Cattivi Pensieri. Mafia camorra and Co. di Luigi Firpo (1984)

Cattivi Pensieri
Mafia camorra and Co.
di Luigi Firpo

(Storico – Docente universitario di Storia delle dottrine politiche )

Fonte:  archiviolastampa.it/
Articolo del 9 settembre 1984

Al fenomeno della malavita organizzata, sempre più tracotante, onnipresente e, almeno in apparenza, inestirpabile, lo Stato sta dando le risposte che può, con le forze che ha, con la stanca inefficienza che lo caratterizza in tante funzioni e servizi. E servitori dello Stato, da Dalla Chiesa a Chinnici, uomini politici, da La Torre a Mattarella, hanno pagato con la vita l’aver tentato di opporsi. E qualcuno di loro sembra aver affrontato la morte non solo come un rischio necessario, ma quasi in olocausto consapevole, per non piegare la testa, per cercar di risvegliare le coscienze assopite, i pubblici poteri distratti o pavidi, il Paese intero, disgustato ma fatalista, incerto, disamorato.

Quando poi si vedono commissari che traccheggiano, giudici che prendono mazzette, politici notoriamente compromessi ma inamovibili, il ribrezzo e lo scoramento salgono a stringere la gola, e ci si interroga sul nostro futuro, e ci si domanda se chi si vede agonizzare in casa giovani figli stroncati dalla droga non vorrà un giorno chiedere vendetta di questi infami mercanti di morte. Ma anche gli indifferenti, quelli che se ne lavano le mani pensando che si tratti, dopo tutto, di un affare che riguarda soltanto le forze dell’ordine e qualche area del profondo Sud, non hanno potuto restare sordi ai duecento colpi sparati a Torre Annunziata da una quindicina di accoliti armati di fucili mitragliatori, lasciando sul terreno otto morti, una bambina innocente ferita e una scia di terrore. Perché un conto è parlare di taglieggiamenti, di sequestri, di regolamenti di conti, di eliminazione degli «infami» che hanno violato le regole dell’omertà o della spartizione del bottino, e altro è la guerra per bande nel cuore affollato delle città, con supremo disprezzo dell’incolumità di cittadini ignari.

Che questo possa oggi avvenire, in un Paese umano e civile, alle soglie del 2000, è frutto della nostra storia aberrante, di errori plurisecolari, del salto troppo brusco dal latifondo feudale, matrice di ignoranza e di sopraffazione, alla società sofisticata e complessa del secolo XX, con la potenza dei suoi strumenti e il suo molle ventre indifeso. Ma quello che più mi spaventa, debbo confessarlo, è la reazione dell’onesta gente comune, il sentimento che si viene radicando e che, ancora una volta, sembra voler dividere Settentrione e Mezzodì, l’Italia che guarda all’Europa e quella che si aggrappa alla Cassa del Mezzogiorno defunta e immortale.

Al Nord le persone con cui parli, uomini di professioni e ceti diversi, sembrano quasi compiacersi: finché i malviventi si sterminano tra loro, tanto di guadagnato, tutto lavoro in meno per poliziotti e secondini, e provino anche loro quanto sia atroce la violenza di cui si vantano. Non diversamente, nel Rinascimento, i benpensanti pacifici, di continuo soggetti alle brutalità e ai saccheggi della guerra, si consolavano pensando che si trattava perlomeno di un gran repulisti della feccia sociale, tra bravacci e fannulloni che si eliminavano a vicenda, Al Sud invece la gente considera il fenomeno ormai endemico e non contrastabile, lo spiega con ragioni vagamente storiche, biologiche, addirittura razziali, lo abbellisce di pregi d’intraprendenza e di coraggio. Non manca la riprovazione degli onesti, ma le troppe giustificazioni nascondono il senso dell’ineluttabile, la matrice profonda del tira a campa’, di un fatalismo rassegnato e indifferente. E c’è poi chi va oltre, ostentando un realismo cinico, come quel vicesindaco che ha dato atto di una situazione drammatica: «Se qui stroncano la camorra, finisce ogni attività, ogni reddito».

Dobbiamo dunque credere che solo il delitto paghi, che intere città debbano vivere coi proventi del contrabbando, dell’estorsione, dello spaccio di eroina, degli appalti truccati, della prostituzione sfruttata, sotto il terrore della lupara e del sasso in bocca? E possiamo credere che questa cancrena si risanerà da sola, per auto corrosione, e non continuerà invece a espandersi sull’ onda dilagante del denaro, della potenza e dell’impunità?

Nelle acque di Capri i grigi motoscafi veloci dei contrabbandieri gareggiano fra loro per gioco; nelle piscine termali di Ischia vecchi malvissuti con pesanti catene e croci e braccialetti d’oro cercano di ritemprarsi accompagnati da donne improponibili e da guardaspalle arroganti; in cento altri luoghi della bella Italia, dove graziosi soggiorni obbligati li trapiantarono, costoro ostentano il denaro turpe che hanno carpito e un potere fondato sul terrore. Connivenze compiacenti aprono loro tutte le porte, siano esse dei salotti o delle banche o delle anticamere parlamentari.

Non si elimineranno da soli, perché per ogni morto ammazzato si presentano a decine gli aspiranti alla successione e ai facili guadagni; non salveranno la vacillante economia delle nostre aree più depresse, perché le taglie non creano ricchezza ma la consumano, e gli imprenditori sequestrati o minacciati fuggono. Spero solo che il crepitio dei mitra di Torre Annunziata sia risonato fino a Roma. È di là, dal più oscuro sottobosco della politica, che il risanamento deve cominciare.