20 settembre 1988 Baia Domizia (CE). Ucciso Giuseppe Mascolo, farmacista di 61 anni. Si era rifiutato di scendere a patti con la camorra.

Giuseppe  Mascolo, titolare di una nota farmacia a Cellole, un piccolo comune vicino a Sessa Aurunca, dove aveva ricoperto vari incarichi politici comunali, viene ammazzato nel 1988 a Baia Domizia, nei pressi della sua abitazione.
Sul delitto si susseguono parecchie ipotesi mai confermate. Il caso inizialmente viene archiviato.
Il pentito Mancaniello, esponente del clan “Muzzoni”, ascoltato dal procuratore che allora seguiva la diatriba tra casalesi e i clan antagonisti della zona, il dott. Raffale Cantone, riceve una rivelazione da un esponente del clan dei casalesi di Baia Domizia. Questi gli aveva confidato che l’omicidio Mascolo era stato un errore. Beneduce, che all’epoca era ancora alleato dei “Muzzoni”, pretendeva qualcosa dal farmacista ma lui si era rifiutato, cosicché il boss aveva mandato alcuni suoi uomini per intimorire la vittima, ma forse a causa di una reazione del farmacista era partito un colpo di pistola che l’aveva ammazzato.
Il pentito fece anche il nome di alcuni esecutori materiali, come Toraldo detto “il Guercio” e un tale Lucio.
Queste dichiarazioni, sebbene stringate, furono sufficienti  per far riaprire il caso. Fondamentale fu altresì la collaborazione della moglie di Toraldo che confermò tutte le sue dichiarazioni precedenti, comprese quelle che facevano riferimento al delitto Mascolo, ucciso nel 1988 dallo stesso Toraldo, uomo di fiducia di Beneduce.
Silvana racconta che i rapporti tra il suo compagno e Beneduce andavano peggiorando al punto tale che il clan riteneva Toraldo inaffidabile e per questo motivo, secondo la moglie Silvana, lo fecero sparire.

Durante il processo fondamentale fu la testimonianza del figlio del farmacista, Luigi Mascolo, per la ricostruzione della dinamica del fatto.
“Come ogni sera avevo chiuso la farmacia, per poi rincasare. Ciascuno di noi rientrava con la propria macchina. Io ero tornato a casa pochi minuti dopo mio padre quando mi sono imbattuto in un’auto che si allontanava a tutta velocità. Credendo fossero ladri, li ho inseguiti, per prendere il numero di targa, ma tornato a casa, ho trovato mio padre riverso sui sedili anteriori della macchina privo di vita.  Mia  madre che si trovava in casa aveva sentito prima un urto e poi uno sparo”.

Il processo si è concluso con la condanna a 21 anni per uno dei due esecutori, nessuna condanna per Toraldo e Beneduce,  perché già morti.
La sentenza di primo grado, che ha visto la famiglia di Mascolo costituirsi parte civile, è stata poi confermata in Appello e in Cassazione.

Fonte: fondazionepolis.regione.campania.it

 

 

 

Articolo dell’ 8 Novembre 2011 da  raffaelesardo.blogspot.com 
IN RICORDO DEL PADRE, GIUSEPPE MASCOLO, DEVOLVE L’INDENNITÀ PER LE VITTIME INNOCENTI PER BORSE DI STUDIO
Il padre fu ucciso dalla camorra nel 1988 perché si rifiutava di pagare il pizzo. Ora il figlio mette a disposizione l’indennità che lo Stato gli ha riconosciuto quale familiare di vittima innocente della criminalità, per una borsa di studio a favore di studenti delle scuole superiori di Sessa Aurunca.

Luigi Mascolo, farmacista di Cellole, quarantasette anni, non se l’è fatto ripetere due volte quando la Fondazione Intercultura gli chiesto di mettere a disposizione un fondo per dare possibilità ad alcuni studenti di studiare all’estero. Ha posto solo una condizione: quella di intitolare la borsa di studio al padre, Giuseppe, per ricordare una vittima della camorra e contribuire in questo modo ad affermare una cultura della legalità.

“Ho pensato alle possibilità che non hanno avuto tanti giovani di questo territorio di guardare al futuro in maniera diversa – dice Luigi Mascolo –  Perciò non mi sono tirato indietro. Se ai giovani venisse offerta qualche occasione in più per spiccare il volo, molte cose anche qui sarebbero andate in altro modo”. La vicenda di Giuseppe Mascolo per anni è stata sepolta sotto una coltre di silenzio che ha alimentato anche  voci incontrollate sul suo conto. E quando i motivi di quella morte non vengono subito a galla, è facile mettere dalla parte dei carnefici anche le vittime innocenti. Poi, dopo molti anni arriva un collaboratore di giustizia e un giudice caparbio, come  Raffaele Cantone e il velo di omertà e di silenzio si squarcia.

L’omicidio fu un errore dei suoi estortori. Volevano solo intimidirlo. La squadretta di malavitosi inviata da Alberto Beneduce, il boss dei casalesi per la zona di Baia Domizia, aveva ricevuto ordini stato categorici: “Il farmacista deve pagare. Non voglio sentire ragioni”. Ma il loro obiettivo era anche quello di appropriarsi di un terreno a Baia Domizia che era rientrato tra quelli edificabili nel nuovo Piano Regolatore. Lo volevano a tutti i costi. Il 20 di settembre del 1988, Giuseppe Mascolo aveva appena chiusa la farmacia a Cellole e si era avviato a casa insieme al figlio, ma su due auto diverse. Avevano fatto un tratto di strada assieme, e Luigi, che all’epoca  aveva 24 anni, girò per andare alla Guardia Medica. Pochi minuti e tornò indietro, perché la trovò chiusa. A Baia Domizia, dal vialetto della sua abitazione vide uscire di corsa in retromarcia un’auto. “Sono i ladri”, Pensò Luigi. Istintivamente li seguì prendendo anche il numero di targa. Non riuscì a raggiungerli, ma si recò immediatamente dai Carabinieri per denunciare l’accaduto, convinto che avessero rubato qualcosa nell’abitazione. Quando tornò a casa non si rese conto subito che il padre non c’era e chiese alla mamma. “Ho sentito un urto e un botto, ma non vedo tuo padre…” Luigi non aspettò di sentire altre parole. Corse verso l’auto del padre e lo trovò riverso sui sedili anteriori. Era già morto. Gli avevano sparato un colpo solo. La verità sulla morte di Giuseppe Mascolo è venuta a galla nel processo dove alcuni collaboratori e testimoni di giustizia hanno detto chiaramente che Giuseppe Mascolo è una vittima innocente. Si era rifiutato di scendere a patti con la camorra.

La convenzione tra la Fondazione Intercultura e Luigi Mascolo, a cui ha dato il  patrocinio il  Comune di Sessa Aurunca, verrà presentata mercoledì 9 novembre  alle ore 9.45 presso il Salone dei Quadri della Città di Sessa Aurunca (CE).

 

 

 

Articolo del 2 Maggio 2008 da  questure.poliziadistato.it
Latitante arrestato dal personale della Questura di Latina

Questa notte personale della Squadra Mobile della Questura di Latina e del Commissariato di P.S. di Formia (LT), in collaborazione con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e con il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia nonché con la Polizia francese, a conclusione di serrate indagini, hanno tratto in arresto, in esecuzione ad un ordine di carcerazione emesso dalla Procura Generale di Napoli – in Francia – il pluripregiudicato Izzo Lucio, nato a Sessa Aurunca (CE) e residente a Formia (LT).

L’uomo deve scontare venti anni per i reati di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione e l’omicidio – in concorso con altri – del farmacista Mascolo Giuseppe del 1929, trucidato sotto la propria abitazione a Baia Domizia (CE) il 20.09.1988 in quanto si era opposto al pagamento di una somma di denaro al sodalizio vincente all’epoca sul litorale domitio.

L’Izzo è un soggetto conosciuto dalle forze dell’ordine sin dagli anni 90, quale affiliato al clan  “Beneduce” capeggiato dai fratelli Alberto e Benito di Baia Domizia (CE).

Si tratta di un sodalizio camorristico attivo in provincia di Caserta e cellula del “clan dei Casalesi” con propaggini nel sud-pontino ove contava la militanza dei germani Riccardi Orlandino e Luigi, Miraglia Armando, Antinozzi Antonio, Mendico Ettore, Di Tora Castrese, Perrone Alfonso, Iacobucci Carlo, Sportiello Toraldo, D’Addeo Valentino e Falso Guido.

Il predetto è stato tratto in arresto più volte per reati associativi anche di stampo camorristico.

Alla fine dello scorso mese di marzo, la Procura Generale di Napoli ha emesso nei suoi confronti un ordine di esecuzione per la carcerazione, confermando la precedente condanna inflitta a anni 20 di reclusione.

Venuto a conoscenza dal proprio difensore del provvedimento adottato, l’Izzo abbandonava sulle strade della provincia di Savona il tir sul quale lavorava per conto di una ditta del casertano ed aiutato da atri camionisti faceva perdere le proprie tracce.

Le immediate indagini attivate dal personale del Commissariato di P.S. Formia insieme alla della Squadra Mobile della Questura di Latina, nell’ambito del procedimento penale della D.D.A. di Napoli, permettevano di individuare l’Izzo, in Francia e, precisamente, nella città di Nizza.

Nel prosieguo delle indagini il personale operante veniva a conoscenza che il predetto doveva essere raggiunto dalla famiglia.

Pertanto il Questore di Latina predisponeva servizi di appostamento e pedinamento.

La sera del 29 aprile u.s., la moglie di Izzo assieme ai figli si imbarcava dall’aeroporto di Roma su aereo diretto a Parigi per raggiungere il proprio congiunto.

In proposito veniva subito interessato il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato ed il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia che predisponeva con la Polizia francese un servizio di osservazione all’aeroporto.

All’arrivo della donna il personale che la pedinava segnalava alla Polizia francese l’Izzo Lucio che veniva subito catturato e dopo le formalità di rito veniva messo a disposizione di quelle autorità in attesa dell’estradizione in Italia.

 

 

 

Articolo del 3 Maggio 2008 da ricerca.repubblica.it
Ammazzò farmacista per racket latitante arrestato a Parigi

Un latitante legato ai clan del Casertano, Luciano Izzo, è stato catturato ieri nell’ aeroporto di Parigi dove era andato a prendere moglie e figli. Izzo, 44 anni, originario di Sessa Aurunca e residente a Formia (Latina), è considerato dalle forze dell’ ordine affiliato al clan Beneduce di Caserta. Era stato condannato con sentenza definitiva a venti anni di reclusione per l’ omicidio del farmacista Giuseppe Mascolo, avvenuto il 20 settembre del 1988. Izzo era fuggito dall’ Italia nel mese di marzo scorso dopo il rigetto del ricorso in Cassazione presentato dai suoi legali e l’ ordine di carcerazione emesso dalla Procura di Napoli. La polizia lo ha rintracciato pedinando la moglie e i due figli, che il 29 marzo scorso avevano acquistato un biglietto aereo per Parigi. Izzo attendeva all’ aeroporto l’ arrivo della famiglia ed è stato immediatamente arrestato. Le accuse a suo carico sono di associazione a delinquere di stampo camorristico, estorsione, omicidio. L’ uomo faceva parte del gruppo armato che nel 1988 uccise a Baia Domizia il farmacista Giuseppe Mascolo, trucidato davanti alla sua abitazione sotto gli occhi della moglie e dei figli perché si era opposto al pagamento di un’ estorsione. Da anni residente a Formia, dove si era sposato. Izzo è considerato affiliato al clan Beneduce, cellula del potente clan dei Casalesi, con propaggini nel Sud pontino.

 

 

 

Fonte: lecronachediferdinandoterlizzi.blogspot.com
Articolo del 11 gennaio 2015
Assassinato Giuseppe Mascolo il farmacista di Cellole
di Ferdinando Terlizzi
Era ricco e potente e faceva politica e trattava affari. Si era rifiutato di scendere a patti con la camorra.

Il delitto scoperto dopo vari anni grazie alla sagacia dell’ex Piemme Raffaele Cantone. La vicenda è raccontata nel suo libro “Operazione Penelope”.
Uno dei killer è lupara bianca l’altro sconta il carcere condannato a 21 anni.
Le dichiarazioni della moglie di un killer e quelle di un collaboratore di giustizia di Sessa Aurunca, consentirono di riaprire le indagini.
La donna riferì al Pm della Dda di Napoli, Raffaele Cantone e ai carabinieri del reparto operativo di Caserta, cosa le confidò il marito subito dopo l’agguato.

Il dottore Giuseppe Mascolo era ricco, potente, stimato, faceva politica e trattava affari. Era farmacista ma anche proprietario terriero: quando gli capitava l’occasione giusta, l’investimento redditizio, metteva mano al conto in banca e comprava. Nei giorni che precedettero la sua morte un pensiero agitava la sua testa: si era intestardito con un grosso appezzamento di terreno a Baia Domizia, lo stesso che interessava il camorrista più potente della zona, Alberto Beneduce. Come si ricorderà, la moglie di quest’ultimo fu trucidata assieme al suo amante. Fu Dario De Simone, il pentito che consentì, infatti, di far luce sulla scomparsa di Luigi Griffo e Paola Stroffolino, uccisi in un agguato.

Il farmacista Giuseppe Mascolo, 61 anni, esponente della Democrazia Cristiana e dell’USL di Sessa Aurunca, proprietario di due farmacie, (una a Cellole e l’altra nel centro sociale di Baia Domizia), non si tirò indietro e fece delle offerte per l’appetitoso terreno. Per questo il boss – che era stato il pupillo di Antonio Bardellino – mandò i suoi uomini più fidati a minacciarlo. Dovevano spaventarlo e magari ferirlo alle gambe; sbagliarono e l’uccisero.

Era la sera del 20 settembre del 1988, nel Viale dei Pioppi di Baia Domizia, il figlio del farmacista Luigi, che all’epoca aveva appena 24 anni, (oggi anche lui farmacista, affermato imprenditore, impegnato in politica e nel sociale, ha  messo a disposizione l’indennità che lo Stato gli ha riconosciuto quale familiare di vittima innocente della criminalità, per una borsa di studio a favore di studenti delle scuole superiori di Sessa Aurunca), vide l’auto degli assassini e ne annotò il numero di targa. Vide anche scappare chi aveva sparato, uno a piedi verso la spiaggia e tre sull’auto, una Prisma, che risultò rubata e che fu trovata poco lontano dal luogo dell’agguato. Dei killer, per quasi 14 anni non si è saputo più nulla.

La vicenda è stata anche narrata da Raffaele Cantone nel suo libro “Operazione Penelope”.

La prima volta che ho sentito parlare dell’omicidio del farmacista Giuseppe Mascolo – ha scritto Cantone – ero entrato da poco a far parte della Direzione distrettuale antimafia della procura di Napoli. Era la fine del 1999 e mi erano stati assegnati i processi dell’area casertana.  Tra i miei primi incarichi c’era la gestione di un pentito, un tale Gianfranco. Risultava un personaggio di medio calibro. Nel 1993 aveva abbandonato il clan ed era fuggito all’estero per il timore di essere ucciso.  È stato allora – nel corso degli interrogatori – che è venuto fuori il nome di Giuseppe Mascolo, per me totalmente sconosciuto.  Fece anche i nomi di alcuni degli esecutori materiali, un certo Toraldo, detto «il Guercio», e un tale Lucio.

Dopo avere letto le dichiarazioni del giovane Luigi Mascolo, mi concentrai su quelle della madre. Seppi così che il farmacista aveva fatto degli investimenti in zona: aveva acquistato dei terreni, uno dei quali inserito nel piano regolatore. Si trattava di un ottimo affare, che poteva senz’altro aver ingolosito il clan. Qualcuno, infatti, si era fatto avanti per conto dei camorristi, manifestando il loro interesse. Anche dopo la morte del farmacista, un personaggio della zona aveva avuto l’ardire di ritornare alla carica presentandosi a nome di Beneduce per riproporre l’acquisto di quel lotto.

Il maresciallo Iatomasi mi raccontò che parecchi anni prima, nel corso di un’indagine in quella zona, aveva conosciuto la moglie di un esponente di primo piano del clan di Baia Domitia. L’uomo, un tale Toraldo, era scomparso e tutti sapevano che non era fuggito ma doveva essere rimasto vittima della «lupara bianca». Si era rivolta quindi ai carabinieri perché voleva liberarsi la coscienza, raccontando agli inquirenti tutto ciò che Toraldo nel corso degli anni le aveva rivelato. Tra quei segreti, c’era anche l’omicidio di Giuseppe Mascolo che, a suo dire, era stato ammazzato proprio dal marito. Il maresciallo aveva subito informato la procura che una testimone era disposta a parlare, ma non ne aveva saputo più nulla.

Pregai il maresciallo di non arrendersi e di andare a parlarle di persona. Ero certo che ci sarebbe riuscito, e così fu. Sebbene recalcitrante, alla fine la donna aveva acconsentito a rispondere alle domande. Si chiamava Silvana. Ancora bella, seppure non più giovanissima, i suoi occhi spenti tradivano una vita difficile e sofferta. Suo marito era effettivamente uno degli uomini di fiducia di Beneduce e si occupava di estorsioni e intimidazioni. A suggello di questo legame criminale, il boss aveva fatto da testimone alle loro nozze. Il marito le aveva anche fatto i nomi dei suoi tre compari: fra di loro c’era quel Lucio di cui mi aveva parlato Gianfranco. Le dichiarazioni di Silvana, dunque, si erano confermate molto utili: i fatti che ci aveva raccontato coincidevano con quello che mi aveva detto il pentito.

I carabinieri prepararono un’informativa piena di elementi di riscontro e io scrissi una richiesta cautelare nei confronti di Lucio. Del resto, Toraldo era da considerarsi morto così come Beneduce, il presunto mandante del delitto, che era stato a sua volta ammazzato nella guerra tra clan. Il gip non accolse la richiesta, ritenendo insufficiente il materiale probatorio. Sollecitai, comunque, il rinvio a giudizio che il gup, il giudice dell’udienza preliminare, non negò: alla fine, dunque, ci sarebbe stato il processo davanti alla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere.

Alla prima udienza del processo, la famiglia Mascolo si era costituita parte civile. Una piacevole sorpresa: in terra di camorra i familiari dei morti ammazzati non lo fanno quasi mai. Sanno che i boss non lo gradiscono perché leggono questa iniziativa come una simbolica adesione allo Stato e, quindi, una sfida alla loro autorità. Inoltre, sono anche pochi gli avvocati che accettano questo tipo di incarichi. Forse temono di perdere la numerosa clientela che viene dalle file della camorra. Ciò che altrove è semplicemente un passaggio tecnico del processo, infatti, in Campania diventa un atto di coraggio.

Durante una pausa dell’udienza, mi si era avvicinato Luigi Mascolo, accompagnato dal suo avvocato. Non l’avevo mai incontrato prima, non ritenendolo necessario dato che le sue dichiarazioni all’epoca dei fatti erano state molto esaurienti. Mi aveva stretto la mano, ringraziando me e i carabinieri per aver riportato a galla un episodio che ormai era rimasto un tarlo solo per la sua famiglia. Partivamo con lo svantaggio di un gip che aveva ritenuto gli indizi insufficienti, e dunque non gli avevo nascosto che l’esito del processo mi sembrava incerto. Inoltre, temevo per la tenuta della teste.

Dopo i riscontri dei carabinieri, l’avevo fatta ricontattare per proporle di entrare nel programma di protezione come collaboratore di giustizia, ma si era rifiutata. Ormai aveva un’altra vita e il suo compagno non avrebbe mai accettato di lasciare il Napoletano, per vivere chissà dove, guardandosi sempre le spalle. Luigi Mascolo, però, era ottimista: comunque sarebbe andata, quel rinvio a giudizio lo ripagava di tante amarezze. Aveva sognato mille volte il momento in cui lo Stato avrebbe ristabilito la verità e restituito l’onore a un uomo che aveva avuto il solo torto di non cedere a un sopruso.

Il processo si svolse a ritmo serrato, con un calendario fitto di udienze. Poi arrivò il giorno della testimonianza di Silvana, che tanto mi preoccupava. Chiesi a Iatomasi di starle vicino per tutto il tempo: non sarebbe stato facile per lei parlare in pubblico davanti agli ex amici del marito ed era molto probabile che avesse ricevuto intimidazioni. Quando venne il suo turno, non riusciva quasi a proferire parola e condiva le poche frasi di «non ricordo». Ma confermò tutte le sue dichiarazioni. La sua testimonianza resse anche al controesame della difesa.

Nel corso del processo, decisero di collaborare anche Augusto La Torre, il boss di Mondragone, e alcuni suoi uomini. Pur non avendo avuto un ruolo diretto nella vicenda, non potevano non sapere chi e perché aveva voluto un omicidio come quello, nella zona confinante al loro territorio. Finita l’istruttoria, mi ero quindi dedicato a preparare la requisitoria seguendo un sistema che sarebbe poi diventato il «mio» metodo: ulteriori letture dei verbali, tanti appunti e una scaletta dettagliata. Rileggendo il materiale per l’ennesima volta, facevo l’avvocato del diavolo ponendomi domande su domande: solo una volta convinto al cento per cento avrei potuto chiedere una condanna.

Feci una requisitoria breve e concisa, riservando però un ampio spazio introduttivo alla vittima, un uomo che aveva perso la vita per un atto di coraggio e che meritava un tributo. Conclusi chiedendo per Lucio, che non si era mai presentato alle udienze, una condanna a ventisei anni. Al momento della sentenza ero nervoso. Ho sempre evitato le personalizzazioni, ma quando un processo ti costa tanto lavoro e, soprattutto, sei convinto delle tue argomentazioni, non puoi non fare il tifo perché finisca in un certo modo.

Non appena la Corte iniziò a leggere la sentenza, capii che aveva condannato l’imputato. La pena fu di ventuno anni. Uscendo dal tribunale, Luigi Mascolo mi disse che lo Stato e le istituzioni per fortuna ogni tanto non deludono i cittadini. Gli strinsi la mano e me ne andai. Una volta che il mio compito in un processo si esaurisce, è mia abitudine disinteressarmi di quanto avviene dopo, e fu così anche quella volta. A distanza di qualche tempo, però, l’avvocato di parte civile mi informò che la sentenza era stata convalidata in appello. Anni dopo, sono venuto a sapere che anche la Corte di cassazione l’aveva confermata.

 

Il latitante Luciano Izzo, catturato nell’ aeroporto di Parigi dove era andato a prendere moglie e figli.

Era stato condannato a 21 anni di carcere per l’omicidio del farmacista Giuseppe Mascolo –  Izzo era fuggito dall’Italia la polizia lo ha rintracciato pedinando la moglie e i due figli, che avevano acquistato un biglietto aereo per Parigi.

Nel 2008 il killer del farmacista Giuseppe Mascolo che era stato condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere a 26 anni di reclusione ed è stato arrestato dal personale della Questura di Latina. Era latitante in quanto venuto a conoscenza dal proprio difensore del provvedimento adottato Lucio Izzo, abbandonava sulle strade della provincia di Savona il tir sul quale lavorava per conto di una ditta del casertano ed aiutato da atri camionisti faceva perdere le proprie tracce.

Il personale della Squadra Mobile della Questura di Latina e del Commissariato di P.S. di Formia, in collaborazione con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e con il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia nonché con la Polizia francese, a conclusione di serrate indagini, lo trassero in arresto, in esecuzione ad un ordine di carcerazione emesso dalla Procura Generale di Napoli.

Il pluripregiudicato Lucio Izzo, è nato a Sessa Aurunca ma residente da anni a Formia.  L’uomo doveva scontare, come detto, venti anni per i reati di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione e l’omicidio – in concorso con altri – del farmacista Mascolo Giuseppe, trucidato sotto la propria abitazione a Baia Domizia, il 20.09.1988, in quanto si era opposto al pagamento di una somma di denaro al sodalizio vincente all’epoca sul litorale domitio.

L’Izzo è un soggetto conosciuto dalle forze dell’ordine sin dagli anni 90, quale affiliato al clan “Beneduce” capeggiato dai fratelli Alberto e Benito di Baia Domizia. Le immediate indagini attivate dal personale del Commissariato di P.S.  di Formia, insieme alla della Squadra Mobile della Questura di Latina, nell’ambito del procedimento penale della D.D.A. di Napoli, permettevano di individuare l’Izzo, in Francia e, precisamente, nella città di Nizza.

Nel prosieguo delle indagini il personale operante veniva a conoscenza che il predetto doveva essere raggiunto dalla famiglia. Pertanto il Questore di Latina predisponeva servizi di appostamento e pedinamento. La moglie di Izzo assieme ai figli si imbarcava dall’aeroporto di Roma su aereo diretto a Parigi per raggiungere il proprio congiunto. In proposito veniva subito interessato il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato ed il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia che predisponeva con la Polizia francese un servizio di osservazione all’aeroporto. All’arrivo della donna il personale che la pedinava segnalava alla Polizia francese l’Izzo che veniva subito catturato e dopo le formalità di rito veniva messo a disposizione di quelle autorità in attesa dell’estradizione in Italia.

La vicenda è chiusa ma la memoria del dottor Mascolo vivrà per sempre anche in considerazione della collaborazione della civica amministrazione di Sessa Aurunca che dopo aver coniato lo slogan “Dalla parte della legalità, unico strumento che difende la gente comune, la sua libertà di vivere senza paura”, l’ha fatto incidere sulla targa donata dal sindaco Luigi Tommasino al magistrato Raffaele Cantone. L’occasione è stata colta nel corso della conferenza stampa per la presentazione delle borse di studio messe a disposizione da Luigi Mascolo, figlio di vittima di camorra, che ha voluto devolvere l’indennità prevista dallo Stato, per giovani studenti del territorio che avranno così la possibilità di vivere e studiare all’estero per un programma di studio della durata di tre mesi.

 

 

 

IGNOTI GLI AUTORI DEL DELITTO
Official Teaser Trailer
TesserAureA OFFICIAL CHANNEL 6 gennaio 2016

Il film è tratto da “Operazione Penelope“, libro scritto dal magistrato Raffaele Cantone che racconta la storia di Giuseppe Mascolo, farmacista di Sessa Aurunca che fu ammazzato nel 1988.

 

 

 

La storia di Giuseppe Mascolo è nel libro:

La sedia vuota. Storie di vittime innocenti della criminalità
di Raffaele Sardo

Dicembre 28, 2018

edito da IOD

Questo volume di Raffaele Sardo raccoglie le storie di 15 vittime innocenti della camorra, del terrorismo, del dovere. Poliziotti, carabinieri, imprenditori e semplici cittadini morti ingiustamente prendono di nuovo vita nei racconti che ne fanno i familiari. Straordinarie pagine di resistenza civile, dove i protagonisti sono per lo più persone normali, uccise solo per aver fatto il proprio dovere. A interrogare le nostre coscienze sono le parole di chi è rimasto, ma soprattutto i silenzi che ci arrivano da quelle sedie rimaste per sempre vuote attorno al tavolo della cucina e da quei letti dove nessuno più rimbocca le coperte. La compostezza e la dignità dei familiari delle vittime innocenti sono i valori fondanti per una nuova cultura dell’antimafia sociale culturale, dove i fatti di mafie e del terrorismo sono narrati a partire dalle storie delle vittime innocenti. Prefazione di Franco Roberti. Postfazione di Don Tonino Palmese.

 

 

 

 

Leggi anche: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 18 ottobre 2020

Giuseppe, farmacista ucciso dalla Camorra
di Linda Bano

 

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