9 maggio 1987 Aosta. È morto suicida Giovanni Selis, 50 anni, pretore di Aosta; non si era mai ripreso da un attentato di cui era stato vittima.

Giovanni Selis era pretore ad Aosta e stava indagando sul Casinò di Saint Vincent quando un’autobomba distrusse la sua 500, lasciandolo miracolosamente incolume. Giovanni Selis indicò ai magistrati di Milano come possibile movente dell’attentato ai suoi danni, proprio le indagini sulla casa da gioco, e in particolare sull’ambiente dei prestasoldi e il rapporto tra questi e l’Ufficio Fidi. Si uccise alcuni anni dopo, impiccandosi nella sua cantina. Soffriva di un forte esaurimento nervoso, non si era mai ripreso dall’attentato. Era il 9 maggio 1987.

(vivi.libera.it)

 

 

Fonte: aostasera.it
Articolo del 25 ottobre 2015
Il casinò di Saint Vincent tra mafia, depistaggi e casi insoluti

Saint-Vincent – Incontro pubblico a St Vincent con Fabio Repici, legale della famiglia di Bruno Caccia, autore di una controinchiesta che getta una nuova luce sulla scalata mafiosa al casinò valdostano.

Immaginiamo una partita a carte lunghissima, che si svolge da più di 30 anni. In palio c’è nientemeno che il casinò di Saint Vincent. Una partita talmente ricca di colpi di scena – tra omicidi, autobombe, fughe, arresti, depistaggi dei servizi segreti – da essere quasi impossibile da raccontare. Se non fosse che alcune delle carte da gioco si presentano con sconcertante regolarità, in barba alle più elementari leggi della probabilità: e allora c’è chi bara, e anche il mazzo è truccato.

Questo il tema della terza serata della rassegna “Saint Vincent Cultura”, dal titolo “Selis, Caccia, Borsellino: un filo rosso da Saint Vincent a Palermo?” che si è tenuta venerdì sera. Introdotto dal giornalista Roberto Mancini, Fabio Repici, il legale della famiglia del procuratore Bruno Caccia, ha raccontato al pubblico i retroscena dell’omicidio di Bruno Caccia, assassinato nell’83. La sua controinchiesta ha convinto la Procura di Milano a riaprire il caso: sono emerse tante piste che come frecce luminose puntano nella stessa direzione, verso il Casinò de la Vallée.

Per due ore abbondanti l’avvocato Repici ha allineato efficacemente, con la puntigliosa pignoleria di chi è abituato alle aule dei tribunali più che alle sbrigative tribune mediatiche, una carta dopo l’altra, un nome dopo l’altro. Emerge un disegno generale, che parte dall’82, dall’attentato a Giovanni Selis, pretore di Aosta – la prima autobomba diretta contro un magistrato in Italia, un triste primato valdostano – arriva all’omicidio di Bruno Caccia l’anno successivo e prosegue con una serie di omicidi nell’ambiente dei cambisti del casinò.

Belfiore, un pentito arruolato dal sisde
Il 26 giugno 1983, a Torino, vennero sparati quattordici colpi contro Bruno Caccia, mentre portava a spasso il cane. Inizialmente i sospetti caddero sulle Brigate Rosse – vi furono delle false telefonate di rivendicazione, smentite dagli stessi brigatisti – ma poi si trovò un colpevole ufficiale. Il boss della ‘ndrangheta Domenico Belfiore – ora ai domiciliari per gravi ragioni di salute – fu riconosciuto come il mandante, e ottenne l’ergastolo, anche se gli esecutori materiali rimasero sempre sconosciuti. Ufficialmente Caccia sarebbe stato ucciso perché “inavvicinabile”, ovvero incorruttibile. “L’accusa a Belfiore – ha raccontato Fabio Repici – si basava sulle dichiarazioni di Francesco Miano, del Clan dei Catanesi, operativo a Torino, diventato collaboratore di giustizia.
Prima anomalia: il Sisde – che formalmente non può svolgere direttamente indagini – incaricò Miano di investigare, microregistratore alla mano, all’interno del centro clinico del carcere. Abbiamo così il primo e unico pentito del Sisde, che svolge operazioni di autorità giudiziaria, uno scandalo contro il quale non si è levata neanche una voce”.

Bruno Caccia e Rosario Cattafi
“Studiando le carte del processo – ha spiegato l’avvocato – ci siamo chiesti di cosa si occupasse Caccia appena prima di essere ucciso: del Casinò di Saint Vincent. A maggio, poco più di un mese prima dell’omicidio, la procura di Torino aveva emesso i decreti di perquisizione che hanno portato al sequestro dei conti correnti sia dell’amministrazione della casa da gioco che dei singoli amministratori. Tre i dirigenti al centro delle indagini: Bruno Masi, Paolo Giovannini, Franco Chamonal. Esistono centinaia di pagine che indicano gli affari del Casinò come causale dell’omicidio, ma sono state del tutto inutilizzate al processo, perfino dalla difesa di Belfiore. Carte che legano le indagini a Rosario Cattafi”. Un nome che ricorre frequentemente nella ricostruzione dell’avvocato Repici. Nel 2009, in un’intercettazione, il magistrato Olindo Canali, parlando con un giornalista, ha ricordato quando in casa di Rosario Cattafi fu sequestrato un finto volantino delle Br che rivendicava l’omicidio Caccia (rivendicazione che in realtà avvenne solo telefonicamente: fatto ancora più bizzarro). “Canali era una persona particolarmente informata, nell’85 era uditore del pm Francesco Di Maggio, guarda caso titolare del fascicolo su Caccia, indagato nel processo sulla trattativa Stato-mafia”.

L’attentato a Giovanni Selis
Anche Giovanni Selis stava indagando sul Casinò quando un’autobomba distrusse la sua 500, lasciandolo miracolosamente incolume. “Studiando le carte di Selis – ha proseguito Repici – è emersa una sorpresa: quando ci furono arresti a Saint Vincent, Campione e Sanremo, fu coinvolto anche l’avvocato Valentini – che in un caso minacciò fisicamente Selis affinché archiviasse dei procedimenti contro un cambista – e vennero sequestrati dei documenti: delle conversazioni tra Valentini e Bruno Masi, Amministratore delegato della Sitav, società che aveva la gestione della Casa da gioco di Saint Vincent. Valentini comunicava di avere ricevuto la visita di Rosario Cattafi, il quale asseriva di avere ricevuto da Masi stesso un’autorizzazione per l’ingresso e il prestito di denaro, in cambio di un imprecisato favore. Il Pm Carnevali, che indagò sull’attentato a Selis, raccolse i registri degli alberghi di Saint Vincent: la riviera delle Alpi vantava una presenza mafiosa superiore a Bagheria o Brancaccio. Mafiosi con soldi, e come si sa, pecunia non olet”.
Anche la pista dell’esplosivo è interessante: l’attentato a Selis ha la stessa matrice di quello, ad Attilio Dutto, la cui auto saltò in aria nel 1979. “Dutto era un grande imprenditore in affari con Flavio Briatore – all’epoca “porteur” per vari casinò, anche nell’isola caraibica di Saint Martin, dove lavoravano, nel settore, gli emissari della cosca Santapaola”.

Giovanni Selis indicò ai magistrati di Milano, come possibile movente dell’attentato ai suoi danni, proprio le indagini sulla casa da gioco, e in particolare sull’ambiente dei prestasoldi e il rapporto tra questi e l’Ufficio Fidi. Dopo l’omicidio di Caccia Selis si sfogò con i pochi giornalisti che gli diedero retta: “ora non mi prenderanno più per pazzo”. Ancora, dopo il blitz di San Martino operato dalla Guardia di Finanza in tutti i casinò italiani, parlò di “scalata mafiosa al casinò”, e raccontò di una pista unica che univa l’attentato ai suoi danni, il delitto Caccia e l’inchiesta culminata negli arresti.
Selis – nel ritratto che ne ha fatto l’avvocato Repici – ha pagato lo scotto della troppa onestà. Era uno di quelli che all’epoca venivano chiamati “pretori d’assalto”. Isolati, trattati dal loro stesso ambiente come corpi estranei, erano i primi a cadere. Selis fu ritrovato impiccato nel garage di casa, alcuni anni dopo.

Una rete internazionale
“Tra gli anni ’70 e ’80 è nato un unico universo criminale con vari satelliti, la mafia siciliana, quella calabrese, quella marsigliese, ma con una rete di interessi più ampia: secondo risultanze documentali coinvolgeva anche il figlio di Roberto Calvi e i finanziamenti fatti dalla P2 ai casinò, compreso il Méditerranée di Nizza, feudo di Jean Dominique Fratoni, capo mafia corso”. A dirigere le fila, il capomafia catanese Benedetto Santapaola. Rosario Cattafi era stato fatto “uomo d’onore” da Santapaola stesso, ed è stato individuato come tramite nella trattativa Stato – mafia: praticamente un intoccabile. “Rosario ha esordito riciclando i soldi di cosa nostra grazie a soggetti come Gianfranco Ginocchi, legato al gotha dell’imprenditoria e borghesia milanese dell’epoca. Questo il primo nucleo di interessi che si è accaparrato le case da gioco. La scalata mafiosa ai casinò ha utilizzato come canali le ottime liaison con gli apparati deviati: avvocati, magistrati, forze di investigazione e servizi segreti, responsabili di depistaggi su indagini come quelle riguardanti Paolo Borsellino, Bruno Caccia e altri servitori dello Stato”.

 

 

 

Fonte:  lastampa.it
Articolo del 13 dicembre 2019
“A quel giudice misero una bombettina”: i collegamenti tra l’attentato al pretore Selis e l’omicidio di Bruno Caccia
di Giuseppe Legato
Una stele per Selis ad Aosta nel luogo in cui esplose l’autobomba nel 1982

AOSTA.

Oggi alle 11,30 sarà posata una stele commemorativa per Giovanni Selis, pretore capo di Aosta, nel luogo in cui il 13 dicembre 1982 subì un attentato con un’autobomba. La stele sarà scoperta in via Monte Vodice, poco distante dall’incrocio con via Monte Pasubio. «È un’iniziativa doverosa, alla quale tutto il Consiglio comunale ha aderito in modo convinto – spiega Sara Favre, presidente dell’assemblea -. Come amministratori abbiamo delle precise responsabilità nei confronti della collettività, e l’esempio dato da persone come il magistrato Selis serve a farci ricordare che non bisogna mai abbassare la guardia di fronte alle infiltrazioni della criminalità organizzata». A giugno, il Consiglio aveva approvato un ordine del giorno di Carola Carpinello (l’Altra VdA). Alla cerimonia, oltre a Favre e al presidente della Regione, Antonio Fosson, saranno presenti la vedova e il figlio di Selis e Paola Caccia, figlia di Bruno, procuratore capo di Torino ucciso dalla ‘ndrangheta. In serata, Libera organizza all’Isiltep di Verrès un incontro dedicato a Caccia e Selis, con inizio alle 20,30.

Per 38 anni abbondanti i più temerari analisti dell’antimafia avevano ricondotto a matrici di crimine organizzato generalista un insolito – e però gravissimo – attentato a un magistrato. Era il 13 dicembre 1982 e l’allora Pretore di Aosta Giovanni Selis, 46 anni all’epoca, uscì di casa alle 8.30. Aprì la portiera della sua Fiat 500 in via Monte Vodice davanti al bar Chamonix, azionò la levetta di accensione e boom. L’esplosione squarciò una silenziosa mattina pre-natalizia: vetri dei palazzi limitrofi in frantumi, il motore fu scaraventato a decine di metri di distanza, il cofano anteriore sbalzò in aria atterrando su un balcone al primo piano, le portiere laterali gonfie e curvate verso l’esterno. Selis rimase vivo: sette giorni di prognosi. Un epilogo miracoloso verso una trragedia che però lo segnò indelebilmente. Quattro anni dopo si impiccò nello scantinato di casa a Saint Christophe. Non riuscì mai a superare quello choc.

«Agguato di serie B»
Trattato per decenni come un agguato di serie B, oscurato da un attentato (mortale) avvenuto circa 3 mesi prima – quello del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro – il tentato omicidio con dinamite al dottor Giovanni Selis è rimasto nell’ombra a lungo e ininterrottamente. L’istruttoria condotta dai giudici di Milano all’epoca si chiuse con un nulla di fatto: sconoscesi movente, mandanti ed esecutori. Da alcuni mesi però nelle carte di un’inchiesta sulla mafia calabrese in Valle d’Aosta, è apparsa per la prima volta una pista concreta che ricondurrebbe alla ‘ndrangheta la matrice di quell’agguato al magistrato.

L’intercettazione
L’intercettazione – fin qui praticamente inedita perché rimasta invischiata in una vecchia indagine conclusa con archiviazioni di massa a ridosso del 2001 ma oggi sapientemente riletta dai carabinieri – è stata depositata dal Ros e dalla Dda di Torino nelle pieghe delle indagini sul «locale di ‘ndrangheta di Aosta». E’ l’inchiesta «Lenzuolo» in cui due indagati vengono intercettati dai carabinieri. Parlano delle difficoltà di «fare mafia» in Valle D’Aosta e delle necessità di utilizzare una tecnica di mimetismo negli affari criminali. Uno dice all’altro. «Qui un commerciante non accetterà mai di pagare il pizzo. Non è Reggio Calabria dove uno nasce con l’idea che deve pagare«. Il suo interlocutore conferma: «Su 50 (a cui chiedi il pizzo ndr), 51 se la cantano e tre ti mandano in galera. E’ questione di mentalità!».

La conversazione
La conversazione però prosegue e inaspettatamente i due richiamano vecchie modalità utilizzate da chi li ha preceduti nella gestione della torta criminale della città che il Ros identifica con certezza in un locale di ‘ndrangheta esistente fin dagli Anni Ottanta/Novanta: «Perché hanno provato a sparare a qualcuno, a qualche giudice gli hanno messo qualche bombettina…». Il Ros annota: «Si riferiscono all’attentato dinamitardo subìto dal pretore Giovanni Selis, il 13 dicembre 1982, miracolosamente scampato». Il dialogo che per la prima volta – nero su bianco – riconduce a una possibile matrice ‘ndranghetista l’attentato a Selis è inquietante in una lettura concatenata dei fatti occorsi di lì a poco. È opinione comune – ed è un fatto – che Selis stesse svolgendo delicatissime e coraggiose indagini sulla cosiddetta “mafia dei casinò”. Aveva messo nel mirino i cambisti e ipotesi di riciclaggio di denaro sporco delle mafie calabrese e siciliana a Saint Vincent.

L’inchiesta
Dopo l’attentato ne parlò a Bruno Caccia, procuratore di Torino che diede nuovi impulso a quell’inchiesta. La ‘ndrangheta lo uccise sette mesi dopo aver messo la bomba nel vano all’auto di Selis. Mandanti identici. Movente comune possibile?. È – in parte – la tesi della famiglia del magistrato costituita parte civile nel processo che si è celebrato in Corte d’Assise d’appello a Milano contro un panettiere torinese originario di Gioiosa Jonica accusato di aver partecipato al commando che uccise il magistrato torinese. L’avvocato Fabio Repici ha cercato di far entrare queste intercettazioni fin qui poco note nel fascicolo delle indagini rivendicando una continuità tra i due attentati mai documentata sulle carte giudiziarie.

 

 

 

 

Fonte:  aostasera.it
Articolo del 13 dicembre 2019
Scoperta ad Aosta la stele che commemora il Pretore Giovanni Selis
di Luca Ventrice
Aosta – La stele è stata posizionata in via Monte Vodice, dove il 13 dicembre 1982 Selis sopravvisse miracolosamente a quella che viene ricordata come la prima autobomba in Italia contro un magistrato. Presenti il figlio e la moglie: “Voleva tornare in Valle, diceva che voleva finire ciò che aveva cominciato. E così è finito lui”.

Nella giornata più difficile per la Valle d’Aosta – quella in cui si sveglia sotto una coltre di neve ma soprattutto sotto le macerie delle inchieste “Geenna” prima ed “Egomnia” poi – c’è anche un altro 13 dicembre.

Quello cioè che celebra, con una stele commemorativa in via Monte Vodice ad Aosta, il Pretore capo Giovanni Selis – autore tra alcune delle più delicate inchieste degli anni ’70 e ’80 in Valle fra cui quella sul Casinò alla base del blitz del 1983 – che in questo stesso giorno di 37 anni fa, era il 1982, scampò per miracolo all’esplosione, nella stessa via, della sua Fiat 500 in quella che viene ricordata ad oggi come la prima autobomba in Italia contro un magistrato.

Presente alla cerimonia la vedova del Pretore, accompagnata dal figlio Luigi, Sara Polimeno Selis: “Sono molto contenta che mio marito si sia distinto in ciò che faceva – ha spiegato al microfono –. Quando siamo andati a vivere a Roma con nostro figlio voleva tornare in Valle d’Aosta, diceva che voleva finire ciò che aveva cominciato e così è finito lui”.

Un rapporto con la Valle che la vedova Selis vive comunque a denti stretti, anche – o forse soprattutto – dal momento che il marito, morto suicida nel 1987, è sepolto a Rhêmes-Notre-Dame.

Scelta che, in realtà, è una ferita ancora aperta: “Era un uomo che non parlava mai del suo lavoro – dice commossa Sara Polimeno Selis – e mi fa male che sia sepolto a 1800 metri. Lui diceva agli amici che voleva riposare in montagna, che considero entrambi delle sue ‘amanti’, ma si riferiva alla possibilità di avere un incidente, non ad una bomba. Per motivi di salute non posso venire a trovarlo fino lassù, e mi hanno tenuto lontano da mio marito, non è giusto che il suo corpo stia lì”.

Paola Caccia, la differenza tra ricordo e memoria

Alla cerimonia era presente anche Paola Caccia, la figlia di Bruno, il magistrato – il cui lavoro si legava a doppio filo a quello di Selis – ucciso in un attentato ‘ndranghetistico a Torino nel 1983.

“C’è una differenza tra ‘ricordo’ e ‘memoria’ – ha spiegato –, perché il primo sta nei nostri cuori mentre la seconda serve a tutti. Quando abbiamo chiesto verità sull’uccisione di mio padre abbiamo scoperto la storia di Selis e di questo attentato, legato a quello di mio padre perché indagavano sulle stesse cose e andavano fermati. L’abbiamo scoperto da poco perché anche mio padre, come Selis, era un uomo che non parlava mai del suo lavoro”.

La cerimonia

Stretta e asciutta, la cerimonia è stata introdotta dalla Presidente del Consiglio comunale del Capoluogo Sara Favre: “A luglio il Consiglio ha approvato all’unanimità la proposta della collega Carpinello per ricordare l’attentato di 37 anni fa, un momento importante per non dimenticare, non negare e non sminuire mai questi fatti”.

A seguire Donatella Corti, referente regionale di Libera: “Noi da sempre promuoviamo la memoria – ha spiegato – che è fondamentale se pensiamo che anche in ‘Geenna’ c’è un riferimento al caso Selis. Abbiamo deciso di dedicare il 2019 alla sua figura, che capì da subito le trame tra il Casinò, allora in auge, ed il mondo politico arrivando anche all’arresto di uno dei primi assessori (il riferimento è a Bruno Milanesio, nel ’77), in Italia. Questa stele è qui perché oggi nessun valdostano possa dire ‘non ricordo’ o ‘non sapevo’”.

 

 

 

 

 

Foto da: vivi.libera.it

Fonte:  vivi.libera.it
Articolo dell’8 maggio 2020
In ricordo del Procuratore Selis.
La montagna di Giovanni.

Nella lettura delle carte dell’operazione Geenna, che come una tempesta, ha investito e scosso la Valle d’Aosta, abbiamo trovato per la prima volta, dopo 37 anni, un riscontro circa la presunta paternità da parte della ‘ndrangheta del primo attentato con un’autobomba della storia italiana, contro un Magistrato.

Così abbiamo iniziato a leggere articoli dell’epoca, a incontrare giornalisti che se ne erano occupati e infine, insieme a Libera Piemonte, abbiamo incontrato Sara e il figlio Luigi, la moglie e il figlio del magistrato che subì l’attentato: Giovanni Selis. La totale dimenticanza della loro vicenda e la portata delle indagini del pretore Giovanni Selis ci hanno commosso e spinto ad agire affinché la Valle d’Aosta ricordasse la determinazione, il coraggio e la passione con cui egli operò.

Così il 13 dicembre 2019 il Comune di Aosta ha posto una targa in memoria dell’attentato, alla presenza della moglie e del figlio e di Paola Caccia, figlia del magistrato Bruno, perché le inchieste del pretore, circa il casinò e la corruzione in campo edile, sono collegate a quelle di Bruno Caccia.

Inoltre, il presidio Antonio Landieri-Marcella di Levrano si è impegnato a raccontare la sua vicenda in uno spettacolo teatrale dal titolo: “L’isola felice?”.
Infine, le circostanze tragiche in cui è avvenuta la sua morte ci hanno spinto a considerarlo una vittima innocente della mafia perché fu proprio l’amore di Giovanni Selis per la Verità e la Giustizia, la solitudine a cui venne condannato, a consumare il suo desiderio di vita.

Per la prima volta, in occasione del 21 marzo 2020, il nome di Giovanni Selis è stato ricordato tra le oltre 1000 vittime innocenti delle mafie. Il suo nome è stato inserito nell’elenco delle vittime innocenti curato da Libera.
Una storia, una vita quella di Giovanni portata fuori dall’oblìo e che diventa memoria viva.

Questo testo è stato scritto dai volontari del coordinamento di Libera Val d’Aosta.

LA MONTAGNA DI GIOVANNI

Ora riposa alla mia luce: estate e inverno svetta la mia piramide bianca in fondo alla Valle.
No, non sono la famosa piramide del Cervino, sono meno famosa, ma chiudo mirabilmente un’altra valle della Valle d’Aosta: sono la Granta Parey che si innalza per 3387 metri infondo alla valle di Rhemes.
Hai voluto la luce della mia neve per riposarti perché ti piaceva sciare proprio qui in questa valle che io custodisco, e facevi anche le gare con i tuoi colleghi del Tribunale e le camminate con i guardia parco: sei sempre stato attento a che nessuno, per motivi di profitto, rovinasse il paesaggio incontaminato del Parco del Gran Paradiso di cui faccio parte: grazie.
Ricordo che avevi un bel passo: non eri valdostano, ma la tua passione per la montagna, per quest’aria pulita e frizzante che taglia la faccia, era nota a tutti quelli che ti conoscevano.
Talvolta camminavi e poi ti sedevi a riflettere e a pensare alle indagini che stavi conducendo: un ordito molto complesso si dipanava man mano sotto i tuoi occhi e avevi capito quanta corruzione e quanti traffici loschi si nascondevano anche in questa “isola felice”. Il giudice Bruno Caccia, tuo predecessore, ti aveva avvisato e tu continuavi ostinato nella tua ricerca per trovare i “pesci grossi” ai piedi delle Alpi.
Ricordo molto bene le vacanze di Natale del 1982 perché sei venuto poco a trovarmi. Eri sconvolto: ti avevano messo una bomba nella tua fiat 500, ma incredibilmente tu eri vivo. Ti avevavo spiegato che la carica nella tua auto era molto superiore a quella richiesta per un’esplosione e così l’auto si era squarciata e tu sei rimasto nella parte dell’abitacolo intatto, mentre il motore e la parte posteriore erano finiti sul terrazzo del primo piano della casa, di fronte al parcheggio. Pochi giorni dopo avevano anche cercato di farti scendere in strada con una scusa, aspettandoti, per concludere quello che con la dinamite non erano riusciti a fare.
Proprio quando la neve inizia a ritirarsi e gli animali scendono più a valle per cercare il cibo, sei venuto a salutarmi: saresti andato a Roma. Non solo nessuno sembrava colpevole, ma alcuni non ti avevano creduto e capito, addirittura eri stato indagato per aver pronunciato un nome di troppo, un nome sbagliato.
Eri amareggiato, ma felice di appoggiare i piedi sui miei sentieri che iniziavano a colorarsi di fiori. Hai fatto una bella passeggiata fino al crinale che porta in Valsavarenche: al Col de l’Entrelor.
Ti ho rivisto due anni dopo: eri stato scagionato da tutte le accuse ed eri felice di venirmi a salutare, avevi perso un po’ di allenamento e i tuoi occhi erano ancora più scuri. Sei salito fino al lago di Changier, godendoti le meravigliose sfumature dell’autunno montano. Era prudente essere tornati? La tua famiglia non era contenta, specie dopo quella telefonata anonima che diceva che questa volta nessuno avrebbe sbagliato. Ma allora perché tornare qui? Il tuo cuore amava la Verità e proprio come un alpinista che non lascia intentata una vetta che non riesce a scalare, si allena per tornare a raggiungere la meta l’anno successivo, così pure tu volevi terminare ciò che avevi cominciato.
L’ombra però avvolgeva i tuoi occhi e venivi sempre meno a trovarmi: eri stanco, eri solo e scoraggiato.
Ti ho ritrovato lì: una pietra con un nome e una data, ma rivolta verso di me, rivolta alla Granta Parey che il tuo spirito ha tenacemente scalato con caparbietà, fatica e determinazione. Era il 9 maggio 1987. Grazie Giovanni, io ti ricordo così.