Indagine sull’assassinio di Mariano Barbato, socialista di Francesco Petrotta

 

Editore: La Zisa

 

Tratto dal blog della Fondazione G. Di Vittorio

Prefazione di Claudio Sabattini, segretario generale della Fiom-CGIL della Sicilia
al libro di Francesco Petrotta “Indagine sull’assassinio di Mariano Barbato, socialista”
 

L’atto terroristico dell’uccisione di Mariano Barbato, importante esponente socialista e figura forte del gruppo dirigente socialista guidato da Nicola Barbato, sorprendentemente si associa ad avvenimenti che hanno attraversato la storia della Sicilia e ne hanno influenzato largamente la vicenda storica.

La campagna elettorale molto conflittuale, lo scontro diretto tra le forze socialiste e quelle del partito dell’ordine, l’intimidazione politica che allude direttamente al personaggio di spicco del partito socialista, e cioè Mariano Barbato, con l’obiettivo di intimidire, di decapitare il partito socialista nella sua veste più rigorosa in una strategia che usa lo strumento mafioso come strumento necessario perché il partito dell’ordine conquisti il potere comunale: stiamo parlando del 1914 e stiamo parlando di importantissime battaglie per la popolazione siciliana per conquistare il potere comunale, condizione questa per poter avere tutela della propria condizione di vita.

Il partito dell’ordine allora non ammette un confronto democratico e quindi la mafia è indispensabile per creare quelle condizioni su cui agire per poter conquistare il potere. I carabinieri e la polizia anche allora non troveranno prove di chi ha ucciso Mariano Barbato e quindi si può aprire la seconda fase, tramite un infinito numero di illazioni, come dirà Nicola Barbato, di menzogne, dì provocazioni, perché addirittura si possa tutto deviare verso conflitti personali che in questo caso vogliono degradare il conflitto politico e la strategia socialista che fronteggia con forza le forze dominanti. Non è singolare pensare che le fasi dominanti siciliane in cui abbiano avuto spesso l’idea che l’unico modo per prevalere fosse proprio la liquidazione fisica dell’avversario. E proprio in quegli anni, prima e dopo la prima e seconda guerra mondiale, che molti sindacalisti sono uccisi non solo perché nemici, cioè socialisti, e poi ancora socialisti e comunisti, e poi ancora persone perbene nell’ambito della stessa classe dirigente; l’idea fondamentale è quella, uccidendo, di sradicare le idee, le strategie e i valori che il movimento operaio e contadino avevano messo in campo in opposizione a tutti i partiti dell’ordine che si succederanno nella storia siciliana.

L’assassinio, quindi, non ha solo rilevanza penale, ma contemporaneamente assoluta rilevanza politica; per liquidare le idee di fondo occorre uccidere coloro che le professano, uccidere e liquidare in definitiva quella alternativa che allora il partito socialista presentò, basata sulla difesa degli interessi popolari che non potevano che essere difesi collettivamente a fronte di chi difendeva i propri interessi privati e di potere e interessato solo a sé, al suo gruppo di interessi sempre contro gli interessi collettivi popolari.

Nicola Barbato che ha sperimentato nella sua esistenza, in tutto ciò che ha fatto come gestire una prassi politica e sociale che difendeva gli interessi del popolo e collettivi, avrebbe trovato, così come trovò, la minaccia e l’iniziativa mafiosa come strumento indispensabile per far mantenere quelle forze dominanti e cioè le forze dominanti della Sicilia al potere.
L’esperienza di quegli anni non è quindi semplicemente un prologo per una storia che si sarebbe poi potuta evolvere in senso progressista, che era l’idea di Nicola Barbato l’esperienza di quegli anni detta le basi, potremo dire in modo moderno, della classe dominante del potere mafioso che in varie forme e in diverse circostanze attraversa ancora la storia della Sicilia.
Come sempre, il conflitto e il terrore, al di fuori delle regole democratiche, venivano decisi dalle forze dominanti a cui come fece Nicola Barbato si poteva rispondere con una forza di rappresentanza popolare che allora era racchiusa nel partito socialista.

Nicola Barbato insisteva molto sulla necessità di avere un atteggiamento intransigente, tanto che perfettamente la strumentazione e le tecniche politiche e sociali dei suoi avversari, che erano per l’appunto quelle che dominavano l’economia e la politica. Sarebbe utile per tutti considerare il fatto che pensare che sia possibile una tregua, una comprensione, un non vedere possa ieri come oggi modificare l’assetto e la linea della classe dominante. In questo sta la grandezza di Nicola Barbato e di tutti coloro che hanno proseguito in questa strada, alcuni e molti dei quali sono stati uccisi.
La mafia va considerata quindi come strumento di ordine, contro di essa si può combattere rappresentando e portando avanti interessi collettivi e popolari. Il resto è pura cronaca giornalistica.

Claudio Sabattini
Segretario generale FIOM CGIL – Sicilia

 

 

 

 

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