13 Aprile 2000 Marina di Gioiosa Jonica (RC). Ucciso da un’autobomba l’imprenditore Domenico Gullaci.

Foto da video sottolinkato

Domenico Gullaci, detto Mimmo, era un imprenditore, contitolare con il fratello di una ditta di materiali per l’edilizia, sposato e padre di quattro figli; fu ucciso a Marina di Gioiosa Ionica il 13 aprile del 2000.
Secondo le ricostruzioni, Domenico Gullaci uscì di casa, in via Primo maggio, attraversò la strada, fece scattare l’antifurto della sua Mercedes, parcheggiata davanti alla caserma dei carabinieri. Immediatamente un boato scosse la città: l’esplosione venne sentita anche a Siderno e Roccella Jonica, a chilometri di distanza. Domenico Gullaci morì all’istante dilaniato da una carica di tritolo piazzata sotto il sedile della sua auto. Gli uomini del Ccis (Centro carabinieri investigazioni scientifiche) di Messina dichiararono che l’ordigno era stato azionato con un comando a distanza, il sostituto procuratore antimafia Nicola Gratteri, affermò immediatamente che si trattava di un attentato ad opera della ‘ndrangheta. Due cognati di Domenico Gullaci, Francesco Marzano, di 40 anni, e Antonio Tarsitani, 39 anni, erano stati uccisi. Il primo a colpi di lupara nel dicembre 1997 a Siderno Superiore, mentre stava rincasando, il secondo nel giugno 1993, a colpi di pistola, mentre viaggiava sull’Autostrada del Sud, tra Palmi e Bagnara. I Gullaci avevano interessi in Sicilia e gli investigatori sospettarono che il delitto fosse stato eseguito dalla ‘ndrangheta su richiesta della mafia. Domenico Gullaci aveva subito intimidazioni: nell’agosto dell’anno precedente era stato bruciato un camion della sua ditta e pochi mesi prima aveva dovuto riacquistare i marmi della villetta che si stava costruendo perché qualcuno li aveva spaccati a colpi di mazza.

 

 

 

Foto da L’Unità

Articolo da L’Unità del 14 Aprile 2000
Imprenditore dilaniato dall’autobomba
Attentato della ’ndrangheta a Gioiosa Jonica, poteva essere una strage

REGGIO CALABRIA Pezzi di cadavere a decine di metri di distanza, muri sbrecciati, vetri e detriti. Una scena di guerra quella che ieri ha risvegliato Marina di Gioiosa Jonica, nella Locride. La ’n drangheta ha colpito un imprenditore edile in modo clamoroso, spettacolare. Un attentato ancora inspiegabile, ma che secondo gli investigatori ha il valore di un a prova di forza e di una sfida allo Stato da parte delle cosche.
Una potentissima carica di esplosivo dentro la Mercedes di Domenico Gullaci, 42 anni, incensurato. L’auto era parcheggiata di fronte alla stazione dei carabinieri del paese. Accanto alla scuola elementare. Solo poco più tardi e la strada si sarebbe riempita di ragazzini e genitori. Allora sarebbe stata un a strage.
E per un caso Domenico Gullaci era solo. Tutte le mattine accompagnava due dei suoi quattro figli a scuola. Ieri è sceso in strada poco dopo le sette, ha buttato il sacchetto dell’immondizia nel cassonetto ed è entrato nell’auto. Pochi attimi e un boato tremendo ha risvegliato il paese. Il corpo dell’uomo è stato dilaniato. «Lo ho visto saltare in aria, è stato terribile – ha raccontato sconvolto il suocero dell’imprenditore – Mio genero era un lavoratore,una brava persona. Siamo distrutti». La scelta della quantità di esplosivo, della tecnica, degli orari, fa dire agli investigatori che è stato un lavoro da professionisti. ‘Ndrangheta, non c’è dubbio.
Ma perchè hanno colpito quell’uomo, incensurato, secondo gli investigatori una persona insospettabile? Un cognato di Gullace, Francesco Marzano, di 40 anni, commerciante, venne ucciso a colpi di lupara il primo dicembre 1997 a Siderno superiore, mentre stava rincasando. Un altro cognato di Gullaci, Antonio Tarsitani, di 39 anni, era stato ucciso il 23 giugno 1993 a colpi di pistola, nel tratto dell‘autostrada A3 tra Palmi e Bagnara. Anche loro erano incensurati, così come Gullaci.

Ma che ci possa essere un legame tra questi episodi per ora è solo una ipotesi come tante. Così gli investigatori lavorano a 360 gradi. Appalti, racket. Hanno sentito i familiari e il fratello della vittima che gestiva insieme a lui la «Intonaci meridionali», un‘impresa edile che lavorava tra Marina di Gioiosa e Canolo, ma riusciva a procurarsi commesse anche fuori regione.
«Ho visto un o spettacolo raccapricciante, terribile». Ilprocuratore della Repubblica di Locri Rocco Lombardo ieri mattina era sconvolto. «È un episodio di portata eccezionale, che conferma, del resto, come questa terra richieda sempre uno stato d‘attenzione. Non bisogna mai abbassare la guardia». Le indagini sono seguite anche dalla procura antimafia di Reggio Calabria. Ora si sta lavorando sulle modalità e sui particolari dell’attentato.
Si è trattato di un ordigno innescato dall‘accensione del motore dell‘auto o di una bomba innescata a distanza? Particolari che torneranno utili per stabilire chi abbia agito, ma che delineano, in ogni caso, un‘azione definita già ora opera da professionisti. Gli esperti del Cis (il centro investigazioni scientifiche) dei carabinieri stanno analizzando il tipo di esplosivo utilizzato per l’attentato. I magistrati stanno anche cercando di inquadrare lo scenario nel quale può essere maturato l’attentato. La Locride è il territorio della provincia di Reggio Calabria più segnato negli ultimi tempi dal succedersi di faide e di vendette della mafia, nella zona tra Locri e Siderno, mentre a Marina di Gioiosa si ricorda una pace n egli equilibri mafiosi che fa però a pugni con la spettacolarità dell‘attentato che è costato la vita a Gullaci. Del caso si sta occupando anche Nicola Gratteri, sostituto  procuratore della dda di Reggio Calabria. «È un fatto attribuibile alla ‘ndrangheta – ha commentato -. Un fatto gravissimo, ed è il terzo episodio che io ricordi portato a termin e con modalità più o meno simili. Il primo fu quello dell’imputato contumace fatto saltare davanti ad un hotel a Grotteria Mare, il secondo quello di un appartenente alla famiglia Costa di Siderno in lotta con i Commisso. In quel caso – ha ricordato Gratteri – la vittima si salvo grazie alla blindatura dell’auto». Oggi nella Locride arriverà anche il vice capo della polizia Rino Monaco per analizzare la situazione e seguire le indagini. Lo ha deciso il ministro dell’Interno Enzo Bianco.

 

 

Articolo da La Repubblica del 14 Aprile 2000
Dilaniato dall’ autobomba
di Pantaleone Sergi

MARINA DI GIOIOSA JONICA – Se avessero voluto soltanto ucciderlo non avrebbero fatto questo sfracello, mettendo in conto una possibile strage. L’ avrebbero atteso in uno di quei mille tornanti che salgono in Aspromonte dove aveva l’ azienda e in una qualsiasi curva gli avrebbero teso un classico agguato. Oppure l’ avrebbero eliminato sull’ uscio di casa, due colpi di lupara secchi. E invece no. Hanno scelto il Grande Botto, l’ autobomba quasi inedita nell’ armamentario della ‘ ndrangheta. Di questa morte, appena fatto giorno, in un paese ancora silenzioso che sa di periferia sgraziata e informe, gli uomini del disonore hanno voluto fare una dimostrazione di potenza. Marina di Gioiosa Jonica viene svegliata dall’ onda sismica dell’ assassinio mafioso. Eccolo Domenico Gullaci, contitolare con il fratello della “Intonaci Meridionali”, incensurato, giovane imprenditore ignaro della condanna a morte, uscire di casa quando mancano pochi minuti alle sette. Eccolo gettare in un cassonetto un sacchetto di immondizie, salire in auto, prepararsi a partire, mettere in moto e morire. Dilaniato. Sono le 6,58, lancette dell’ orologio bloccate, come il futuro di questa Locride ostaggio di cosche e di delitti, dove un imprenditore o dice sì agli esattori dei clan o lavora per i clan o si tiene pronto a un duello quasi sempre perdente. Come è avvenuto qualche mese fa a Benestare, pochi chilometri più a Sud, dove il costruttore Antonio Musolino, 54 anni, venne eliminato perché alla mafia aveva opposto un timido diniego. Anche Domenico Gullaci, 42 anni, quattro figli, pensava di poter starsene lontano dai guai, tenere a bada la fame dei clan e gestire “affari vietati” dalle cosche. Eppure aveva avuto segnali allarmanti. Due suoi cognati, Francesco Marzano, di 40 anni, e Antonio Tarsitani, 39 anni, erano stati uccisi. Il primo a colpi di lupara nel dicembre 1997 a Siderno Superiore, mentre stava rincasando, il secondo nel giugno 1993, a colpi di pistola, mentre viaggiava sull’ Autostrada del Sud, tra Palmi e Bagnara. Delitti oscuri, mai spiegati, inspiegabili. Gullaci però non mostrava timori di sorta. Anche se la presenza della sua azienda, lassù in montagna, a Cànolo, suo paese d’ origine, non poteva certo essere digerita tanto facilmente se rischiava, oltretutto, di disturbare l’ armonia mafiosa che vuole tutti gli imprenditori al giogo. E allora bum, l’ esplosione preparata da una ‘ ndrina che opera con tecniche militari. E’ una scena da “calda” Beirut in via Primo Maggio, nella zona centrale del paese, proprio davanti alla caserma dei carabinieri situata in un edificio di proprietà dell’ ingegnere Giorgio Gargiulo, suocero della vittima e anche lui imprenditore edile. Scena raccapricciante. L’ esplosione ha spostato l’ auto, una Mercedes 250E grigia di qualche metro, lamiere annerite e brandelli del corpo della vittima vengono ritrovate a decine di metri di distanza dal luogo dell’ attentato. “Ho visto uno spettacolo raccapricciante. E’ un episodio di portata eccezionale, è roba da professionisti”, commenta a caldo il procuratore della Repubblica di Locri, Rocco Lombardo, mentre a un centinaio di metri i bambini delle elementari s’ inseguono chiassosi giocando: “Poteva essere una strage”, dice guardando verso di loro un ufficiale dell’ Arma. Se Gullaci avesse ritardato l’ uscita da casa, se avesse atteso come al solito uno dei suoi figli da accompagnare a scuola, se… Allora il bilancio dell’ attentato sarebbe stato più grave, perché la strada sarebbe stata affollata di genitori, di insegnanti e di scolari. Il “salto di qualità” dei clan è sotto gli occhi di tutti. Dopo 18 anni, quando a Reggio con la stessa tecnica venne ucciso l’ ingegner Gennaro Musella, la ‘ ndrangheta torna a usare un’ autobomba. In entrambi gli episodi si pensa a una saldatura tra ‘ Ndrangheta e Cosa Nostra. I Gullaci hanno interessi in Sicilia.Il fratello della vittima, proprio ieri era a Siracusa per affari. Il movente? Forse Domenico Gullaci è stato ucciso perché non voleva pagare il pizzo, forse perché voleva liberarsi del fiato della mafia sul collo forse perché era entrato, per affari, in territori vietati. O forse, ipotesi antica, ha visto o sapeva quel che non doveva vedere o sapere. “Si tratta comunque di un delitto di ‘ ndrangheta”, sostiene il sostituto procuratore antimafia Nicola Gratteri, il quale ricorda altri due attentati analoghi non riusciti nella Locride. Adesso si tenta di capire come l’ esplosione sia avvenuta. Le ipotesi sono due. La bomba ad alto potenziale, collocata sotto l’ auto durante la notte, sarebbe stata collegata all’ accensione; oppure, come propendono a credere i carabinieri, sarebbe stata fatta esplodere a distanza con un telecomando. Opera di specialisti.

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 14.04.2000
Autobomba uccide imprenditore
Calabria: aveva subito intimidazioni. Il governo: ‘ ndrangheta scatenata, reagiremo
di Marco Imarisio

MARINA DI GIOIOSA (Reggio Calabria) – L’ esplosione l’ hanno sentita a chilometri di distanza, l’ hanno sentita anche a Siderno e Roccella Jonica. Ore 7.10 di ieri mattina, Domenico Gullaci esce dalla sua casa in via Primo maggio a Marina di Gioiosa. E’ giovedì, non deve accompagnare a scuola i due bambini più piccoli, oggi tocca a sua moglie Brunella. Attraversa la strada, fa scattare l’ antifurto dell’ auto, sale sulla sua Mercedes, parcheggiata davanti alla caserma dei carabinieri. Quello che segue è un boato, il sangue dappertutto, sua moglie e i bambini che urlano affacciati al balcone dell’appartamento all’ultimo piano, le sirene dell’ ambulanza e della polizia. Il parabrezza dell’ auto lo ritrovano sul terrazzo di una casa lontana venti metri, un pezzo della portiera finisce in un prato alla fine dell’ isolato. Domenico Gullaci, piccolo imprenditore, sposato, quattro figli, muore all’ istante, dilaniato da un carica di tritolo piazzata sotto il sedile della sua auto, a tarda sera non c’ è ancora una impresa di pompe funebri che accetti di ricomporre quel che resta del suo corpo. Gli uomini del Ccis (Centro carabinieriinvestigazioni scientifiche) di Messina arrivano due ore dopo: ordigno azionato con un comando a distanza, diranno, qui in Calabria una cosa del genere non si era mai vista: anzi no, un precedente c’ è, ma è vecchio di diciotto anni. Nel pomeriggio arrivano le reazioni da Roma. «Si è corso il rischio di una vera strage, lo Stato reagirà con molta forza», dice il premier D’ Alema. «Episodio grave e inquietante», aggiunge il ministro dell’ Interno Bianco. C’ era qualcuno che doveva farla pagare a Gullaci, e adesso – prima ancora delle indagini – quello che conta è capire il perché. Era tanto che non si moriva di ‘ ndrangheta a Marina di Gioiosa, undicimila abitanti sulla fascia jonica della Calabria, da quando, anno 1993, la guerra di mafia tra i clan degli Aquino-Scali e dei Mazzaferro-Ierinò era finita con la vittoria schiacciante dei primi. «Racket, estorsione, vendetta, non possiamo escludere nessun movente», dicono i carabinieri di Roccella. Domenico Gullaci era il titolare di una azienda che produce intonaci per esterni. Commercio al dettaglio, mai partecipato a nessuna gara d’ appalto. La sua famiglia aveva già pianto: nel 1987 suo cognato, Antonio Tarsitani, era stato ammazzato a colpi di pistola in una piazzola della Salerno-Reggio Calabria. Faceva l’ ispettore per una società romana, controllava la destinazione dei contributi erogati dall’ Unione europea nella zona, era considerato troppo pignolo. Tre anni fa toccò a un altro cognato, delitto archiviato alla voce «per futili motivi». Nel grande salone di casa sua la moglie Brunella continua a ripetere come un disco rotto: «Non riesco a spiegarmi… non capisco». Eppure quella di Gullaci non era una vita facile e tranquilla: in agosto era bruciato un camion della sua ditta, su a Canolo Nuovo, pochi mesi fa aveva dovuto tirare fuori altri cinque milioni per i marmi della villetta che si stava costruendo, qualcuno li aveva spaccati a colpi di mazza. «D’ accordo, le intimidazioni c’ erano – dice lo zio – , da queste parti sono cose normali». Ma un’ autobomba al tritolo per ammazzare un commerciante, quella non la puoi spiegare facilmente, neppure qui in Calabria.

 

 

Articolo di La Repubblica del 14 Aprile 2000
Gullaci aveva già subito delle intimidazioni
E’ l’unico particolare che filtra dalle indagini.
Oggi i funerali, serrata di protesta dei commercianti.

MARINA DI GIOIOSA JONICA (Reggio Calabria) – Un solo indizio filtra dal riserbo assoluto con cui proseguono le indagini. Domenico Gullaci, l’imprenditore di 42 anni assassinato ieri mattina, aveva subito un’intimidazione. Cinque anni fa, qualcuno aveva incendiato un camion della ditta di cui era contitolare col fratello. Per il momento è questo l’unico particolare collegabile all’attentato, la bomba esplosa sotto l’automobile di Gullaci.

Gli investigatori continuano a battere diverse piste, anche alla luce di alcuni precedenti, come l’uccisione, avvenuta anni addietro dei cognati di Gullaci: Francesco Marzano, titolare di un esercizio commerciale di arredi e macchine per uffici, assassinato a Siderno Superiore, e Antonio Tarsitani, impiegato al ministero dell’Agricoltura, assassinato sull’Autostrada nei pressi di Scilla. Ma si tende comunque a escludere un legame tra questi delitti e l’omicidio di ieri.

Sembra sempre più sicuro che l’auto di Gullaci sia saltata per aria quando l’imprenditore non era ancora salito. Questo significherebbe che l’ordigno non si è attivato con un innesto elettrico all’accensione del motore, ma è stato azionato da un telecomando.

Questa mattina in questura, a Reggio Calabria, è giunto il direttore centrale della polizia criminale Gennaro Monaco a presiedere un vertice tra le squadre che partecipano alle indagini.

I funerali dell’imprenditore sono stati fissati per oggi pomeriggio alle 16,30 nella Chiesa di San Nicola di Bari. In mattinata sarà eseguita l’autopsia. Per solidarietà verso la vittima e anche per la rabbia che la morte di un loro collega ha suscitato, i commercianti di Marina di Gioiosa Ionica abbasseranno le saracinesche dei loro negozi alle 13 di oggi, per rialzarle soltanto domani.

 

 

Articolo del Corriere della Sera del 15 Aprile 2000
Il vescovo: «Soli contro la ‘ ndrangheta»
di Imarisio Marco
Imprenditore ucciso, dura omelia ai funerali: «Stato assente». Una faida dietro l’autobomba.

Il vescovo: «Soli contro la ‘ ndrangheta» Imprenditore ucciso, dura omelia ai funerali: «Stato assente». Una faida dietro l’ autobomba DAL NOSTRO INVIATO MARINA DI GIOIOSA JONICA (Reggio Calabria) – Ci sono i negozi chiusi con il fiocco nero sulle serrande, c’ è tanta gente – almeno mille persone – davanti e dentro alla chiesa. Ci sono dieci uomini con la fascia tricolore, i sindaci di alcuni paesi della zona. A monsignor Giancarlo Maria Bregantini, il vescovo di Locri, non può bastare. Scuote la testa: «Qui non c’ è nessuno – dice a voce bassa prima di iniziare la funzione – , lo Stato non si fa vedere, sono troppo impegnati con le loro elezioni». Ai funerali di Domenico Gullaci c’ è soprattutto tanto silenzio. Il dolore composto dei familiari dell’ imprenditore ammazzato giovedì mattina da un’ autobomba, le strette di mano, molta rassegnazione tra i suoi paesani, come se si recitasse un copione antico, già visto troppe volte. Rabbia, poca. Solo quella di monsignor Bregantini. Verso chi ha ucciso: «Chi di spada ferisce, di spada perisce». Verso chi non c’ è: «Lo Stato lo vorremmo più presente, noi della Locride vorremmo sentirlo davvero vicino. Deve volerci bene, con le azioni, facendo sentire la sua presenza, soprattutto nel lavoro». Le parole feroci del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Marco Minniti («A chi attenta alla sicurezza della nostra terra noi, il governo, spezzeremo le gambe») lo lasciano indifferente: «Dovevano venire qui – dirà poi – , hanno perso un’ occasione». La gente torna a casa, restano le indagini su una vicenda dai contorni niente affatto chiari. Di sicuro c’ è la dinamica del delitto, la bomba azionata con un comando a distanza, l’ uomo che ha premuto il pulsante era dietro i cassonetti dell’ immondizia, visuale perfetta, a ottanta metri da Gullaci. L’ ordigno, poi: l’ esplosivo è come quello usato nelle cave di tufo per far brillare le pietre, mischiato a polvere da sparo. Tutto in una scatola di scarpe: si sono chinati, l’ hanno appoggiata per terra, all’ altezza della ruota anteriore sinistra della Mercedes di Gullaci. Poi hanno aspettato. Si sa solo questo. Il movente, ancora non c’ è. «Delitto di alta mafia», dicono gli investigatori. Ma manca il perché. Esclusa l’ estorsione, escluso il racket. Si fa strada un’ ipotesi inquietante, quella di un uomo ucciso (anche) a causa della sua passione per il calcio (era socio di un Inter club), divisa a livello locale con personaggi ingombranti. Domenico Gullaci era infatti lo sponsor ufficiale del Siderno, che milita nel campionato nazionale dilettanti. Fino a pochi mesi fa il presidente della società era Cosimo Cherubino, consigliere provinciale dello Sdi, arrestato a febbraio per associazione mafiosa e voto di scambio. Un uomo considerato vicino alla cosca dei Commisso, una delle più potenti e turbolente della Locride. Per gli investigatori l’ equazione sarebbe questa: il Siderno è gestito da una frangia della famiglia Commisso, Gullaci ne era lo sponsor. Un «legame» che si sarebbe trasformato nel nuovo anello di una faida interna. Gullaci avrebbe pagato con la vita la vicinanza, sia pure calcistica, ma proprio per questo «pubblica» e visibile, con il vecchio gruppo Commisso. Nella cosca di Siderno negli ultimi mesi c’ è stata una spaccatura: da una parte chi predica la linea «morbida», dall’ altra chi invece vuole avere più autonomia sul territorio. A tutti i costi, anche con un’ azione eclatante. Come un’ autobomba.

 

 

Articolo del 10 Febbraio 2006 da  nuovacosenza.com 
Sgominata una banda della ndrangheta dedita al traffico di armi e droga
Operazione della PS in Calabria. Sgominata una banda della ndrangheta che trafficava in armie droga. Minniti: “Significativi arresti”. Santelli “Un altro passo importante”. Durante le indagini sventato un delitto.

10/02 Traffico di fucili kalashnikov e di sostanze stupefacenti e lavoro nero di immigrati clandestini: era questo, secondo l’ accusa, il campo di azione dell’ organizzazione criminale sgominata dalla polizia con l’ operazione Intreccio portata a termine stamani dallo Sco, dal Commissariato di Siderno e della squadra mobile reggina con l’ arresto di 16 persone sulle 18 ricercate. Un’ indagine lunga e complessa, quella condotta dagli investigatori del Commissariato di Siderno con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, che ha preso le mosse dalla ricerca del latitante Domenico D’ Agostino, di 59 anni, arrestato il 13 gennaio scorso. Indagando sui suoi possibili nascondigli, gli investigatori hanno scoperto una rete di fiancheggiatori e successivamente le attivita’ criminali poste in essere dagli stessi, tutti, secondo la polizia, legati al clan D’ Agostino operante tra Locri, Sant’ Ilario e Canolo, ma che, nello specifico, aveva esteso il suo raggio di azione anche su Polistena e Taurianova. Le indagini, hanno avuto buon esito, dal momento che la polizia ha arrestato prima il latitante ed oggi i componenti l’ organizzazione. D’ Agostino, latitante dal 2000, nell’ ambito dell’ operazione Primaluce, per la quale e’ stato condannato a 20 anni di reclusione, in passato era stato condannato a 22 anni per la strage di Razza’ di Taurianova, nella quale, nel 1977, furono uccisi due carabinieri che avevano violato un summit mafioso. Non solo, sempre nel corso delle indagini, gli investigatori di Siderno, nel novembre del 2004, hanno anche sventato un delitto che stava per essere portato a termine da tre persone estranee agli indagati odierni, ingaggiando pure un conflitto a fuoco. I tre, infatti, rubarono una Lancia Thema di proprieta’ di uno degli arrestati di oggi senza sapere che era piena di microspie. Fu cosi’ che gli agenti seppero del progetto di omicidio ed intervennero bloccando l’ auto. Uno dei tre sparo’ ferendo un ispettore, gli agenti risposero al fuoco ed i banditi fuggirono a piedi. Uno fu arrestato il giorno successivo mentre gli altri due, subito identificati, furono arrestati il 13 luglio del 2005 a Como. Ad attenderli c’ erano gli stessi agenti che avevano partecipato alla sparatoria. Dalle intercettazioni e’ emersa anche una grande disponibilita’ di armi che, tuttavia, non sono state trovate. Nei colloqui, pero’, alcuni indagati fanno espliciti riferimenti a mitra kalashnikov e pistole ed al loro costo. La vendita delle armi, secondo gli investigatori, serviva all’ organizzazione per il proprio finanziamento. Sul fronte stupefacenti, invece, l’ organizzazione, secondo l’ accusa, trattava soprattutto cocaina e marijuana. ”La ‘ndrangheta – ha rilevato al riguardo il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, partecipando alla conferenza stampa con gli investigatori prima di prendere parte al vertice con le forze di polizia italiane e i rappresentanti delle agenzie statunitensi Dea, Fbi e Ice sull’ attivita’ della ‘ndrangheta, con particolare attenzione al traffico di stupefacenti- ha un ruolo centrale negli attuali canali dei traffici internazionali di stupefacenti”.

Durante le indagini sventato un delitto

01/02 Durante le indagini che hanno portato, stamani, all’ operazione Intreccio, gli agenti del Commissariato della polizia di Stato di Siderno hanno sventato un omicidio, ingaggiando, nel novembre 2004, un conflitto a fuoco con i killer, estranei all’ inchiesta odierna, nel corso del quale un ispettore rimase gravemente ferito. I sicari, infatti, che non hanno rapporti con gli arrestati di oggi, rubarono una Lancia Thema di proprieta’ di una delle persone bloccate stamani e sulla quale gli investigatori avevano piazzato delle microspie. Fu cosi’ che gli agenti si resero conto che si stavano recando a compiere un omicidio. Immediatamente due pattuglie in abiti civili del Commissariato si misero alla ricerca della vettura, intercettandola a Riace, nella locride. Quando gli agenti intimarono l’ alt un uomo, che era sdraiato sul sedile posteriore, si alzo’ sparando con un fucile. I colpi ferirono un ispettore ad una mano e ad un braccio. Gli agenti risposero al fuoco, ma i banditi riuscirono a fuggire a piedi dopo avere abbandonato l’ auto. Uno fu arrestato il giorno successivo mentre gli altri due, subito identificati, furono arrestati il 13 luglio del 2005 a Como, dopo avere trascorso alcuni mesi di latitanza in Olanda. Ad arrestarli furono proprio gli agenti che avevano partecipato alla sparatoria.

Operavano anche al nord

Sono sedici, compreso un minorenne, le persone arrestate dalla Polizia nel corso dell’ operazione ”Intreccio” portata a termine stamani dalla Polizia in Calabria e nel Lazio contro i componenti di un’ organizzazione accusata di essere dedita al traffico di stupefacenti ed armi ed allo sfruttamento di immigrati clandestini. Altre due persone non sono state rintracciate e vengono adesso ricercate. ”Con questa operazione – ha sostenuto il questore di Reggio Calabria, Vincenzo Speranza incontrando i giornalisti insieme al procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso – abbiamo individuato e smantellato un’ organizzazione criminale che operava nell’ intera regione e in citta’ del nord”. Lavoro nero, traffico di fucili kalashnikov e di sostanze stupefacenti erano il campo di azione del gruppo criminale, la cui pericolosita’ e’ emersa nell’ ambito delle investigazioni dirette alla cattura di Domenico D’ Agostino, 59 anni, bloccato dalla polizia di Stato il 13 gennaio scorso. Gli investigatori attribuiscono una posizione preminente tra gli arrestati ad Antonio Stilo, di 37 anni, originario di Canolo, ritenuto il ”braccio operativo” del boss Domenico D’ Agostino. Gli arrestati sono Giuseppe Bambino, di 51 anni, di Taurianova; Ilario Cavallo (27), di Caulonia; Svetlana Milchova Chontova (39) bulgara, domiciliata a Melicucco; Giuseppe Collura (27), di Riace; Antonio Gutta’ (44), di Siderno; Domenico Infusini (33), di Siderno; Marco Lavorata (24), di Caulonia; Vincenzo Fontana (37), residente a Roma; Giuseppe Marciano’ (27) di Locri; Napoli Francesco (33), di Polistena; Santo Palamara, (25), di Africo; Giuseppe Ripepi (30), di S.Ilario dello Ionio; Vincenzo Saraco (31), di Locri; Antonio Stilo (37), di Canolo; Alberto Macri’ (23), di Locri; ed un 17enne.

Indagini partite dalla ricerca di un latitante

L’ inchiesta che ha portato all’ operazione Intreccio condotta all’ alba dalla polizia ha preso le mosse dalle indagini condotte dal Commissariato della Polizia di Siderno per la ricerca del latitante Domenico D’ Agostino, di 59 anni, arrestato il 13 gennaio scorso. Indagando sugli spostamenti dell’ uomo e sui suoi possibili nascondigli, gli investigatori, secondo quanto e’ stato riferito, hanno scoperto una rete di fiancheggiatori e successivamente le attivita’ criminali poste in essere dagli stessi. D’ Agostino era latitante dal 2000, quando sfuggi’ all’ operazione Primaluce fatta a Sant’ Ilario dello Ionio, Locri e Canolo, nella quale e’ accusato di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di armi. Nel processo che ne e’ scaturito e’ stato condannato a 20 anni di reclusione. In passato D’ Agostino era stato condannato anche per la strage di Razza’ di Taurianova, nella quale, nel 1977, furono uccisi due carabinieri che avevano violato un summit mafioso. Per quell’ episodio l’ uomo ha subito una condanna a 22 anni di reclusione. Nel periodo della strage, D’ Agostino era sindaco di Canolo, incarico che era stato ricoperto per oltre 40 anni anche dal padre, Nicola. Domenico D’ Agostino, inoltre, e’ indagato, insieme ad altre 19 persone, per l’ omicidio dell’ imprenditore edile Domenico Gullaci, assassinato il 13 aprile del 2000 con un ordigno collocato sotto la sua automobile. Per l’ assassinio di Gullaci nei confronti di D’ Agostino e degli altri indagati e’ in corso l’ udienza preliminare.

Ceduti mitragliette e kalashnikov

Mitragliette skorpion, fucili mitragliatori kalashnikov e pistole: erano queste le armi che, secondo l’ accusa, trattava l’ organizzazione sgominata stamani dalla polizia che ha condotto un’ operazione, denominata ”Intreccio”, per l’ esecuzione di 18 ordinanze di custodia cautelare in carcere. In alcune intercettazioni fatte nel corso delle indagini coordinate dalla Dda di Reggio Calabria e condotte dal Commissariato della polizia di Siderno, secondo quanto si e’ appreso, ci sono espliciti riferimenti ad una vasta disponibilita’ di mitra e pistole ed al loro costo. La vendita delle armi, secondo gli investigatori, serviva all’ organizzazione per il proprio finanziamento.

Minniti “Significativi arresti”

”Con l’arresto del latitante D’Agostino e le ordinanze emesse a carico di altrettanti affiliati al suo clan, hanno fatto un importante passo avanti le indagini avviate da oltre due anni dalla DDA di Reggio Calabria”. E’ quanto afferma in una nota il responsabile difesa e sicurezza dei Ds Marco Minniti, a proposito dell’operazione realizzata dalla Polizia in Calabria e Lazio. ”E’ stato inferto un colpo significativo – aggiunge – ad una pericolosa organizzazione criminale attiva nel traffico di armi, droga e sfruttamento dell’immigrazione clandestina con ramificazioni che vanno oltre il territorio calabrese”.

Jole Santelli “Un altro passo importante”

10/02 ”Esprimo soddisfazione e faccio ancora una volta i miei complimenti alla Polizia di Reggio Calabria che, con la cattura del latitante Domenico D’Agostino e l’arresto di alcuni affiliati al suo clan, e’ riuscita stavolta a smantellare un’organizzazione criminale che operava nell’intera Regione e nel Lazio ed era impegnata in traffico di armi, droga e sfruttamento dell’immigrazione clandestina”. E’ quanto ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli, a proposito dell’operazione di PS nel reggino. Quello di oggi è un altro importante passo in avanti nelle indagini condotte da oltre due anni dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria che continua nel suo impegno volto a garantire la sicurezza”

Procuratore Grasso: “Ottimista sull’esito delle indagini Fortugno”

‘Sull’ esito delle indagini sull’ omicidio Fortugno sono ottimista”. E’ quanto ha detto stamane a Reggio Calabria il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, rispondendo a domande dei giornalisti nel corso di una conferenza stampa relativa all’operazione compiuta nella notte dagli agenti della polizia di Stato del commissariato di Siderno. Stamane il Procuratore Grasso partecipera’ anche ad un vertice, tra le forze di polizia italiane e i rappresentanti delle agenzie statunitensi DEA, FBI e ICE sull’attivita’ della ‘ndrangheta, con particolare attenzione al traffico di stupefacenti.

 

 

 

Calabria Nera Delitti Irrisolti – L’ omicidio irrisolto di Domenico Gullaci
TeleMiaLaTv
Pubblicato il 13 apr 2016

 

 

Leggere anche:

 

vivi.libera.it
Domenico Gullaci
Mimì era un uomo dedito al lavoro e alla famiglia. Quattro figli e un’impresa edile che gestiva insieme al fratello. E il calcio. Sua grande passione.

 

 

 

 

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