi durante i quali i due fratelli hanno cercato i loro assalitori che, protetti dal buio e dagli alberi, hanno all’improvviso riaperto il fuoco. Orlando, raggiunto al volto, alla testa e alla spalla dal fuoco incrociato di alcune lupare (pare che il commando che eseguito la sentenza di morte fosse costituito da 3-4 uomini) è caduto quasi esamine, mentre il fratello Giacomo è riuscito ad evitare la morte, buttandosi a terra. All’ospedale di Gioia Tauro, Orlando Legname è deceduto poco dopo.
Le indagini, avviate dai carabinieri e condotte per competenza dal Tribunale di Palmi, hanno stabilito che il giovane contadino era divenuto, da qualche tempo, oggetto di pesanti intimidazioni mafiose: aveva subito il furto di una motopompa e la distruzione di una motocoltivatrice. Questi attentati non lo avevano piegato: voleva restare nella «sua» terra e coltivarla da uomo libero. Lo hanno ucciso per questo. Questo olocausto, come quello di Rocco Gatto, non può e non deve restare impunito.

 

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