Il 13 dicembre 1995 a Nocera Inferiore, muore il comandante Natale De Grazia. Muore in circostanze sospette mentre era in missione per conto della procura della Repubblica di Reggio Calabria.

Foto da comitatodegrazia.org

Natale De Grazia è morto in circostanze sospette il 13 dicembre 1995, mentre era in missione per conto della procura della Repubblica di Reggio Calabria. Lo chiamavano l’investigatore delle “navi a perdere”, “cacciatore di cargo” che venivano imbottiti di rifiuti radioattivi per essere affondati a largo delle coste calabresi. Natale De Grazia era uno specialista, si stava recando a La Spezia e Massa Carrara per raccogliere importanti deposizioni e documenti nautici relativi ad affondamenti sospetti nel Mediterraneo.
Una nuova perizia, effettuata recentemente sui reperti delle due precedenti autopsie, eseguite sempre dallo stesso medico legale che stabilì come causa una morte naturale, ha riportato prima di tutto che le precedenti indagini furono sicuramente inappropriate e che la vera causa del decesso sono sostanze tossiche sulla cui natura però non è stato possibile indagare a causa del troppo tempo intercorso e l’esiguità del materiale a disposizione.

 

 

 

Fonte:  archivio.unita.news
«Riapriamo l’indagine sulla morte assurda di Natale De Grazia»
di Marco Bucciantini
Morì nel dicembre del 1995 mentre era impegnato in una delle prime indagini sui rifiuti tossici. I magistrati di allora convinti che l’ipotesi più probabile sia quella dell’omicidio.

Nella telefonata del mattino il capitano di vascello rinnovò l’invito all’amico procuratore: «Quando torno dalla Spezia vieni con me a Reggio e ci facciamo un giro con la barca della capitaneria. Ti mostro dov’è affondata la Rigel. E poi ci mangiamo il pesce spada più buono, quello dello Stretto». Il capitano Natale De Grazia non tornò. Il suo viaggio verso il porto ligure, per trovare conferma nei registri delle partenze delle navi a perdere, che lui quantificava in circa 180, terminò a Nocera Inferiore.

Morì (il referto fu: «Sindrome da morte improvvisa») dopo aver pasteggiato all’autogrill dell’autostrada A3. Era il13 dicembre 1995. Nicola Pace, il procuratore allora di stanza a Matera (oggi è a Brescia) andò lo stesso a Reggio Calabria, non per il pesce spada ma per i funerali. Ricorda il dolore dei parenti, non ancora inquinato dal sospetto che Natale potesse essere stato ucciso.

Ai pm quel destino non convinceva. «De Grazia era in piena salute. Controllato costantemente come tutti i militari». Non è solo per questo checkup che sarebbe opportuno riaprire le indagini sulla sua morte. Ai magistrati servono fatti nuovi. Ce ne sono due. Le parole del pentito Francesco Fonti, anzitutto, che non ha solo raccontato la sorte del Cunsky. Ha anche detto: «Per quello che ne so, Natale De Grazia è stato ucciso». Nella prassi giudiziaria, la cartina di tornasole per qualificare un pentito sono i fatti che rivela: Fonti ha detto il vero nel caso del relitto. Quindi non v’è ragione che dica il falso sulla sorte del capitano.

Questo pensano i magistrati delle procure “interessabili” per competenza alla riapertura dell’inchiesta sulla morte di De Grazia: Reggio Calabria e Salerno. A loro e alla direzione nazionale (e distrettuale) dell’antimafia arriverà la lettera di Gianfranco Posa, presidente del comitato civico che ricorda il capitano. L’altro fatto nuovo è l’emersione del malaffare indagato da De Grazia. Il recupero del Cunsky sarà la legittimazione postuma di inchieste che anni fa furono stroncate dall’isolamento delle procure.

«È il contesto che fa dubitare della morte del capitano», ricorda Pace, che si occupava dell’ipotetico coinvolgimento dell’Enea, l’ente statale sull’energia e l’ambiente. Incrociava il lavoro con la procura di Reggio, dove De Grazia e il pm Francesco Neri inseguivano la verità sulle navi a perdere. Lo spiaggiamento del Jolly Rosso era il vento per risalire la corrente. E cominciarono i sabotaggi: a Matera si dimise l’ufficiale della forestale, «il migliore investigatore che avevamo». Un testimone importante fu intimidito. Gli stessi magistrati, Pace e Neri, si accorsero durante un incontro a Catanzaro di essere seguiti da un’auto che risultò essere rubata. In questo contesto va valutata la morte di De Grazia, ufficiale «dal formidabile intuito investigativo – lo rammenta commosso Neri – che per la competenza era il motore dell’indagine».

Fu onorato dal presidente Ciampi con la medaglia d’oro al merito, con motivazioni inquietanti: «Un altissimo senso del dovere…nonostante pressioni ed atteggiamenti ostili…». Fu Neri a esigere l’autopsia sul cadavere. La fecero dopo 10 giorni, «tempo buono per far scomparire eventuali tracce di avvelenamento» per la vedova Anna Vespia. Non ammisero il consulente medico della famiglia, che fece ripetere gli esami. I risultati della seconda autopsia, compiuta dal perito del primo referto, arrivarono per posta alla vedova dieci anni dopo.

 

 

 

Articolo del 10 Settembre 2010 da  comitatodegrazia.org

Al capitano Natale De Grazia è stata chiesta l’intitolazione del Lungomare di Amantea (CS) con missiva del 19 luglio 2009, indirizzata alla commissione straordinaria che ha amministrato la città dopo lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa (2008-2010). La commissione ha  emesso una delibera notificata al prefetto di Cosenza nell’anno 2010 per le dovute autorizzazioni. Il 24 ottobre 2010, in occasione della manifestazione nazionale “Basta Veleni”, è avvenuta l’intitolazione ufficiale del lungomare di Amantea a Natale De Grazia.

Natale De Grazia nasce a Catona di Reggio Calabria il 19 dicembre 1956.

Consegue il titolo professionale di Capitano di lungo corso nell’anno 1981 dopo aver effettuato quattro anni di navigazione in acque nazionali ed internazionali in qualità di 2° e 1° ufficiale di coperta su navi mercantili e petroliere.

Nell’anno 1982/83 supera il concorso pubblico per ufficiali nella marina militare, corpo capitanerie di porto ruoli normali, raggiungendo di anno in anno condizioni di avanzamento di carriera da guardia marina fino ad arrivare a capitano di corvetta.

Concluso l’anno di studio-formazione all’accademia navale di Livorno, viene imbarcato sulla nave militare Sagittario, in missione in Libano nel dicembre 1983. Presta successivamente servizio c/o la Capitaneria di Porto di Vibo Valentia Marina e dopo due anni viene trasferito al Compartimento Marittimo di Reggio Calabria, dove rimane per sei anni. Nel 1991 viene disposto il suo trasferimento a Carloforte (Cagliari) per assumere il comando del Circomare per circa due anni. Poi un nuovo trasferimento al Compartimento di Reggio Calabria, dove assumerà diversi incarichi: Capo sezione Tecnica, Sicurezza navigazione, Antinquinamento, Elaborazione dati statistici e Responsabile della sala operativa. A partire dal 1994, collabora attivamente col pool investigativo della procura di Reggio Calabria relativamente al traffico di rifiuti tossici e/o radioattivi su espressa richiesta del procuratore capo dott. Francesco Scuderi, il quale ritenne preziosa ed essenziale la collaborazione del De Grazia con il sostituto procuratore Francesco Neri, titolare delle indagini. Il comandante De Grazia muore il 13 dicembre 1995, improvvisamente a Nocera Inferiore, mentre si trasferiva da Reggio Calabria a La Spezia nell’ambito delle citate indagini.

Il capitano morì dopo aver consumato un pasto in una stazione di servizio sull’autostrada Salerno- Reggio Calabria. Il certificato di morte riporta quali cause del decesso le troppo generiche motivazioni “arresto cardio-circolatorio”. Il suo corpo fu sottoposto ad autopsia solo dopo una settimana dal decesso e presso l’ospedale di Reggio Calabria, anziché Nocera Inferiore dove era deceduto. Agli esami autoptici non è stato concesso di assistere al consulente medico della famiglia che chiese di ripetere gli esami. La seconda autopsia fu assegnata allo stesso perito che condusse la prima e i risultati di questi ulteriori esami, che confermarono ovviamente i dati della prima, furono trasmessi alla famiglia dopo circa dieci anni.

Dopo la sua morte le indagini subirono un duro colpo e da allora la verità sulle “navi a perdere” non è mai stata rivelata fino agli sviluppi di questi ultimi tempi. Il 24 Maggio 2001, l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concesse la medaglia d’oro al merito di marina “Alla Memoria” con le seguenti motivazioni: “Il Capitano di Fregata (CP) Spe r.n. Natale DE GRAZIA ha saputo coniugare la professionalità, l’esperienza e la competenza marinaresca con l’acume investigativo e le conoscenze giuridiche dell’Ufficiale di Polizia Giudiziaria, contribuendo all’acquisizione di elementi e riscontri probatori di elevato valore investigativo e scientifico per conto della Procura di Reggio Calabria. La sua opera di Ufficiale di Marina è stata contraddistinta da un altissimo senso del dovere che lo ha portato, a prezzo di un costante sacrificio personale e nonostante pressioni ed atteggiamenti ostili, a svolgere complesse investigazioni che, nel tempo, hanno avuto rilevanza a dimensione nazionale nel settore dei traffici clandestini ed illeciti operati da navi mercantili. Il comandante De Grazia è deceduto in data 13.12.1995 a Nocera Inferiore per “Arresto cardio-ircolatorio”, mentre si trasferiva da Reggio Calabria a La Spezia, nell’ambito delle citate indagini di “Polizia Giudiziaria”. Figura di spicco per le preclare qualità professionali, intellettuali e morali, ha contribuito con la sua opera ad accrescere e rafforzare il prestigio della Marina Militare Italiana.”

Il risultato del lavoro investigativo condotto dal capitano De Grazia è contenuto nei fascicoli dell’inchiesta giudiziaria sull’affondamento della nave Rigel e altri “navi a perdere” presso la procura di Reggio Calabria archiviata nell’anno 2000.

Risulta documentato che il capitano Natale De Grazia aveva trovato nella casa di Giorgio Comerio, un noto faccendiere investigato per smaltimento illecito di scorie radioattive, un’agenda con l’appunto “Lost the ship” (la nave è persa) il giorno 21 settembre 1987, il giorno in cui è affondata la nave Rigel. Quel giorno, secondo quanto stabilito dall’International maritime organization è affondata soltanto quella nave. Inoltre nella casa del Comerio pare esser stata ritrovata copia del certificato di morte di Ilaria Alpi, – giornalista italiana del TG3, assassinata in Somalia insieme all’operatore Miran Hrovatin mentre si occupava di traffico di rifiuti pericolosi e di armi.

Comerio è l’ingegnere ideatore del progetto O.D.M. (Oceanic disposal management) che prevedeva di stipare rifiuti radioattivi in siluri (telemine) da sparare sotto i fondali marini con l’ausilio di navi Ro-ro. Gli investigatori di Reggio Calabria, tra cui il De Grazia, avevano scoperto che Comerio aveva trattato l’acquisto della motonave Rosso (nave Roro). Nel corso delle indagini Natale De Grazia ed i suoi collaboratori, maturarono la convinzione, che la Jolly Rosso doveva essere affondata al largo del Golfo di S. Eufemia (CZ) per smaltire un carico di rifiuti pericolosi e per lucrare sul premio di assicurazione. Secondo gli inquirenti l’affondamento non riuscì e il 14 dicembre 1990 la nave si arenò sulla spiaggia di Amantea in località Formiciche e il carico della nave seppellito nell’alveo del fiume Oliva, poco distante il luogo della spiaggiamento. L’inchiesta è stata riaperta dalla procura di Paola nell’anno 2004 e poi ma per mancanza di prove è stata archiviata a maggio 2009 perché l’ipotesi accusatoria non fu supportata da prove. Attualmente (anno 2010) sono in corso sempre presso la Procura di Paola altra indagini per capire comunque il tipo di inquinanti trovati nell’alveo del fiume Oliva, la loro incidenza sulle malattie diffuse nella zona e per traavre i responsabili di tali illeciti smaltimenti.

Natale De Grazia è morto in circostanze sospette il 13 dicembre 1995, mentre era in missione per conto della procura della Repubblica di Reggio Calabria. Si stava recando a La Spezia e Massa Carrara per raccogliere importanti deposizioni e documenti nautici relativi ad affondamenti sospetti nel Mediterraneo.

In occasione dell’ “Appello per la verità, in memoria di Natale De Grazia, sui traffici dei rifiuti” che si è tenuto a Reggio Calabria il 14 dicembre 2008, il giornalista Luciano Scalettari, impossibilitato a partecipare all’evento ha inviato una dichiarazione per testimoniare comunque la sua vicinanza e il suo impegno, scrivendo tra l’altro che : «…è fondamentale fare memoria su chi era, su cosa lavorava e perché morì Natale De Grazia….Tre anni fa ebbi l’occasione di intervistare l’attuale Procuratore Capo di Trieste, Nicola Maria Pace (giudice in prima linea su indagini come Traffico d’organi, Unabomber, rifiuti radioattivi, migrazioni illegali che aveva collaborato con la procura di Reggio Calabria ed in particolare con il capitano De Grazia). Ebbene, nonostante la sua consapevolezza sul peso delle dichiarazioni di un magistrato responsabile di una Procura, disse: «È, e rimane mia intima convinzione – sulla base di tanti fatti e indizi maturati all’epoca dell’indagine – che Natale De Grazia SIA STATO UCCISO».

Tra l’altro è stato più volte ipotizzato che dietro il fenomeno delle “navi a perdere”  e quindi sulla morte del comandante De Grazia, possano essere stati coinvolti i servizi segreti deviati, la massoneria e i poteri mafiosi della nostra regione.

Crediamo che su questa vicenda, come sui fatti che furono oggetto delle indagini di De Grazia, si possa e si debba esigere almeno l’impegno delle istituzioni del nostro Paese per ottenere verità e giustizia.

 

 

 

Articolo del  20 Dicembre 2012 da inchieste.repubblica.it

“Avvelenato” l’uomo delle navi dei veleni. La Commissione d’inchiesta riapre il caso.
di Giuseppe Baldessaro e Giovanni Tizian

Il capitano Natale De Grazia morto in circostanze misteriose nel 1995 mentre indagava sull’affondamento delle navi piene di rifiuti tossici secondo i parlamentari che indagano sui traffici di rifiuti sarebbe stato avvelenato. Una dettagliata perizia, spiega com. Ma ulteriori indagini tossicologiche sono quasi impossibili.

Ore 10.25 di oggi: la conferenza stampa convocata d’urgenza dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti viene  annullata, rimandata a data da destinarsi. Il tema? L’annuncio di clamorose novità sulle navi dei veleni e sulla morte del capitano Natale De Grazia. Un mistero italiano. Del resto tutta la vicenda dei rifiuti tossici affondati con le navi a perdere nel mare calabrese e la scomparsa di De Grazia è fitta di misteri, omissioni, complicità. Ma agli atti della commissione c’è un elemento nuovo, dal quale potrebbero aprirsi nuovi scenari investigativi. Si tratta dei risultati della perizia sulla morte del comandante eseguita da un consulente della commissione. De Grazia potrebbe essere stato avvelenato. Ucciso per fermarlo nelle indagini sugli affondamenti delle navi piene di bidoni tossici. Il risultato a cui è giunto il perito potrebbe portare all’apertura di una nuova inchiesta per accertare quanto accaduto quella tragica sera del  dicembre ’95 in cui è morto – ufficialmente per arresto cardiaco – De Grazia. E getterebbe le basi per scavare fino in fondo tra i segreti velenosi custoditi nei fondali calabresi. Avvelenato il mare e avvelenato l’investigatore che più di tutti inseguiva la verità. Strane coincidenze in una storia in cui ogni indizio è prezioso.

La perizia. “Il Capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il verificarsi di tale evento”, riferisce il perito davanti ai membri della commissione presieduta dall’avvocato Gaetano Pecorella (Pdl). L’analisi del consulente – che Repubblica ha potuto vedere – prosegue specificando  che “si trattava infatti di soggetto in giovane età, in buona salute, senza precedenti anamnestici deponenti per patologie pregresse, che conduceva una vita attiva e, come militare in servizio, era sottoposto alle periodiche visite di controllo dalle quali non sembra siano emersi trascorsi patologici. E per altri versi l’esame necroscopico, al contrario di quanto è stato prospettato attraverso una analisi non attenta e piuttosto superficiale dei reperti anatomo ed istopatologici, non ha evidenziato nessuna situazione organo-funzionale che potesse costituire potenziale elemento di rischio di morte improvvisa. E nemmeno quanto riferito dalle persone che erano presenti alla morte e che ne seguirono le fasi immediatamente precedenti, si accorda con una ipotesi di morte cardiaca improvvisa”.

Il racconto della morte. La perizia prosegue raccontando nei particolari il decesso dell’ufficiale: “…Si sa infatti che il Capitano De Grazia, subito dopo aver mangiato e messosi in macchina ha cominciato a dormire e quindi a russare in modo strano; ad un certo punto reclina la testa sulla spalla e per questo viene scosso dall’occupante il sedile posteriore dell’autovettura; a questa sollecitazione egli reagisce sollevando il capo ma non svegliandosi e senza dire alcunché se non emettendo un suono indefinito; quindi poco dopo reclina definitivamente la testa e non risponde più alle sollecitazioni”. Il consulente critica senza mezzi termini le indagini, “i cui limiti sono apparsi subito evidenti” e la perizia medico legale fatta sul corpo senza vita di De Grazia, che “non corrisponde alla verità scientifica”. E troppo tempo è passato per esaminare ulteriori reperti, escludendo che “una eventuale, rinnovata esumazione della salma possa dare la possibilità di indagare sui temi che qui interessano e cioè quelli della causa della morte con particolare  riferimento alla presenza di sostanze tossiche”.

Ecco allora le deduzioni “sostenute dai pochi elementi obiettivi tenendo anche conto di quanto acquisito nel corso delle audizioni delle persone che, in qualche modo, ebbero ad assistere alla morte del capitano”. Ma allo stato, “non c’è nell’intera indagine alcun dato certo che possa supportare la morte improvvisa” di De Grazia.

“Cause tossiche”. Cosa è successo veramente? Difficile dirlo, ma il perito parla di “cause tossiche”, cioè sostanze velenose che hanno portato alla morte il capitano: “Sembrerebbe più trattarsi di morte cardiaca secondaria a insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso centrale, come suggestivamente depone il quadro di edema polmonare così massivo, incompatibile quasi con un arresto cardiaco improvviso del tutto asintomatico; come suggestivamente depongono le manifestazioni sintomatologiche riferite da chi ha potuto osservare il sonno precoce, il russare rumoroso, quasi un brontolio, la risposta allo stimolo come in dormiveglia, il vomito; tutte manifestazioni queste che, anche se non patognomoniche, ben si accordano con una progressiva depressione delle funzioni del sistema nervoso centrale”. In altre parole “si può riconoscere solo la causa tossica”. Ma “quale essa potrà essere stata  non lo si potrà più accertare”.

“Impossibile ripetere le analisi”. Le conclusioni del perito sono amare. “Purtroppo è stata irreversibilmente dispersa la possibilità di indagare seriamente sul versante tossicologico, da una parte per superficialità e forse inesperienza di chi aveva posto i quesiti con scarsa puntualità e poco finalizzati; dall’altra per l’insipienza della indagine medico legale che ha ritenuto trovarsi di fronte ad una banale morte naturale ed inopinatamente si è subito indirizzata, trascurando l’indagine globale, alla esclusiva ricerca di droghe di abuso in un caso nel quale, se c’era una ipotesi se non da scartare subito almeno da considerare per ultima, era proprio quella di una morte per abuso di sostanze stupefacenti; e pervicacemente ha insistito sulla stessa linea anche nella seconda indagine necroscopica. Oramai l’indagine tossicologica non è più ripetibile, e quindi il caso, dal punto di vista medico legale deve essere, ad avviso del sottoscritto, considerato chiuso”.

L’investigatore delle “navi a perdere”. Lo chiamavano l’investigatore delle “navi a perdere”. Il “cacciatore di cargo” che venivano imbottiti di rifiuti radioattivi per essere affondati a largo delle coste calabresi. Natale De Grazia era uno specialista. Ed è morto misteriosamente il 13 dicembre del ’95, mentre era in viaggio sull’autostrada che lo avrebbe dovuto portare a La Spezia. Comandante della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria era considerato un militare dalla schiena dritta. Che non temeva la fatica e i rischi di un’indagine, considerata spinosa. Era sereno anche il giorno della partenza per la Liguria. Ci stava andando a recuperare documenti sui cargo affondati nel Mediterraneo. Partì per La Spezia nel tardo pomeriggio di un giorno piovoso. Diluviava, sulla Salerno-Reggio Calabria. Il pool di investigatori che in macchina la percorreva da Sud verso Nord era composto, oltreché da De Grazia, anche da Nicolò Moschitta e Rosario Francaviglia. Poco prima di Nocera Inferiore in Campania, i tre decidono di fermarsi a cenare in uno dei tanti service. Mezz’ora al massimo. Ripartiti, il capitano era seduto dietro. I colleghi ad un certo punto non lo sentono più parlare. Improvvisamente. Aveva il respiro pesante, non rispondeva alle sollecitazioni. Rantolava.

L’auto venne fermata su una piazzola d’emergenza. De Grazia, secondo il racconto degli unici due testimoni, morirà in pochi istanti, nonostante i loro tentativi di soccorso. La morte del comandante “può ricondursi, per sua natura, ad una morte di tipo naturale, conseguente ad una insufficienza cardiaca acuta, inquadrabile più specificatamente nella fattispecie della morte improvvisa”. Fu questo il responso di prima autopsia, il cui referto venne depositato il 12 marzo del 1996. Morte improvvisa, dunque. Inspiegabile, comunque rarissima. “La morte improvvisa è un evento repentino e inatteso – si legge ancora nel referto a firma della dottoressa Simona Del Vecchio, autrice dell’esame autoptico – caratterizzato dal fatto che il soggetto passa da una condizione di completo benessere o almeno di assenza di sintomi alla morte in un arco di tempo inferiore alle 24 ore”. Natale De Grazia sarebbe rientrato proprio in uno di questi casi.

I familiari chiedono la verità.  I familiari, non convinti, a distanza di tempo, chiedono una nuova perizia medica. Sarà affidata alla stessa dottoressa Del Vecchio, che eseguì la prima. Identico a quello precedente anche l’esito. Una stranezza. E non sarebbe l’unica. Gli investigatori a La Spezia ci andavano per cercare le rotte di alcune navi partite da quel porto. Non ci arriveranno mai, e quando qualcun altro si presenterà all’archivio dell’approdo ligure, si scoprirà che, nel frattempo, le stanze che ospitavano quei documenti si erano allagate, e che tutto era finito al macero.

La medaglia d’oro. Fatalità? Forse. C’è poi un documento che spiega il valore del lavoro svolto dal capitano Natale De Grazia. E’ la relazione inviata al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nella primavera del 2003, per chiedere, per il capitano, il riconoscimento ufficiale dello Stato. Riconoscimento che arrivò sotto forma di medaglia d’oro, poco tempo dopo. Il documento porta la firma di Francesco Neri, il magistrato che aveva fatto del comandante della Marina Militare uno dei suoi investigatori di punta. Ed è controfirmato da altre due toghe, Nicola Maria Pace e Giovanni Antonino Marletta.

Il caso “Ilaria Alpi”. In uno dei passaggi, si legge che durante le perquisizioni a casa di alcuni degli indagati “determinante fu l’apporto investigativo del capitano De Grazia, non soltanto per la sua ben nota esperienza marinaresca e militare, ma – soprattutto – per l’acume investigativo dimostrato, che portò l’indagine ad acquisire elementi probatori di eccezionale importanza e, con la sua competenza, di rapida e facile lettura”. Fu De Grazia a trovare le piste che portavano al caso “Ilaria Alpi”, al traffico di armi internazionale, e al principale indagato Giorgio Comerio. E fu sempre il capitano a gestire il “cuore” di un’indagine che “per la sua naturale evoluzione si arricchiva sempre più di elementi investigativi importanti, inediti e al tempo stesso pericolosi”.

I magistrati che chiesero il riconoscimento per De Grazia ricordano come si tratti “di vicende avvolte nelle nebbie dei segreti di Stato, con la complicità dei più pericolosi faccendieri e trafficanti di armi e rifiuti, dei servizi segreti (deviati e non) di numerosi Stati, di organizzazioni criminali mafiose, che come tali potevano compromettere anche la “sicurezza nazionale”, tanto che si ritenne opportuno informare anche il capo dello Stato (all’epoca Scalfaro), per il tramite del procuratore della Repubblica di Napoli, Agostino Cordova, che nel frattempo svolgeva indagini, collegate, a quella di Reggio”. E ancora: “L’instancabileDe Grazia, gravato di compiti istituzionali, interessato alle indagini, perché ne sentiva tutta l’importanza e la responsabilità, (.) sacrificava qualunque ritaglio di tempo libero, a discapito della famiglia, per venire, solo a tarda sera negli uffici della Procura circondariale, sovraccaricandosi così di lavoro per scovare tra i circa 72 faldoni di documenti ed atti di investigazione, di cui ormai l’indagine era costituita, ulteriori notizie di reato”. Questo era Natale De Grazia, un investigatore scomodo.

 

 

 

Articolo del 17 Gennaio 2013 da  ildispaccio.it 
De Grazia e le navi: nuove deposizioni sull’intrigo all’ombra dei Servizi
di Claudio Cordova

Un cambiamento di programmi dell’ultima ora. Il viaggio verso La Spezia, quello in cui perderà la vita in cause tuttora più che sospette, il Capitano di Corvetta Natale De Grazia non l’avrebbe mai dovuto effettuare. La sua destinazione, infatti, era un’altra: Crotone, da solo e non insieme al militare dei Carabinieri Niccolò Moschitta. Al suo posto sarebbe dovuto esserci il maresciallo Domenico Scimone. L’inversione di ruoli, nell’ambito delle delicate indagini sulle “navi dei veleni”, quelle che, secondo la famiglia e non solo, sarebbero costate la vita a De Grazia,  è stata comunicata proprio da Scimone, ascoltato, circa un mese fa, dalla Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti, presieduta da Gaetano Pecorella: “Il viaggio prevedeva un certo programma, ma all’ultimo momento il comandante De Grazia decise di cambiare itinerario, ossia di mandare me a Crotone a sentire il demolitore della nave Jolly Rosso, mentre lui preferì andare in dogana, dove sapeva come muoversi in relazione alle bolle di carico delle navi.  Se non ricordo male, la verifica riguardava la Rigel, di cui non si riusciva a capire perché fossero fatte in un certo modo nel processo, per cercare altra documentazione a sostegno di quanto aveva visto nelle bolle di carico. Inoltre, se non ricordo male, aveva intenzione di controllare anche le bolle di carico della Jolly Rosso”.

Sono molto delicate le indagini che De Grazia porta avanti nel pool di investigatori coordinato dal sostituto procuratore Francesco Neri. Gli altri membri della squadra hanno esperienza di polizia giudiziaria, ma De Grazia è un marinaio ed è l’unico che sa leggere una mappa, l’unico in grado di raccapezzarsi, per la ricerca delle “navi dei veleni”, che sarebbero state affondate al largo delle coste calabresi: “Avevamo preso il registro navale del Lloyd adriatico in cui davano per scomparse queste navi. Dal punto di partenza ultimo conosciuto e considerando il porto di destinazione avevamo tracciato più o meno un itinerario calcolando la velocità possibile di una nave con quelle caratteristiche. Avevamo fatto questa ricostruzione nautica per comprendere dove potessero essere affondate le navi che avevano perso ogni tipo di contatto. Abbiamo indicato queste zone in una cartina che avevamo in ufficio. Lo ricordo perché la ricostruzione è avvenuta insieme al capitano De Grazia. Di alcune di queste navi erano legalmente riconosciuti i luoghi di affondamento, tra cui mi pare ci fosse la Michigan, la Jolly Rosso e la famosa Rigel. Per quest’ultima però davano come punto di affondamento 20 miglia al largo di Capo Spartivento sulla base dell’inchiesta condotta da La Spezia, finalizzata all’indagine sulla truffa ai danni dell’assicurazione. Dell’affondamento di quella nave alle capitanerie di porto di Reggio Calabria, Messina e Catania non risultava nulla, tranne l’attività svolta da La Spezia, che seguiva l’attività su questa nave con intercettazioni telefoniche”.

De Grazia, però, non molla e a prezzo di tanti sforzi riesce infine a restringere il campo rispetto ai tanti, tantissimi relitti in fondo ai mari calabresi, a una quindicina di navi: “Per capire quante navi potessero essere affondate nel nostro territorio – dice ancora Scimone – ci siamo rifatti ai registri Lloyd’s nei quali erano indicate tutte le navi scomparse di cui era dichiarato l’affondamento. Vi era indicato il luogo di partenza e quello di destinazione, l’affondamento, ma senza dare i punti nave. Si indicava la dicitura “scomparsa”. Sulla base di questi due dati, porto di partenza e di arrivo, abbiamo ricostruito il tragitto più logico dal punto di vista navale: ad esempio, da La Spezia per andare a Durazzo, una nave avrebbe fatto il giro davanti allo stretto. Calcolando i tempi di navigazione e la velocità, la scomparsa presumibilmente arrivava in quella nostra zona, considerando anche gli ultimi contatti radio che risultavano dai registri Lloyd’s”.

Due, in particolare, le imbarcazioni più famose. La Rigel, affondata al largo di Capo Spartivento, a migliaia di chilometri di profondità, e la Rosso, spiaggiata ad Amantea nel dicembre 1990: “La Rigel era oggetto di indagini per truffa ai danni dell’assicurazione, ma sulla stessa c’era a monte l’attività d’indagine su un altro affondamento misterioso. Alcuni personaggi erano stati tratti in arresto, tra cui mi pare un funzionario di dogana di cui non ricordo il nome perché sono trascorsi tanti anni. In ogni caso, è tutto negli atti del processo di La Spezia. Iniziano l’attività a seguito dell’affondamento di una nave il cui scopo sarebbe stato di truffare l’assicurazione. Aprono, dunque, un fascicolo processuale con un’attività di indagine che ha consentito le intercettazioni. Seguono il carico sulla Rigel e il suo affondamento”. L’indagine, dunque, nasce come accertamento per capire se, come e quanto gli armatori, facendo colare a picco le proprie navi, abbiano potuto truffare le assicurazioni. Ma ben presto, gli investigatori si accorgono di avere a che fare con traffici ancor più grossi e inquietanti: “Non c’è dubbio – afferma ancora Scimone – che dalle bolle di carico della Rigel emerga una grossa anomalia. Tutto era finalizzato alla truffa all’assicurazione. Addirittura, per rendere credibile il trasporto dichiarato dei container erano stati caricati con balle di cemento armato. Abbiamo anche sentito che è agli atti il nome di chi ha realizzato questi blocchi di cemento e che li ma messi in questi container.  Sopra ogni container, peraltro, era stato collocato granulato di marmo alla rinfusa, trasporto abbastanza anomalo. Mettere tutto nella stiva nei container e poi butti sopra il granulato di marmo alla rinfusa. Da quanto deducemmo io e De Grazia, serviva solo ad appesantire la nave affinché andasse giù velocemente.  Inoltre, di certo risultavano sul carico, dalla bolla della Rigel, scarti di polimero, il famoso ABS, che erano stati consegnati da una ditta che li aveva in smaltimento. Che ci fossero dei rifiuti, certamente non speciali, ma di chissà che genere, è certo. Mi pare, infatti, che gli scarti di polimero fossero della Enichem, della zona di Civitavecchia”.

La Rigel e la Rosso. Le due navi più tristemente note per chi si è imbattuto nelle indagini sul traffico di scorie radioattive in fondo al mare. Se la prima, infatti, è l’unica per cui si può parlare apertamente di affondamento doloso (vista la condanna per frode assicurativa) la Rosso è la nave su cui De Grazia dedicherà la maggior parte del proprio impegno. Anche il viaggio in auto che gli sarà fatale, infatti, era finalizzato proprio ad acquisire elementi sulla motonave della Linea Messina: “Dovevamo sentire anche l’equipaggio e il comandante della Jolly Rosso, ciò di cui mi sono occupato io dopo la morte di De Grazia. Lui doveva andare proprio per questo motivo. Mi aveva detto chiaro e tondo di andare a Crotone al suo posto, per ascoltare il demolitore. Preferiva parlare lui con il comandante della nave perché aveva da rivolgergli delle domande specifiche. Io non avevo nulla da obiettare e nel pomeriggio, verso le 17, sono partiti. Io sono partito l’indomani mattina, verso le 4.00, per andare a Crotone. Mi pare di aver avuto l’ultimo contatto intorno alle 18, quando erano già in partenza da Reggio Calabria o già in prossimità di qualche altro luogo”. Un viaggio che De Grazia non avrebbe dovuto neanche fare gli costerà dunque la vita. Una morte per “cause naturali” su cui da sempre – e soprattutto nelle ultime settimane – si depositeranno inquietanti interrogativi. A detta di Scimone (i cui ricordi, al cospetto della Commissione Ecomafie non sono sempre lineari), lo scambio di missione sarebbe avvenuto su precisa indicazione di De Grazia. E il maresciallo avrebbe appreso della morte del Capitano solo diverse ore dopo: “Quando sono arrivato a Crotone – non sapevo nulla – ho trovato il Cannavale (il demolitore, ndr) e, mentre lo stavo interrogando, mi è arrivata la telefonata dal collega della sezione che mi chiedeva se sapessi cosa era successo a De Grazia. Ho pensato a un incidente stradale, era la cosa più logica. Gli ho chiesto se si fosse ferito, ma lui mi ha risposto di fare come se non mi avesse chiesto niente. Ho telefonato subito a Moschitta e l’ho sentito un po’ strano. Quando gli ho chiesto cosa fosse successo, mi ha risposto che De Grazia era morto e lì c’è stato un momento…”.

Rigel e Rosso, le navi più famose. E l’obiettivo di De Grazia sarebbe stato proprio quello di tentare di mettere in correlazione i due casi, uno terminato con l’affondamento e l’altro (ma solo per un curioso disegno del destino) con il naufragio ad Amantea. Dietro, però, potevano esserci gli stessi burattinai: “Doveva capire – dice ancora il maresciallo Scimone – se i personaggi della Rigel in qualche modo si sovrapponessero a quelli della Jolly Rosso o viceversa. Stavamo portando avanti insieme queste due fasi, sia la Rigel sia la Jolly Rosso. Non c’era un comparto stagno per il quale Moschitta, in qualità di nucleo operativo, dovesse occuparsi esclusivamente di un aspetto. Doveva verificare se ci fosse, alle spalle di questi personaggi, una possibile associazione. Tutto era finalizzato a cercare di capire quali fossero personaggi in comune, cosa ci fosse dietro questi personaggi per l’affondamento della Rigel e ricostruire la vicenda della Jolly Rosso”. Per questo, dunque, De Grazia avrebbe intrapreso il viaggio per La Spezia insieme al Carabiniere Moschitta. Fino alla tragica sosta in Campania, dove poi De Grazia, dopo la cena, inizierà a sentirsi male: “Lui era più tecnico nella materia nautica. Io ero più tecnico dal punto di vista della polizia giudiziaria. Moschitta e io siamo più esperti nella stesura dei verbali. A questo punto, De Grazia disse che sarebbe stato meglio che fosse lui ad andare con Moschitta perché, tecnicamente, avrebbe potuto rivolgere domande più precise. Si trattava solo di essere più tecnici nelle domande. Ha preferito mandare me a Crotone, dove avrei steso un altro verbale d’interrogatorio per le sommarie informazioni di Cannavale”.

Il muro di gomma non era facile da scardinare (e non lo sarà per anni), per questo, a detta di Scimone, il pool avrebbe dovuto ricorrere spesso a controlli incrociati: “C’era un fascicolo della Rigel, ma lo ricavammo dall’attività della procura di La Spezia. Siamo venuti a conoscenza tramite La Spezia dell’affondamento di questa nave, dove abbiamo avuto le bolle di carico e tutta la fase d’indagine che avevano condotto, tra cui la coincidenza del giorno dell’affondamento riportato sull’agenda di Comerio”. Già, Giorgio Comerio. E’ lui uno dei personaggi principali delle indagini che ruotano attorno alle “navi dei veleni”. A casa dell’ingegnere di Garlasco, il Capitano De Grazia troverà anche degli incartamenti relativi alla morte della giornalista Ilaria Alpi, uccisa da un commando a Mogadiscio, in Somalia, probabilmente mentre indagava su traffici di armi e di scorie radioattive. Comerio, infatti, avrebbe elaborato negli anni un sistema di smaltimento dei rifiuti nei fondali marini, attraverso dei penetratori che si sarebbero dovuti conficcare negli abissi più profondi. A spiegare il meccanismo alla Commissione è un altro degli investigatori ascoltati circa un mese fa, il primo maresciallo e nocchiere di porto, Luigi Trasacco, che per un determinato periodo avrebbe affiancato (anche se lui parlerà solo di “compagnia”) De Grazia: “”In seguito, sono venuto a conoscenza, ma non ricordo di aver visto la documentazione, dei progetti sempre di una ditta del Comerio per un sistema di smaltimento che aveva ideato per queste scorie, dei penetratori o delle telemine, se non ricordo male, due sistemi che avrebbero dovuto essere utilizzati. Si trattava di penetratori che, per caduta, si sarebbero interrati, contenendo quello che contenevano, mentre il sistema delle telemine, che dovevano essere, se non erro, una specie di siluri teleguidati, sempre riempiti con queste scorie e rifiuti. Per l’utilizzo di questi sistemi, si sarebbe ricorso a delle navi Ro/Ro, di cui la Jolly, se non ricordo male, era un tipo […] e ne parlò il comandante. Di lì a poco, se non ricordo male, in una trasmissione televisiva fu ospite il Comerio, per cui se ne parlò in televisione, lessi degli articoli. Ricordo bene questi dischetti, le mie visite a Messina e il viaggio a Roma con lui perché doveva incontrare, questa volta, un esperto di materiale radioattivo. Non so chi fosse, ma se anche me l’avesse detto, come sinceramente non mi pare, non lo ricordo”. I servizi restano sempre e comunque sullo sfondo, come un’opprimente e costante presenza, su tutte le attività portate avanti prima e dopo (e forse anche durante) la morte di Natale De Grazia: “Noi tramite il magistrato abbiamo segnalato che c’erano delle problematiche sulle telemine. Era opportuno segnalare il progetto di Comerio ai servizi segreti, competenti per materia, al SISMI.  Sono venuti, hanno analizzato la documentazione, hanno dichiarato che di parte di questa erano già a conoscenza e ci hanno fornito altra documentazione”.

Personaggi oscuri, tanto Comerio, tanto un altro uomo che entra a gamba tesa nelle indagini: quell’Aldo Anghessa che nei Servizi Segreti sarebbe stato di casa, tanto da partecipare, negli anni, a diverse operazioni di intelligence. Secondo il racconto del maresciallo Scimone, Anghessa sarebbe entrato in contatto con il pm Neri, paventando l’ipotesi di poter dare un contributo fondamentale alle investigazioni: “Anghessa, fece intendere – siamo nella prima fase – che era disponibile a segnalare a noi l’arrivo di una nave contenente rifiuti radioattivi. L’avrebbe fatto per gentilezza, come forma di confidenza. Era noto che Aldo Anghessa avesse praticato traffici simili – non in relazione ai rifiuti, ma alle armi – e aveva messo in grosse difficoltà qualche procura della Repubblica, non mi ricordo quale, per aver collaborato. Era stato anche inquisito nell’indagine “cheque to cheque”, una cosa di questo genere, se non ricordo male da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere, in ogni caso una procura campana. Forse salernitana, non mi ricordo. Il magistrato ha ritenuto opportuno stare calmi perché a questo signore c’era poco da credere e, siccome non era credibile, l’abbiamo lasciato perdere”. Fin qui quasi niente di strano. Le storie calabresi sono piene di spioni, nella maggior parte dei casi ciarlatani. Tempo dopo, però, Scimone sarà protagonista di un episodio, che racconterà alla Commissione di Gaetano Pecorella: “Un bel giorno, mentre mi stavo prendendo un caffè, si è presentato un signore che mi ha detto: “io sono il collaboratore di Aldo Anghessa: volevo avere notizie”. Gli ho risposto che non lo conoscevo e che, se avesse voluto, era lui che avrebbe dovuto venire da me, che io non avevo niente da dirgli. Questo è il tentativo che hanno fatto per agganciarmi. La mia definizione che aveva mezzi e uomini a disposizione deriva da questo contatto che avevo ricevuto”. “Alfa Alfa”, sarebbe stato questo il nome in codice (non troppo originale, a dire il vero) di Aldo Anghessa nei servizi: “In quella circostanza – dice Scimone –  capii che c’era troppo movimento alle spalle di questo personaggio: nonostante gli arresti domiciliari uomini, telefoni, macchine a disposizione”.

Scorie radioattive, faccendieri, servizi segreti. E la ‘ndrangheta? C’è anche la ‘ndrangheta. Già a metà degli anni ’90, una nota degli 007 parla del coinvolgimento della ‘ndrangheta di Giuseppe Morabito, “il Tiradritto”: “Informatori del settore non in contatto tra loro – la precisazione è rilevante per la cosiddetta convergenza delle fonti – hanno riferito che Morabito Giuseppe, detto Tiradiritto, previo accordo raggiunto nel corso di una riunione tenutasi recentemente con altri boss mafiosi, avrebbe concesso in cambio di una partita di armi l’autorizzazione a far scaricare nella provincia di Africo un quantitativo di scorie tossiche presumibilmente radioattive”. E il tramite sarebbe stato proprio il Carabiniere Moschitta, l’uomo insieme a De Grazia nell’ultimo viaggio: “Se non ricordo male, è pervenuta tramite il nucleo operativo del reparto di Messina, di cui faceva parte Moschitta, su segnalazione anonima con allegate fotografie. In una fotografia, c’erano dei bidoni sul torrente La Verde, ad Africo appunto. C’erano due bidoni fotografati ed erano indicati quali smaltitori di questi rifiuti gli esponenti della famiglia Morabito di Africo”. Un’indagine di cui però, a detta di Scimone, non si saprà più nulla: “Se ne occupò il dottor Cisterna, a cui è stato consegnato il fascicolo. Non siamo entrati più in merito”.

 

 

 

Articolo del 21 Gennaio 2013 da espresso.repubblica.it
La perizia sulla morte di Natale De Grazia

Il 12 dicembre 1995 moriva in circostanze misteriose il capitano di corvetta Natale De Grazia, punta di diamante degli investigatori calabresi in cerca della verità sul presunto affondamento di rifiuti tossico-radioattivi a bordo di vecchie navi. Nel 1995 e nel 1997 due autopsie ufficiali hanno garantito che si trattava di morte naturale. Oggi invece una nuova perizia, svolta da un prestigioso consulente della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, individua nella causa tossica la fonte del malore di De Grazia. Ecco il testo integrale del documento:

Ill.mo Signore
Signor Presidente
della Commissione Parlamentare d’inchiesta
sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.

On. Prof. Gaetano Pecorella

Ill.mo Presidente,
Le faccio pervenire la relazione finale della indagine di consulenza tecnica medico legale da me svolta su incarico della Commissione da Lei presieduta e relativa alla vicenda della morte del Capitano Natale De Grazia.

Gli accertamenti medico legali sono stati effettuati da una parte sulla base della documentazione acquisita agli atti e, dall’altra, sulla revisione dei preparati istologici a suo tempo allestiti su frammenti di visceri prelevati in occasione della autopsia effettuata sul cadavere del De Grazia e della successiva esumazione.

Nulla è stato possibile fare sul versante delle indagini tossicologiche forensi poiché non risulta che siano state conservate parte dei prelievi di liquidi biologici e di visceri che sembrerebbe siano stati fatti nel corso degli accertamenti necroscopici e utilizzati, all’epoca, per esami chimico tossicologici forensi.

Quindi sulla scorta del predetto materiale che avevo a disposizione ho svolto gli accertamenti medico legali all’esito dei quali posso proporre le seguenti considerazioni. Preliminarmente è opportuna una osservazione sugli accertamenti effettuati all’epoca della morte del Capitano De Grazia, disposti dapprima dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria in data 19 Dicembre 1995 e quindi dalla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore in data 23 Aprile 1997.

Come ho avuto modo di anticipare nella mia relazione preliminare, non posso che ribadire, ora, come gli accertamenti di natura medico legale, allora disposti, risultino condotti in maniera piuttosto superficiale con incomprensibili carenze e contraddizioni che rendono i risultati tutti incerti, poco affidabili e quindi non concretamente utilizzabili per gli scopi per i quali erano stati disposti. Scopi che erano stati indicati nella serie di quesiti posti al perito, sempre lo stesso nel primo e nel secondo accertamento, e che erano tutti finalizzati a chiarire, anche con l’ausilio della indagine tossicologica, la causa della morte del De Grazia. Più in particolare deve essere evidenziata la piuttosto evidente difformità tra il verbale di autopsia del CT del PM e quello del consulente della parte: nel primo il contenuto gastrico è riferito come costituito da alcuni cc di liquame blunastro mentre il CT della parte parla di un abbondante quantità di materiale alimentare parzialmente digerito, ed è evidente che sia più veritiera quest’ultima versione, essendo inconcludente l’affermazione della Dott.ssa Del Vecchio che lo stomaco era vuoto perché il Cap. De Grazia aveva vomitato poco prima della morte.; la CT del PM dice di un cuore con coronarie serpinginose, specillabili, con intima interessata da diffuse deposizioni ateromasiche intimali, mentre il CT della parte dice che nulla c’è alle coronarie, e probabilmente ha ragione lui visti gli esami istologici. E poi c’è, nella descrizione della seconda autopsia su cadavere esumato, la non attendibilità di un dato relativo ai prelievi di parti di visceri che verosimilmente dovevano essere putrefatti e, più sorprendentemente, di sangue che non poteva più esserci dopo una prima autopsia e dopo che erano trascorsi circa sedici mesi da quest’ultima. E tante altre cose ancora.

Insomma si trae quasi l’impressione che in questa indagine medico legale si sia badato più alla forma di particolari processuali privi di valore che invece alla sostanza della indagine in patologia forense che sembra del tutto trascurata nel rigorismo obiettivo e nella valutazione del significato patologico dei quadri autoptici.

E questo per quanto riguarda gli accertamenti autoptici ed istologici. Altro capitolo è quello degli accertamenti tossicologici per i quali non posso che riproporre le stesse considerazioni, condivise dal tossicologo forense della Medicina Legale di “Tor Vergata”, già fatte pervenire con la relazione preliminare che ora possono essere ritenute definitive. Sono state prese in esame le indagini chimico tossicologiche che, secondo l’allora CT del PM, dott.ssa Del Vecchio, sono state eseguite in due riprese: una in occasione della prima autopsia eseguita in data 19.12.1995 con contestuali prelievi; un’altra quando è stata fatta la esumazione del cadavere del Di Grazia in data 23.04.1997.

Prima ancora di entrare nel merito, appare opportuno segnalare una macroscopica contraddizione tra quanto riportato nelle tre relazioni di consulenza, riguardo al contenuto dello stomaco.

Nella prima relazione della Dott.ssa Del Vecchio, relativa all’esame autoptico da lei eseguito in data 19 dicembre 1995, si legge: “…..Stomaco contenente alcuni cc di liquame brunastro…”, mentre nella relazione di consulenza di parte, il Dott. Asmundo, presente all’esame autoptico, scrive: “….Nello stomaco abbondante quantità di materiale alimentare parzialmente digerito, d’aspetto cremoso e colorito giallastro-roseo nel quale sono riconoscibili frammenti di formaggio biancastro e carnei rosei-scuri…” . Nella seconda relazione, infine, relativa all’autopsia del 19 giugno 1997 (30 mesi dopo la prima!) la Dott.ssa Del Vecchio riporta che “….si poteva procedere al prelievo di quota parte di visceri (fegato, reni, polmoni, cuore milza, stomaco) di muscolo, di osso (vertebra, osso del bacino e costa) e di sangue per gli ulteriori esami di laboratorio…”.

Anche se le quantità di materiale biologico prelevato non vengono mai riportate, si deve ragionevolmente ritenere che il contenuto dello stomaco rinvenuto all’autopsia del 1997 non dovesse essere costituito solo da alcuni cc di liquame, come affermato nella relazione del 1995, perché su tale materiale sono state effettuati una serie di accertamenti chimico-tossicologici – ricerca dell’alcool etilico, ricerca dei cianuri, ricerca di altre sostanze ad azione farmacologica (barbiturici, benzodiazepine, antidepressivi, ipnotici e tranquillanti) – che necessitano di quantitativi di materiale non esigui.

Anche se solo parzialmente compreso nelle competenze tossicologico-forensi appare doveroso ricordare qui l’importanza del dato della presenza di cibo nello stomaco, in funzione, non solo delle valutazioni tanato-cronologiche, ma anche nell’identificazione del materiale ingerito, per un possibile riscontro con quanto dichiarato da eventuali testimoni. In quest’ottica, purtroppo, nessun prelievo e nessun accertamento è stato effettuato nel corso della prima autopsia e quelli relativi alla seconda hanno sicuramente scarso rilievo tossicologico in quanto, dato il tempo trascorso (30 mesi) sicuramente il materiale era interessato da profonde trasformazioni putrefattive.

Entrando nello specifico delle problematiche tossicologico-forensi, sul contenuto dello stomaco sono state effettuate analisi per la ricerca dell’alcol etilico, che, come è noto, è una sostanza particolarmente volatile. Appare pertanto sorprendente che, in un campione prelevato 30 mesi dopo il decesso, in uno stomaco che era stato aperto dopo la prima autopsia (il medico legale aveva visto pochi cc di liquame brunastro!) vi sia ancora la presenza, seppur in quantità esigua ma significativa (0,3 g/litro), di alcool etilico.

E tale dato è ancora più sorprendente se viene paragonato all’esito dello stesso accertamento effettuato sul sangue, sia quello prelevato nel corso dell’autopsia del 1995, sia quello (!!) prelevato nel 1997: in entrambi i campioni l’analisi da esito negativo (anche se nel campione del 1997 viene utilizzata la dicitura “non dosabile”).

Alla luce di tali risultati è verosimile che il consulente abbia confuso per alcol etilico il picco cromatografico di sostanze volatili di origine putrefattiva ovvero che l’alcol riscontrato sia esso stesso di origine putrefattiva. In questa seconda ipotesi, tuttavia, tracce di alcol sarebbero dovute essere presenti anche nel sangue.

Nel contenuto dello stomaco è stato effettuato anche un saggio colorimetrico per la ricerca della eventuale presenza di cianuri. Anche per questa sostanza vale quanto già detto per l’alcol etilico. Nello stomaco, in presenza di acido cloridrico, i cianuri si trasformano in acido cianidrico, sostanza particolarmente volatile e, come ricavabile dalla letteratura, se le analisi non vengono eseguite tempestivamente, è molto improbabile che possano essere rilevati.

Focalizzando l’attenzione sulle indagini chimico-tossicologiche relative ai prelievi effettuati nel corso dell’autopsia del 1995, così come desunte dalla relazione si può osservare quanto segue.

Le analisi descritte, ad eccezione della determinazione dell’alcol etilico, appaiono molto generiche e non in grado di determinare la presenza di eventuali sostanze tossiche, soprattutto se presenti in concentrazione non particolarmente elevate. L’unica tecnica impiegata dotata di qualche validità scientifica e quella RIA (radio immuno assay) impiegata per la ricerca di oppiacei e cocaina. Avendo fornito esito negativo è possibile escludere la presenza nel sangue e nella bile di oppiacei (particolarmente morfina) e cocaina. Tutte le altre tecniche descritte – la spettrofotometria U.V., cromatografia su strato sottile (TLC), l’estrazione secondo la tecnica di Stass-Otto, il metodo di Felby per la ricerca degli oppiacei – sono (e lo erano anche nel 1995) tecniche obsolete, dotate di scarsa o nulla specificità e/o sensibilità e che nessun tossicologo applicherebbe per l’accertamento di una eventuale intossicazione o avvelenamento.

Sui liquidi biologici prelevati nel corso della prima autopsia non sono stati effettuati accertamenti per la ricerca dei principali veleni metallici (arsenico, tallio, ecc.) né di altre possibili sostanze tossiche, soprattutto quelle che possano agire a piccole dosi (cianuri, esteri fosforici, digitale, ecc.).

Sulla base di quanto sopra detto appare di tutta evidenza come le indagine sono state del tutto inappropriate dovendosi, per questo, concludere che, ai fini di chiarire se nel caso in discussione si è trattato di una intossicazione o un avvelenamento, le analisi allora effettuate sono del tutto inutilizzabili, restando insoluto l’interrogativo circa l’influenza di fatto tossico nel determinismo della morte Per quanto concerne le analisi effettuate sui liquidi biologici prelevati nel corso della seconda autopsia (1997), preliminarmente è doveroso evidenziare che, a causa del tempo trascorso dal decesso, il materiale era sicuramente interessato da gravi fenomeni trasformativi dovuti allo stato di putrefazione. In tali condizioni, qualsiasi accertamento risulta sicuramente compromesso dallo stato del materiale biologico che rende assai difficile l’identificazione di eventuali sostanze tossiche esogene.

Entrando nello specifico delle analisi eseguite, nonostante il quesito del Magistrato richiedesse “ulteriori” accertamenti chimico-tossicologici, in pratica i consulenti si sono limitati a ripetere analisi già effettuate, e non si comprende se sui prelievi della prima autopsia o su quelli, del tutto improbabili, della esumazione.

Ancora una volta sono state utilizzate tecniche obsolete e generiche (spettrofotometria U.V., cromatografia su strato sottile, saggi colorimetrici); la gascromatografia con rivelatore di massa, indispensabile in un laboratorio di tossicologia forense, è stata utilizzata solo per l’analisi del contenuto dello stomaco e di un omogeneizzato di visceri, trascurando gli altri campioni biologici. I tracciati relativi alle analisi mediante gascromatografia con rivelatore di massa non sono stati allegati alle relazioni peritali e, pertanto, non possono essere commentati.

In queste analisi, inoltre, le perplessità maggiori sono fornite dalle tecniche utilizzate per estrarre le eventuali sostanze tossiche dal materiale biologico: la tecnica è specifica e sensibile ma se l’estrazione non lo è altrettanto, l’analisi diventa inutile. Infine, l’abitudine ad analizzare omogenati di organi mescolati tra loro è assolutamente da censurare: un tossico presente in un solo organo viene “diluito” nella massa complessiva e può essere non più rilevabile (concentrazione inferiore al limite di rilevabilità del metodo).

Anche sul materiale prelevato (?) dal cadavere esumato sono state eseguite indagini mediante tecniche immunochimiche (RIA) focalizzate sulle due principali sostanze stupefacenti (oppiacei e cocaina). Ma se i liquidi biologici sono stati prelevati in tempi diversi ma dallo stesso cadavere, perché ripetere le stesse analisi che avevano già dato esito negativo?

L’analisi del materiale pilifero è superflua in quanto, nel caso in cui si fosse trattato di una intossicazione acuta (ad es. un avvelenamento), la morte sopravvenuta rapidamente avrebbe comunque impedito al tossico di raggiungere la matrice cheratinica. Affinchè una sostanza dal sangue raggiunga il bulbo pilifero, venga inglobata nel capello nel momento in cui si sta formando, il capello fuoriesca dal cuoio capelluto e cresca quel tanto che basta per consentirne il taglio con forbici (in genere non si usa, se non per esperimenti scientifici, di rasare i capelli), è necessario un periodo temporale che può essere calcolato tra 15 e 30 giorni, periodo temporale incompatibile con l’ipotesi di una intossicazione acuta.

Nelle analisi su materiale pilifero, l’identificazione delle sostanze è possibile solo in caso di assunzioni ripetute, abituali o croniche quando le quantità presenti sono compatibili con la sensibilità della strumentazione utilizzata.

Anche per quanto attiene a questo secondo gruppo di analisi si deve ripetere quanto sopra detto a proposito delle prime, e cioè che sono del tutto inutilizzabili.

Premesso quanto sopra, e preso atto della scarsa affidabilità degli accertamenti a suo tempo esperiti, ho ritenuto utile in questa sede un tentativo di approfondimento in ambito istopatologico essendo le inclusioni in paraffina e gli allestimenti dei vetrini l’unico reperto che è pervenuto utilizzabile dai precedenti accertamenti medico legali. Ho provveduto, pertanto, con l’assistenza della Anatomia ed Istologia Patologica dell’Università di Roma “Tor Vergata, alla revisione dei preparati istologici che ho acquisito nella sezione di Istologia dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Roma “Sapienza” e ad un ulteriore allestimento di vetrini anche con nuove e più specifiche tecniche di colorazione.

La lettura dei preparati così ottenuti ha permesso di obiettivare quanto segue:
Cuore
Presenza di aspetti isolati in cui i miocardiociti assumono aspetto ondulato ed allungato (“a dune di sabbia”), talora con ipereosinofilia del citoplasma (miocitolisi coagulativa) come da processo coagulativo microfocale delle proteine e con quadri morfologici compatibili con bande da ipercontrazione, peraltro molto limitati e ristretti a piccoli segmenti.
Presenza di aspetti non conclusivi ma suggestivi per edema interstiziale
Presenza di congestione acuta vascolare
Presenza di modificazioni morfologiche dei miocardiociti riconducibili a fenomeni postmortali La valutazione immunofenotipica (LCA, CD3) non ha evidenziato un aumento dell’infiltrato infiammatorio intramiocardico, come segnalato in letteratura nelle condizioni di morte improvvisa di tipo cardiaco, nella maggior parte dei pazienti.
Assenza di alterazioni significative dei vasi presenti nei vetrini esaminati
NON si osservano, nei vetrini in esame:
frammentazione terminale delle miocellule, anomalie nucleari riconducibili ad un danno ischemico, fibrosi interstiziale significativa, miocardioagiosclerosi, (“evidente sofferenza delle arterie di piccolo e medio calibro”…), aumento del grasso periviscerale (che appare nella norma laddove valutabile in maniera adeguata) significativo per patologia cardiaca congenita
Si concorda con la valutazione istologica per gli altri organi, in particolare per l’intenso e diffuso edema polmonare e per l’altrettanto marcata congestione vascolare. La maggior parte delle alterazioni a livello dei vari organi sono peraltro di verosimile natura putrefattiva, fatta eccezione per la congestione vascolare.

Dalla lettura di questi preparati istologici, in confronto con gli esami istologici fatti dal CT dott.ssa Del Vecchio si possono trarre queste conclusioni:

Il quadro macroscopico descritto a livello del cuore esclude l’ipotesi di displasia aritmogena, tipica del ventricolo destro del cuore, non del sinistro

NON è presente fibrosi interstiziale nel cuore

NON è documentata in maniera certa una significativa coronarosclerosi che potrebbe giustificare una morte cardiaca improvvisa su base ischemica

La descrizione macroscopica del cuore sembra indicare una degenerazione bruna del miocardio di tipo terminale, la cui genesi è riconducibile a svariate cause, non ultima il cuore polmonare acuto.

CONCLUSIONI

Al termine delle indagine di consulenza tecnica che mi era stata affidata da Cotesta Commissione posso rilevare quanto segue.
Innanzitutto i limiti della presente indagine sono apparsi subito evidenti al momento in cui ci si è resi conto che, ad eccezione del materiale istologico, nessun reperto dei precedenti accertamenti era più disponibile per poter ripetere le analisi e magari per approfondirle in un’ ottica più indirizzata ad individuare con sufficiente certezza la causa della morte del Capitano Natale De Grazia.

Allo stato non è possibile reperire nuovi reperti da utilizzare con profitto dovendosi escludere che una eventuale, rinnovata esumazione della salma possa dare la possibilità di indagare sui temi che qui interessano e cioè quelli della causa della morte con particolare riferimento alla presenza di sostanze tossiche.

Non rimane che fare delle deduzioni sostenute dai pochi elementi di certa obiettività desunti dagli atti, tenendo anche conto di quanto acquisito nel corso delle audizioni delle persone che in qualche modo ebbero ad assistere nella circostanza della morte del Capitano De Grazia. Bisogna subito sgombrare il campo da un equivoco che sembra essersi creato nel percorso investigativo sulle cause della morte.

L’indagine medico legale condotta dalla Dott.ssa Del Vecchio si è conclusa con una diagnosi di morte improvvisa dell’adulto, facendo intendere che vi fossero in quel quadro anatomo ed istopatologico elementi concreti che potevano ben sostenere detta diagnosi. Questo non corrisponde alla verità scientifica.

Ho poco sopra evidenziato come la lettura dei preparati istologici effettuata in questa sede smentisca quella della dott.ssa Del Vecchio, la quale ha ritenuto di cogliere, nella sua indagine anatomo ed istopatologica, elementi deponenti per un preesistente danno miocardico di cui sarebbe stato portatore il Capitano De Grazia; danno che poi è stato utilizzato per sostenere la morte improvvisa dell’adulto.

Questo significa che, allo stato, non c’è nell’intera indagine alcun dato certo che possa supportare la morte improvvisa dell’adulto; diagnosi causale di morte, questa, che deve essere ritenuta non provata e nemmeno connotata da apprezzabili probabilità. Se noi qui dobbiamo fare una conclusione al termine di questa indagine dobbiamo dire che il Capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il verificarsi di tale evento. Si trattava infatti di soggetto in giovane età, in buona salute, senza precedenti anamnestici deponenti per patologie pregresse, che conduceva una vita attiva e, come militare in servizio, era sottoposto alle periodiche visite di controllo dalle quali non sembra siano emersi trascorsi patologici. E per altri versi l’esame necroscopico, al contrario di quanto è stato prospettato attraverso una analisi non attenta e piuttosto superficiale dei reperti anatomo ed istopatologici, non ha evidenziato nessuna situazione organo funzionale che potesse costituire potenziale elemento di rischio di morte improvvisa.

E nemmeno quanto riferito dalle persone che erano presenti alla morte e che ne seguirono le fasi immediatamente precedenti, si accorda con una ipotesi di morte cardiaca improvvisa. Si sa infatti che il Capitano De Grazia, subito dopo aver mangiato e messosi in macchina ha cominciato a dormire e quindi a russare in modo strano; ad un certo punto reclina la testa sulla spalla e per questo viene scosso dall’occupante il sedile posteriore dell’autovettura; a questa sollecitazione egli reagisce sollevando il capo ma non svegliandosi e senza dire alcunchè se non emettendo un suono indefinito; quindi poco dopo reclina definitivamente la testa e non risponde più alle sollecitazioni.

Bene, mi risulta difficile avvalorare l’ipotesi di una morte cardiaca da ischemia miocardica su base aterosclerotica senza manifestazioni anginose, senza dolore che si sarebbe dovuto manifestare specie in quel momento in cui il Capitano De Grazia è stato scosso ed ha avuto in momento di reazione seppure, come è stato riferito, in una specie di dormiveglia. Piuttosto, se si volesse proporre una ipotesi di causa di morte diversa da quella sopradetta, sembrerebbe più trattarsi di morte cardiaca secondaria a insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso centrale, come suggestivamente depone il quadro di edema polmonare così massivo, incompatibile quasi con un arresto cardiaco improvviso del tutto asintomatico; come suggestivamente depongono le manifestazioni sintomatologiche riferite da chi ha potuto osservare il sonno precoce, il russare rumoroso, quasi un brontolo, la risposta allo stimolo come in dormiveglia, il vomito; tutte manifestazioni queste che, anche se non patognomoniche, ben si accordano con una progressiva depressione delle funzioni del sistema nervoso centrale.

Quest’ultima, in carenza di incidenti cerebrovascolari, esclusi dall’autopsia, può riconoscere solo la causa tossica. Quale essa potrà essere stata, e se c’è stata, non lo si potrà più accertare.

Purtroppo è stata irreversibilmente dispersa la possibilità di indagare seriamente sul versante tossicologico, da una parte per superficialità e forse inesperienza di chi aveva posto i quesiti con scarsa puntualità e poco finalizzati; dall’altra per l’insipienza della indagine medico legale che ha ritenuto trovarsi di fronte ad una banale morte naturale ed inopinatamente si è subito indirizzata, trascurando l’indagine globale, alla esclusiva ricerca di droghe di abuso in un caso nel quale, se c’era una ipotesi se non da scartare subito almeno da considerare per ultima, era proprio quella di una morte per abuso di sostanze stupefacenti; e pervicacemente ha insistito sulla stessa linea anche nella seconda indagine necroscopica.

Oramai l’indagine tossicologica non è più ripetibile, neppure, come sopra accennato, con l’esumazione del cadavere, e quindi il caso, dal punto di vista medico legale deve essere, ad avviso del sottoscritto, considerato chiuso.

Signor Presidente, rassegno, in scienza e coscienza, le sopraesposte conclusioni della indagine che mi è stata affidata dalla Onorevole Commissione che Lei presiede e Le porgo miei più cordiali saluti
Roma 10 Dicembre 2012

 

 

 

Articolo del 6 Febbraio 2013 da  scirocconews.it  
Navi dei veleni, ex pm di Reggio Francesco Neri: “Natale De Grazia fu ucciso”
di informazione locale

“Alla luce di quanto è emerso dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, approvata ieri, si può affermare che il capitano De Grazia è stato avvelenato e quindi è stato ucciso”. Lo ha detto, in un dibattito a Reggio Calabria organizzato da Legambiente, l’ex pm della Procura circondariale reggina, Francesco Neri, titolare dell’inchiesta sulle navi dei veleni che sarebbero state affondate nel Mediterraneo con carichi di rifiuti tossici e radioattivi. Natale De Grazia morì nel 1994, mentre era in servizio nella Capitaneria di porto di Reggio Calabria, iniziò a collaborare con il pool investigativo della Procura reggina, di cui faceva parte anche Francesco Neri, che indagava sul traffico dei rifiuti tossici e radioattivi.
Il 13 dicembre del 1995 l’ufficiale morì improvvisamente a Nocera Inferiore (Salerno), dopo aver consumato un pasto in una stazione di servizio sull’autostrada A3, mentre si stava recando da Reggio Calabria a La Spezia per compiere una serie di accertamenti nell’ambito delle indagini sui rifiuti.
“Le circostanze relative alla morte del capitano De Grazia – ha aggiunto Francesco Neri, oggi consigliere della Corte d’appello di Roma – le avevo già segnalate all’allora Presidente della Repubblica, Ciampi, con una relazione in cui, oltre a chiedere l’assegnazione all’ufficiale di una medaglia d’oro al valore militare, affermavo che nella malaugurata ipotesi in cui il capitano di corvetta Natale De Grazia fosse stato ucciso, chi aveva commesso l’omicidio aveva compiuto un’operazione chirurgica per bloccare le indagini, che poi effettivamente registrarono uno stallo essendo De Grazia un insostituibile esperto in questo tipo di indagini”.
“Mi auguro che alla luce dei nuovi elementi emersi dall’indagine parlamentare – ha concluso Neri – la Procura di Nocera Inferiore disponga la riapertura dell’inchiesta sulla morte dell’ufficiale, così come invocato dalla famiglia”.

I risultati della commissione diffusi ieri: il giallo si infittisce

Si infittisce il giallo sulla morte del capitano di fregata Natale De Grazia dopo che il presidente della commissione Ecomafie, Gaetano Pecorella, ha anticipato le conclusioni della relazione sulle navi dei veleni e sul decesso ‘misterioso’ dell’ufficiale della Marina militare per “causa tossica”.
De Grazia, nel 1994, mentre era in servizio al compartimento di Reggio Calabria della Capitaneria di porto, iniziò a collaborare con il pool investigativo della Procura reggina che indagava sul traffico dei rifiuti tossici e radioattivi. Il 13 dicembre 1995 l’ufficiale morì improvvisamente a Nocera Inferiore (Salerno), dopo aver consumato un pasto in una stazione di servizio dell’autostrada A3, mentre si stava recando da Reggio Calabria a La Spezia per compiere una serie di accertamenti nell’ambito delle indagini sui rifiuti. Il suo corpo fu sottoposto ad autopsia solo una settimana dopo il decesso nell’ospedale di Reggio Calabria, anziché in quello di Nocera Inferiore, dove era deceduto.
All’autopsia, così come hanno sempre denunciato i congiunti di De Grazia, non fu concesso di assistere al consulente medico della famiglia, che chiese di ripetere gli esami. La seconda autopsia fu assegnata allo stesso perito che condusse la prima e i risultati di questi ulteriori esami, che confermarono i dati dell’esame precedente, furono trasmessi alla famiglia diversi anni dopo.
Il risultato del lavoro investigativo condotto dal capitano De Grazia è contenuto nei fascicoli dell’inchiesta giudiziaria sull’affondamento di alcune “navi a perdere” condotta dalla Procura di Reggio Calabria ed archiviata nel 2000. Da quell’inchiesta erano emersi punti di contatto anche con la morte di Ilaria Alpi, la giornalista del TG3 assassinata in Somalia insieme all’operatore Miran Hrovatin.
A distanza di 18 anni la vicenda della morte di De Grazia non è stata ancora chiarita. Pecorella ha rilevato che sulle cause tossiche, a cui giungono le conclusioni della relazione sulla base di una consulenza, “non si è in grado di stabilire né la natura, né la provenienza”.
Il presidente della commissione ecomafie ha raccontato che “mettendo insieme più elementi erano venuti alla luce una serie di fatti che inducevano a sospettare della morte del capitano”. La prima è che “De Grazia svolgeva indagini di grande importanza sul traffico di rifiuti radioattivi e pericolosi e che c’erano interessi significativi, anche di stati esteri”. Il secondo punto è che c’era stato “un tentativo di spostare De Grazia ad altri uffici; tentativo poi bloccato dagli stessi magistrati”. Ed ancora che parte del “materiale di indagine su De Grazia, contenuto nei fascicoli processuali, è stato sottratto”.
Inoltre, “si sono perse le tracce del certificato di morte di Ilaria Alpi che De Grazia aveva trovato nel corso di una perquisizione”. Infine, tra gli elementi di sospetto, secondo Pecorella, c’é il fatto che “poco prima della morte di De Grazia si sciolse il gruppo investigativo che aveva in carico inchieste di grande importanza”.

Le dichiarazioni di Pecorella
“Per esclusione di altre cause sulla morte del capitano Natale De Grazia, l’unica causa possibile con gli elementi medico-legali è la causa tossica”. Lo afferma il presidente della commissione Ecomafie, Gaetano Pecorella, anticipando le conclusioni della relazione della stessa commissione sulle navi dei veleni e sulla morte – ritenuta “misteriosa” da Pecorella – del capitano De Grazia, impegnato in indagini su traffici di rifiuti radioattivi e pericolosi.

Pecorella rileva però che sulle cause tossiche, a cui giungono le conclusioni della relazione sulla base di una consulenza, “non si è in grado di stabilire né la nature né la provenienza”. Ma “tutti gli elementi di sospetto hanno acquisito una luce particolare ed inquietante”.

Il presidente della commissione racconta che “mettendo insieme più elementi erano venuti alla luce una serie di fatti che inducevano a sospettare della morte del capitano”. La prima è che “De Grazia svolgeva indagini di grande importanza sul traffico di rifiuti radioattivi e pericolosi e che c’erano interessi significativi, anche di stati esteri”. Il secondo punto è che c’era stato “un tentativo di spostare De Grazia ad altri uffici; tentativo poi bloccato dagli stessi magistrati”. Ed ancora che parte del “materiale di indagine su De Grazia, contenuto nei fascicoli processuali, è stato sottratto”.

Inoltre, “si sono perse le tracce del certificato di morte di Ilaria Alpi che De Grazia aveva trovato” nel corso di una perquisizione. Infine, tra gli elementi di sospetto, secondo Pecorella c’é il fatto che “poco prima della morte di De Grazia si sciolse il gruppo investigativo che aveva in carico inchieste di grande importanza”.

UNA VICENDA CHE APPARE SOTTO UNA LUCE INQUIETANTE

“L’intera vicenda” della morte del capitano Natale De Grazia, “appare sotto una luce inquietante” ad avviso della Commissione Ecomafie. La morte “é la conseguenza di una causa tossica” secondo la conclusione a cui giunge “la consulenza del professor Arcudi” – si legge in una nota della Commissione – in quanto per l’esperto, cui la commissione ha affidato la consulenza, escluse “le altre cause, per l’assenza di elementi di riconoscimento, la morte è la conseguenza di una ‘causa tossica’”.

In più Arcudi aggiunge: “quale essa potrà essere stata, e se c’é stata, non lo si potrà accertare”. Secondo la commissione Ecomafie quanto dice Arcuri “appare analiticamente motivata, e scientificamente inattaccabile. Ciò che risulta è che il capitano De Grazia ha ingerito gli stessi cibi di chi lo accompagnava nel viaggio, salvo un dolce: queste almeno sono state le dichiarazioni dei testimoni. Se così è, appare difficile ricondurre la tossicità ad una causa naturale, anche se non lo si può escludere in forma assoluta”.

Per il presidente della commissione, Gaetano Pecorella, “non è compito di questa commissione pronunciare sentenze, né sciogliere nodi di competenza dell’autorità giudiziaria” però “non si può non segnalare che la morte del capitano De Grazia si inscrive tra i misteri irrisolti del nostro Paese”. I nuovi risultati “impongono di valutare” la situazione “in una chiave nuova e non poco allarmante”. In particolare per la commissione è “parso inquietante l’improvviso smembramento del gruppo investigativo che faveva capo a De Grazia, subito prima e subito dopo il suo decesso”.

 

 

 

Articolo del 6 Febbraio 2013 da  inchieste.repubblica.it  
Il capitano De Grazia avvelenato mentre indagava sulla nave del Kgb
di Giuseppe Baldessarro
Le conclusioni della commissione parlamentare sui rifiuti tossici: Non si crede alla incidente e ci sono gli elementi per riaprire il caso dell’ufficiale morto come torna a chiedere anche Legambiente. Nuovi informazioni sullo strano caso della nave Latvia

REGGIO CALABRIA – La morte del capitano Natale De Grazia non ha mai convinto nessuno. Oggi però ci sono anche gli elementi concreti per chiedere la riapertura del caso. Legambiente, che per prima lanciò l’allarme sulle navi dei veleni all’inizio degli anni 90 ha organizzato a Reggio Calabria un incontro a cui prende parte anche Alessandro Bratti, componente Pd della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Un dibattito per dire che il “Caso De Grazia”, non è chiuso. Una richiesta sostenuta dalle conclusioni cui è giunta la stessa Commissione, per la quale l’ufficiale che indagava sui traffici illegali di scorie non morì “di morte naturale”, come stabilito da due perizie mediche fatte immediatamente dopo il decesso, ma che si trattò di una morte dovuta ad una sorta di intossicamento. Veleno insomma.

De Grazia era sulle tracce delle navi dei veleni che venivano utilizzate per inabissarre sostanze tossiche. Ed era arrivato a scoprire storie pericolose. Il mistero dei cargo affondati nel Mediterraneo poteva essere risolto. Natale De Grazia la notte in cui morì si stava recando a La Spezia, porto nel quale doveva fare una serie di approfondimenti, incontrando anche alcune fonti “riservate”. A La Spezia, sapeva, essere in porto anche una strana imbarcazione la Latvia, una motonave dell’ex Unione Sovietica, che era stata dei servizi segreti russi. Scrive la Commissione: “Dell’esistenza di questa nave si dà conto per la prima volta nell’annotazione di polizia giudiziaria redatta dal Corpo forestale dello Stato di Brescia in data 26 ottobre 1995, nella quale si evidenzia che la nave, venduta ad un prezzo superiore al valore reale, avrebbe potuto essere destinata al trasporto di rifiuti nucleari e/o tossico-nocivi”. E ancora: “Nell’area portuale di La Spezia è presente la motonave Latvia. adibita al trasporto passeggeri, ex-sovietica, giunta nei cantieri Oram prima della caduta del blocco orientale. Nave ritenuta come appartenente ai servizi segreti sovietici (Kgb) (…). Attualmente è ormeggiata alla diga di La Spezia, è stata messa in vendita (forse dal tribunale) ed acquistata da una società Liberiana con sede in Monrovia, tramite un ufficio legale di La Spezia. Da fonte attendibile risulta che il prezzo pagato è superiore di quello del valore reale, e questo fa supporre che potrebbe essere utilizzata come “bagnarola” per traffici illegali di varia natura, in particolare di rifiuti nucleari e o tossico-nocivi (…)”.

La misteriosa Latvia viene menzionata in un’altra annotazione di polizia giudiziaria che porta la data 10 novembre 1995. Nell’informativa “il brigadiere Gianni De Podestà comunicò alle procure di Reggio Calabria e di Napoli che fonte confidenziale attendibile aveva di recente riferito in merito al coinvolgimento di famiglie camorristiche e logge massoniche deviate nei traffici di rifiuti radioattivi e tossico nocivi interessanti la zona di La Spezia e l’hinterland napoletano. Si dava atto che la Latvia, così come già era stato fatto per la Rigel e la Jolly Rosso, avrebbe dovuto essere preparata per salpare nell’arco di 4 giorni con un carico non ben definito (rifiuti tossico-nocivi e/o radioattivi) per poi seguire la rotta La Spezia-Napoli (per un ulteriore carico, come accertato per la Rosso) – Stretto di Messina-Malta – ritorno sulle coste joniche (per affondamento)”.

Fantasie di un informatore pazzo? No, secondo gli investigatori è molto attendibile. La fonte denominata “Pinocchio”, ritenuto uomo in odore di servizi segreti italiani, indica fatti precisi. Rimane anonima per ragioni di sicurezza personale, familiare e per la polizia giudiziaria che lavora all’indagine. Sembrerebbe quasi un infiltrato.
Di fronte a un’informazione dettagliata di questo tipo, il pm reggino Francesco Neri e il pool di cui De Grazia faceva parte, iniziò ad indagare anche sulla Latvia.

Spiega la Commissione: “Si trattava, infatti, di una nave che era possibile monitorare per così dire ‘in diretta’ e che consentiva, quindi, di superare i vuoti conoscitivi attinenti alle altre navi delle quali si erano perse le tracce”.  Appare, quindi, del tutto credibile la circostanza emersa nell’ambito dell’inchiesta svolta dalla Commissione, secondo la quale il capitano De Grazia si sarebbe dovuto recare a La Spezia anche per effettuare indagini con riferimento alla predetta nave e per avere un contatto diretto con la fonte confidenziale che aveva già riferito informazioni in merito alla Latvia. Tale circostanza, invero, non risulta da alcun documento, ma è stata rappresentata alla Commissione da un soggetto il cui nome è rimasto segretato”. Il 13 dicembre a La Spezia sarebbe arrivato De Grazia. Non fece in tempo, morì misteriosamente nel viaggio di andata. Una morte resa ancora più sospetta da un fatto: “data 15 dicembre 1995, due giorni dopo il decesso del capitano De Grazia, l’ispettore Tassi trasmise un fax alla procura circondariale di Reggio Calabria nel quale testualmente riferiva che “In data odierna è stata accertata la partenza della Motonave Latvia, avvenuta all’incirca verso la terza decina del Novembre per raggiungere il porto di Ariga (Turchia)”.

La Commissione trae le conclusioni: “Non può non sottolinearsi la peculiarità della vicenda, tenuto conto dei seguenti dati: nel pieno di indagini concernenti l’utilizzo di navi per lo smaltimento illecito di rifiuti tossici, vi era la possibilità di monitorare una nave, la Latvia, rispetto alla quale vi erano concreti indizi in merito al suo utilizzo per le predette finalità illecite; ebbene, nonostante la preziosissima fonte di informazioni, rappresentata dalla motonave in questione, non solo non risultano effettuate verifiche approfondite da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria della zona, ma  neppure risultano essere stati mai sentiti gli occupanti della nave; paradossale è poi che non sia stato predisposto un servizio di osservazione in merito agli spostamenti della nave”.

 

 

 

Articolo del 6 Febbraio 2013 da inchieste.repubblica.it/
‘Rigel’, è al largo di Capo Spartivento la nave perduta carica di veleni
di Giuseppe Baldessarro
Il cargo, che batteva bandiera maltese, venne fatto affondare il 21 settembre 1987. Prima di morire, il comandante De Grazia aveva trovato abbondanti prove sul fatto che il naufragio era servito per nascondere in fondo al mare un inconfessabile carico di scorie nucleari. Truffe, corruzione, cemento e polvere di marmo per nascondere l’evidenza

REGGIO CALABRIA – Motonave Rigel, battente bandiera maltese, stazza 3852 tonnellate. Affondata 20 miglia a largo di Capo Spartivento alla latitudine di 37 gradi e 58′ nord e longitudine di 16 gradi e 49′ est, almeno ufficialmente. È una carretta del  mare, molto voluminosa certo, ma pur sempre una carretta. È colata a picco, con il suo carico “generico”, il 21 settembre del 1987. E’ una nave dei veleni, o meglio è l’unica delle navi cercate dal capitano Natale De Grazia su cui affiorano indizi precisi, sostenuti da un’inchiesta precedente.

Dell’affondamento della Rigel, infatti, si viene a sapere per un dettaglio particolare. L’armatore greco Papanicolau chiede ai Lloyd’s il risarcimento dei danni. La nave era assicurata e, dopo il naufragio, il proprietario vuole passare all’incasso. Scrive a Londra, senza prevedere che le assicurazioni, prima di pagare, avrebbero condotto le loro indagini, acquisendo elementi quantomeno singolari. E scoprendo che l’affondamento era una truffa. Che era stato provocato per mettere le mani su qualche miliardo della compagnia. Circostanza costata ai protagonisti della vicenda una condanna penale definitiva.

L’affondamento della Rigel. La storia della Rigel è emblematica. È la copia conforme di altre vicende e, forse, è anche rappresentativa dell’intera storia del traffico dei veleni. C’è del marcio. È chiaro. Basta leggere le carte dell’inchiesta della procura della Repubblica di La Spezia. Dell’affondamento non c’è traccia nei registri delle Autorità marittime locali e nazionali. Non una parola. Da nessuna parte. Se non ci fosse stata la denuncia di Papanicolau, di questa nave, affondata durante il suo viaggio da Marina di Carrara a Limassol (Cipro), non sarebbe rimasta neanche l’ombra. L’equipaggio quel 21 settembre non lancia neppure l’SOS. Non chiede aiuto alle Capitanerie di Porto calabresi o siciliane, che in poche ore avrebbero potuto essere sul posto. Niente di tutto questo. Comandante e marinai vengono salvati “per caso” dalla Krpan, una nave jugoslava che non li sbarca in uno dei tanti approdi italiani che ha sulla rotta. Se ne va invece in giro per il Mediterraneo per un po’ e poi scarica tutti a Tunisi. Strano. E non è il solo elemento anomalo. Il processo per truffa stabilisce che c’è qualcosa che non va anche sul carico denunciato. Secondo i registri, nella stiva della Rigel c’erano “macchine riutilizzate” e “polvere di marmo”. In realtà quel carico non era stato mai controllato dalla dogana, i funzionari dell’ufficio si erano fatti corrompere per 900 mila lire a container.

La truffa sul carico. Alcuni dei soggetti coinvolti nell’inchiesta di La Spezia, pur ammettendo di non sapere cosa in realtà trasportasse la nave, ammisero che il carico non era quello dichiarato e che era stata commessa una truffa ai danni dell’assicurazione. C’è di certo che almeno 60 container erano stati riempiti di blocchi di cemento, “appositamente realizzati nell’arco di tre mesi”. Perché? Qualcuno potrebbe rilevare che i blocchi servissero per far affondare prima la nave. Sbagliato. O quantomeno illogico. Il cargo era pieno di mille e 700 tonnellate di polvere di marmo, oltre alle presunte “macchine”. Sufficienti a far inabissare qualsiasi nave. E, se proprio ci fosse stato un problema, perché non usare altra polvere di marmo? È più pesante del cemento e persino meno costosa. Invece no. Invece si decide per i blocchi. La spiegazione del magistrato Francesco Neri nelle carte dell’indagine che si stava svolgendo a Reggio Calabria è netta: “Appare ipotizzabile che la presenza a bordo dei blocchi fosse utile alla cementificazione di rifiuti radioattivi”.

Non è finita. Ci sono tre persone, lavoratori del porto coinvolti nelle indagini, che parlano con il pm. Sono Paolo Lantean, Nedo Picchi e Riccardo Baronti, e confermano che “i container, una volta caricati dei blocchi di cemento, di notte, erano stati tenuti d’occhio da alcuni sconosciuti”. Personaggi strani, che avevano montato la guardia ai contenitori d’acciaio e che ci avevano girato attorno per diverse ore. Cosa sorvegliavano?

C’è poi dell’altro. La Rigel è già pronta a salpare il 2 settembre. Ma non si muove da Marina di Carrara. La ragione è semplice: Papanicolau vuole i soldi che gli spettano dai caricatori. Un miliardo e mezzo, come stabilito tramite l’avvocato genovese Teresa Gatto. Si legge nella sentenza che lo condanna per la truffa: “Una parte doveva essere versata entro due giorni dalla partenza della Rigel da Marina di Massa e l’altra metà prima del naufragio”. Si è accertato che ci furono dei ritardi nei pagamenti e che la Rigel dopo la partenza si fermò per qualche tempo a Palermo, poi gironzolò davanti a Capo Spartivento per almeno una settimana prima di essere affondata. Aspettava, insomma, il segnale dell’avvenuto incasso. E, infatti, i soldi arrivano estere su estero la sera del 18 settembre. E la nave cola a picco il 21.

“Lost the ship”. La storia riaffiora quando il comandante Natale De Grazia, durante una perquisizione nel maggio del ’95, trova un’agenda che viene poi sequestrata. Alla pagina del 14 settembre c’è un appunto in inglese: “Se noi non abbiamo il denaro disponibile prima del 19 settembre non possiamo comprare la nave per la produzione al pubblico”. E, sul foglio dell’agenda relativo al 21 settembre, la frase “Lost the ship”. Che tradotto significa “Perduta la nave”. Coincidenze? I riferimenti alla Rigel sembrano chiari.

L’agenda era in un cassetto dell’ufficio di Giorgio Comerio, il faccendiere implicato in mille traffici di rifiuti ed in altrettanti di armi. Uno che è pappa e ciccia con i servizi segreti di mezzo mondo.

Prima di partire per il suo ultimo viaggi De Grazia aveva telefonato all’allora procuratore di Matera Nicola Maria Pace che conduceva indagini parallele a quelle di Reggio Calabria sul traffico di rifiuti radioattivi: “Procuratore quando torno deve venire a Reggio Calabria. La porto nel punto preciso in cui è affondata la Rigel”. Non è mai più tornato.

 

 

 

Articolo del 6 Febbraio 2013 da toxicleaks.org   
L’ultimo segreto del capitano De Grazia
di Andrea Palladino

Ci sono storie che sono in grado di raccontare un paese intero, nella sua complessità e sfumature. Il nome del capitano di corvetta Natale De Grazia poteva essere una questione per addetti ai lavori, uno di quei cold case che appassionano qualche giornalista d’inchiesta e i lettori di romanzi gialli. Non è così. Dietro la sua vicenda c’è un pezzo sostanzioso dalla nostra storia, tanto da far ascrivere questo “caso” nella lista dei misteri italiani irrisolti. Ieri (martedì 5 febbraio 2013) la commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti ha firmato una relazione importante che mette un punto fermo nella vicenda: il principale investigatore delle navi a perdere fu avvelenato, mentre viaggiava verso La Spezia per cercare di raccogliere informazioni essenziali per l’inchiesta.

Questa è una storia italiana, dicevamo. E non poteva essere altrimenti: lo scenario è quel mar mediterraneo che ci vede piattaforma logistica del continente europeo, lingua di terra proiettata verso il medio oriente e il nord Africa. Il mare serve per navigare, per far vivere i pescatori e per farci il bagno appena il tempo lo permette. Ma non sempre è così. C’è un personaggio bislacco in questa storia che vale la pena ricordare subito,Giorgio Comerio. Per lui i fondali marini erano un ottimo business, un luogo da trasformare in un cimitero per scorie radioattive, stoccate in siluri lunghi una ventina di metri, da sparare attraverso i portelloni di carico delle navi Ro-Ro (Roll on, roll off), dei cargo particolari in grado di far salire direttamente i camion a bordo. L’idea non era sua, ma di un gruppo di lavoro ritenuto molto serio, creato in seno all’Ocse e finanziato con i nostro soldi attraverso l’Euroatom. Fino agli anni ’80 gettare le scorie radioattive in mare era considerata una pratica in fondo accettabile – forse i peggiori anni dal punto di vista ambientale – e navi appositamente attrezzate facevano la spola con l’Atlantico, e non solo, buttando i bidoni radioattivi sui fondali più profondi. Al centro comune di ricerca di Ispra – un settore dell’Unione europea ancora oggi attivo – pensarono che il sistema andava ingegnerizzato meglio, usando dei “penetratori” per conficcare ben bene le scorie sotto i fondali marini. Per l’Italia al progetto partecipava l’Enea, con la presenza di peso dell’ex senatore Dc Luigi Noè. Un nome che oggi non dice nulla, ma che all’inizio degli anni ’80 venne messo a capo dell’Ufficio speciale Seveso, la struttura che dirigeva la bonifica dell’area contaminata dalla diossina dell’Icmesa.

Il progetto dopo l’incidente di Chernobyl venne – giustamente – ritenuto folle. Ufficialmente fu abbandonato, salvo essere ripescato da Giorgio Comerio. In pochi mesi, all’inizio degli anni ’90, l’imprenditore di Pavia crea una holding con ramificazioni nei principali paradisi fiscali europei, la Odm, Ocean Disposal Management. Tutto filava liscio, fino ad una perquisizione del 1993, quando la Guardia di finanza di Lecco trova i progetti per i siluri carichi di scorie. Ma la vera notorietà di Comerio arriva nel 1995, quando il capitano Natale De Grazia insieme agli ufficiali del Corpo forestale dello Stato di Brescia – un nucleo poi opportunamente smantellato – entrano nella sua casa di Garlasco, vicino Pavia, con un mandato di perquisizione firmato dalla procura di Reggio Calabria e Matera.

Da qualche mese De Grazia era alla ricerca delle prove di quella che fino a quel momento era una semplice intuizione investigativa. Troppe navi erano sparite nel nulla, con affondamenti molto sospetti, inabissamenti avvenuti con calma piatta e senza un incidente apparente. Spesso le navi sparite erano vecchie carrette, con gravi problemi strutturali, magari pignorate  o di compagnie con sedi in posti improbabili. Era voce comune che queste bagnarole venissero riempite di rifiuti pericolosi, se non radioattivi, lucrando due volte: sul traffico delle scorie e sui premi delle assicurazioni. Ad unire Comerio con l’ipotesi delle navi a perdere c’era della documentazione sequestrata nella casa diGarlasco: “Fra la documentazione sequestrata al Comerio – si legge negli atti dell’inchiesta – vi sono atti relativi a navi di scarso valore commerciale e in degrado strutturale sulle quali sono stati abbozzati preventivi di spesa per la riparazione e/o adattamento, preventivi di acquisto, documentazione di cambio di bandiera. Detti atti, anche alla luce di informazioni assunte, fanno ritenere che il Comerio stesso curasse l’acquisto delle unità citate e poi li utilizzasse per attività illecite, quali quelle dell’affondamento con a bordo anche rifiuti radioattivi” (Comando provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, informativa del 25 maggio 1995, firmata dal comandante del nucleo operativo). Un ulteriore elemento – che gli investigatori giudicavano un importante riscontro rispetto al presunto ruolo di Comerio – veniva da coordinate, ritrovate nella perquisizione del 1995: “I punti di affondamento delle navi “Anni” e “Euriver”, entrambe di bandiera maltese, trovano riscontro con i punti di dispersione delle scorie pericolose previste dal progetto O.D.M. del Comerio nella parte indicata dal punto C. Aree nazionali italiane”.

La Rigel e le navi dei veleni

Mentre Natale De Grazia perquisiva la casa di Giorgio Comerio a Garlasco, il Corpo forestale dello Stato ascoltava una fonte confidenziale. Verso la fine della deposizione si legge il nome di una nave, la Rigel, affondata il 21 settembre 1987. Secondo quella fonte nel suo ultimo viaggio quel cargo avrebbe trasportato scorie nucleari, fatte sparire per sempre sui fondali marini al largo di Capo Spartivento, di fronte alle coste di Reggio Calabria. Era la prima volta che qualcuno – pur nascosto dietro la figura di “fonte confidenziale” – confermava l’ipotesi delle navi a perdere.

Sulla Rigel la procura di La Spezia aveva condotto una lunga e complessa inchiesta, partita un anno prima dell’affondamento. Gli atti di quel processo descrivono un potente gruppo di trafficanti, specializzati nel preparare diverse navi da utilizzare per il trasporto di merci di ogni tipo. Sigarette di contrabbando, ad esempio. Truffe alle assicurazioni, sicuramente, vista la condanna per questo reato che arriverà dal Tribunale di La Spezia per l’affondamento – o una misteriosa sparizione, secondo altre fonti – della Rigel. Ma forse anche armi e rifiuti. Di certo quel gruppo con le navi ci sapeva fare. Erano in grado di preparare un cargo in poche ore, di farlo arrivare nei porti discreti del nord Italia, a Marina di Carrara o a La Spezia.

Dopo l’affondamento della Rigel l’inchiesta che ipotizzava l’associazione per delinquere finalizzata a più affondamenti dolosi – sarebbe stata responsabile anche dell’inabissamento della motonave Barbara all’inizio degli anni ’80 – arriva rapidamente ad un conclusione, con una condanna in primo grado (poi in buona parte riformata nei gradi successivi). Nessuno, però, in quella fase ipotizzò che la nave potesse contenere dei rifiuti, anche se un dettaglio molto curioso non fosse mai stato spiegato adeguatamente. In alcuni container caricati da Marina di Carrara, porto di partenza della Rigel, erano stati stipati dei blocchi di cemento, il cui peso specifico – secondo gli accertamenti fatti nel 1995 dal pool che lavorava con il pm Neri – era doppio rispetto al normale.

La vera sorpresa sulla Rigel fu un appunto trovato su un’agenda di Giorgio Comerio nel giorno del suo affondamento, il 21 settembre 1987: “Lost the ship”, persa la nave. Fu proprio De Grazia ad accertare che quel giorno una sola nave era sparita in tutto il mondo, la Rigel. Una curiosa coincidenza.

L’ultima nave di De Grazia

Quello che mancava a quell’inchiesta era la smoking gun, la pistola fumante. Il 10 novembre del 1995 il Nucleo della forestale di Brescia aveva trovato probabilmente la pista giusta, segnalando la presenza di una nave “ex Kgb” a La Spezia, pronta a partire. Era un vascello particolarissimo, un piroscafo per passeggeri costruito nel 1960 nella ex Ddr, chiamato Latviya. Nel 1991 era arrivato a La Spezia con 81 membri dell’equipaggio, ormeggiando nei cantieri navali Oram, nella zona di San Bartolomeo. I marinai erano rimasti senza salario e senza viveri a bordo, dopo la dissoluzione dell’ex Urss. Scattò una gara di solidarietà per portare a bordo i viveri. Poi la nave venne di fatto abbandonata sulla diga foranea. Il 15 agosto del 1994 prese fuoco e, dopo poco, iniziò un contenzioso tra la Società Marittima Internazionale – che l’aveva acquistata – e l’equipaggio. Lo scafo venne messo all’asta, passando ad una società estera. Natale De Grazia aveva capito che quella era l’occasione che aspettavano da tempo. Lo stesso Francesco Neri ha ricordato davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta come avessero la possibilità di “seguire in diretta” un’operazione di una possibile nave a perdere. Il 12 dicembre 1995 Natale De Grazia parte verso La Spezia, con una delega che oggi risulta estremamente interessante: si chiedeva a Claudio Tassi – l’ispettore della forestale che si era occupato di quella nave, come risulterà poi da una nota del 15 dicembre – di accompagnare il capitano di corvetta per indagini già delegate. Quali? Lo spiega la fonte confidenziale, la stessa che a maggio aveva raccontato del carico della Rigel, con parole riportate nella relazione finale della commissione: “Sulla nave di Capo Spartivento il capitano De Grazia doveva venire a La Spezia a conferire con me e con Tassi con riferimento ad un’altra nave, la Latvia, ex nave del Kgb sovietico che era ormeggiata a fianco di una struttura della marina militare nell’area del San Bartolomeo. Questa nave era stata poi acquistata da una società fatta a La Spezia, non ricordo il nome ma non è difficile recuperarlo. Questa nave era rimasta ormeggiata prima ad un molo prospiciente il comando Nato dell’Alto Tirreno a La Spezia, quindi nell’area del San Bartolomeo proprio sotto la discarica Pitelli ed era stata acquistata da una società costituita da alcuni industriali e altri di La Spezia. Poi, improvvisamente, questa nave dopo la costituzione di questa società che aveva recuperato questa nave come rottame, ha preso il largo trainata da un rimorchiatore che credo fosse turco ed è arrivata in Turchia. Voci dicevano che fosse stata riempita, non riempita, ma che fosse stato immesso del materiale particolare sulla nave prima della sua fuoriuscita dalla rada di La Spezia”.

I riscontri

Il lavoro della commissione guidata da Gaetano Pecorella si è fermato davanti alle parole della fonte confidenziale. In realtà è possibile avere dei riscontri importanti rispetto alle informazioni raccolte dalla Forestale e alle dichiarazioni della fonte “Pinocchio”. Primo: la nave Latviya (questa è l’esatta dizione, come risulta dai registri navali che abbiamo consultato) è appartenuta realmente all’Unione sovietica. Era effettivamente ancorata a San Bartolomeo. E, soprattutto, è stata realmente trainata in Turchia, nel porto di Aliaga e smantellata – ufficialmente – dalla società Ege Celik Endustrisi, ancora oggi esistente. Bastava inviare una rogatoria internazionale – come ha correttamente fatto la commissione antimafia per la Cunski con l’India, scoprendo che la dichiarazione di rottamazione non corrispondeva al vero – per capire se realmente la Latviya è stata distrutta il 4 dicembre 1995 in Turchia.

Le conclusioni della commissione parlano di un nuovo caso da ascrivere nei misteri d’Italia. Così non dovrà essere. La perizia di Giovanni Arcudi ha stabilito che ad uccidere Natale De Grazia è stata un’azione tossica, quindi molto probabilmente un avvelenamento. Ovvero un omicidio. Anzi, un omicidio sofisticato, pensato per cercare di depistare e coprire la verità per gli anni successivi. Questo non è un cold case, ma un pezzo di quel delicato e ancora oggi in buona parte misterioso passaggio dalla prima alla seconda repubblica, in una strada lastricata di morti: da Falcone a Borsellino, dalle stragi dal 1993 alla morte del capitano di corvetta Natale De Grazia. Medaglia d’oro, è vero, ma vittima dei silenzi di stato.

 

 

 

 

Articolo dell’11 Dicembre 2015 da  cosavostra.it  
Mare tossico. Storia di Natale De Grazia
di Francesco Trotta

È una storia che inizia vent’anni fa quella di Natale De Grazia. Vent’anni dalla sua morte, avvenuta nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995. Vent’anni di depistaggi, falsità e una verità – quella giudiziaria – che ancora non è stata scritta. Ma l’altra verità, quella storica, emerge poco a poco come gli scogli muschiati durante la bassa marea. Anzi, come un relitto. Come quello di una nave, la “Rigel”, inabissatasi a largo di Capo Spartivento, nelle acque calabresi. La “Rigel” in realtà non è mai riemersa. O peggio, forse non si è mai inabissata. È (o era) una nave fantasma. Definita la madre di tutte le “navi dei veleni” – termine ormai noto che descrive quelle imbarcazioni affondate in circostanze misteriose con carichi di scorie e materiale altamente inquinante.

Natale De Grazia era un ufficiale di 38 anni, capitano di fregata, lavorava nel pool investigativo della Procura di Reggio per un’inchiesta sul traffico di rifiuti tossici con il magistrato Francesco Neri. Dotato di un eccellente intuito investigativo e voglioso di arrivare a verità certe, De Grazia nel maggio del 1995 aveva perquisito la casa di Giorgio Comerio, ingegnere di Busto Arsizio, a San Boviso di Garlasco. Comerio è la figura chiave di tante storie oscure dell’Italia a cavallo degli anni ’80 e ’90. Storie non solo di smaltimenti illegali di rifiuti ma anche di morte, come quella di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, troupe giornalistica del TG3 in Somalia, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 in circostanze mai chiarite. Ma Comerio, latitane per lungo tempo in Tunisia per una condanna ormai estinta per tentata estorsione, è oggi ufficialmente un uomo libero, poiché tutti i procedimenti giudiziari relativi al traffico dei rifiuti sono stati archiviati.

Il 12 maggio 1995 De Grazia nella sua abitazione aveva recuperato due cartelle e in quella con la scritta “Somalia” De Grazia aveva trovato il certificato di morte di Ilaria Alpi. Certificato però che acquisito come prova poi sparì. Comerio, interrogato a riguardo, avrebbe detto che non si sarebbe trattato del certificato di morte della Alpi, ma di tale Giuseppina Migliore.

Ma chi è Giorgio Comerio? E perché il suo nome compare in questa indagine? L’imprenditore di Busto Arsizio che nel corso della sua vita ha anche ospitato il Gran Maestro della P2 Licio Gelli, allora latitante, è l’ideatore della ODM – Ocean Disposal Management – società che si occupava dello smaltimento di rifiuti radioattivi. Ma come avveniva questo smaltimento? Attraverso il progetto DODOS – Deep Ocean Data Operating System – a sua volta trafugato all’Euratom di ISPRA, che prevedeva il lancio sui fondali marini di “penetratori”, una sorta di siluri, di scorie radioattive. Una pratica realizzata in certe zone africane e nel Nord Europa in violazione della “Convenzione di Londra”. La documentazione relativa a questa procedura veniva trovata in quelle cartelle di cui si accennava poc’anzi dal De Grazia. E costituivano una controprova rispetto alle indagini svolte dal Corpo forestale di Brescia relative al possibile affondamento di una nave a Capo Spartivento. De Grazia infatti durante la perquisizione aveva trovato un’agenda del 1987 che il 21 settembre, giorno dell’affondamento della “Rigel”, recava la scritta “Lost the Ship”.

Non è tutto. Per comprendere la situazione, o meglio il delicato contesto in cui si muove lo stesso capitano, occorre fare un passo indietro e tornare al 2 marzo 1994, quando una denuncia a carico di ignoti di Legambiente dà il via all’indagine di Neri. Si ipotizzava l’esistenza di discariche abusive in Aspromonte – zona geo-morfologicamente assai adatta ai traffici illegali – contenenti materiale tossico e o radioattivo, arrivato nei porti calabresi e poi trasportato in montagna con gli automezzi pesanti. Venivano poi perquisita la motonave “Korby”, battente bandiera albanese e sospettata di trasportare scorie radioattive (il cui carico tuttavia si suppose poi essere stato smaltito durante il tragitto Palermo – Reggio Calabria), e ritrovati 6 mila fusti di materiale tossico a Savona, probabilmente prossimi ad essere imbarcati per il Sud Italia.

Nel marzo del ’95 l’indagine si arricchisce con le dichiarazioni di “Billy”, un teste segreto che chiamò in causa l’ENEA – Ente nazionale per l’Energia e l’Ambiente. “Billy” era l’ingegnere Carlo Giglio, dipendente dell’ente, che dichiarò di aver scoperto che la registrazione degli scarti nucleari era falsata per rendere incontrollabile il movimento in entrata e in uscita del materiale radioattivo. A seguito delle sue relazioni ispettive nei centri ENEA di Rotondella (Matera) e Saluggia (Vercelli), era stato oggetto di ritorsioni diffamatorie. Ma le dichiarazioni di Giglio riguardavano anche il presunto coinvolgimento dell’ENEA in attività clandestine finalizzate a fornire tecnologia, materiale nucleare e armi da guerra all’Iraq. Riferì anche dello smaltimento di rifiuti nucleari dell’ENEL – Ente nazionale Energia Elettrica – sotto la supervisione dell’ENEA, la cui destinazione sarebbe stata ignota. E del ruolo strategico del porto di Palermo, poiché solo la mafia avrebbe potuto garantire la copertura ai traffici illeciti. Altre fonti confidenziali confermarono che Giorgio Comerio avesse avuto rapporti con l’ENEA proprio per lo smaltimento in mare dei rifiuti e che l’ente stava cercando di cancellare le prove di questi rapporti. Anche l’Italia infatti aveva disperso in mare le scorie radioattive. Che sempre Comerio avesse proposto il progetto DODOS ad altri Stati con la possibilità di far inabissare le scorie a largo dei Paesi Baltici, che il porto di Reggio Calabria era snodo chiave per l’imbarco di containers verso Malta e Medio-Oriente.

Ecco lo scenario in cui si muove il capitano Natale De Grazia. Dalle carte sequestrate ai primi di maggio a Comerio (e di cui De Grazia trasmetterà un’informativa, avvalendosi anche del contributo del Sismi, al Procuratore Neri, il 25 dello stesso mese) emergeva un quadro ancor più agghiacciante. Vi erano progettazioni riguardanti le telemine, contatti con paesi arabi e indiani, documenti di transizioni bancarie in dollari su banche svizzere, disegni di navi, dallo scarso valore commerciale e in degrado, da riparare e modificare per i traffici illeciti, con tanto di preventivi di spesa. Erano le cosiddette “navi a perdere”. I progetti di modifica riguardavano la Jolly Rosso e la Acrux, denominata poi Queen Sea. La prima si spiaggiò per un errore il 14 dicembre 1990 ad Amantea in località Formiciche (Cosenza). Si seppe in seguito che il comandante Bellantone della capitaneria di porto di Vibo Valentia avesse chiesto ai Vigili del fuoco accertamenti radiometrici sulla Jolly Rosso e sulla spiaggia circostante, in quanto a bordo della nave erano stati recuperati documenti con “strani cenni a materiale radioattivo” e altri simili a “un piano di battaglia navale”. Nel 1991 la dogana di Paola dette il via libera alla Ignazio Messina & C. S.p.a., proprietaria della Jolly Rosso, a interrare i rifiuti nella locale discarica di Grassullo. Sarebbero stati registrati in via ufficiosa scarichi notturni e in luoghi non autorizzati nel bacino fluviale del fiume Olvia – dove sono state riscontrate sostanze tossiche (tra cui cesio 137, berillo, cobalto). A partire dal 1994 le indagini non hanno saputo accertare né le cause dell’incidente né il materiale che era trasportato.

Il capitano De Grazia stava compiendo ulteriori accertamenti in merito agli affondamenti sospetti, circa 180, stilando un elenco, consultando le carte assicurative registrate presso la compagnia Lloyd di Londra. In questo mare – è proprio il caso di dirlo – di casi, De Grazia si imbatté sulla motonave “Latvia”, ormeggiata presso il porto di La Spezia, ritenuta appartenente al KGB, i servizi segreti sovietici. Esiste un’annotazione della polizia giudiziaria datata 10 novembre 1995 in cui si scrive: “Attualmente è ormeggiata alla diga di La Spezia, è stata messa in vendita (forse dal tribunale) ed acquistata da una società Liberiana con sede in Monrovia, tramite un ufficio legale di La Spezia. Da fonte attendibile risulta che il prezzo pagato è superiore di quello del valore reale, e questo fa supporre che potrebbe essere utilizzata come “bagnarola” per traffici illegali di varia natura, in particolare di rifiuti nucleari e o tossico-nocivi”. E si riportano alcune dichiarazioni di fonti confidenziali secondo cui la Latvia, come già successo per la Rigel e la Jolly Rosso, sarebbe stata allestita in quattro giorni con un carico non ben definito per poi seguire la rotta Napoli-Stretto di Messina-Malta. E del coinvolgimento di famiglie camorristiche e della massoneria.

Un mese dopo Natale De Grazia, che aveva ufficialmente la delega per indagare sulla Rigel, parte alla volta di La Spezia (con tappa a Massa Carrara), per incontrare una non meglio specificata fonte confidenziale. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 1995. Sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, all’altezza di Nocera, dopo aver sostato e mangiato all’autogrill, il capitano muore. Il medico legale, la dottoressa Simona Del Vecchio, firma il referto in cui è scritto: “Morte improvvisa dell’adulto”. La Procura di Nocera archivia il caso nel 1996. Natale De Grazia è morto per cause naturali. Il 15 dicembre, due giorni dopo la morte del capitano, la nave Latvia parte da La Spezia.

Dopo la scomparsa di De Grazia, il pool che indagava sui rifiuti si scioglie. E solo l’alba del nuovo millennio, con le denunce di associazioni e comitati cittadini, con le dichiarazioni sui rifiuti dei pentiti Carmine Schiavone e Francesco Fonti, ha saputo rilanciare la voglia di ottenere la verità ancor prima della giustizia.

Vorremmo che questa storia, come tutte le storie, avesse una morale. Ma purtroppo non ce l’ha. Ci rimane invece un mare, il Mediterraneo, cimitero di navi tossiche. E poi il ricordo di un ufficiale, del suo impegno, protratto fino alla morte.

 

 

 

Fonte:  fanpage.it
Articolo del 12 dicembre 2019
La morte del capitano De Grazia: “Aveva scoperto un traffico internazionale di materiali nucleari”
di Antonio Musella
24 anni dalla misteriosa morte del capitano Natale De Grazia che indagava sulle “navi dei veleni”, Fanpage.it ripercorre le tappe dell’inchiesta del pool di Reggio Calabria attraverso le fonti dirette del capitano e i suoi più stretti collaboratori. Testimonianze che non erano mai emerse prima e che disegnano un quadro inquietante. Il capitano , secondo queste fonti, sarebbe stato sequestrato, torturato e ucciso. Aveva scoperto un traffico illecito di materiali nucleari tra Stati che avrebbe visto una centrale nucleare italiana, che all’epoca dei fatti sarebbe dovuta già essere inattiva, come il luogo di scambio dei traffici.

Sono passati 24 anni dalla notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1995, quando il capitano della marina Natale De Grazia, l’uomo che stava indagando per conto della Procura di Reggio Calabria sulle “navi dei veleni”, venne trovato morto, a bordo dell’auto su cui viaggiava insieme ai due carabinieri che lo coadiuvavano nelle indagini, sull’autostrada Caserta – Salerno nei pressi dello svincolo di Mercato San Severino. I risultati dell’autopsia parlarono di un malore che avrebbe provocato un arresto cardio-circolatorio, tecnicamente viene definita “morte improvvisa dell’adulto”. Il caso fu archiviato di lì a breve. De Grazia ed il pool di Reggio Calabria coordinato dal pm Francesco Neri, stavano indagando sui traffici di rifiuti tossici via mare. Negli anni seguenti questi traffici vennero definiti come il fenomeno delle “navi a perdere”, imbarcazioni affondate nel Mar Mediterraneo cariche di rifiuti tossici. Nulla è mai stato chiarito sulle indagini che stava conducendo De Grazia e la sua morte è rimasta avvolta nel mistero per oltre 20 anni. Fanpage.it ha ripercorso tutte le indagini del capitano, incontrando i suoi più stretti collaboratori, le sue fonti e persone a lui vicine che in tutti questi anni non avevano mai parlato.

Le cause della morte: “Lo hanno sequestrato, torturato e ucciso”

De Grazia, come riferirono i due carabinieri che erano in auto con lui, avvertì un malore nel sonno mentre era in auto in viaggio intorno alla mezzanotte. La sua famiglia non ha mai creduto alla versione ufficiale della morte. Ce lo conferma suo cognato, Francesco Postorino, anche lui in marina e da sempre legatissimo al capitano. “Natale aveva un fisico da atleta – ci spiega – una persona non può morire così, tanto è vero che l’autopsia non parla di infarto, il suo cuore era sano”. La richiesta di archiviazione della Procura di Nocera Inferiore che indagò sulla morte di De Grazia, è firmata dal sostituto Procuratore Giancano Russo, parla di “morte naturale dell’adulto”. Dall’archivio della Camera dei Deputati che custodisce i documenti su cui indagò anche la commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie, abbiamo potuto vedere le immagini del cadavere di De Grazia. Un corpo martoriato. A confermarlo è lo stesso Postorino: “Quando ho visto il corpo sono rimasto scioccato, era quasi irriconoscibile, aveva il volto gonfio, il naso gonfio come se avesse preso una testata (Foto: fanpage.it) , era tutto pieno di lividi, come se qualcosa gli fosse esploso dentro. Sotto il costato, all’altezza dell’ascella aveva una ferita a forma di triangolo, sembravano bruciature fatte con un ferro incandescente, una cosa strana. Il dubbio che mi viene è che potessero essere dei segnali di tortura”.

La sera della morte, De Grazia si trovava in missione, la sua ultima tappa prima di morire fu al ristorante “Da Mario” a Campagna in provincia di Salerno, dove i suoi due accompagnatori hanno raccontato che si erano fermati a cena. In 24 anni nessun magistrato e nessun inquirente ha mai ascoltato il gestore del ristorante, praticamente l’ultima persona, oltre ai due carabinieri che accompagnavano il capitano, ad averlo visto in vita. “Io conservo ancora le ricevute di quella sera” ci dice il titolare del ristorante ora non più attivo e ce le mostra, conservate in un cassetto di un mobile di casa sua, ancora sul blocchetto di quel 12 dicembre 1995. “Mai nessuno è venuto per chiedermi nulla – ci spiega – io non sapevo nemmeno chi era De Grazia, lo appresi dalla televisione solo molti anni dopo”. Quel ristorante però era un luogo molto frequentato da uomini dello Stato, come ci spiega il titolare: “Qualcuno li aveva mandati a questo indirizzo, noi in quegli anni lavoravamo molto con i magistrati, i carabinieri, la polizia, la guardia di finanza, con questa gente qua”.

Nei giorni precedenti alla sua morte, Natale De Grazia era molto preoccupato e aveva confidato a suo cognato che qualcuno a lui vicino stava facendo il doppio gioco: “L’8 dicembre andai a casa sua e lo vidi molto turbato – racconta Francesco Postorino – mi disse che aveva scoperto che qualcuno del pool passava informazioni ai servizi segreti deviati”. Tre giorni dopo l’11 dicembre 1995, il SISMI comunica alla presidenza del consiglio gli oneri sostenuti in quell’anno per le attività di stoccaggio dei rifiuti nucleari e del traffico di armi, una cifra di circa mezzo miliardo di vecchie lire. Il documento non aggiunge altro, nessuna specifica sulle attività svolte.

La tesi avanzata dal cognato trova conferma anche in una delle fonti di De Grazia che abbiamo ascoltato, si tratta di un uomo che in quegli anni conduceva le indagini insieme al capitano e di cui abbiamo deciso di tutelare l’identità. “Io ipotizzo – ci dice la fonte esclusiva – che si sia fatto accompagnare ad un appuntamento, lo abbiano sequestrato e torturato, perché volevano sapere cosa sapeva e cosa non sapeva, ma a parlare Natale non parlava, era un militare attrezzato per la tortura. Lo abbiano poi ucciso e lo abbiano fatto ritrovare sull’autostrada in un punto proficuo”. Si tratta della piazzola di sosta dell’autostrada Caserta – Salerno, dove i due carabinieri hanno dichiarato di essersi fermati quando si sono accorti del malore del capitano che dormiva sul sedile anteriore. Proprio quella piazzola è facilmente raggiungibile da una strada di campagna parallela all’autostrada nel Comune di Mercato San Severino.

Le fonti del capitano: “Abbiamo trovato uranio nei container”

Ma quali erano le informazioni che stavano trapelando ed arrivavano ai servizi segreti deviati? A raccontarci tutto sono le fonti e i collaboratori del capitano. De Grazia durante la sua ultima missione doveva incontrare un ex membro dei servizi segreti italiani che stava collaborando nelle indagini sui traffici di rifiuti pericolosi in Italia. Dopo mesi di trattative ha deciso di incontrarci in una località segreta. “De Grazia lo hanno ammazzato quando doveva venire da me lo sapete? – ci dice subito – De Grazia sapeva che io non c’entrano niente con le navi che andavano giù nel basso Tirreno. Io gli ho dato l’esatto posizionamento dell’affondamento di una nave, la Rigel, perché lo avevo saputo a mia volta da altri”.

La Rigel era una delle navi dei veleni su cui De Grazia stava indagando. “Gli inquirenti hanno mandato giù il maialetto subacqueo sulle coordinate che avevo dato io a De Grazia – spiega – la prima volta si è rotto, la seconda volta c’era mare grosso e non poteva immergersi, la terza volta lo hanno mandato e poi non lo hanno mai più fatto immergere, perché quando è andato giù hanno visto che c’era e doveva rimanere lì. Io le coordinate non ce l’ho più, è qualcosa di cui mi sono liberato e non ho più voluto saper nulla dopo la morte di De Grazia”. Il relitto della Rigel non è mai stato ritrovato, ma nel 2009 un fotografo esperto di robot subacquei scatta una foto per caso, si tratta di un relitto adagiato sul fondo del Mar Ionio, in tutto e per tutto uguale alla Rigel. Quella immagine verrà poi diffusa da Legambiente è diventerà il simbolo della campagna di mobilitazione per chiedere la verità sulle navi dei veleni. “De Grazia – prosegue l’ex 007 che collaborava con il capitano – non doveva andare a indagare sulle navi, lui aveva già capito qual era l’iter e dove portava ed a chi portava. Questo però non ve lo so dire perché non me lo disse. In Italia se tu dai noi ti levano da mezzo, con un omicidio, un finto incidente, un finto suicidio, in ogni modo, ed a farlo sono alcuni reparti dei servizi segreti che compiono operazioni sotto copertura”. Ma non c’era solo la Rigel, De Grazia aveva scoperto un vero e proprio traffico di materiali nucleari via mare, a confermarlo a Fanpage.it è un uomo, si tratta del tecnico che per conto di De Grazia e del pool di Reggio Calabria fece i rilievi di radioattività su alcuni container persi da una nave nel Mar Tirreno e spiaggiati nei pressi di Salerno nel 1994. Fino ad oggi non aveva mai parlato di quella circostanza. “Il problema è che cazzo ho trovato. Rifiuti? Rifiuti nucleari? Io ho trovato uranio – ci dice quando dopo averlo cercato per mesi riusciamo a rintracciarlo – quest’uranio stava là e non aveva nessun nesso con l’insieme. Io affermo in tutta scienza e coscienza che quei container hanno attraversato una zona contaminata da uranio”. Le navi dunque venivano usate per trasportare materiali nucleari che erano riutilizzabili anche a fini bellici. “De Grazia aveva capito – spiega la fonte – aveva mangiato la foglia e quindi doveva essere fermato in quel momento”. “Il materiale nucleare si muove solo se Stati lo consentono – ci dice il tecnico – quindi sono discorsi che possiamo fare solo se avete una copertura alla spalle. Lo Stato italiano vi protegge? No? Siete morti”.

Le indagini: “Russi e americani si scambiavano scorie nucleari in Italia”

Ma è proprio l’investigatore vicino a De Grazia a spiegarci a che punto erano arrivate le indagini: “Noi avevamo due ipotesi sulle navi, quella dell’affondamento e quella del non affondamento che ci preoccupava molto di più”. Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 gli arsenali dei paesi comunisti vennero messi sul mercato nero, armi e materiale nucleare venivano venduti come al supermercato. Le stesse scorie radioattive se riprocessate potevano essere riutilizzate a fini bellici. “Quello che cambia tutto – ci dice la fonte – è quando De Grazia a Genova trova le fatture della nave “Americana”, una nave usata dall’esercito degli Stati Uniti. Con quelle fatture che dimostravano cosa trasportava, il capitano De Grazia sarebbe andato a sequestrare la centrale nucleare di Bosco Marengo, in provincia di Alessandria. Quella era la meta dell’ultima missione di De Grazia, sequestrare la centrale di Bosco Marengo. Dentro c’erano 800 kg di polveri di uranio pronte a diventare combustibile nucleare, arrivava dall’America, da Norfolk e lo aveva trasportato la nave “Americana”, dopo essere stato riprocessato andava in Lettonia e in Russia, in pratica gli americani e i russi si scambiavano le carte in Italia”. Secondo questa fonte quindi, se non fosse morto in circostanze misteriose, Natale De Grazia avrebbe sequestrato la centrale nucleare di Bosco Marengo e avrebbe svelato un traffico clandestino di materiali nucleari tra Stati. Il referendum che vietava le attività delle centrali nucleari in Italia era passato da un pezzo: “Per questo avremmo sequestrato la centrale, non per il materiale ma per i riprocessatori, questa credo che sia stata la causa scatenante di tutto”. Come fare quindi a riaccendere i riflettori su quello che De Grazia e i suoi uomini avevano scoperto? “Io non ho più i documenti, anche per scelta un po’ vigliacca di rimanere in vita, mi sono liberato di tutto. Se mi dicono che mi ammazzano mia figlia io non parlo più, l’ultima minaccia me l’hanno fatta due anni fa a vent’anni di distanza dai fatti. La verità è che nessuno vuole che questa indagine sia riaperta”.

Barillà: “Fare luce è un dovere dello Stato”

“E’ chiaro che un traffico che riguardava apparati, strumentazioni e tecnologie militari non poteva avvenire senza l’interesse dello Stato – sottolinea Nuccio Barillà tra i padri fondatori di Legambiente in Italia – e allora resta da capire il ruolo che hanno avuto i servizi segreti italiani in tutta questa storia”. Barillà era legato a Natale De Grazia da una profonda amicizia, entrambi di Reggio Calabria si conoscevano già da giovanissimi. “L’ho conosciuto da ragazzo – ricorda – per la nostra associazione è poi diventato un punto di riferimento per ogni denuncia o segnalazione, ci metteva impegno e determinazione e dimostrava di avere un valore aggiunto che era il suo amore smisurato per il mare”. Le indagini della magistratura e quella della commissione d’inchiesta parlamentare sulle ecomafie non hanno chiarito i motivi della morte del capitano De Grazia, le sue indagini sono finite in un porto delle nebbie e tutti quelli che avevano fatto parte del pool hanno preso altre strade. “Non si sa chi sono i mandanti e non si sa chi sono gli esecutori – dice Barillà – non si sa cosa sia realmente accaduto quella notte di 24 anni fa e mille misteri continuano ad esserci. E’ un dovere dello Stato cercare questa verità”.

 

 

La morte del capitano De Grazia: “Ucciso perché aveva scoperto traffico di rifiuti radioattivi”
Fanpage.it – 12 dicembre 2019
A 24 anni dalla morte del capitano della Marina, Natale De Grazia, scomparso misteriosamente durante la sua ultima missione, Fanpage.it ha ripercorso le tappe delle indagini sulle “navi dei veleni”, imbarcazioni usate per trafficare rifiuti radioattivi pericolosi. Ufficialmente morì per arresto cardio-circolatorio, ma la famiglia non ha mai creduto alla versione ufficiale, e le foto che vi mostriamo in esclusiva del suo cadavere mostrano quelli che il cognato definisce: “segni di tortura”. Abbiamo incontrato le fonti del capitano e i suoi collaboratori più fidati, persone che non avevano mai parlato in 24 anni e che ci hanno svelato dove erano arrivate le indagini del capitano De Grazia. “Uno scenario internazionale ” come lo definisce un uomo che restò al fianco di De Grazia fino alla fine.

 

 

 

 

“Navi mute” – il libro sulla vita, la carriera e le indagini del Comandante De Grazia
Guardia Costiera, 13 maggio 2020

A 25 anni dalla morte del Comandante della Guardia Costiera Natale De Grazia, un’iniziativa editoriale ne ripercorre la vita e la carriera professionale. Partendo dall’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sulle “navi a perdere”, nel libro “Navi mute”, gli autori Giampiero Cazzato e Marco Di Milla raccontano non solo le fasi più importanti delle indagini di De Grazia e il mistero intorno alla sua morte, ma anche l’uomo, attraverso la famiglia, gli amici, i colleghi.
In questo video lo ricordano il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa e il Comandante Generale della Guardia Costiera Giovanni Pettorino. Con il commento del vicedirettore del TG1, il giornalista Filippo Gaudenzi.

 

 

 

 

Leggere anche:

vivi.libera.it
Natale De Grazia
L’odore del mare attraversa tutta la storia del Capitano di Fregata Natale De Grazia. È un odore forte, che invade le narici di chi prova a ricostruirla quella storia. Un odore intenso, inebriante, che sovrasta il puzzo delle bugie, dei depistaggi, delle verità negate e di quelle nascoste.

 

lavialibera.libera.it
Articolo del 11 dicembre 2020

Natale De Grazia, a 25 anni dalla morte, molte domande e alcune risposte
di Andrea Carnì
Nell’anniversario della scomparsa dell’ufficiale della capitaneria di porto di Reggio Calabria, nuovi studi fanno luce sulle deleghe di indagine che De Grazia portava con sé la notte che è morto.

 

fanpage.it
Articolo del 12 dicembre 2020

Natale De Grazia e le “navi dei veleni”: dopo 25 anni riaperte le indagini sulla morte del capitano
di Antonio Musella e Sandro Di Domenico
Dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Fanpage.it un anno fa, che apriva nuovi scenari su uno dei “misteri d’Italia”, la Procura di Catanzaro ha riaperto le indagini sulla morte del capitano Natale De Grazia, morto in circostanze misteriose il 12 dicembre 1995, mentre indagava sulle navi dei veleni e sui traffici di materiale nucleare. Decisivo l’intervento del Ministro Sergio Costa che ha stanziato 1 milione di euro per le indagini. Si riapre la speranza per fare luce su un mistero lungo 25 anni, condito da depistaggi, minacce e ostacoli.

 

 

corrieredellacalabria.it
Articolo del 10 dicembre 2021
Verso un mondo inaccessibile: le indagini sulle “navi a perdere” e l’escalation della tensione
Il capitano Natale De Grazia e il pool che indagava sul traffico di rifiuti in mare. I giorni che hanno preceduto la misteriosa morte. La testimonianza del collega e amico Nino Samiani
di Francesco Donnici e Andrea Carnì

 

corrieredellacalabria.it
Articolo del 11 dicembre 2021
L’ultimo viaggio di Natale De Grazia e la delega d’indagine “smarrita”
Dal contenuto della valigetta nera del capitano è possibile ricostruire alcune tappe della missione in cui perse la vita e legittimare la sua presenza in quella spedizione
di Francesco Donnici e Andrea Carnì

 

corrieredellacalabria.it
Articolo del 13 dicembre 2021
Natale De Grazia, le nuove ricerche nei mari della Locride e l’ipotesi del traffico nucleare
Sono trascorsi 26 anni dall’enigmatica morte del capitano. Il Ram segue due filoni investigativi interloquendo con la Dda di Reggio Calabria.

 

 

 

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