19 Gennaio 1995 a Teverola (CE), ucciso Genovese Pagliuca, 25 anni, garzone di macelleria
Genovese Pagliuca il 19 gennaio 1995 viene ucciso da esponenti del clan dei casalesi perché si ribella alle violenze subite dalla fidanzata Carla.
Tutto comincia nell’estate del ’93. Carla, un’avvenente parrucchiera di 24 anni, lavora sodo perché spera di sposare presto Genovese. Non sa, però, che Angela Barra – amante del boss Francesco Bidognetti, numero uno della mala nell’entroterra casertano – l’ha adocchiata da tempo: attraverso la vetrina della sua gelateria, la donna segue i movimenti di quella ragazza. La scruta, l’avvicina e alla fine riesce a farsela amica. È settembre, quando Carla bussa alla porta di Angela: ha litigato con i genitori, è andata via di casa e chiede ospitalità alla donna che l’accoglie nella propria casa. Ben presto, però, quelle mura si trasformano in una prigione: le avances di Angela sono sempre più insistenti e violente. A dicembre, Carla viene portata in un’altra abitazione, sequestrata: resterà lì dentro per un mese, imbottita di sedativi, preda della follia di Angela e degli abusi del fratello della donna, Carmine Barra, di 32 anni, e dell’amico Luigi De Vivo, che la donna ha coinvolto nel sequestro. Una mattina del gennaio ’94 la ragazza riesce a fuggire. Torna a casa e confessa tutto al fidanzato. I due giovani, spinti anche dai genitori, decidono di tenere nascosta la vicenda: temono il disonore e la vendetta della camorra. Pensano che l’unico modo per venirne fuori sia allontanare Carla da Teverola e lasciare il fidanzato in paese. Ma la rabbia di Angela e dei suoi accoliti si riversa su Genovese. Il ragazzo perde il lavoro, la dignità, e non passa giorno senza che venga aggredito. Questa storia si protrae per un anno fino a quando Genovese viene assassinato a colpi di pistola e fucile.
Ancora una volta le rispettive famiglie decidono di non rivelare nulla, ma Carla, davanti alla morte del fidanzato, decide di rompere il muro di omertà raccontando tutto ai Carabinieri.
Adesso vive sotto protezione in una località segreta.
Grazie alla confessione della ragazza sono arrestati i fratelli Barra e il loro complice, Luigi De Vivo.
Fonte: fondazionepolis.regione.campania.it
Articolo del Corriere della Sera del 17/03/1995
Rapita e violentata da una donna
Anche due uomini l’ avrebbero stuprata. Dramma scoperto dopo un omicidio
di Enzo D’Errico
(Caserta) . Sogni, piccoli sogni di ragazza: un marito, una casa, qualche soldo in banca e poi chissa’ , un figlio… Carla non chiedeva molto al suo domani. Ma quel poco era gia’ tanto in un paese come Teverola, dove la vita diventa vita davvero solo se la concedi in prestito a qualcuno. E la sua, Carla, l’ aveva consegnata nelle mani di Angela Barra, trentunenne amante del boss Francesco Bidognetti, numero uno della mala nell’ entroterra casertano. Quella donna le avrebbe aperto la scorciatoia per un paradiso fatto di illusioni in miniatura, ne era convinta. E invece le ha distrutto ogni speranza, segregandola per mesi in un appartamento e violentandola ripetutamente insieme a due uomini: il fratello Carmine Barra, di 32 anni, e l’ amico Luigi De Vivo. Ma non basta. Sull’ amante del boss, e sui suoi complici, pesa un altro terribile sospetto: potrebbero essere stati loro a uccidere il 19 gennaio scorso Genovese Pagliuca, 25 anni, il garzone di macelleria che Carla sognava di sposare. Del resto, se su tutta questa storia non fosse calato il drappo nero dell’ omerta’, probabilmente oggi Genovese sarebbe ancora vivo. Invece la giovane coppia ha preferito tenere la bocca chiusa per mesi e sopportare in silenzio le aggressioni della donna e dei suoi accoliti. Aggressioni che sarebbero sfociate poi nell’ omicidio. Ma proviamo a raccontarla tutta questa storia di provincia che, all’ improvviso, vira nei colori scuri di un incubo. La trama comincia nell’ estate del ‘ 93. Carla, un’ avvenente parrucchiera di 24 anni, lavora sodo perche’ spera di sposare presto il ragazzo col quale fila ormai da mesi. Non sa, pero’ , che Angela Barra, madre di 4 figlie, l’ ha adocchiata da tempo: attraverso la vetrina della sua gelateria, la donna segue i movimenti di quella ragazza dai capelli castani. La scruta, l’ avvicina e alla fine riesce a farsela amica. Alla prima occasione, poi, scatta la trappola. E’ settembre, quando Carla bussa alla porta di Angela. “Ho litigato con i miei genitori e sono andata via di casa . mormora tra le lacrime .. Adesso non so piu’ dove andare…”. “Non ti preoccupare . risponde la donna .. Starai qui con me e non avrai bisogno di nulla”. Ben presto, pero’ , quelle quattro mura si trasformano in una prigione: le “avances” di Angela, prima timide, diventano sempre piu’ insistenti e sconfinano nella violenza cieca. A dicembre, Carla viene addirittura portata in un’ altra abitazione con porte e finestre blindate: restera’ li’ dentro per un mese, imbottita di sedativi, preda inerme della folle passione di Angela e degli abusi dei due uomini che la donna ha coinvolto nel sequestro. Soltanto per caso, una mattina del gennaio ‘ 94 la ragazza riesce a fuggire. Quando torna a casa del fidanzato, pero’ , comincia un altro calvario. I due giovani, spinti anche dai genitori, decidono di tenere nascosta la vicenda: temono il disonore, ma soprattutto la vendetta della camorra. Pensano che l’ unico modo per venirne fuori sia allontanare Carla da Teverola e lasciare il fidanzato in paese. Ma hanno fatto male i loro conti, perche’ e’ proprio sul ragazzo che si riversa la rabbia di Angela e dei suoi accoliti. Genovese perde il lavoro e la dignita’ : non passa giorno senza che venga aggredito. Va avanti cosi’ per un anno. Ma non basta: Genovese viene ucciso. Nemmeno questo, pero’ , basta a sgretolare il muro dell’ omerta’ delle famiglie della coppia. Stavolta Carla non ci sta. Adesso vive sotto protezione in una localita’ segreta.
Articolo da La Stampa del 17 Marzo 1995
Vendetta per un amore lesbico rifiutato
di Fulvio Milone
CASERTA . A volte succede che un bel sogno si trasformi all’improvviso in un incubo e che una persona che ritenevi amica d’un tratto getti la maschera per mostrare il suo vero volto: quello del tuo persecutore. E’ capitato a Carla, una bella e ingenua ragazza di 24 anni che ha avuto la sfortuna di incontrare sul suo cammino la donna di un boss: una «lady» della camorra invaghitasi di lei al punto da tenerla segregata per un mese in un appartamento con pareti insonorizzate e violentarla dopo averla drogata. La storia avrebbe dell’incredibile, se a raccontarla non fossero i carabinieri che nella notte tra mercoledì e giovedì hanno ammanettato tre persone: Angela Barra, 31 anni, il fratello Carmine, di 32, e Luigi De Vito, un operaio di 20 anni. I Barra 1 sono accusati di sequestro di Napoli: la giovane è stata anche sequestrata e violentata per un mese dagli uomini del clan Vendetta per un amore lesbico rifiutalo Le uccidono ilfidanzato per aver detto no alla sorella del boss persona, violenza privata e violenza carnale; De Vito deve rispondere solo del rapimento. Ma c’è dell’altro, in questa fosca vicenda maturata in un paese, Teverola, da anni soffocato dalla violenza camorrista. C’è anche un omicidio, quello del fidanzato di Carla, Genovese Pagliuca, morto a venticinque anni con la faccia cancellata da una scarica di lupara. Il suo corpo fu trovato in un’auto a pochi metri dalla gelateria di proprietà di Angela Barra, sospettata di essere coinvolta nel delitto. Tutto cominciò un anno e mezzo fa con un bel sogno d’amore. Carla e Genovese si amavano e si sarebbero già sposati se le loro condizioni eonomiche glielo avessero consentito. Lei, apprendista parrucchiera, guadagnava quel tanto che le serviva per sopravvivere; lui, garzone in una macelleria, doveva mantenere la madre e un fratello con il suo magro stipendio. Fu allora che, come nelle favole che si raccontano ai bambini, comparve la fata buona. Aveva il volto volitivo e il fare deciso di Angela Barra. In paese la conoscevano tutti come la donna di Francesco Bidognetti, un camorrista che prima di finire in carcere le aveva anche dato un figlio. Carla la conobbe nell’ottobre del ’93 e subito le confidò le sue pene. Le disse che senza un aiuto economico non avrebbe mai potuto sposare il fidanzato. E lei, Angela, si dimostrò una vera amica: «Non preoccuparti, ti aiuterò. Tanto per cominciare vieni a stare a casa mia, così ti togli da tutta quella miseria». Carla accettò. In principio tutto filò per il verso giusto: la coppia poteva incontrarsi quando voleva e fare progetti per il futuro. Angela sembrava davvero una sorella maggiore, piena di premure e di buoni consigli. A poco a poco, però, tutte quelle attenzioni divennero eccessive, e Carla cominciò a sentirsi prigioniera in casa della donna che ormai si comportava come un innamorato geloso, più che da amica fidata. Malgrado le sue resistenze, fu costretta a diradare gli incontri con il fidanzato che, dopo qualche tempo, fu definitivamente allontanato. Ai primi di gennaio del ’94 Angela Barra decise di rapire la ragazza. Con l’aiuto del fratello e dì Luigi De Vito trascinò la sua vittima in un appartamento nelle campagne di Aversa, un paesone alle porte di Caserta. Più che una casa, era un bunker con tanto di porta blindata e pareti insonorizzate. Qui, secondo i carabinieri, Carla fu violentata dai due uomini e dalla stessa Angela, che la costringeva a prendere dei sedativi per tenerla tranquilla. Le violenze durarono un mese, finché una sera Carla trovò l’occasione e soprattutto la forza di fuggire dalla prigione in cui era stata rinchiusa. Tornò dai suoi, potè riabbracciare il suo Genovese. Decise d’accordo con il fidanzato di non denunciare i suoi aguzzini e di tentare di dimenticare. Ma non fu così. Sui due ragazzi cominciarono a piovere minacce anonime e misteriose aggressioni notturne tanto che Carla, disperata, si rifugiò in casa di parenti, lontano da Teverola. Genovese volle invece rimanere in paese. Una decisione che gli costò la vita: il suo corpo fu trovato in un’auto, il 19 gennaio scorso, sfigurato dai proiettili. Fu allora che lei decise di raccontare tutto ai carabinieri. «Non ho più nulla da perdere», disse in lacrime a un ufficiale che cominciò ad occuparsi di Angela Barra: un’indagine durata un mese e mezzo e conclusa due giorni fa, con l’arresto della donna del boss.
Commemorazione di Genovese Pagliuca (19.01.14)
Teverola (Caserta) – Celebrato, domenica mattina, il ventesimo anniversario dell’uccisione di Genovese Pagliuca, giovane teverolese, vittima innocente della camorra.
Articolo del 19 Gennaio 2014 da da napoli.repubblica.it
Fiaccola della memoria per Genovese Pagliuca
di Raffaele Sardo
Fu ucciso vent’anni fa a Teverola da Giuseppe Setola per aver cercato di proteggere la fidanzata dalle avances omosessuali dell’amante del boss Bidognetti.
Lo ammazzò Giuseppe Setola vent’anni fa perché aveva tentato di salvare la sua ragazza da Angela Barra, l’amante del boss Francesco Bidognetti che si era invaghita di lei e da cui voleva una relazione omosessuale. Genovese Pagliuca aveva 25 anni, faceva il macellaio. La sera del 19 gennaio 1994, mentre rientrava a casa, fu assassinato da due uomini scesi da una Fiat Uno, in via Roma a Teverola, armati di pistola e fucile a canne mozze.
Uno di essi, Giuseppe Setola, condannato all’ergastolo per l’omicidio, era il braccio destro di Bidognetti. Il ragazzo è stato ricordato domenica mattina a Teverola nel luogo in cui fu ucciso, alla presenza degli anziani genitori e delle due sorelle.
All’iniziativa, promossa dal Comitato don Peppe Diana e da Libera Caserta, hanno partecipato numerosi gruppi scout, il sindaco della città, Biagio Lusini, ed esponenti del mondo del volontariato. Davanti ad una gigantografia di Genovese Pagliuca, è stata deposta una grande pietra che ricorda la sua morte ed è stata accesa la fiaccola della memoria.”Questa fiaccola – ha detto Valerio Taglione, portavoce del Comitato don Diana – segna anche l’inizio del percorso che porterà migliaia di persone il 19 marzo prossimo a Casal di Principe per ricordare don Giuseppe Diana.”
La storia di Genovese Pagliuca è stata ricostruita da Alessandra Tommasino, che per conto del Comitato si occupa delle vittime innocenti della criminalità. “Voleva difendere la sua fidanzata, una giovane parrucchiera, della quale si invaghì anche Angela Barra, amante del boss Bidognetti che con lei voleva una relazione. La Barra aveva conosciuto la ragazza di Genovese e aveva cominciato a cercarla in modo sempre più insistente. Al suo rifiuto la fece sequestrare e rinchiudere in un appartamento”.
La ragazza fu anche violentata ripetutamente dal fratello della Barra. Riuscì a fuggire dopo qualche settimana e raggiunge il suo fidanzato, a cui raccontò tutto. Insieme decisero di non rendere pubblico quello che era avvenuto, per paura e per pudore. Ma la Barra la rivoleva indietro e per prima cosa ordinò l’omicidio del fidanzato, che avvenne la sera del 19 gennaio 1994. Un omicidio che per gli inquirenti presentava dei lati oscuri, tanto che la Prefettura di Caserta, un anno dopo la sua morte, fece rimuovere una pietra effigiata in una aiuola, che ricordava la sua morte.
“Quella pietra oggi la rimettiamo – ha detto ancora Valerio Taglione – perché Genovese Pagliuca è una vittima innocente della camorra e su questo non ci sono dubbi”. E’ stato poi il sindaco di Teverola, Biagio Lusini, a ribadire che “oggi è un momento di riconciliazione, perché noi abbiamo sempre saputo che Genovese Pagliuca non c’entrava nulla con la camorra. La cerimonia di oggi ci dà serenità nei confronti di questo ragazzo e della propria famiglia.”
“La storia di Genovese racconta della dittatura militare che c’è stata sul nostro territorio – ha sostenuto Gianni Solino, responsabile di Libera Caserta – E’ una storia che sembra accaduta nel Medioevo, dove il signorotto disponeva a piacimento delle donne. Invece è accaduta qui nell’Italia democratica degli anni Novanta. Questo ci deve indurre a far fare in modo che fatti del genere non debbano più accadere”.
Alla cerimonia era presente anche Salvatore Di Bona, del Coordinamento provinciale dei familiari vittime innocenti della camorra. Michele Martino, capo scout, che ha onorato la promessa fatta ai familiari di Genovese durante un campo scout estivo, di ritrovarsi tutti a Teverola il 19 gennaio, ha regalato ai familiari la lettera “C” dell’alfabeto, come simbolo del “Cambiamento” che c’è anche in queste terre. Alla fine della cerimonia sono stati anche letti i nomi delle
vittime innocenti della camorra della Provincia di Caserta.
“Sapevano tutti che mio figlio con la camorra non ha mai avuto niente a che fare – ha detto in lacrime Lucia, la mamma di Genovese – era un bravo ragazzo, un lavoratore che aveva il sogno di farsi una casa propria, sposarsi e avere dei figli. Me l’hanno ucciso, nessuno me lo restituirà più, ma non me farò mai una ragione”.
Tratto da: .nazioneindiana.com
Il Matriarcato
di Roberto Saviano
“La Barra* egemone nel territorio di Teverola e vera e propria conoscitrice di tutte le alleanze economiche e politiche del clan dei casalesi, si innamorò negli anni ’90 di una ragazza di Teverola, una giovane e bella parrucchiera, che tentò di avvicinare offrendole aiuto, negozi, e una vita lussuosa. Questa ragazza, legata già ad un suo coetaneo, rifiutò non l’affiliazione che non gli veniva chiesta, non la complicità al clan, che non gli veniva imposta, rifiutò invece di godere del lusso e della potenza generati dalla camorra. Un gesto il suo, di una purezza e di una forza rarissimi in queste terre. Gli valse infatti l’inferno. La ragazza fu sequestrata e violentata dai fratelli della Barra per tredici giorni.. Il fidanzato della giovane, Genovese Pagliuca cercò in tutti i modi di trovare il luogo dove era stata rapita la ragazza. Proprio quando sembrava ormai aver individuato il nascondiglio fu raggiunto ed ammazzato. Una delle vicende più buie e violente della camorra casalese, quindi, ha come soggetto e mente proprio una donna.”
* Angela Barra
Fonte: ilmattino.it/caserta
Articolo del 1 marzo 2018
Ucciso dal clan nel ’95 per salvare la fidanzata, vitalizio ai genitori
Un giudice di Napoli ha posto rimedio a un «errore» del Ministero dell’Interno che negò il vitalizio ai genitori di un giovane casertano, Genovese Pagliuca, ucciso nel 1995 dal clan dei Casalesi, basandosi su un’informativa dei carabinieri che lo accostava alla cosca. La sentenza di condanna dei killer, passata in giudicato nel 2009, riconobbe, invece, che Pagliuca era una «vittima innocente» della camorra. A prendere la decisione è stato un giudice civile di Napoli, Vincenzo Pappalardo, che ha accolto con una sentenza da considerare innovativa il ricorso dei genitori di Genovese Pagliuca (difesi dall’avv. Gianni Zara), ucciso a Teverola 23 anni fa da esponenti di primo piano del clan dei Casalesi come Aniello Bidognetti e Giuseppe Setola. Un omicidio maturato solo per punire il giovane che si era opposto agli abusi subiti dalla sua fidanzata per mano di Angela Barra, amante del boss Francesco Bidognetti, innamorata della ragazza. Il giudice ha condannato il Viminale a concedere ai genitori del giovane il vitalizio per centinaia di migliaia di euro, dal 2009.
Fonte: napoli.repubblica.it
Articolo del 2 marzo 2018
Innocente ucciso da clan, la sorella di Genovese Pagliuca: “Tardivo l’intervento dello Stato”
“La sentenza non fa giustizia ai 23 anni passati nel dolore”
Il giorno dopo la sentenza del giudice civile che ha dichiarato il fratello, ucciso dai Casalesi 23 anni fa, “vittima innocente” della camorra riconoscendo il vitalizio ai genitori, Giovanna Pagliuca è soddisfatta, “perché lo Stato ha dimostrato di essere presente, anche se avrebbe potuto intervenire molto prima”. Suo fratello Genovese fu massacrato a Teverola, nel gennaio del 1995, per punizione, solo per avere difeso la fidanzata dall’amore molesto di una donna, amante del boss, che la sequestrò e la violentò.
Le sentenze di condanna, tra cui quella in Appello divenuta definitiva nel 2009, accertarono che ad agire fu un commando formato da esponenti di primo piano dei Casalesi, tra cui Aniello Bidognetti, figlio del capoclan Francesco, e Giuseppe Setola. Eppure, nonostante le sentenze avessero riconosciuto che Genovese era vittima senza alcuna colpa e senza alcun legame con il clan, il Ministero dell’Interno non aveva mai riconosciuto agli ormai anziani genitori il vitalizio previsto per legge, dal momento che un’informativa dei carabinieri sosteneva che Genovese frequentasse una persona vicino al clan. Una circostanza superata dalla sentenza di ieri.
“Speriamo solo che il Ministero non faccia ricorso” si augura la sorella Giovanna. “Non avevamo bisogno – prosegue – che ce lo dicesse un giudice che Genovese non c’entrava nulla con quella gente; l’abbiamo sempre saputo e lo abbiamo sostenuto più volte in tute le sedi. Questa sentenza non fa giustizia di 23 anni passati nel dolore, ma quantomeno allevia il senso di solitudine; tanta gente ci ha manifestato solidarietà e vicinanza, e questa è forse la cosa più bella”. Giovanna quasi non vuole sentir parlare di soldi. “Mi dà quasi fastidio sapere che dietro tutto questo combattere per farci riconoscere un diritto sacrosanto c’è una somma di danaro”. Giovanna racconta poi di un incontro avuto con il vice-prefetto che a Caserta curò la pratica, Luigi Palmieri. “Ci disse – ricorda – che aveva rigettato l’istanza sulla base di informazioni delle forze dell’ordine, ma disse di non sapere nulla della vita di Genovese. Ci ha detto di aver applicato la norma. È probabile che più in alto avrebbe dovuto indirizzarlo meglio” conclude Giovanna Pagliuca.
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Articolo del 20 gennaio 2020
Ricordato a Teverola Genovese Pagliuca, ammazzato dalla camorra nel 1994
di Raffaele Sardo
vivi.libera.it
Genovese Pagliuca – 19 gennaio 1995 – Teverola (CE)
A 20 anni ci si sente felici quando si è innamorati, si ha un lavoro e si può iniziare a progettare il sogno di costruire una famiglia con la persona che amiamo. E così doveva sentirsi Genovese, prima che la sua vita e quella della donna che amava fossero travolte in un vortice inaudito di violenze da parte del clan dei casalesi. Ucciso a soli 24 anni perché non ha voluto piegarsi.