Le Vittime che commemoriamo, mese: NOVEMBRE
1 Novembre 1949 Palermo. Salvatore Alberti, guardia di P.S., cadde vittima di un agguato.
Salvatore Alberti, 22 anni, guardia di Pubblica Sicurezza della Questura di Palermo, cadde vittima di un agguato criminoso il 1° novembre 1949. Era in forza al Raggruppamento di P.S. di Palermo e stava effettuando un servizio di rastrellamento nell’agro palermitano, volto alla repressione del brigantaggio e alla cattura del tristemente noto bandito Salvatore Giuliano, quando la squadriglia di cui faceva parte fu fatta segno di numerosi colpi di mitra, sparati da un anfratto roccioso. I poliziotti risposero prontamente al fuoco, ma i malviventi si dileguarono subito. Per il giovanissimo agente, mortalmente ferito, non ci fu nulla da fare. (Cadutipolizia.it)
1 Novembre 1995 Gioiosa Ionica (RC). Ucciso Luigi Coluccio, 23 anni, titolare di una bar. “Ha pagato con la vita la determinazione sua e dei suoi famigliari a resistere alle richieste della ‘ndrangheta”
Luigi Coluccio, 23 anni, titolare di un bar, ha pagato con la vita la determinazione sua e dei famigliari a resistere alle richieste della ‘ndrangheta. Luigi è stato ucciso il 1 novembre del 1995 sulla porta del suo bar, a Gioiosa Ionica (RC). Gli assassini hanno atteso che girasse le spalle alla strada per calare le saracinesche. Contro di lui almeno due fucilate. Quella dei Colucci è una famiglia in vista e, fino a pochi anni fa, titolare di vari esercizi commerciali, tutti ben avviati e gestiti direttamente dai Coluccio. Il padre, Pasquale, era il proprietario di un supermercato. Un altro fratello della vittima, Rocco, era il titolare di un’avviata paninoteca, in una delle strade principali del paese; attività che, se non davano ricchezza, quanto meno assicuravano una certa tranquillità economica ai Coluccio». Le prime avvisaglie dell’offensiva del racket risalgono a tre anni prima, quando «qualcuno» fece arrivare ai Coluccio dei chiari segnali, ai quali il capofamiglia non diede eccessivo peso. Il 13 giugno del 1992, il primo, duro attacco. La paninoteca di Rocco Coluccio fu incendiata. Ma i Coluccio non cedettero. E così un altro dei figli di Pasquale, Salvatore, fu ferito da una fucilata. Ma dai Coluccio nessun segnale di resa. Allora fu alzato il tiro; decine e decine di litri di benzina furono versate dentro il supermercato di Pasquale Coluccio e l’esplosione che lo demolì fu sentita da tutto il paese, ma la risposta della famiglia, evidentemente, fu sempre la stessa. Una sfida che la ‘ndrangheta ha voluto punire con il delitto.
2 Novembre 1946 Belmonte Mezzagno (PA). Uccisi i fratelli Giovanni, Vincenzo e Giuseppe Sant’Angelo. Contadini che facevano parte di una Cooperativa in attesa dell’assegnazione di un feudo.
2 Novembre 1946, Belmonte Mezzagno (Palermo), trucidati con un colpo alla nuca i fratelli Giovanni, Vincenzo e Giuseppe Santangelo, contadini. Il triplice omicidio è compiuto, su mandato degli agrari, da tredici banditi, a scopo intimidatorio e, di fatto, pone fine alle rivendicazioni contadine nella zona.
2 Novembre 2004 Bruzzano Zeffirio (RC). Ucciso Paolo Rodà, tredici anni. Vittima di faida.
Paolo Rodà ha appena tredici anni. Vive, con la famiglia a Bruzzano Zeffirio (RC). Il 2 Novembre del 2004, insieme al padre e al fratello, si reca nel loro podere di Ferruzzano, per fare qualche lavoretto, per dare da mangiare agli animali e curare le api che allevano. Non fanno nemmeno in tempo ad aprire gli sportelli del fuoristrada. I colpi di lupara arrivano da dietro e polverizzano il lunotto posteriore. Paolo è proprio sulla traiettoria e non ha scampo. Padre e figlio d’istinto scendono dall’auto e si mettono a correre. Il killer spara un colpo al ragazzo e lo ferisce, poi insegue il padre, ferma la sua corsa centrandolo alle gambe, s’avvicina e spara il colpo di grazia alla testa. In tutto otto cartucce caricate a pallettoni per un agguato riuscito a metà: il ragazzo è ormai troppo lontano, e si salva. Paolo invece è morto a tredici anni. Vittima di una faida che a quel momento conta più di trenta morti.
3 Novembre 1915 Corleone (PA). Ucciso Bernardino Verro, Sindaco del Paese. Uno dei principali organizzatori del movimento contadino.
Il 3 novembre 1915 nell’allora Via Tribuna fu assassinato il Sindaco di Corleone (PA) Bernardino Verro. Era tardo pomeriggio, piovigginava ed era accompagnato dai vigili urbani che lo scortavano. Quella sera perché stava per arrivare a casa, gli disse potete andare, ma lo aspettavano i suoi assassini che lo freddarono. Lui aveva una pistola ma che fatalmente si inceppò. Nessuno ha mai pagato per quest’omicidio. Bernardino Verro fu uno dei dirigenti regionali di quel movimento contadino dei Fasci Siciliani che nacque in Sicilia nel 1892 e fu represso dallo Stato Italiano nel 1894. Questo movimento non era un movimento rivoluzionario ma chiedeva una miglioria delle condizioni dei contratti agrari. Era la Sicilia dove se il feudo era stato abolito nel 1812 il latifondo era il sistema produttivo in mano agli agrari siciliani. Ma tra agrari e contadini vi era una figura che aveva un enorme potere, questi erano i gabelloti. Questi erano una borghesia imprenditoriale che prendevano in affitto enormi distese di terreni dagli agrari e li subaffittavano ai contadini. Vi era un vero e proprio sfruttamento dei contadini che a fine raccolto non avevano nulla per sfamare le proprie famiglie. Ma il gabellato oltre ad essere un intermediario era anche colui il quale aveva una forza militare, controllava le campagne, era la mafia di allora. (Corleonedialogos.it)
3 Novembre 1947 San Giuseppe Jato. Uccisione di Calogero Cajola
Il 3 Novembre del 1947 a San Giuseppe Jato (PA), viene ucciso Calogero Cajola. Avrebbe dovuto testimoniare al processo per la Strage di Portella della Ginestra.
Sant’Angelo Muxaro (AG). Uccisi i fratelli Vincenzo Vaccaro Notte, il 3 Novembre 1999, e Salvatore Vaccaro Notte, il 5 Febbraio 2000. Avevano osato aprire attività di pompe funebri in concorrenza con una ditta legata alla mafia.
Sant’Angelo Muxaro (AG)
Vincenzo Vaccaro Notte – 3 Novembre 1999
Salvatore Vaccaro Notte – 5 Febbraio 2000
La vicenda dei Fratelli Vaccaro Notte rappresenta una storia emblematica del Meridione italiano. Costretti ad abbandonare per mancanza di lavoro il loro piccolo paese di Sant’Angelo Muxaro (AG), ricco di storia ma povero di risorse, emigrano in Germania dove rimangono per alcuni anni svolgendo una delle tipiche attività di italiano emigrato, quella del pizzaiolo. Con il denaro risparmiato tornano al loro paese dove avviano un’impresa di pompe funebri entrando così in concorrenza con altri due fratelli, ritenuti vicini alla famiglia dei Fragapane di Santa Elisabetta.
I due Vaccaro Notte vengono invitati da un imprenditore edile, quasi loro omonimo, Giuseppe Vaccaro, perché giungano a un accomodamento. I due rifiutano qualunque compromesso con un gruppo mafioso locale meglio conosciuto come “Cosca dei Pidocchi”, col risultato che Vincenzo Vaccaro Notte viene ucciso il 3 novembre del 1999. Rimasto solo, il fratello Salvatore non demorde, continua la sua attività e indaga per conto suo sull’omicidio del fratello redigendo una specie di memoriale. Il 5 febbraio del 2000 anche lui viene ucciso con un colpo di lupara alla testa.
Entra in gioco a questo punto un terzo fratello, Angelo Vaccaro Notte, che non aveva seguito i due fratelli in Germania ma era potuto rimanere in paese per il provvidenziale lavoro di forestale. Questi decide di non agire da solo ma cerca l’aiuto delle forze dell’ordine raccontando loro i retroscena dei due omicidi; per questa sua collaborazione come testimone di giustizia verrà sottoposto al programma di protezione assieme ai suoi familiari.
Nel maggio del 2006 le indagini portano all’arresto di noti mafiosi latitanti, alla scoperta di un traffico di armi e droga, di appalti pilotati e corruzione politica. (Wikipedia)
4 Novembre 1958 Palermo. Muore Vincenzo Savoca, 34 anni, Appuntato di Pubblica Sicurezza.
In forza alla Squadra Mobile della Questura di Palermo, il 4 novembre aveva appreso una notizia secondo cui un contrabbandiere ricercato quella sera sarebbe rientrato nella propria abitazione, in Piazza Magione, per trascorrervi la notte. Verso le 18,00, insieme alla Guardia Placido Russo, si recava nei pressi della casa per attendere il malvivente ed eseguire l’arresto. Intorno alle 20,00 il contrabbandiere, accompagnato dalla propria moglie, si accingeva ad entrare in casa, allora i due poliziotti gli si avvicinarono e, afferratolo saldamente per un braccio, lo dichiararono in arresto. Quello prese a divincolarsi, tentando di fuggire, mentre la donna si mise ad urlare, richiamando l’attenzione dei vicini. In pochi istanti una folla di persone, uomini, donne, anziani, circondò il terzetto, tempestando di pugni, calci e morsi i due agenti per aiutare il ricercato a fuggire. L’appuntato Savoca continuava a tenere saldamente con entrambe le braccia il contrabbandiere, sperando nel pronto arrivo di soccorsi, mentre la Guardia Placido, colpito agli occhi e momentaneamente accecato, si accorse che qualcuno lo frugava alla cintola per sottrargli la rivoltella, quindi la estrasse dalla fondina per esplodere uno o due colpi in aria. Ma gli sconosciuti, nel tentativo di disarmarlo, gli torsero il polso proprio mentre egli premeva il grilletto ed il colpo raggiunse l’appuntato Savoca alla testa. Solo a quel punto, assicurata l’impunità al ricercato, la folla si disperse, lasciando il Savoca agonizzante ed il Russo ferito, accecato ed ancora ignaro di cosa fosse accaduto. Il Savoca, ricoverato in ospedale, morì la sera dopo, lasciando vedova la giovane moglie, che aveva sposato pochi mesi prima ed in attesa del primo figlio, mentre il Russo, appena seppe di aver ucciso il suo capo, fu colto da violente crisi nervose che fecero temere per la sua sanità mentale. (Cadutipolizia.it)
4 novembre 1973 Afragola (NA). Ferito gravemente Alfredo Manzoni, bambino di 7 anni, durante un agguato ad un boss, muore in ospedale ad Ariccia (RM) dopo due anni di cure.
Alfredo Manzoni, di anni 7, ferito accidentalmente in maniera grave ad Afragola (NA) nel corso di un regolamento di conti tra cosche rivali il 5 novembre del 1975. Alfredo Manzoni fu colpito da un proiettile vagante nel corso dell’esecuzione del boss Magliulo e gli fu lesa la colonna vertebrale. Dopo due anni di cura in un ospedale di Ariccia, il piccolo, condannato a restare paralizzato per il resto dei suoi giorni, si spense per sopravvenute complicazioni. Fonte: vivi.libera.it
4 Novembre 1983 San Ferdinando (RC). Uccisi Domenico Cannatà, 10 anni, e Serafino Trifarò, 15 anni, solo per inviare un messaggio al padre di uno dei due ragazzi.
La sera del 4 novembre 1983 c’è parecchia gente al ritrovo Enal, un circolo col bar molto frequentato a San Ferdinando (RC). Attorno alle venti Vincenzo Cannatà entra col figlio Domenico, di undici anni, e con un altro ragazzo, Serafino Trifarò, di quattrodici anni. Consumano qualcosa al bancone e poi si piazzano davanti al locale. L’arrivo di un’auto di grossa cilindrata non dà nell’occhio, ce ne sono tantissime nella zona). La macchina rallenta e s’accosta a un paio di metri dall’ingresso del bar. Sparano in tre, con una pistola semiautomatica e due doppiette. A due metri di distanza è difficile sbagliare il bersaglio, anche per un dilettante. Vincenzo Cannatà è pregiudicato e schedato come mafioso. I pallettoni nemmeno lo sfiorano. Feriti a morte sono i due ragazzi Domenico Cannatà e Serafino Trifarò, l’uno accanto all’altro al momento del blitz. E’ inutile la corsa in ospedale: i due muoiono prima di entrare in sala operatoria. Ad accompagnarli è stato Cannatà, subito pronto a dileguarsi. Non ha ancora capito che l’agguato non lo riguarda direttamente, anche se è stato il figlioletto a rimetterci la vita. Il commando assassino ha puntato al ragazzo di casa Trifarò, figlio del boss Pasquale, dato in quota Piromalli, titolare di una ditta di trasporti e movimento terra attiva nel porto di Gioia.
Quei due ragazzi morti sono un macabro messaggio recapitato all’ambiente. Nè il primo né l’ultimo. E’ inutile dire che per l’omicidio di Cannatà e Trifarò nessuno ha pagato. Il messaggio, così, è ancora più chiaro. (Tratto da Dimenticati Vittime della ‘ndrangheta di Danilo Chirico e Alessio Magro – Cap XIX Troppo piccoli per morire)
4 Novembre 2002 Torre S. Sabina (BR). Muore Fabio Perissinotto, finanziere scelto, ucciso in un incidente mentre inseguiva un ricercato della Sacra Corona Unita.
4 novembre 2002, Torre S. Sabina (BR). Il finanziere scelto Fabio Perissinotto, 30 anni, di Roma, è morto in un incidente stradale mentre era, con altri colleghi rimasti feriti anche in modo grave, all’inseguimento di un’autovettura che nel pomeriggio era stata rubata al proprietario sotto la minaccia di un coltello, alla cui guida era un «pentito», un tempo elemento di spicco della Sacra corona unita (Scu), che due giorni prima era fuggito dalla località protetta in cui viveva.
5 Novembre 1945 Caccamo (PA). Giorgio Comparetto era un contadino. Fu ucciso mentre era sulla mula insieme al suo figlioletto di 5 anni.
Per il suo omicidio, grazie alla collaborazione di un testimone, finì sul banco degli imputati Salvatore La Corte, poi condannato all’ergastolo nel 1969. Insieme a suo fratello, dichiarò di avere ammazzato il contadino dopo averlo sorpreso a rubare del frumento. In realtà quelli erano gli anni delle lotte per la terra e la mafia aveva da tempo deciso di fermare i contadini. È in questo contesto dunque che va inserito l’omicidio di Comparetto. (Libera.it)
5 Novembre 1986 Licola Mare (NA). Ucciso Mario Ferrillo perché scambiato per un camorrista.
Mario Ferrillo, faceva l’impresario teatrale e aveva 41 anni quando, il 5 novembre del 1986, venne ammazzato a Licola Mare (NA) in un negozio di parrucchiere, dove aveva accompagnato sua moglie. Mario Ferrillo venne ammazzato perché fu scambiato per un’altra persona anche se le prime notizie parlavano di una vendetta della camorra rispetto al rifiuto dell’impresario di pagare tangenti per le feste di piazza che organizzava. In realtà quel giorno cercavano Gennaro Troise, detto “la Tromba”. Somigliava a Mario in maniera impressionante. Gennaro Troise fu ammazzato circa un mese dopo l’agguato a Mario. “La somiglianza era, in effetti, clamorosa. I due erano come due gocce d’acqua. Perfino la moglie, quando i carabinieri di Pozzuoli le mostrarono la foto di Gennaro Troise, lo scambiò per suo marito Mario”.
5 Novembre 1992 Seconda strage di Racalmuto (AG). Carmelo Anzalone, 32 anni, vittima innocente in un regolamento di conti.
Carmelo Anzalone fu ucciso perché si trovava a passare in via Garibaldi, mentre si consumava la seconda strage di Racamulto (AG), quella del 5 novembre del 1992.
“Carmelo Anzalone era ritornato al paese per la ricorrenza dei morti, come ogni anno. Prendeva il treno a Viterbo, dove era emigrato e dove lavorava ormai da diversi anni. Arrivava una settimana prima della festività dei defunti a Racalmuto. L’aspettava contenta la vecchia madre. Trascorreva la mattinata al cimitero per una visita alla tomba del padre, durante il resto della giornata andava in giro a fare visita ai tanti amici e parenti. In quel tardo pomeriggio del cinque novembre del 1992 era andato in macelleria per comprare il necessario per la cena che poco più tardi avrebbe cucinato personalmente. Carmelo era uscito contento dalla macelleria dopo aver fatto anche quattro chiacchiere con il titolare, gioviale come lui. Stava scendendo alcuni scalini sulla Via Garibaldi quando sentì la “maschiata”. Solo che non erano fuochi d’artificio della festa per la Madonna del Monte. Erano gli spari di una mitraglietta. Cadde sopra il sacchetto con dentro la carne che aveva appena comprato. Due di quelle maledette pallottole che fischiavano nell’aria lo avevano colpito, senza scampo.” (Tratto dal libro “Senza Storia” di Alfonso Bugea e Elio Di Bella)
5 Novembre 2011 Santa Maria La Carità (NA). Ucciso Carlo Cannavacciuolo, studente 27enne, mentre tentava di prevenire una rapina.
La sera del 5 novembre 2011, verso mezzanotte, Carlo Cannavacciuolo è prima con gli amici e poi con la fidanzata a festeggiare il suo onomastico a Santa Maria La Carità (NA), piccolo centro nei pressi di Castellammare di Stabia. Il giovane Carlo dopo aver trascorso la serata con gli amici va via con la fidanzata fermandosi per un attimo in via Ponticelli, quando due banditi con il volto coperto e armati di pistola si avvicinano. Uno dei due infrange un finestrino della vettura con il braccio provocando la reazione istintiva di Cannavacciuolo che tenta di fuggire inserendo la retromarcia. A quel punto uno dei rapinatori fa fuoco ferendo mortalmente il giovane Carlo. Un proiettile lo ha colpito al braccio, un altro al cuore. Carlo aveva 27 anni ed era un giovane veterinario.
6 Novembre 1981 Palermo. Assassinato Sebastiano Bosio, primario di chirurgia vascolare del Civico.
Sebastiano Bosio, primario di chirugia vascolare dell’ospedale di Palermo, fu ucciso il 6 novembre del 1981 sotto il suo studio “venne ammazzato perché non era un dottore a disposizione di Cosa nostra, non era corrotto”. Lo ha dichiarato il pentito di mafia Francesco Onorato deponendo, in videoconferenza, al processo iniziato a fine 2011 dopo il ritrovamento dei quattro proiettili che furono sparati contro il medico e dimenticati per anni in un armadietto dei reperti.
“Era risaputo che questo medico – racconta Onorato collegato da un luogo segreto – non fosse a nostra disposizione, non voleva falsificare le carte per i processi, insomma non era corrotto”. Antonino Madonia, unico imputato nel processo e ritenuto il mandante ed esecutore materiale dell’omicidio, Onorato dice: “Era una potenza in quel periodo”.
6 Novembre 1989 Grumo Nevano (NA). Ucciso Pasquale Miele, giovane imprenditore di 28 anni. Vittima del racket.
Pasquale era un giovane imprenditore emergente di appena 28 anni; insieme al padre e ad altri due fratelli, conduceva un piccolo laboratorio di abbigliamento, sistemato proprio accanto alla sua abitazione. Quel 6 Novembre del 1989 sembrava essere un sera come tante altre ma il temporale che si abbatté sul piccolo paesino di Grumo Nevano (NA) in quelle ore pareva preannunciare ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Pasquale si trovava nella sua casa, insieme alla sua famiglia, sentendo alcuni rumori si avvicinò alla finestra, aprendo leggermente le imposte e rimanendo fermo dietro al davanzale, ma proprio in quel momento i killer aprirono il fuoco ad altezza d’uomo colpendolo in pieno petto. Tra il rumore dei tuoni e della pioggia fitta si confuse il terribile colpo che provocò la sua tragica morte.
Le indagini furono subito puntate sul mondo del racket e per gli inquirenti ci furono pochi dubbi: l’esecuzione era stata compiuta da una banda che aveva l’ordine di intimidire la famiglia Miele.
Pasquale era un ragazzo pieno di sogni, la cui vita è stata spezzata perché ha detto “NO”!
L’ennesima vittima innocente di quel “male” chiamato camorra, quel male che da troppo tempo ormai è vivo e presente nel nostro tessuto sociale ma che può e deve essere sconfitto. Parole ripetute forse già tante volte, ma non si tratta di fantasticare o di sognare ad occhi aperti né di semplice utopia.
Il nostro deve essere un impegno concreto e quotidiano, prendendo come esempio proprio coloro che hanno vissuto la loro vita in maniera giusta e onesta, non accettando compromessi di alcun genere perche’ la memoria appartiene al futuro! (Scritta da Anna Miele, nipote della vittima)
6 Novembre 1992 Foggia. Giovanni Panunzio, imprenditore, ucciso perché aveva denunciato i suoi estorsori.
Giovanni Panunzio era un imprenditore edile, fu ucciso il 6 novembre del 1992 a Foggia mentre tornava a casa dopo aver assistito alla seduta del consiglio comunale che avrebbe poi approvato il nuovo piano regolatore di Foggia. Si trovava in via Napoli, a bordo della sua auto, quando due killer, a bordo di una motocicletta, lo affiancarono e lo crivellarono di colpi. Panunzio non si era piegato alle logiche degli estorsori, del racket. L’imprenditore 51enne, che da muratore era diventato un professionista affermato nel settore dell’edilizia, l’anno prima aveva avuto il coraggio di denunciare i propri estorsori, che gli avevano chiesto 2 miliardi di lire, denunciandoli in un memoriale inviato alla magistratura che aveva portato a quattordici arresti.
6 Novembre 2004 Scampia (NA). Ucciso Antonio Landieri, 25enne disabile non riesce a sfuggire ad un fuoco incrociato tra camorristi.
Antonio Landieri, ragazzo disabile di 25 anni, muore il 6 Novembre 2004 in seguito ad una sparatoria in via Labriola, ai confini tra i quartieri Scampia e Secondigliano. Altre cinque persone, tutte incensurate, restano ferite.
I sicari sono giunti all’improvviso, facendo fuoco sui ragazzi che stavano giocando a biliardino sotto una struttura in lamiera, utilizzata per la vendita di frutta e verdura. Antonio Landieri ha tentato a fatica di scappare e di ripararsi nell’androne del palazzo di via Labriola, ma è stato raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco: sul posto sono stati ritrovati, in tutto, 16 bossoli, alcuni dei quali di calibro 9.
Da questo tragico evento nasce il libro “Al di là della neve”, scritto quasi di getto dal giovanissimo Rosario Esposito La Rossa, cugino di Antonio. (Tratto da Un nome, una storia – Libera )
7 novembre 1977 Settebagni (Roma). Rapito Massimiliano Grazioli duca Lante della Rovere. non tornò più a casa nonostante il pagamento di un riscatto.
“Il duca Massimiliano Grazioli Lante della Rovere venne preso in ostaggio da cinque banditi armati la sera del 7 novembre 1977 nei pressi di una tenuta agricola di sua proprietà, nella campagna attorno alla cittadina di Settebagni, e non tornò più a casa nonostante il pagamento di un riscatto. Nel 1993 otto persone sono state arrestate per il delitto. Gli arresti, come raccontano i giornali all’epoca dei fatti, sono avvenuti anche grazie all’aiuto di un pentito eccellente, Maurizio Abbatino.” (novavox.it)
Massimiliano Grazioli fu ucciso perché aveva visto in volto uno dei carcerieri.
7 Novembre 1980 Ottaviano (NA) Ucciso Domenico Beneventano, 32enne medico e consigliere comunale del Partito comunista.
Domenico Beneventano, “Mimmo”, consigliere comunale del Partito comunista a Ottaviano, ammazzato dalla camorra di Raffaele Cutolo la mattina del 7 novembre del 1980. Mimmo non si era piegato alla volontà criminale dei clan che volevano cementificare un territorio tra i più belli dell’intera Campania. È stato vittima della violenza camorristica in una stagione di morte e di terrore che la Nuova Camorra Organizzata aveva cominciato da qualche anno contro tutti coloro che non si asservivano al volere e al potere del capo indiscusso, Raffaele Cutolo. Aveva trentadue anni Mimmo quando è stato ammazzato. […] Faceva il medico di base a Ottaviano e il chirurgo presso l’ospedale San Gennaro di Napoli. In paese lo conoscono tutti quel «medico buono» con la passione per la poesia e per la musica. La sua scelta di campo Mimmo l’ha già fatta da ragazzo: a fianco dei più deboli. La sua casa, come il suo studio medico, sono sempre aperti. Giorno e notte, chiunque lo chiami ha la sua disponibilità. Da ragazzo frequentava la parrocchia. Poi arriva anche l’impegno politico. Si iscrive al Pci e diventa consigliere comunale del Partito comunista italiano per la prima volta nel maggio del 1975. Verrà confermato anche nelle elezioni del giugno del 1980. La politica per Mimmo è il prolungamento del suo impegno civile a fianco delle persone che hanno bisogno più di altri: i poveri. Le sue battaglie in consiglio comunale le fa per la difesa del territorio. (Tratto dal libro “Al di là della notte” di Raffaele Sardo)
7 Novembre 1987 Cittanova (RC). Resta ucciso Giovanni Mileto, operaio, nel tentativo di prestare soccorso al vero obiettivo dell’agguato.
Giovanni Mileto accorse per soccorrere un giovane ferito in un agguato mafioso il 7 novembre 198 a Cittanova (RC) e fu colpito a sua volta da una raffica di fucile. Morì sul colpo. Si sacrificò per salvare un’altra vita umana. È stato riconosciuto vittima della criminalità organizzata.
Nacque il 24 luglio del 1930 a Cittanova (RC). Era caposquadra Cantonieri FCL della città.
8 novembre 1874 Bagheria (PA). Resta ucciso Emanuele Attardi, 11 anni, in un agguato verso il padre, Gaspare, Cancelliere della Pretura.
Vengono esplosi colpi di arma da fuoco contro il Cancelliere della locale Pretura, Gaspare Attardi, deciso oppositore della mafia del paese: nell’episodio rimase ucciso il figlio Emanuele di 11 anni
(Nota a pag. 105 del libro: Il nome e la cosa: “Quando la mafia non si chiamava mafia” di Giovanni Tessitore”
8 Novembre 1947 Marsala (TP). Ucciso il contadino Vito Pipitone, dirigente delle cooperative dei contadini riunite nella Confederterra.
Vito Pipitone, Segretario della Camera del lavoro di Marsala, venne ucciso a Marsala (TP) l’8 novembre 1947 da un colpo di lupara mentre si trovava sulla sua bicicletta, a pochi metri dalla casa materna. Venne ucciso perché si batteva per garantire ai lavoratori un giusto stipendio, la pensione, per evitare che lavorassero più di otto ore al giorno. Sempre in prima fila a fianco dei braccianti nell’occupazione delle terre e per l’attuazione della nuova legislazione in materia di agricoltura, varata dal Ministro Fausto Gullo. A conferma del consenso che vi era su Vito Pipitone si dice che parteciparono almeno 5000 persone ai funerali.
8 Novembre 1989 Milazzo. Uccisa Anna Cambria, 16 anni. Vittima innocente di un regolamento di conti.
Anna Cambria, giovane studentessa sedicenne di Milazzo, muore l’8 novembre del 1989. Si era recata presso un bar del centro cittadino per acquistare delle caramelle. Ma all’uscita incontra inconsapevolmente un proiettile di pistola partito dall’arma impugnata da un mafioso e diretto verso un altro mafioso vittima anch’esso di un regolamento di conti.
8 Novembre 1991 Marina di Caronia (ME). Vincenzo Giordano, benzinaio, ucciso per ritorsione.
Un’esecuzione spietata quella di Vincenzo Giordano, il benzinaio ucciso l’8 novembre del ‘ 91 a Marina di Caronia (ME). L’uomo aveva notato più volte un piccolo clan di sbandati, probabilmente spacciatori di droga, stazionare nei pressi del suo distributore. Aveva anche avvertito i carabinieri e alcuni ragazzi del gruppo erano stati fermati. L’assassino faceva parte di quel gruppo, assieme ai compagni decise che il benzinaio doveva morire. Quattro colpi di fucile a canne mozze e poi la fuga, dopo aver lasciato a terra l’uomo col cervello letteralmente spappolato. Gli inquirenti erano sicuri che non si trattasse di rapina, che era chiaramente un’esecuzione, decretata da qualcuno che voleva vendicarsi di qualcosa. Poi la testimonianza della sorella dell’assassino, senza la quale, probabilmente, non si sarebbe mai conosciuta la verità.
9 Novembre 1978 Meda (MI). Rapito Paolo Giorgetti, 16 anni, lo ritrovano morto dentro un’auto che sta bruciando.
Paolo Giorgetti ha 16 anni, il 9 novembre del 1978, quando viene rapito; è figlio di un noto mobiliere della Brianza, vive a Meda (MI).
Sta andando a scuola a piedi, come ogni mattina, quando tre persone lo hanno circondato, lo caricano a forza su un’auto, dopo averlo stordito; lo raccontano i macchinisti di un treno in transito nelle vicinanze, che assistono alla drammatica scena ed avvertono i carabinieri.
Il corpo di Paolo fu rtrovato alcuni giorni dopo in un’auto che stava bruciando. Era stato ucciso dal cloroformio. I rapitori sono stati arrestati, alcuni sono fratelli, appartenenti a “famiglie” calabresi.
9 novembre 1982 Caraffa del Bianco (RC). Giovanni Canturi, bambino di 13 anni, ucciso insieme allo zio, obiettivo dell’agguato
Giovanni Canturi, tredici anni, viene ucciso il 9 novembre 1982 a Caraffa del Bianco (RC) mentre accudisce gli animali insieme con lo zio, vittima designata dei killer.
Fonte: vivi.libera.it
9 Novembre 1982 Castrovillari (CS). Edoardo Annichiarico, 16 anni, rapito e ucciso.
Frequentava il liceo, aveva 16 anni e una ragazza. È nato a Castrovillari, in provincia di Cosenza, di famiglia benestante. Quasi una colpa per la banda di dilettanti che l’ha rapito e subito ucciso, per poi tentare di estorcere un riscatto ai gioiellieri Annichiarico. Attirato in una trappola dall’amico professore, Edoardo è morto il 9 novembre 1982. Caricato su un auto, accoltellato sei volte e poi gettato in un fosso lungo l’autostrada. È rimasto lì tre giorni. Di pena e di speranza. Un sequestro anomalo, tragico, risolto in pochi giorni e chiuso definitivamente con tre condanne pesanti. Ad uccidere Edoardo Annichiarico non è stata la ‘ndrangheta, non sono state le cosche, ma una mentalità criminale che dalla mafia ha appreso il disprezzo per la vita e la sete di denaro, a tutti i costi. (Stopndrangheta.it)
9 Novembre 1983 Prizzi (PA). Scompare il piccolo imprenditore Sebastiano Alongi. La moglie, Anna Pecoraro, costituitasi parte civile nel procedimento contro ignoti, ha denunciato i favoritismi e gli interessi mafiosi nella concessione degli appalti.
A Prizzi (Palermo) il 9 novembre del 1983 scompare il piccolo imprenditore Sebastiano Alongi. La moglie, Anna Pecoraro, costituitasi parte civile nel procedimento contro ignoti, ha denunciato i favoritismi e gli interessi mafiosi nella concessione degli appalti, che avrebbero portato all’isolamento e all’uccisione del marito.
9 Novembre 1995 Catania: Ucciso l’Avv. Serafino Famà perché si era rifiutato di assecondare le richieste di un mafioso.
Serafino Famà era un avvocato penalista, che considerava la sua funzione non semplicemente come un lavoro, lui ci credeva, indossava la toga e la onorava ogni giorno. Credeva nella giustizia, nel diritto di ogni uomo ad essere difeso, nella legalità. “Onestà e coraggio. Se ti comporti con onestà e coraggio non devi avere paura di nulla”. Per quel suo rifiuto ad una richiesta di un mafioso venne condannato a morte da quel boss che oggi collabora con la giustizia. Fu ucciso a Catania il 9 Novembre 1995.
10 novembre 1975 Prato. Rapito Piero Baldassini, giovane industriale, non farà più ritorno a casa. Il suo corpo ritrovato in una cisterna di un casolare nel pistoiese.
L’industriale pratese Piero Baldassini, 32 anni, viene sequestrato il 10 novembre del 1975, mentre in auto fa ritorno a casa. I familiari hanno pagato un riscatto di 700 milioni, ma il giovane industriale non ha fatto più ritorno a casa.
Uno degli arrestati indicherà agli inquirenti il luogo dove è stato «sepolto». La «tomba» verrà trovata in una cisterna di un casolare nel pistoiese.
Fonte: archivio.unita.news
10 Novembre 1979 San Gregorio (CT). Uccisi in un agguato i carabinieri Giovanni Bellissima, 24 anni, Salvatore Bologna, 41 anni, e Domenico Marrara, 50 anni. Erano di scorta ad un boss che doveva essere trasferito al carcere di Bologna.
I Carabinieri Giovanni Bellissima, 24 anni, Salvatore Bologna, 41 anni, e Domenico Marrara, 50 anni, in servizio al Comando provinciale di Catania, il 10 novembre del 1979 erano di scorta ad un boss che doveva essere trasferito al carcere di Bologna. Al casello autostradale di San Gregorio di Catania furono assaliti e uccisi da un commando mafioso che prelevarono il detenuto, che undici giorni dopo fu ritrovato cadavere in una discarica vicino alle falde dell’Etna.
10 novembre 1984 Lagonegro (PZ). Scompare Maria Antonietta Flora, maestra di 27 anni, madre di due bambini. Di lei non si avranno più notizie.
Maria Antonietta Flora scompare la sera del 10 novembre del 1984. All’epoca aveva 27 anni e insegnava in una scuola materna di Lagonegro. Sposata con un dipendente dell’Enel e madre di due bambini piccoli, la donna esce di casa poco prima delle 19 con la sua automobile: un’Autobianchi A 112 di colore blu. Da quel momento in poi se ne perdono le tracce. La donna avrebbe detto che usciva per andare a fare un’iniezione. Il giorno dopo l’automobile viene ritrovata in una piazzola di sosta dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria. Nell’auto ci sono macchie di sangue. Il cadavere non è mai stato ritrovato.
Fonte: lagazzettadelmezzogiorno.it
10 Novembre 1988 Siracusa. Ucciso Carmelo Zaccarello, 23 anni, vittima innocente di una guerra tra cosche rivali.
Carmelo Zaccarello, 23 anni, fu la vittima innocente della “strage del bar Moka ” a Siracusa il 10 Novembre 1988. Stava parlando con la fidanzata davanti al bar, di cui il padre è il titolare, quando un commando formato da due giovani killer è entrato in azione scaricando le loro pistole tra la gente presente, ferendo, in maniera anche grave, tre persone ed uccidendo, oltre a Carmelo, anche il vero obiettivo dell’aggressione
10 Novembre 1992 Gela (CL). Ucciso il commerciante Gaetano Giordano. Vittima del racket.
Gaetano Giordano era un commerciante di Gela (CL) che negli anni ’80-90 era una polveriera: incendi e sparatorie fra clan rivali per la supremazia del territorio erano all’ordine del giorno. I commercianti, che sino ad allora come fatto di costume, si adeguavano a pagare il pizzo cominciavano a scalpitare, cercando di uscire da questo mal costume. Nel 1989 a seguito di una richiesta estorsiva Gaetano Giordano fa regolare denuncia; iIl 10 Novembre del 1992, all’età di 55 anni, veniva ucciso sotto casa con cinque colpi alla schiena mentre con il figlio, ferito nella sparatoria, stava rientrando a casa.
Dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia si scopre che l’uccisione di Gaetano Giordano è stata decisa a sorte tramite estrazione del biglietto con il suo nome (altri 3-4 commercianti che come lui avevano denunciato erano segnati negli altri bigliettini quindi papabili vittime).
A Maggio 2005 nasce a Gela l’Associazione “Antiracket Gaetano Giordano”.
11 Novembre 1989 Napoli. Strage del Bar Sayonara. Restarono a terra Gaetano De Cicco, Salvatore Benaglia, Domenico Guarracino e Gaetano Di Nocera “«Quattro vittime “innocenti” immolate sull’altare di un onnivoro e spregiudicato disegno di affermazione».
La mattina dell’11 novembre dinanzi al bar Sayonara a Ponticelli si consuma un conflitto a fuoco tra bande rivali. L’agguato è deciso dai Sarno ed attuato da affiliati al clan Aprea per colpire il gruppo rivale capeggiato dal boss Andrea Andreotti.
Restano colpite sei persone, due appartenenti alle bande di camorra e quattro completamente estranee agli ambienti e alle dinamiche criminali. Molti i feriti, tra cui una bambina.
Le vittime innocenti colpite nell’agguato sono Gaetano De Cicco, Domenico Guarracino, Salvatore Benaglia e Gaetano Di Nocera.
Il giorno dei funerali la folla accompagna le bare lungo le strade di Ponticelli fino alla Chiesa Madre.
A distanza di più di 20 anni hanno finalmente un nome e un volto sia i mandanti che gli esecutori della strage.
Il pool di magistrati, del procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico, emana 13 ordinanze di custodia cautelare. Le indagini coordinate dai carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Napoli, insieme alle confessioni dei collaboratori di giustizia, permettono di fare luce sulle dinamiche, gli autori ed il movente della strage.
Nel 2012 inizia il processo per i responsabili. In aula anche i parenti delle vittime innocenti che si costituiscono parte civile.
Ventiquattro anni dopo la “strage di San Martino”, nel quartiere Ponticelli di Napoli, undici persone sono state condannate all’ergastolo ed altre sei, divenute collaboratori di giustizia, a pene di sedici e diciotto anni di reclusione, con sentenza emessa il il 27 febbraio 2013 dalla terza sezione della Corte d’Assise di Napoli.
La Corte d’Assise ha, inoltre, disposto la pubblicazione, a spese degli imputati, di un estratto della sentenza sul quotidiano e dell’intero dispositivo sul sito del Ministero della Giustizia e sulla rivista online “Justitia”.
Nel luglio 2014 ai giudici della Corte d’Assise d’Appello, Ciro Sarno detto ” U piccirillo”, uno degli ultimi a non essere passato a collaborare con lo stato, consegna una lettera in cui ammette di essere il responsabile della Strage di Ponticelli e chiede scusa ai familiari delle vittime innocenti.
Per i delitti di Ponticelli, Ciro Sarno era stato condannato in primo grado alla pena dell’ergastolo. Il procuratore generale ha chiesto la conferma della pena inflitta in primo grado per tutti gli imputati. (Fond. Pol.i.s.)
11 novembre 2010 Brindisi. Francesco Ligorio, 18 anni, originario di Francavilla Fontana, morì in un agguato diretto al suo datore di lavoro.
L’11 novembre 2010 il diciottenne Francesco Ligorio, originario di Francavilla Fontana, morì in un agguato sulla superstrada Brindisi-Taranto. I colpi di mitra che ne stroncarono la vita erano in realtà in serbo per Nicola Canovari, vittima predestinata secondo le intenzioni dei killer, che viaggiava con lui a bordo di un tir Fiat.
(pugliain.net)
12 Novembre 1988 Melfi (PZ). Uccisa Lucia Montagna, 14 anni, per una vendetta trasversale.
Lucia è sola nella sua casa di Melfi la sera del 12 novembre quando tre sorelle, Maria Altomare, Filomena e Rosa Russo bussano alla sua porta per vendicare la morte del fratello Santo Russo. Una vendetta efferata che vede soccombere la 14enne Lucia sotto 11 pugnalate, una della quali le recide la giugulare destra.
Il cadavere di Lucia, con ancora due coltelli conficcati in gola, viene ritrovato dalla cognata Fiorida Russo, rientrata dal carcere dove si trova Angelo Montagna, fratello della ragazza ammazzata, arrestato perché colpevole dell’omicidio di Santo Russo.
L’omicidio è maturato in contesto di vendette trasversali tra famiglie di zingari. Una modalità che mutua quelle dei clan. Alla fine degli anni 80, a Potenza, si è assistito alla nascita di un’organizzazione criminale denominata “I Basilischi”, che successivamente s’è diffusa nel resto della regione. Inizialmente è una ‘ndrina della ‘ndrangheta calabrese, da cui dipende ed è protetta e aiutata. In seguito acquisisce autonomia organizzativa e operativa, con l’ambizione di diventare la quinta mafia del Sud. (sdisonorate.it)
12 Novembre 2000 Pollena Trocchia (NA). Uccisa Valentina Terracciano, due anni, durante una sparatoria.
Valentina viene uccisa a Pollena Trocchia mentre si trova nel negozio dello zio, Fausto Terracciano. Con lei anche la madre e il padre i quali restano lievemente feriti.
L’obiettivo dell’agguato di Camorra è il fratellastro di Fausto, Domenico Arlistico, ma l’impossibilità di trovare l’uomo predestinato spinge i sicari a colpire un suo congiunto, lo zio di Valentina appunto, compiendo cosi una “vendetta trasversale”.
La bambina viene colpita da diverse pallottole alla testa e muore dopo un giorno di agonia all’ospedale. I killer di Valentina saranno oggetto, alcuni giorni dopo il delitto, di un’esecuzione propagandistica a Cerveteri, nel Lazio, ordinata dalla stessa malavita.
Per questo ultimo delitto la corte di appello di Roma ha riconosciuto nel 2013 come unico responsabile Gennaro Veneruso, condannato all’ergastolo. (Fond. Pol.i.s.)
13 novembre 2009 Ercolano (NA). Ucciso Salvatore Barbaro, cantante di 29 anni, per errore. Viaggiava su un’auto dello stesso modello del destinatario dell’agguato. Vittima innocente di una guerra tra clan.
Salvatore Barbaro era detto ‘il cantante’, pseudonimo Salvio, amava esibirsi in locali del Vesuviano con canzoni neomelodiche. Era conosciuto dagli amici come una brava persona, solare e sempre disponibile. Aveva un figlio, allora di tre anni e avrebbe dovuto sposarsi un mese dopo l’agguato. Quel pomeriggio del 13 novembre del 2009 percorreva via Mare, ad Ercolano, a bordo della Suzuki Swift con accanto un’altra persona. All’altezza dell’ingresso secondario degli Scavi archeologici, fu raggiunto dai proiettili alla zona cervicale e morì all’istante. Le indagini hanno appurato che in realtà Barbaro era stato scambiato per un affiliato al clan rivale con il quale aveva in comune solo lo stesso modello di auto. L’episodio è stato ricostruito grazie ad intercettazioni telefoniche e al contributo di collaboratori di giustizia. (leggo.it)
L’autore dell’omicidio è stato condannato all’ergastolo.
14 novembre 1923 Canicattì (CL). Biagio Pistone, maresciallo dei Carabinieri, fu ferito mortalmente durante l’arresto di un latitante
Il Maresciallo dei Carabinieri, Biagio Pistone fu ucciso mentre era in servizio nel tentativo di arrestare un latitante. Nonostante fosse stato colpito da un colpo di rivoltella, bloccò comunque al suolo il mafioso latitante Peppino Giacona fino all’arrivo dei rinforzi.
Fonte: vivi.libera.it
14 Novembre 1948 Palermo. Gli agenti Aldo Archenti e Vittorio Baldari restano uccisi in uno scontro a fuoco contro dei banditi
Il vicebrigadiere Aldo Archenti e le guardie Vittorio Baldari e Iannotti, insieme ad un quarto agente, stavano facendo rientro alla propria caserma dopo essersi recati a Palermo per servizio, quando la loro jeep venne investita da raffiche di mitra sparate da alcuni banditi nascosti dietro i cespugli. Gli agenti si gettarono al riparo della vettura per potere rispondere al fuoco ma vennero colpiti alle spalle da altri banditi nascosti dietro ad altri cespugli. Il vicebrigadiere Archenti e la guardia Baldari rimasero uccisi sul colpo, mentre di Iannotti non è certo il decesso. Il quarto agente rimase illeso.
La Banda di Salvatore Giuliano, tra il 1943 ed il 1950 , si rese responsabile della morte di centinaia di persone e tra questi decine di appartenenti alle Forze dell’Ordine. (Cadutipolizia.it)
14 novembre 1975 Oristano. Rapito Pietro Riccio, avvocato. Morì durante la prigionia, i resti furono ritrovati nel 1997.
Pietro Riccio (Sedilo, 12 aprile 1921 – 14 novembre 1975) è stato un politico italiano.
Laureato in Giurisprudenza, esercitò la professione di avvocato diventando uno dei più noti penalisti sardi. Iniziò la carriera politica come sindaco di Oristano e nel 1972 fu eletto alla camera dei deputati nelle file della Democrazia Cristiana.
Nel novembre 1975, mentre era ancora in carica come deputato, fu fatto sequestrare e uccidere dal bandito Giovanni Santo Puddu, di cui era stato difensore, che voleva vendicarsi per l’eccessiva parcella pagata per una difesa giudicata insufficiente.
it.wikipedia.org
14 Novembre 1979 Milano. Rapito Cesare Pedesini, 57 anni, grossista di prodotti petroliferi. Il suo corpo non sarà mai ritrovato.
Quel 14 novembre ’79, Cesare Pedesini è al lavoro nell’azienda di cui è titolare, la “Pedesini fratelli – nafta, gasolio, riscaldamento” di Milano. Tre banditi armati fanno irruzione negli uffici della ditta e prelevano l’imprenditore, poi fuggono a bordo di un’auto guidata da un complice. Verranno fermati dei pregiudicati calabresi, ma le indagini non porteranno a nulla. Inutile dirlo, di Pedesini non si riuscirà a recuperare nemmeno il corpo. (Tratto dal libro Dimenticati di D. Chirico e A. Magro)
14 Novembre 1982 Palermo. In Via Notarbartolo ucciso Calogero Zucchetto, impegnato nella ricerca dei mafiosi latitanti
Calogero Zucchetto era un Poliziotto. Si occupava di mafia ed in particolare collaborava alla ricerca dei latitanti che allora erano molto numerosi.
Con il commissario Cassarà andava in giro in motorino per i vicoli di Palermo ed in particolare per quelli della borgata periferica di Ciaculli, che conosceva bene, a caccia di ricercati. In uno di questi giri con Cassarà incontrò due killer al servizio dei corleonesi, Pino Greco detto “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, che aveva frequentato quando non erano mafiosi. Questi lo riconobbero e non si fecero catturare. All’inizio di novembre del 1982, dopo una settimana di appostamenti, tra gli agrumeti di Ciaculli riconobbe il latitante Salvatore Montalto, boss di Villabate, ma essendo solo e non avendo mezzi per catturarlo rinunciò alla cattura, avvenuta poi il 7 novembre con un blitz del Cassarà.
La sera di domenica 14 novembre 1982, all’uscita dal bar “Collica” in via Notarbartolo, un’elegante via del centro di Palermo, fu ucciso con cinque colpi di pistola alla testa sparati da due killer in sella ad una moto.
Successivamente gli autori del delitto vennero individuati in Mario Prestifilippo e Pino Greco, gli stessi che aveva incrociato in motorino. Come mandanti furono in seguito condannati i componenti della “cupola mafiosa”, cioè gli appartenenti all’organo più importante della “Cosa Nostra”, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Calogero Ganci ed altri. (Tratto da Wikipedia)
14 Novembre 1988 Locri. Assassinata Maria Stella Callà, 38 anni, dipendente amministrativa del carcere, aveva rifiutato di avere una relazione con un detenuto.
Nel 1988 viene ammazzata con un colpo di pistola Maria Stella Callà, trentottenne, dipendente del settore amministrativo del carcere di Locri. La sera del 14 novembre, Maria Stella sente suonare alla porta, apre, esce sul pianerottolo. C’è una persona che conosce. Parlano per qualche minuto. Poi si sente un colpo di pistola. Maria Stella viene colpita alla faccia e cade a terra, morta. Accorre suo figlio Giovanni di quattordici anni, che vive con lei dopo la separazione dal marito. Piange, si dispera. Ha perso sua madre senza ragione. Viene accusato dell’omicidio un giovane pregiudicato di Africo Nuovo, che aveva conosciuto Maria Stella durante la sua detenzione nel carcere di Locri. Pare volesse una storia d’amore. Non era ricambiato. (“Dimenticati – Vittime della ‘ndrangheta” di Danilo Chirico e Alessio Magro)
14 novembre 1992 Lecce. Antonio Russo, 45 anni, commerciante, ucciso nel corso di una rapina.
Antonio Russo, 45 anni, ucciso a Lecce il 14 novembre 1992, nel corso di una rapina.
Antonio Russo era un commerciante, aveva aperto un’attività a Lizzanello, nel leccese. Fu ucciso a soli 45 anni la sera del 14 novembre del 1992 nel corso di una tentata rapina al suo esercizio commerciale.
Fonte: vivi.libera.it
14 novembre 1996 Sant’Anastasia (NA). Luigia Esposito, 27 anni, uccisa con 23 coltellate; testimone di un omicidio.Novembre 14, 1996
Luigia Esposito viene trovata senza vita a Sant’Anastasia (NA), uccisa da 23 coltellate.
La ragazza è tossicodipendente ed è per questo motivo che le indagini, in un primo momento, sono orientate a trovare un movente e i colpevoli proprio in quell’ambiente. Le confessioni rese da un collaboratore di giustizia permettono successivamente di arrivare alla verità giudiziaria e alla condanna del mandante.
La ragazza viene uccisa perché alcuni giorni prima ha assistito all’omicidio di Ciro Rispoli, delitto commesso nell’ambito della faida tra i clan della zona orientale di Napoli. Il boss Cuccaro incarica così il futuro collaboratore di giustizia e suo cognato di uccidere Luigia. Tre giorni dopo l’omicidio di Rispoli, Luigia viene accoltellata in aperta campagna.
La storia di Luigia è la storia di una testimone sparita due volte. Viene uccisa dalla camorra in un pomeriggio di martirio e il suo processo è poi eliminato; svanito in un caso limite di cattiva giustizia. Liberati killer e mandanti, nessuno li ha giudicati né condannati. Nove anni dopo, un gip, rimettendo ordine in una valanga di carte, scopre che il delitto di Luigia Esposito è stato dimenticato.
[…]
Fonte: fondazionepolis.regione.campania.it
14 Novembre 2010 Palmi (RC). Ucciso per errore Martino Luverà, operaio di 33 anni, mentre stava rincasando. Era sulla linea di fuoco del vero obiettivo.
Era una tragica sera di autunno, il 13 novembre del 2010, quando Martino Luverà, operaio 33enne originario di San Martino di Taurianova, ma da tempo residente in provincia di Imperia, andò incontro, suo malgrado, all’appuntamento con la morte. Un destino baro e assassino lo attendeva mentre stava rincasando nell’abitazione di alcuni parenti presso i quali stava trascorrendo un periodo di vacanza. Quella stessa sera, secondo l’ipotesi accusatoria, Paolo Chiappalone, stava invece per portare a compimento i suoi propositi punitivi nei confronti dell’avvocato Francesco Nizzari, reo di seguire per la moglie la causa di separazione. Secondo gli inquirenti, Luverà avrebbe trovato la morte poiché si trovava sulla linea di fuoco, a circa 20 metri di distanza dal Nizzari, che era il reale obiettivo dell’agguato consumatosi a Palmi (RC) in via Antonino Fondacaro. Luverà sarebbe morto quindi solo per uno sfortunatissimo caso. (GazzettadelSud.it)
15 Novembre 1986 Cittanova (RC). Ucciso Antonio Bertuccio, 41 anni, lascia moglie e 5 figli.
Nacque il 17 giugno 1945 ed era un capocantiere edile di Cittanova (RC). Il 15 novembre 1986, durante una battuta di caccia, fu avvicinato da dei balordi che volevano derubarlo. Ci fu un diverbio e Antonio Bertuccio venne ucciso. Aveva moglie e 5 figli. (Liberanet.org)
15 Novembre 1995 Somma Vesuviana (NA). Resta ucciso il piccolo Gioacchino Costanzo di 2 anni, che era in compagnia dello zio, vero obiettivo dei sicari.
Gioacchino Costanzo venne ucciso dalla camorra a San Giuseppe Vesuviano (Napoli) il 15 ottobre 1995, quando aveva solo diciotto mesi. Il bambino si trovava in auto con il convivente della nonna, un pregiudicato venditore di sigarette di contrabbando; Averaimo era solito girare spesso con il bimbo convinto che i rivali non avrebbero mai messo in pericolo la sua vita. Morirono entrambi, per mano di qualcuno senza scrupoli ne dignità, sotto il fuoco impazzito delle armi.
17 Novembre 1920 Gibellina (TP). Assassinato Stefano Caronia, arciprete.
Il 17 novembre del 1920 a Gibellina (TP) fu ucciso l’arciprete Stefano Caronia. Era un prete sociale. Aveva contribuito a fondare la Cooperativa di Consumo e si era impegnato nella battaglia contro i feudatari a favore della popolazione locale.
17 Novembre 1981 Villa Literno (NA). Trovato nelle campagne il corpo sensa vita di Michele Borriello, 24 anni, sposato, padre di due bambini. Colpito alle spalle è morto dissanguato. Ucciso probabilmente perché testimone dell’omicidio di un pregiudicato.
Michele Borriello, 24 anni. Viene ucciso il diciassette novembre del 1981 a Villa Literno, in un agguato teso da un boss perché testimone scomodo di un omicidio di camorra, molto probabilmente si trovava nelle campagne di Villa Literno per una gara di tiro a piattello. Lascia la moglie e due bambine piccole.
Michele Borriello è stato riconosciuto vittima innocente della criminalità organizzata.
17 Novembre 1986 Palermo. Rosario Pietro Giaccone, Carabiniere Ausiliario in congedo, fu ucciso in un agguato mafioso.
Rosario Pietro Giaccone, aveva 26 anni, quando, il 17 novembre 1986 fu ucciso con un’azione da guerriglia in via Verga a Palermo. Il movente starebbe in un episodio di sei anni prima, quando Giaccone, carabiniere ausiliario, si era ritrovato in un conflitto a fuoco con una banda che aveva assaltato la cassa del mercato ortofrutticolo di Palermo. A terra era rimasto il cadavere di un bandito, ucciso da un colpo della pistola d’ordinanza di Giaccone. Quel rapinatore era nipote di Armando Bonanno (successivamente vittima della lupara bianca). Solo nel 1993 la Corte d’Assise di Palermo ha confermato la sentenza che riconosceva la matrice mafiosa dell’omicidio . Nel 2006 gli è stata conferita al medaglia d’oro al merito civile.
17 Novembre 1998 Palma di Montechiaro (AG) Ucciso Antonio Condello, 32 anni, agente penitenziario presso il carcere di Agrigento.
Agente Scelto del Corpo di polizia penitenziaria – nato a Palma di Montechiaro (AG) il 28.4.1966, in servizio presso la Casa Circondariale di Agrigento. Il 17 novembre 1998, durante la notte, veniva ucciso a Palma di Montechiaro (AG), in una stradina che sbuca in una piazzola cieca, da ignoti con undici colpi di pistola. Ad oggi non risultano indagati del delitto né se ne conoscono le motivazioni. (Poliziapenitenziaria.it)
18 novembre 1981 Cosenza. Assassinato Santo Nigro, commerciante, vittima del racket delle estorsioni.
L’imprenditore Santo Nigro, 47 anni, fu assassinato in un suo negozio di Cosenza, come monito agli altri commercianti, perché si rifiutava di pagare il pizzo. Così i clan nel pomeriggio del 18 novembre dell’81 lo hanno punito: una scarica di colpi di pistola di fronte agli occhi del figlio, ferito ad una gamba e lasciato a vedere il padre agonizzare.
Dopo 40 anni arrestati due uomini, del clan Perna-Prano, figure storiche di rilevo della criminalità organizzata cosentina.
18 Novembre 1988 Santa Margherita Belice (AG). Ucciso Giuseppe Montalbano, ex medico condotto,
Giuseppe Montalbano era nato a Contessa Entellina l’8 gennaio del 1925. Lavorava a Camporeale ed era un medico. Fu ucciso il 18 novembre 1988 in prossimità della sua casa di campagna. Era stato colpito alla testa da colpi di arma da fuoco. Nel corso di una perquisizione domiciliare nella sua abitazione veniva trovata un’agenda in cui Montalbano aveva scritto appunti personali la cui lettura evidenziava la sua convinta e precisa avversione alla mafia e a ogni altra forma di sopraffazione. Montalbano era stato ufficiale sanitario di Camporeale, poi aveva scelto di esercitare il ruolo di medico della mutua. Ma non era disponibile ad accettare imbrogli di qualsiasi genere e non nascondeva la sua antipatia per Cosa Nostra.
18 Novembre 1994 Taranto. Ucciso Carmelo Magli, Agente del Corpo di Polizia Penitenziaria.
Carmelo Magli, agente del Corpo di Polizia Penitenziaria – nato a Francavilla Fontana (BR) il 04/03/1970 in servizio presso la Casa Circondariale di Taranto.
Il 18 novembre 1994, a Taranto smontante dal turno di 16/24 nel percorrere con la propria autovettura il tragitto che l’avrebbe condotto a casa viene assassinato in un vile agguato perpetrato da appartenenti ad una associazione a delinquere di stampo mafioso.
Carmelo Magli è stato riconosciuto “Vittima del Dovere” ai sensi della Legge 466/1980 dal Ministero dell’Interno e a lui è intitolato l’istituto penitenziario di Taranto.
Nota da polizia-penitenziaria.it
I tre responsabili dell’omicidio sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Lecce.
18 Novembre 1996 Trapani. Maria Antonietta Savona e il suo bambino, di appena 1 mese, Riccardo Salerno, restano uccisi in uno scontro con l’auto di un magistrato.
Maria Antonietta Savona fu coinvolta in uno scontro con l’auto del magistrato di Sciacca, Bernardo Petralia, a Trapani il 18 novembre del 1996. Con lei perse la vita anche il suo bambino, che aveva poco più di un mese, Riccardo Salerno.
21 Novembre 1987 Catania. Ucciso Gaetano Miano, panettiere di 29 anni. Era colpevole di essere il fratello di pentiti.
Gaetano Miano, panettiere di Catania, aveva 29 anni e l’unica colpa di essere il fratello di pentiti. “Era incensurato e non aveva mai avuto a che fare con le cosche. Gestiva un panificio in via Vittorio Emanuele, nel centro storico della città. Una vita tranquilla, ordinata, scandita dalle levatacce per andare ad aprire il forno. Proprio di questa routine hanno approfittato gli assassini che lo hanno atteso sotto casa, in via Acquedotto Greco, alle sei, in un’ alba gelida e piovosa, i killer hanno agito indisturbati, senza che nessuno li vedesse. Contro Gaetano Miano sono stati sparati sette colpi di calibro 38. Raggiunto dai primi proiettili, l’ uomo ha cercato scampo in un portone ma è stato raggiunto e finito con tre colpi alla testa” (La Repubblica).
21 Novembre 1988 Palermo. Resta ucciso Michele Virga nell’agguato al boss di Misilmeri, con cui era in auto.
Michele Virga, 52 anni, venne ucciso a Palermo il 21 novembre 1988 da proiettili diretti a Giovanni Amato (patriarca di Misilmeri). Michele Virga, ex vigile urbano che da qualche anno gestiva un autosalone, è morto perché si trovava in auto con lui.
21 novembre 1990 Riesi (CL). Luigi Volpe, 32 anni, vittima innocente di una faida.
Luigi Volpe, 32 anni, fu ucciso a Riesi (CL) il 21 novembre del 1990.
Luigi Volpe vittima innocente di una feroce faida tra cosche rivali. Una serata di sangue a Riesi, un paese a 40 chilometri da Caltanissetta, quella del 21 novembre 1990. Le vittime designate dell’agguato, scattato poco dopo le 19.45 davanti al Bar della Gioventù, erano Filippo Marino, 39 anni, e Giuseppe Laurino, 41 anni. Due pregiudicati che facevano parte di uno dei clan che a Riesi sono in guerra per il controllo del territorio. I killer, tre o quattro a bordo di una Fiat Uno scura, hanno aperto il fuoco uccidendo Laurino. Marino ha tentato una disperata fuga durata solo pochi metri. I carabinieri, richiamati dagli spari, sono giunti proprio nel momento in cui stavano esplodendo il colpo di grazia. Dalla Uno sono partiti subito i primi colpi e nella piazza un uomo di 32 anni, Luigi Volpe, vittima innocente della furia omicida, cadde a terra senza vita.
Fonte: vivi.libera.it
21 Novembre 1990 Melilli (SR). Resta ucciso Pietro Caruso, 30 anni. Vittima “per caso”
Pietro Caruso, trentenne originario di Augusta, è stato ucciso il 21 novembre del 1990 in contrada Moncino, a due chilomettri di distanza da Villasmundo, frazione di Melilli (SR). Viaggiava in sella alla sua motoretta quando un’auto, senza controllo in quanto il guidatore era stato colpito a morte da due sicari, lo ha investito causandone la morte.
21 Novembre 2004 Napoli. Gelsomina Verde, 22 anni, torturata, uccisa e bruciata all’interno della sua auto.
Gelsomina Verde è una vittima innocente della camorra, torturata e uccisa a 22 anni nel pieno della cosiddetta faida di Scampia.
Il corpo della giovane donna, uccisa con tre colpi di pistola alla nuca dopo ore di torture, fu poi bruciato per nascondere i segni di quelle torture. Era il 22 novembre del 2004.
Gelsomina era del tutto estranea alle logiche dei clan. Giovane operaia in una fabbrica di pelletteria aveva avuto una relazione con un ragazzo appartenete agli scissionisti. Questo legame sentimentale si era interrotto alcuni mesi prima dell’assassinio della ragazza.
La famiglia di Gelsomina Verde si costituì parte civile nel procedimento penale che si concluse il 4 aprile 2006 con la condanna all’ergastolo di Ugo De Lucia (classe 1978, considerato uno dei più efferati killer del clan Di Lauro), ritenuto l’esecutore materiale, e con la condanna ad anni sette e mesi quattro di reclusione del collaboratore di giustizia Pietro Esposito.
Il 13 dicembre 2008, Cosimo Di Lauro, 35 anni, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Gelsomina Verde, perché ritenuto mandante ell’omicidio. L’11 marzo 2010, lo stesso Di Lauro, pur non ammettendo la responsabilità del delitto, ha risarcito la famiglia di Gelsomina Verde con la somma di trecentomila Euro. In seguito al risarcimento, la famiglia della vittima ha rinunciato a costitursi parte civile. Nel dicembre del 2010, Cosimo Di Lauro è stato assolto dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio. (Fondazione Pol.i.s.)
22 novembre 1920 Borgetto (PA). Uccisi Bernardo Taormina e l’amico Francesco Macaluso, giovane maestro di musica che aveva deciso di candidarsi a sindaco e mettersi contro i mafiosi che comandavano in paese.
Borgetto (PA), 22 novembre del 1920. Il giovane Bernardo Taormina , professore d’italiano mutilato, tornato a casa dopo tanti anni di guerra, strinse amicizia con un certo Francesco Macaluso, giovane maestro di musica che aveva deciso di candidarsi a sindaco di Borgetto e mettersi contro i mafiosi che comandavano in paese.
“Bernardo” gli diceva spesso il padre, “lascia stare il maestro Francesco, non è visto bene in paese, non passeggiare con lui nel corso del paese, non l’avvicinare, figlio mio, allontanalo e lascialo solo perché i mafiosi gli possono fare del male”. Bernardo faceva orecchie da mercante, credeva nell’amicizia e nella giustizia, parlava di legalità, dignità e cambiamento.
E fu così che quel giorno mentre passeggiavano vicino la via Barretta traversa del corso Roma a Borgetto, due mafiosi con la pistola gli spararono. Francesco morì sul colpo mentre Bernardo, ferito solo da un proiettile, perché l’altro aveva preso l’orologio nel taschino, fu caricato sopra il camion e trasportato all’ospedale San Saverio di Palermo. Durante il tragitto suo padre gli chiedeva: “Chi è stato figlio mio, dimmi chi ti ha sparato” e lui facendogli un sorriso rispondeva : “Perdonami padre mio non è per omertà, ma ti voglio proteggere, non posso permettere che i miei fratelli rimangano dopo di me anche senza di te, spero solo che un giorno le cose a Borgetto possano cambiare e le persone comincino a ribellarsi e denunciare”. (Tratto da Telejato.globalist.it)
22 Novembre 1995 Locri. Ucciso Fortunato Correale, meccanico. Onesto cittadino ucciso dalla mafia perché non aveva rispettato le regole dell’omertà.
Fortunato Correale, 44 anni, padre di tre figli, il 22 novembre del 1995 è stato crivellato da sette colpi di pistola nella sua autofficina di Locri.
Correale aveva rotto l’omertà, aveva parlato dei movimenti di un gruppo di giovani d’ onore che andavano in giro a bruciare le auto dei carabinieri per intimidirli, ma le “famiglie” erano subito venute a conoscenza della testimonianza, di quella sua e di quella della moglie e scattò la vendetta, puntuale, feroce, “esemplare” perché tutti vedessero e tutti si regolassero di conseguenza, cucendosi la bocca.
23 Novembre 1989 Bagheria (PA). Uccise Leonarda Cosentino, Vincenza Marino Mannoia e Lucia Cosentino, rispettivamente madre, sorella e zia del pentito Francesco Marino Mannoia
Strage di mafia il 23 novembre 1989 a Bagheria (PA): Leonarda Cosentino, Vincenza Marino Mannoia e Lucia Cosentino, rispettivamente madre, sorella e zia del pentito Francesco Marino Mannoia, sono state massacrate da almeno due killer armati di un fucile calibro 12 e di una pistola calibro 38. L’agguato, senza precedenti nella storia di Cosa Nostra, è scattato poco dopo le 21 in via De Spuches, nella parte nuova di Bagheria, a circa un chilometro dallo svincolo autostradale per Palermo.
23 novembre 1989, Cittanova (RC). Ucciso Michele Piromalli, 23 anni, operaio edile, vittima innocente in uno scontro a fuoco.
Michele Piromalli, nacque a Cittanova (Rc) il 29 maggio 1966. Era un ragazzo con una gran voglia di vivere, socievole e altruista, lavorava come operaio in una ditta edile del suo paese, tutti gli volevano bene.
Michele Piromalli, il 23 novembre 1989 andò a prendere all’uscita della scuola serale i suoi amici, ma mentre aspettava fuori dalla scuola venne colpito dai proiettili sparati durante uno scontro a fuoco. Aveva appena 23 anni.
Fonte: docplayer.it
23 Novembre 1993 Altofonte (PA). Rapito Giuseppe di Matteo, 11 anni, tenuto in ostaggio fino all’11 Gennaio 1996, strangolato ed il corpo sciolto nell’acido.
Figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. Fu rapito il 23 novembre 1993, quando aveva 12 anni, al maneggio di Altofonte (PA) da un gruppo di mafiosi che agivano su ordine di Giovanni Brusca, allora latitante e boss di San Giuseppe Jato. Il piccolo fu legato e lasciato nel cassone di un furgoncino Fiat Fiorino, prima di essere consegnato ai suoi carcerieri. La famiglia cercò presso tutti gli ospedali cittadini notizie del figlio, ma quando, il 1º dicembre 1993, un messaggio su un biglietto giunse alla famiglia con scritto «Tappaci la bocca» e due foto del bambino che teneva in mano un quotidiano del 29 novembre 1993, fu subito chiaro che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci e sull’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo.
Il 14 dicembre 1993, Francesca Castellese, moglie di Di Matteo, denunciò la scomparsa del figlio. In serata fu recapitato un nuovo messaggio a casa del suocero (Giuseppe Di Matteo, padre di Santino) con scritto «Il bambino lo abbiamo noi e tuo figlio non deve fare tragedie». Dopo un iniziale cedimento psicologico il pentito non si piegò al ricatto, sebbene fosse angosciato dalle sorti del figlio, e decise di proseguire la collaborazione con la giustizia.
Brusca decise così l’uccisione del ragazzo, ormai fortemente dimagrito e indebolito per la prolungata e dura prigionia, e che venne strangolato e successivamente sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996, all’età di 15 anni, dopo 779 giorni di prigionia. (Tratto da Wikipedia)
23 Novembre 1996 Torre Annunziata (NA). Ucciso il commerciante Raffaele Pastore “per aver osato denunciare e fatto imprigionare chi gli chiedeva il pizzo sui suoi onesti guadagni”.
Il 23 novembre 1996 Pastore Raffaele, 35 anni, piccolo commerciante all’ingrosso di prodotti alimentari, venne ucciso nel suo negozio di Torre annunziata (NA) con otto colpi di arma da fuoco da due uomini con il volto coperto da passamontagna perché si era rifiutato di pagare il pizzo ed aveva denunciato i suoi taglieggiatori. Con lui c’era anche la mamma, Antonietta Auricchio di 66 anni, rimasta ferita.
I due malviventi scapparono senza lasciare alcuna traccia dopo aver raggiunto il loro obiettivo.
La vittima precedentemente aveva subito continue minacce senza mai cedere e senza mai denunciare nulla fino al giorno in cui un esponente del clan camorristico dei Gionta lo minacciò pesantemente.
Lo stesso chiese solidarietà ad altri commercianti, ma nessuno gli fu vicino. Di fronte all’ultimatum il commerciante si rivolse alla polizia. Grazie alle sue indicazioni fu arrestato Filippo Gallo, di anni 32.
Raffaele Pastore sapeva che la sua testimonianza era uno “sgarro” alla malavita. Infatti, temeva per la sua vita. Così richiese ed ottenne il porto d’armi per difesa personale, ma l’arma che comprò non la portava mai con sé. Per questo era disarmato quando i sicari entrarono nel suo negozio per ucciderlo. (Fondazione Pol.i.s.)
24 Novembre 1948 Montelepre (PA) In località Giardinello, Baldassare Maragioglio, 33 anni, Guardia di P.S., resta ucciso in uno scontro a fuoco con dei malviventi.
Il 24 novembre 1948 una squadra del Raggruppamento di P.S. di Palermo è impegnata nell’ennesimo rastrellamento alla ricerca di Salvatore Giuliano e della sua banda. Nei pressi del paese di Montelepre, in località Giardinello, si scatena una sparatoria che si protrae per più di un’ora. Quando alla fine giungono i soccorsi, a terra restano due uomini: la guardia Baldassarre Maragioglio, 33 anni, che morirà dopo poco all’ospedale militare di Palermo, e un bandito.
24 Novembre 1982 San Cataldo (CL). Ucciso Carmelo Cerruto, Brigadiere Polizia Penitenziaria
Carmelo Cerruto, brigadiere Polizia Penitenziaria, viene ucciso il 24 novembre 1982, alle ore 8,30 circa, in via Regina Elena a San Cataldo (CL), mentre si recava in servizio, a pochi centinaia di metri dal suo ufficio, con diversi colpi d’arma da fuoco. Fu ucciso probabilmente perché stava indagando sull’uccisione del figlio Emanuele, avvenuta il 21 settembre 1981.
24 Novembre 2009 Milano. Scompare Lea Garofalo, testimone di giustizia. I suoi resti bruciati ritrovati nel novembre 2012.
Lea Garofalo, giovanissima, negli anni Novanta, si era innamorata di Carlo Cosco, un suo paesano, tutti e due della provincia di Crotone. Emigrano insieme a Milano, lui comincia a frequentare gli spacciatori di Quarto Oggiaro, uno dei tanti gironi della ‘ndrangheta esportata in Lombardia. Intanto nasce Denise, e intanto Carlo Cosco diventa sempre di più un piccolo capo del crimine. Dopo qualche anno, Lea non ce la fa più. E lo lascia. Decide anche di collaborare con i giudici, raccontando le trame e i delitti dei suoi parenti (padre e un fratello uccisi) e quelli dei Cosco. Una testimone di giustizia e, come tale, scompare per molto tempo. Poi, un giorno, Carlo Cosco viene a sapere dove abita – a Campobasso – e le manda un sicario, travestito da idraulico. Lea è con Denise, si salvano. È il maggio del 2009. Ma pochi mesi dopo cade in un’altra trappola. Carlo Cosco chiede di rivederla “per amore di nostra figlia”, lei accetta. È la sera del 24 novembre del 2009. È l’ultima sera di Lea a Milano. Alle 18,37 Lea viene ripresa per l’ultima volta dalle telecamere in fondo a Corso Sempione. Un attimo dopo la caricano su un furgone. Da quel momento Lea non esiste più. “È in vacanza in Australia”, dicono gli avvocati dei Cosco, quando arriva una denuncia “per sequestro di persona”. Lea è già morta. Portata in un magazzino, seviziata e “interrogata” dal padre di sua figlia per scoprire cosa aveva raccontato ai magistrati, poi la uccidono. In un primo momento Carlo Cosco prova a difendersi dicendo che non è stato un omicidio di ‘ndrangheta ma d’impeto, che i pentiti “stanno costruendo castelli di sabbia”.In un primo momento gira anche la voce che Lea sia stata sciolta nell’acido, ma la verità su di lei affiora all’improvviso. Con un racconto dell’orrore di Carmine Venturino, un ragazzo che il padre di Denise ha spinto a corteggiare la figlia. Per controllarla, spiarla. Poi i due si fidanzano. Poi ancora Carmine confessa come è stata uccisa veramente Lea: legata, strangolata, bruciata in un bidone. I suoi resti ritrovati in un tombino nel 2012. Carlo Cosco voleva anche la morte della figlia, Denise stava parlando anche lei. (Tratto da La Repubblica del 17 ottobre 2013)
25 Novembre 1945 Cattolica Eraclea (AG) Muore Giuseppe Scalia, sindacalista socialista, vittima di un attentato subito il 18 dello stesso mese.
Era il 18 novembre del 1945 quando a Cattolica Eraclea, piccolo centro dell’Agrigentino, fu ferito a morte in un attentato il sindacalista socialista Giuseppe Scalia, tra i fondatori della cooperativa agricola La Proletaria. Morirà, in seguito alle ferite, il 25 novembre.
Scalia passeggiava davanti alla sede della Camera del Lavoro in compagnia del vice-sindaco socialista Aurelio Bentivegna. Contro i due furono lanciate bombe a mano da un gruppo di sicari mafiosi. Non furono aperte neanche le indagini.
Finita la guerra, Scalia si era posto con altri contadini alla testa del movimento bracciantile. La sua azione fu convinta e coraggiosa, per questo venne scelto per la carica di segretario della Camera del Lavoro locale. Nei mesi in cui ricoprì questo incarico crebbe la stima di tutti verso la sua persona e la sua intelligenza politica. Contemporaneamente crebbe l’odio della mafia locale e degli agrari che cercavano di conservare i propri privilegi.
Nonostante le minacce di morte e il clima di paura che dominava in quegli anni nelle campagne, Scalia perseverò nel suo impegno, spesso recandosi nei centri vicini per sostenere le lotte dei contadini di Siculiana, Montallegro e Sciacca. (Tratto da Onoreaglieroi.splinder.com)
25 Novembre 1946 Joppolo Giancaxio (AG). Ucciso Giovanni Severino, Segretario della Camera del Lavoro.
25 novembre 1946, a Joppolo Giancaxio (Agrigento), viene ucciso Giovanni Severino, segretario della Camera del lavoro
25 Novembre 1985 Palermo. Persero la vita Biagio Siciliano e Maria Giuditta Milella, alunni del Liceo Meli, falciati da una macchina della scorta dei magistrati Borsellino e Guarnotta, mentre attendevano l’autobus in via Libertà. 23 furono i feriti.
Per Biagio Siciliano, 15 anni, e Giuditta Milella, 16 anni, studenti del Liceo Meli di Palermo il 25 novembre del 1985 fu l’ultimo giorno di scuola. Una macchina di scorta che accompagnava i giudici Guarnotta e Borsellino piombò sulla fermata del liceo Meli a piazza Croci, sui ragazzi assiepati in attesa dell’autobus che li portasse a casa, alla fine delle lezioni. Ci furono 23 feriti ma i due studenti furono sfortunati. Biagio Siciliano morì subito. Giuditta Milella spirò l’1 dicembre successivo.
26 Novembre 1990 San Ferdinando (RC). Ucciso Ferdinando Barbalace, 42 anni, per non lasciare testimoni. Si era fermato pensando di soccorrere una vittima di un incidente stradale.
San Ferdinando (RC), 26 novembre 1990. Viene ucciso il commercialista Ferdinando Barbalace, 42 anni. Si era fermato a soccorrere quello che pensava fosse la vittima di un incidente stradale. Ma i killer appostati per uccidere Rocco Tripodi, appena assassinato, gli hanno lasciato il tempo appena di girare le spalle. Ucciso per non lasciare testimoni.
27 Novembre 2007 San Giorgio a Cremano (NA). Umberto Improta, 25 anni, resta ucciso durante una rissa per futili motivi.
Umberto Improta viene colpito da un proiettile vagante mentre esce dal Caffè del Presidente a San Giorgio a Cremano. Umberto è coinvolto in una rissa sebbene sia completamente estraneo alle dinamiche del fatto.A dover essere colpito un altro Umberto che aveva osato schiaffeggiare Luigi di Sarno alias “Topolino”, rampollo della famiglia di Ponticelli, nipote di Salvatore Di Perna. I tre ragazzi che hanno partecipato alla sparatoria si sono presentati al commissariato di Ponticelli, accompagnati dai loro avvocati.Si tratta di Luigi Sarno, 19 anni, detto ‘Topolino’, Salvatore Di Perna di 18 anni, detto “o Nerone’, e un minore di 17 anni.
Sarno e Di Perna sono stati rinchiusi nel carcere di Poggioreale, il minore è stato condotto presso il centro di prima accoglienza dei Colli Aminei.Nel mese di giugno del 2013, dopo condanne di primo grado, ricorsi e scarcerazioni, i giudici della Corte di Assise di Napoli hanno riconosciuto “il concorso anomalo” e condannato a soli 14 anni i due maggiorenni coinvolti nell’omicidio, sebbene il Procuratore generale avesse chiesto l’esclusione del “concorso anomalo” e la concessione delle attenuanti generiche.
Gli avvocati dei due responsabili della morte di Improta hanno dimostrato che quella sera i due hanno sparato non per uccidere ma per intimidire un gruppo di giovani con cui avevano litigato, ottenendo così il riconoscimento del “concorso anomalo” . (Fond. POL.I.S.)
28 Novembre 1946 Calabricata (CZ). Giuditta Levato, 31 anni, madre di due figli e incinta. viene uccisa da un campiere. Protagonista delle lotte contadine di Calabria.
Calabricata (CZ). Quel giorno di tardo mattino Giuditta Levato, già incinta di sette mesi, si recò alle terre che lei e i suoi compaesani avevano coltivato. La Commissione provinciale per le terre incolte glielo aveva permesso. Il decreto dell’allora ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo, voleva abbattere una volta per tutte il latifondo e stabilire l’eguaglianza e il diritto alla terra a tutti i cittadini. Quella mattina, era il 28 novembre 1946, anche l’agrario Pietro Mazza volle esprimere la sua opinione in materia. E decise di dare una lezione a quelli che considerava i suoi “usurpatori”. Per mano di un suo servo partì un colpo. Giuditta Levato cadde a terra. Venne trasportata sanguinante fino a casa. E poi in ospedale, dove morì.
28 Novembre 1949 Bagheria (PA). Uccisi i Carabinieri Francesco Butifar e Salvatore Messina.
Il 28 novembre 1949, il Maresciallo Capo Salvatore Messina, Comandante della Stazione Carabinieri di Bagheria Alta (PA), unitamente all’Appuntato Francesco Butifar, si recavano in una stalla per le ricerche di un carro agricolo oggetto di furto. Giunti sul posto i militari sorprendevano 6. Il Maresciallo procedeva alla loro identificazione, lasciando l’Appuntato BUTIFAR a guardia, sull’ingresso. Nel corso delle operazioni il Maresciallo si accorgeva della presenza di una pistola lasciata su una cassa vuota, riuscendo ad impossessarsene. A questo punto uno dei malviventi estraeva una pistola dalla cintola e colpiva il Maresciallo Messina al quale, nel cadere, sfuggiva di mano l’arma. In un tentativo estremo il Sottufficiale cercava di estrarre la propria pistola d’ordinanza, venendo nuovamente colpito a morte. Nel medesimo frangente altri malviventi ferivano gravemente anche l’Appuntato Butifar che, tuttavia, riusciva a trascinarsi dietro un riparo dal quale rispondeva al fuoco, ferendo uno dei malfattori. Di seguito, il graduato, in un supremo sforzo, tentava anche di inseguire per strada i fuggitivi, abbattendosi a terra dopo pochi metri privo di forze. Rinvenuto da un collega, occasionalmente in transito in quella strada, veniva trasportato presso l’Ospedale Militare di Palermo dove, tuttavia, giungeva cadavere. (Mediterraneonline.it)
29 Novembre 1946 Comitini (AG). Ucciso Filippo Forno, bracciante e sincacalista, e Giuseppe Pullara, un bracciante con cui stava percorrendo un tratto di strada.
Il 29 Novembre del 1946 in contrada Serra Palermo, al confine tra Aragona e Comitini (AG), venne trovato morto ammazzato il bracciante e sindacalista Filippo Forno di 46 anni, nato a Palermo il 23 maggio del 1900, figlio di Francesco e Antonia Greco. Stava ritornando a piedi dalla vicina Aragona, dove – secondo i testi più accreditati – si era recato per incontrare altri contadini della zona. Ma quella sera non fece rientro a casa. Lungo la strada della “Cirasa” trovò il paesano Giuseppe Pullara, un bracciante di origini favaresi dal carattere autoritario, ed insieme s’incamminarono. Vennero trovati morti, “colpiti entrambi da arma da fuoco”, si legge in una relazione dell’allora Pretura di Aragona. La moglie di Forno, Vittoria Nigrelli, solo da venti giorni aveva messo al mondo un’altra bambina. (Tratto dal libro Senza Storia di Alfonso Bugea e Elio Di Bella)
Nelle liste ufficiali, per un disguido burocratico, Filippo Forno viene erroneamente elencato con il nome di Paolo Farina o Paolo Farno
29 Novembre 1947 Partinico (PA). Ucciso in un agguato Luigi Geronazzo, Tenente Colonnello dei Carabinieri
Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Al comando di un battaglione Carabinieri impegnato duramente per più mesi contro una banda armata tristemente famosa per l’efferatezza dei gravi delitti compiuti, sempre primo nelle azioni più rischiose, dedicava tutto se stesso alla lotta, conseguendo proficui risultati e contribuendo a disorientare i fuorilegge. Di notte, mentre rincasava nella sede del comando, fatto segno, per rappresaglia, a scarica di arma da fuoco da malfattori in agguato, reagiva coraggiosamente, sebbene ferito mortalmente, facendo fuoco con la propria pistola. Montelepre (PA) – Partinico (PA) – Carini (PA) – Alcamo (TP) – Piana dei Greci (PA), agosto/novembre 1947”.
Nella stessa azione furono feriti quattro suoi carabinieri e il farmacista del paese.
29 Novembre 1985 Isola Delle Femmine (PA). Ucciso Enrico Antonio Monteleone, Brigadiere dei Carabinieri“
Il Brigadiere Antonio Enrico Monteleone accorre, insieme ad un altro militare dell’Arma, presso un ufficio postale dove è in corso una rapina. Tre malviventi stanno tentando la fuga facendosi scudo con i civili. Di fronte ai rapinatori il brigadiere si rifiuta di consegnare l’arma in dotazione, nonostante sia impossibilitato ad utilizzarla per non nuocere agli ostaggi. Seppure “disarmato”, Monteleone si scaglia contro i tre, ingaggiando una violenta colluttazione durante la quale, raggiunto da un colpo di pistola, rimane ferito mortalmente.” (Mediterraneonline.it)
29 Novembre 1995 Avola (SR). Ucciso l’imprenditore Antonino Buscemi, titolare di un’impresa edile. Probabilmente si era rifiutato di sottostare al racket o era riuscito ad aggiudicarsi lavori voluti da altri.
29 novembre 1995 Omicidio di Antonino Buscemi. Ad Avola (Siracusa), è ucciso l’imprenditore Antonino Buscemi, titolare di un’impresa edile. Probabilmente si era rifiutato di sottostare al racket o era riuscito ad aggiudicarsi lavori voluti da altri.
29 Novembre 1996 Palizzi (RC). Celestino Fava e Antonino Moio, trucidati senza pietà.
Celestino Fava era uno studente universitario impegnato nel volontariato. Aveva 22 anni quando lo uccisero, il 29 novembre del 1996, nelle campagne intorno a Palizzi, assieme all’amico Antonino Moio, 27 anni, vero obiettivo dei killer. Secondo gli inquirenti Celestino sarebbe stato eliminato proprio perchè testimone oculare dell’agguato. Riconosciuto subito vittima innocente di criminalità, Celestino, tuttavia, aspetta ancora giustizia. E così la sua famiglia. “Da più di venti anni ci dicono che manca solo una tessera nell’indagine”. Quell’unica tessera, come l’ultima di un puzzle, che sembra essere andata smarrita. (http://www.stopndrangheta.it/stopndr/art.aspx?id=1695,Celestino+Fava)
30 Novembre 1977 Palermo. Ucciso Attilio Bonincontro Brigadiere della Polizia Penitenziaria
Attilio Bonincontro, 53 anni, brigadiere degli agenti di custodia in servizio presso la Casa Circondariale Ucciardone di Palermo, fu ucciso il 30 novembre del 1977 mentre faceva ritorno presso la propria abitazione. Era dirigente dell’ufficio matricola dell’Ucciardone, era un sottoufficiale stimato, la sua morte provocò una vera e propria rivolta tra i colleghi che il giorno dopo si autoconsegnarono organizzando una manifestazione di protesta davanti al carcere.
Il Brigadiere Bonincontro è stato riconosciuto “Vittima del Dovere”
30 novembre 1986 Brindisi. Muore Francesco Ciccio Guadalupi, presidente di Assindustria, ferito in un tentativo di rapina in data 11 ottobre.
Francesco Ciccio Guadalupi, allora presidente di Assindustria Brindisi, ferito in un tentativo di rapina messo in atto l’11 ottobre del 1986 all’interno dello stabilimento di pastorizzazione del latte che aveva sede nel rione Casale, morì dopo una lunga agonia il 30 novembre dello stesso anno. È il primo omicidio di Vito Di Emidio, sicario della Scu, allora diciannovenne. Di Emidio negli anni successivi fu pluricondannato per 416bis, per omicidi e altri reati. Una carriera criminale da boss riconosciuto.
Fonte: vivi.libera.it
30 Novembre 2006 Giugliano (NA). Antonio Palumbo, bidello 63nne, ucciso da due rapinatori durante il colpo ad una tabaccheria
Antonio Palumbo, 63 anni, bidello della scuola elementare di Giugliano in Campania (NA), è morto sul colpo dopo essere stato colpito al petto durante una rapina alla tabaccheria dove era entrato per comprare le sigarette al figlio e un quaderno alla nipotina. I rapinatori erano in tre: uno faceva da palo e due sono entrati nel negozio a volto coperto. Il tabaccaio ha reagito alla rapina, ne è nata una colluttazione e subito dopo è iniziata la sparatoria; Antonio Palumbo si è trovato sulla traiettoria. I malviventi sono poi fuggiti a bordo di due moto, facendo perdere le loro tracce. Era il 30 Novembre del 2006.
Novembre 1991 Paterno Calabro (CS). Sparisce Anna Maria Cozza, 23 anni, vittima di lupara bianca. il 2 maggio 1990 avevano ucciso Gianfranco Fucci, operaio di 30 anni, suo nuovo compagno.
Neanche le mogli separate sfuggono alla vendetta. Anna Maria Cozza, 23 anni, ha deciso ormai da tempo che la sua vita al fianco di Francesco Chirillo è finita. Quel nome fa tremare le vene ai polsi a tanti. Ma lei non ha paura. Anche se il suo nuovo compagno, l’operaio 30enne Gianfranco Fucci, gliel’hanno ammazzato l’anno prima, il 2 maggio del ’90 a Dipignano. Un agguato in piena regola, con una fucilata contro la sua auto in corsa e dopo il colpo di grazia alla nuca. Sotto la pedaliera dell’auto trovano anche dieci dosi di eroina, avvolte in una carta stagnola. Si scoprirà che Fucci con la droga non c’entrava nulla. Anna Maria ha deciso di indagare sulla sua morte e su quel depistaggio. Davanti ai carabinieri accusa la famiglia del marito. Ma ci vogliono le prove, e lei cerca di procurarsele affrontando i suoi nemici con addosso un registratore. Non ottiene nulla, se non di finire inghiottita dalla lupara bianca, nel novembre del ’91.
Fonte: Sdisonorate.pdf
e tutti gli altri di cui non conosciamo i nomi.
“Si usa portare un fiore sulla tomba dei propri defunti, ma a volte quella lastra ci fa sentire ancora più grande il dolore, a volte non ci sono tombe su cui piangere, tante altre non ci sono più lacrime da versare. Ricordiamo. Chi abbiamo amato non svanirà nel nulla, vivrà finché non svanirà l’ultimo pensiero dentro di noi.” Rosanna