2 Marzo 2002 Maida (Catanzaro). Ucciso l’avvocato Torquato Ciriaco, consulente di un’impresa edile di Lamezia Terme e titolare di alcuni appalti affidati dall’Anas.

Foto da it.wikipedia.org

Il 2 Marzo 2002 a Maida (Catanzaro) ucciso Torquato Ciriaco, 55 anni, avvocato. Ciriaco è stato ucciso mentre, alla guida del suo fuoristrada, stava rientrando a Cortale, dove risiedeva, da Lamezia Terme, città nella quale era titolare di uno studio legale molto avviato. Ciriaco si occupava quasi esclusivamente di questioni amministrative e civili ed era uno degli avvocati più conosciuti non soltanto di Lamezia Terme. Vasti, comunque, i suoi interessi e molteplici le sue attività in vari settori economici ed imprenditoriali.
Solo di recente, grazie alle rivelazioni di un pentito, incaricato a suo tempo di seguire le abitudini dell’avvocato, si sono concluse le indagini. L’accusa sostiene che Ciriaco fu ucciso perché voleva acquistare una azienda edile che la cosca Anello voleva finisse ad un imprenditore già sottoposto ad estorsione.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 3 Marzo 2002
Avvocato ucciso in un agguato

CATANZARO. È una chiave di lettura complessa, con molte sfaccettature non tutte al momento decifrabili, quella che fa da sfondo all’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco, di 55 anni, ucciso in un agguato la scorsa notte a Maida, un centro del lametino. Le indagini dei carabinieri sul movente dell’assassinio non hanno imboccato al momento una pista precisa, ma le modalità dell’agguato, fanno rilevare gli stessi investigatori, sono tipiche degli omicidi di mafia inducendo di conseguenza a considerare prevalente, tra le varie ipotesi investigative che si stanno vagliando, quella collegata con la criminalità organizzata lametina.

Ciriaco è stato ucciso mentre, alla guida del suo fuoristrada, stava rientrando a Cortale, dove risiedeva, da Lamezia Terme, città nella quale era titolare di uno studio legale molto avviato. Ciriaco si occupava quasi esclusivamente di questioni amministrative e civili ed era uno degli avvocati più conosciuti non soltanto di Lamezia Terme. Vasti, comunque, i suoi interessi e molteplici le sue attività in vari settori economici ed imprenditoriali. È proprio sugli interessi economici di Ciriaco che sono incentrate le indagini che stanno svolgendo i carabinieri del Reparto operativo di Catanzaro e della Compagnia di Girifalco, del sostituto procuratore della Repubblica Annalisa Marzano. Ciriaco, tra l’altro, era interessato alla gestione della sala-bingo che un imprenditore edile ha aperto nelle settimane scorse a Lamezia Terme

 

 

 

Il 14/01/2009 Lamezia.net pubblica una lettera aperta, della vedova dell’avvocato Ciriaco, Giulia Serrao, al Presidente della Repubblica

Caro Presidente, mi chiamo Giulia Serrao, sono avvocato e madre di sei figlie, purtroppo orfane di padre, in quanto sono la vedova dell´avvocato Torquato Ciriaco morto tragicamente in un agguato il primo marzo del 2002. Da quasi sette anni invoco giustizia presso l´autorità giudiziaria, ma nonostante le mie sollecitazioni e il mio personale apporto, a tutt´oggi non trovo riscontro né spiegazione alcuna alla tragedia che ha sconvolto l´intera mia famiglia a partire dalla figlia più piccola che oggi ha 10 anni e che mantiene un vago ricordo del padre, alle più grandi che vogliono trovare a tutti i costi la causa che le ha private del punto di riferimento principale per la loro educazione e il loro sviluppo. In qualità di avvocato ho sempre creduto nella giustizia e ho fatto di questa la bussola orientativa della mia vita; ma, a giudicare da come vanno le cose in Italia, anche i miei stessi principi vengono messi in discussione e mi domando quali siano, e se vi siano, i principi veri a cui la legalità si ispiri e si conformi.
Perciò oso rivolgermi a lei, primo cittadino e garante della Costituzione nell´ultima speranza, e vorrei che non fosse vana, di trovare il filo conduttore delle indagini che qui da noi, in Calabria, fa presto a smarrirsi. Già, perchè di questo si tratta; la famigerata omertà di cui viene investita tutta la regione non riguarda solo la delinquenza; nel mio caso, l´avverto e la sento anche in quegli organi che dovrebbero garantire la legalità. L´immagine di mio marito è stata denigrata da affermazioni alquanto superficiali e prive di alcun riscontro obiettivo e tali da ledere anche la mia immagine di cittadina appartenente a famiglia di imprenditori agricoli e giuristi onesti che non hanno mai avuto problemi con la giustizia. Se in quel di Polistena il nome di mio marito è scolpito tra quelli delle vittime della mafia, a Lamezia dove noi viviamo, fedele al motto “se è stato ammazzato qualcosa avrà pur fatto” l´ombra sulla sua integrità si allunga minacciosa e incombente; ed è su questa ombra che La pregherei di far luce. Io stessa, grazie a superficialità altrui, ho dovuto ricorrere al Tar per avere riconosciuta la certificazione antimafia e da ultimo nella pubblicazione del decreto di sequestro operato dalla procura di Salerno nei confronti della Procura di Catanzaro nell´ambito del cosiddetto processo “Why Not” con mio rammarico e sconcerto ho preso atto della presa in considerazione di affermazioni relative a mio marito che non hanno alcun riscontro nell´attività giudiziaria. E intanto penso che mentre la legalità si predica ma non si pratica, al contrario la mafia si pratica (a tutti i livelli possibili) e non si predica. La ringrazio, con ossequio dell´attenzione che riterrà prestare al caso.

 

 

 

Articolo dell’1 Marzo 2010 da  lameziaweb.biz
Napoli, arenata l’inchiesta sull’omicidio Ciriaco

Lamezia ripiomba nei suoi misteri e si interroga. Cerca di capire, di darsi una spiegazione. Si domanda il perché a distanza di tanti anni la verità, su alcuni omicidi eccellenti, non emerga.

E a far interrogare ancora una volta la città su tanti misteri, su alcuni omicidi irrisolti come quello dell’avvocato Torquato Ciriaco, è Angela Napoli, la deputata di Alleanza Nazionale e componente della Commissione parlamentare antimafia che in una interrogazione presentata al ministro della Giustizia richiama l’attenzione sul delitto denunciando che le indagini si sarebbero “arenate”. «In Calabria, purtroppo, – scrive la Napoli al ministro -‘è ingente il numero di omicidi che risultano impuniti, giacchè pur nel tempo, non si riesce ad individuarne i responsabili. Dopo l’omicidio del Vice Presidente del Consiglio regionale, dottor Francesco Fortugno si chiede a gran voce l’individuazione dei mandanti, dimenticando, però, di chiedere, altresì, che vengano accelerate le indagini relative agli altri omicidi verificatisi in Calabria. Le indagini sull’omicidio dell’avv. Ciriaco sono apparse subito complicate. La stessa commissione parlamentare nazionale Antimafia del tempo aveva invano tentato di contribuire alle stesse indagini». La Napoli segnala che l’indagine sull’omicidio Ciriaco è di competenza della Dda di Catanzaro. Purtroppo, però, – aggiunge – anche a detta dei familiari, l’inchiesta sembrerebbe arenata, forse per carenza di uomini della Polizia Giudiziaria locale». Chiede al Guardasigilli «quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di verificare lo stato delle indagini sull’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco». Prima una scarica di pallettoni, esplosi con un fucile, poi il colpo di grazia dopo un breve e disperato tentativo di fuga. Così fu ucciso, intorno alla 23, del primo marzo del 2002 l’avvocato Torquato Ciriaco, 55 anni, lungo la strada provinciale che da Lamezia conduce a Maida e a Cortale, dove il professionista abitava e stava facendo rientro dal lavoro.

A distanza di cinque anni su quell’omicidio sembra calato il silenzio. Ed infatti come fa rilevare la Napoli nella sua interrogazione non si conoscono né mandanti, né autori. E pure sembrava che uno spiraglio sulla vicenda si era aperto. A farlo balenare fu Massimo Brutti, componente della Commissione parlamentare antimafia, nella seduta dell’otto ottobre del 2002 quando davanti all’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu affermò: «l’omicidio dell’avvocato Ciriaco a Lamezia Terme, getta un fascio di luce su una serie di intrighi e di traffici che riguardano la criminalità organizzata, ma anche famiglie dell establishment lametino nonché la sfera politica».

L’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco entra nella sentenza del Tar che respinse il ricorso dell’ex sindaco contro il decreto di scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa.

Il Tar nella sentenza, fece riferimento ad un «noto professionista del luogo, legato da vincolo di affinità con un amministratore locale e rimasto tragicamente vittima di un agguato di chiaro stampo mafioso». E’ una chiave di lettura complessa, con molte sfaccettature non tutte al momento decifrabili, quella che fa da sfondo all’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco. Un omicidio di cui se ne occupò l’antimafia. E l’omicidio dell’avvocato Ciriaco sembra essere una delle cause che determinarono lo scioglimento anticipato del consiglio comunale per mafia.

Torquato Ciriaco secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori fu ucciso almeno dai due sicari che a bordo di un’auto attesero la vittima che aveva appena chiuso il suo studio in piazza della Repubblica, a poca distanza dello svincolo della super strada dei Due Mari per Maida, in territorio di quest’ultimo comune. Ciriaco, erano circa le 23, viaggiava solo a bordo di un fuoristrada Ford di sua proprietà e aveva appena imboccato il ponte sul fiume Amato quando i killer fecero fuoco, ferendolo, forse mortalmente. L’avvocato comunque ebbe la forza di continuare per qualche metro alla guida del mezzo, ma si schiantò contro un muro dove fu raggiunto dai sicari che spararono nuovamente.

 

 

Articolo del 30 dicembre 2012 da gazzettadelsud.it
Omicidio Ciriaco, 200mila euro per ucciderlo
Secondo l’ex collaboratore di giustizia Governa l’avvocato Ciriaco è stato ammazzato per una vendetta. Il killer era un latitante di San Luca ospitato da una cosca cittadina.

Di Ciriaco parla anche Giovanni Governa, all’epoca collaboratore di giustizia, riferendo di un episodio avvenuto nel 1991 e legato alla morte di Vincenzo Paradiso, causata da un incidente stradale. Governa disse anche che «era in grado di riferire in ordine all’omicidio dell’avv. Ciriaco », che secondo il suo punto di vista è legato alla prima ipotesi che fecero gli investigatori subito dopo l’agguato. Su quell’agguato, che non ha avuto testimoni, Governa afferma di conoscere il movente dell’omicidio, legato «a cattivi rapporti con un signore che, per vendicarsi del modo in cui veniva trattato da Ciriaco, offrì 200mila euro a un componente di una cosca per eliminarlo, con la promessa che poi lo avrebbe fatto subentrare come socio, tramite un prestanome in una società».

 

 

Articolo del 7 agosto 2013 da gazzettadelsud.it
Nel mirino della cosca un noto imprenditore
Nell’odinanza il Gip conferma la matrice mafiosa dell’uccisione dell’avvocato Torquato Ciriaco. Negli atti dell’operazione “Perseo” sono stati ricostruiti i 16 omicidi compiuti dal 2004 al 2011 e attribuiti dagli inquirenti alla cosca Giampà.

Sarebbero 16 gli omicidi ascrivibili alla cosca Giampà commessi tra il 2004 e il 2011, anche se dal 2000 gli omicidi e i tentati omicidi avvenuti a Lamezia sono stati in tutto 24, così come spiegato negli atti dell’operazione “Perseo”, l’azione di polizia giudiziaria della Direzione distrettuale antimafia che ha portato all’arresto di 65 persone tra affiliati alla cosca, avvocati, imprenditori e politici lametini. Nel mirino della cosca Giampà c’erano non solo avversari mafiosi, ma anche personaggi quantomeno estranei al mondo criminale, come un avvocato e un imprenditore del settore edile. Secondo il giudice delle indagini preliminari, dalla lettura dei dati relativi agli omicidi, emerge «la drammatica sequenza di agguati che negli ultimi anni ha bagnato di sangue le strade del comprensorio lametino e che ha finito anche con l’interessare un noto avvocato del foro di Lamezia e un imprenditore». L’avvocato al quale fa riferimento il Gip della Dda è Torquato Ciriaco, assassinato il 23 marzo del 2003: «Dall’analisi degli atti emerge con evidenza che il noto penalista è stato assassinato per mano della ’ndrangheta». Un omicidio sul quale ancora non è stata fatta piena luce, nonostante le rivelazioni dei pentiti che hanno fatto chiarezza su altri fatti di sangue.

 

 

Foto da lametino.it

Foto e articolo del 22 Gennaio 2014 da  lametino.it
Omicidio Ciriaco: Chiuse le indagini, tre indagati

Lamezia Terme – La Dda di Catanzaro ha chiuso le indagini sull’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco avvenuto a Maida il primo marzo del 2002. Nell’inchiesta sono indagati Tommaso Anello, 50 anni, ritenuto il boss dell’omonima cosca della ‘ndrangheta; Giuseppe e Vincenzino Fruci, di 45 e 38 anni. L’accusa sostiene che Ciriaco fu ucciso perché voleva acquistare una azienda edile che la cosca Anello voleva finisse ad un imprenditore già sottoposto ad estorsione.

La Dda di Catanzaro è riuscita a ricostruire il movente e le modalità dell’omicidio attraverso una serie di dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia e dalla testimonianza di alcune persone acquisite nel corso delle indagini. Proprio il collaboratore di giustizia era stato incaricato dalla cosca Anello di individuare le abitudini della vittima. Il pentito, infatti, aveva svolto una serie di appostamenti nei pressi dell’abitazione e del luogo di lavoro dell’avvocato Ciriaco. Le dichiarazioni rese agli inquirenti hanno trovato una serie di riscontri. La Dda di Catanzaro, inoltre, è riuscita a ricostruire, oltre alla dinamica ed al movente del delitto, anche la pianificazione dell’omicidio, la distribuzione dei singoli ruoli e le fasi relative alla eliminazione delle tracce. Le indagini sono state coordinate dal procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, e dal sostituto procuratore Elio Romano.

Dopo la diffusione della notizia abbiamo sentito l’avvocato Giulia Serrao, vedova dell’avvocato Ciriaco, che ha dichiarato di “escludere che mio marito fosse interessato all’aquisto di un’azienda edile di cui parlano le indagini. Probabilmente erano interessati all’acquisto di questa azienda alcuni suoi clienti ma non so ancora nulla di preciso perchè non ho potuto ancora visionare gli atti. Una cosa che farò al più presto”.

 

 

 

Fonte: lameziaoggi.it
Articolo del 29 settembre 2017
Lamezia: Omicidio avvocato Ciriaco, tutti assolti

Lamezia Terme – Il gup del Tribunale di Catanzaro Giovanna Gioia ha assolto per non aver commesso il fatto, a conclusione del processo con rito abbreviato, i quattro imputati del processo per l’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco, ucciso il primo marzo del 2002 a Lamezia Terme.
L’assoluzione riguarda le tre persone accusate dell’assassinio, Tommaso Anello, presunto esponente dell’omonima cosca della ‘ndrangheta, ed i fratelli Vincenzino e Giuseppe Fruci, ed il collaboratore di giustizia che li accusava, Francesco Michienzi.
Per Anello ed i fratelli Fruci il pm della Dda di Catanzaro, Elio Romano, aveva chiesto la condanna all’ergastolo, mentre per Michienzi erano stati chiesti dieci anni.
Secondo la tesi sostenuta dall’accusa, Ciriaco sarebbe stato ucciso perché intenzionato ad acquistare un’azienda edile che la cosca Anello voleva che finisse ad un imprenditore già sottoposto ad estorsione.

 

 

 

Fonte:  catanzaro.gazzettadelsud.it/
Articolo del 2 ottobre 2017
Ciriaco e Panzarella, delitti complementari?

Un mistero nel mistero. Perché ci sono delle connessioni tra l’omicidio di Torquato Ciriaco e quello di Santino Panzarella. Si tratta di personalità del tutto diverse, il primo 55 anni avvocato affermato a Lamezia, l’altro un 29enne coinvolto in piccole faccende delinquenziali e residente ad Acconia di Curinga. Il giovane avrebbe collaborato nell’omicidio dell’avvocato, e può darsi sia stato eliminato perché confidente di un maresciallo dei carabinieri nella sua zona. Un’area sotto il controllo degli Anello di Filadelfia.

Filo rosso sangue

L’altro filo rosso sangue che unisce le due esecuzioni mafiose del 2002 è che gli imputati del clan Anello sono stati tutti assolti. L’ultima sentenza “per non aver commesso il fatto” è di venerdì scorso quando il Gup di Catanzaro ha completamente scagionato Tommaso Anello, fratello del boss Rocco, e i fratelli Giuseppe e Vincenzino Fruci. Tutti liberi.

L’investigatrice

Per dare una risposta agli omicidi rimasti impuniti nel 2006 Angela Donato, mamma di Santino Panzarella, ha vuotato il sacco. Alla Squadra mobile di Catanzaro ha raccontato ogni cosa in otto pagine di deposizione. Mamma Angela, che da 15 anni chiede giustizia per il figlio vittima di lupara bianca, la punizione che la ‘ndrangheta riserva solitamente agli “infami” che tradiscono, era arrivata a trasformarsi in investigatrice, pedinando suo figlio e scoprendo che lavorava per gli Anello. Raccontando pure di una relazione di Santino con Angela Bartucca compagna del boss che si trovava in galera.

Madre visionaria

Ma questa è leggenda. Finora la magistratura non ha creduto granchè alle storie raccontate da Angela Donato, che oggi ha superato i 70 anni e non ha mai voluto la scorta nonostante le sue rivelazioni scottanti. Nessuno crede alle parole raccontate da una madre disperata alla quale hanno ammazzato il figlio non ancora trentenne. Eppure lei dice di averlo seguito in quei giorni dell’omicidio di Ciriaco, che risale al primo marzo 2002. Ha detto alla polizia di averlo visto confabulare con i fratelli Fruci, e di aver saputo dallo stesso Santino di ritorno da un viaggio di lavoro dalla Sicilia da dove trasportava acqua minerale, che col camion si sarebbe fermato tra Gioia Tauro e Rosarno per caricare un’auto probabilmente rubata che sarebbe servita ai killer dell’avvocato.

L’auto rubata

Qualche giorno dopo il trasporto, era febbraio, la mamma che s’era improvvisata Miss Marple (l’attempata signora che investiga nei gialli di Agatha Christie) era andata in un capannone sulla strada tra Lamezia e Maida ed aveva visto un’utilitaria chiara, una Punto o una Tipo, targata Rc. Là davanti aveva visto spesso parcheggiata l’Alfa 146 bianca del figlio.

Ma Angela Donato potrebbe essere solo una visionaria davanti ai giudici, perchè di molte cose che racconta non è riuscita a fornire neanche uno straccio di prove: foto, video, documenti, registrazioni. Può darsi siano storie fondate, ma può anche darsi di no. Si tratta di condannare all’ergastolo delle persone per omicidio, e nelle aule giudiziarie si può credere ai testimoni ma con le dovute pezze d’appoggio. Che evidentemente mancano.

Il business

Ma qual era l’interesse degli Anello ad eliminare Torquato Ciriaco? Secondo Miss Marple in versione calabrese il clan di Filadelfia era interessato alla fornitura di calcestruzzo per i lavori d’allargamento dell’autostrada. Un business ghiotto al punto che uno dei costruttori, il lametino Salvatore Mazzei, aveva avuto la visita di Luni Mancuso che pretendeva il pizzo.

L’avvocato era interessato a rilevare la Edil Lorusso, un impianto di calcestruzzi nel Lametino, a cui puntava la famiglia di Filadelfia. Ecco perché Ciriaco era stato ribattezzato “cane” dalla cosca. Infatti la sera dell’omicidio Santino Panzarella tornato a casa disse a sua madre «finalmente se lo sono tolto di mezzo». E pochi giorni prima che il legale venisse ammazzato di notte sulla provinciale che da Lamezia porta a Maida, madre e figlio in macchina erano stati sorpassati dal fuoristrada Ford dell’avvocato e Santino aveva gridato: «Ormai circoli solo per qualche giorno… che quello che hai fatto agli Anello lo devi pagare!».

Miss Marple l’aveva rimproverato e lui a ricordare i tanti omicidi rimasti impuniti a Lamezia, dal poliziotto Salvatore Aversa al magistrato Francesco Ferlaino, al preside Giuseppe Lo Moro.

Lupara bianca

La differenza tra i due omicidi del 2002 è che dell’avvocato è stato trovato il cadavere crivellato sul sedile del suo fuoristrada. Del giovane Panzarella nulla. Nelle campagne di Curinga era stato trovato un frammento d’osso che dopo l’esame del Dna non è stato considerato umano. Gli imputati presunti affiliati del clan di Filadelfia assolti. E di nuovo liberi. Anche in questo caso niente prove.(v.l.)

Storia di una morte annunciata
Santino collabora e poi scompare

Mamma Angela gliel’aveva detto: «Quelli ti vogliono ammazzare, non ti fidare». Ma suo figlio Santino non l’ascoltava, si sentiva sicuro di sé. E come racconta la madre partecipa all’omicidio di Torquato Ciriaco seguendo le sue mosse.

Santino va tra Gioia Tauro e Rosarno a caricare sul camion l’auto rubata che sarebbe servita al commando per assassinare l’avvocato. Una Fiat chiara targata Rc depositata in un capannone non lontano dal luogo dell’agguato a Ciriaco.

L’avvocato la sera del primo marzo 2002 mentre dal suo studio di Lamezia tornava a casa a Maida, viene affiancato da quell’auto e i killer lo crivellano con tanti colpi calibro 9.

Passano quattro mesi e Santino sparisce. Volatilizzato. La madre non ha più sue tracce e si rivolge alla polizia, sapendo che suo figlio è stato ammazzato. Lupara bianca. E accusa presunti affiliati al clan Anello, arrestati e poi liberati dopo l’assoluzione. Angela Donato non ha mai voluto protezione.

 

 

 

Fonte:  lametino.it
Articolo del 23 agosto 2018
Lamezia, omicidio Ciriaco: Procura ricorre in appello dopo assoluzione quattro imputati

Lamezia Terme – Dopo l’assoluzione, in primo grado, di tutti gli imputati del processo scaturito dall’omicidio dell’avvocato lametino Torquato Ciriaco avvenuto nel 2002 “per non aver commesso il fatto”, la Procura ha presentato ricorso contro la sentenza di primo grado pronunciata nel settembre scorso. Ad un anno esatto, quindi, dalla sentenza di assoluzione, si ritornerà in aula, questa volta in Appello, il 20 settembre prossimo.

Tommaso Anello, i fratelli Vincenzino e Giuseppe Fruci e il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, quest’ultimo si era autoaccusato di aver partecipato all’omicidio del legale lametino e proprio grazie alla sua collaborazione il caso era stato riaperto, erano stati assolti dal gup del Tribunale di Catanzaro, Giovanna Gioia, che ne aveva stabilito la non colpevolezza. L’accusa sosteneva che Ciriaco fu ucciso perché voleva acquistare un’azienda edile che la cosca Anello voleva finisse ad un imprenditore già sottoposto ad estorsione.

Un fatto di sangue avvenuto il primo marzo 2002 quando l’avvocato fu ucciso nei pressi dello svincolo dei “Due Mari” in un agguato. A quindici anni dal delitto, nel gennaio del 2014, la Dda di Catanzaro chiuse le indagini per i tre imputati, dopo le dichiarazioni del collaboratore. La pubblica accusa aveva chiesto la condanna all’ergastolo dei tre, mentre, per il collaboratore Michienzi, la condanna a dieci anni di reclusione. Nel processo si era costituita parte civile la famiglia del legale lametino.

 

 

 

Fonte:  lacnews24.it
Articolo del 18 gennaio 2019
Omicidio Ciriaco a Lamezia, si riapre il dibattimento
L’avvocato venne ucciso nel 2002 sulla strada che collega la città con Maida. Il 4 aprile nel processo d’appello verranno ascoltati Francesco Michienzi e Angela Donato

Riapertura del dibattimento. Lo hanno deciso di giudici della Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro in merito all’omicidio del noto avvocato lametino Torquato Ciriaco ucciso il primo marzo del 2002 sulla strada che collega Lamezia Terme con Maida. Mentre rientrava a casa dal suo studio Ciriaco venne affiancato dai sicari che esplosero al suo indirizzo diversi colpi di fucile. Accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Luigi Maffia in aula dovranno essere ascoltati Francesco Michienzi (collaboratore di giustizia) e Angela Donato, madre di Santino Panzarella ucciso solo pochi mesi dopo l’omicidio del legale.

Il processo di secondo grado entrerà nel vivo il prossimo 4 aprile. Nel 2017, al termine del processo celebrato con rito abbreviato vennero assolti: Tommaso Anello, indicato come uno dei capi dell’omonimo clan di Filadelfia, i fratelli di Acconia di Curinga (Cz) Giuseppe e Vincenzino Fruci, ed il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi, anch’egli di Acconia di Curinga.

Il pm della Dda di Catazaro, Elio Romano, al termine della requisitoria aveva chiesto l’ergastolo per Tommaso Anello ed i fratelli Fruci, mentre 10 anni di reclusione erano stati chiesti per Francesco Michienzi.

Le indagini

Secondo le indagini condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro – crollate all’esito del processo di primo grado- Torquato Ciriaco era stato condannato a morte dal cartello ‘ndranghetista degli Anello-Fruci. In particolare, Tommaso Anello, fratello del boss Rocco Anello, avrebbe ordinato l’omicidio del professionista il quale avrebbe curato l’acquisto di una cava che la malavita voleva invece finisse ad un imprenditore già soggiogato.

A svelare per primo i retroscena dell’agguato era stato il pentito Francesco Michienzi, in un interrogatorio reso il 17 gennaio del 2007 al pm Gerardo Dominijanni. Spiegò ogni singola fase, dalla pianificazione all’esecuzione del delitto.

Le indagini trovarono nuovo impulso grazie agli approfondimenti investigativi della Squadra mobile di Catanzaro all’epoca diretta da Rodolo Ruperti. Ottenuti i riscontri necessari, la Procura antimafiadi Catanzaro, con il pm Elio Romano, ha poi concluso le indagini chiedendo e ottenendo il rinvio a giudizio del presunto mandante, Tommaso Anello, e dei fratelli Giuseppe e Vincenzino Fruci, che avrebbero fatto parte del commando. Rinviati a processo dal gup Giuseppe Commodaro, gli imputati hanno poi optato per il giudizio abbreviato.

L’accusa non resse al vaglio del giudice terzo. Tommaso Anello era difeso dagli avvocati Sergio Rotundo ed Anselmo Torchia; Giuseppe Fruci dagli avvocati Sergio Rotundo e Alice Massara, Vincenzino Fruci dagli avvocati Pilieci e Spinelli.

 

 

 

Tratto da: acnews24.it
Articolo del 22 luglio 2020
Imponimento, la mafia sanguinaria degli Anello a cui politici e imprenditori si inchinavano
di Pietro Comito

[…] L’omicidio Ciriaco

A Tommaso Anello ed ai fratelli Vincenzino e Francesco Fruci oggi è stato contestato anche l’omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco, assassinato l’1 marzo 2002 nel territorio di Maida. Grazie ad un’indagine della Polizia di Stato, il cold case fu riaperto. Ora si attende la sentenza d’appello dopo l’assoluzione in primo grado. Tutti e tre, in primo grado, erano stati assolti. […]

 

 

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vivi.libera.it
Torquato Ciriaco
La strada che da Lamezia Terme conduce a Maida, Torquato la percorreva praticamente tutti i giorni. Venti chilometri di provinciale che separavano lo studio legale di piazza della Repubblica, nel cuore della città lametina, alla casa dove l’avvocato viveva con sua moglie Giulia e le sue figlie.

 

 

 

 

 

 

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