25 Giugno 1994 Licata (AG). Ucciso Salvatore Bennici, imprenditore edile vittima del racket.

Salvatore Bennici, 60 anni, imprenditore edile di Licata ucciso il 25 giugno 1994. Due killer incappucciati l’hanno ucciso alle 7,30 del mattino mentre si dirigeva al lavoro in compagnia del figlio Vincenzo, 26 anni. Una esecuzione spietata: uno dei sicari ha immobilizzato il giovane puntandogli la pistola alla tempia, mentre il compare sparava senza affanno all’imprenditore. Il figlio ha gridato come un forsennato, tentando di divincolarsi. Tutto inutile: il giovane è stato costretto ad assistere impotente all’agghiacciante spettacolo di morte. A missione compiuta i killer sono fuggiti a bordo di un’Alfa 75 che dopo qualche ora è stata ritrovata bruciata. Salvatore Bennici era titolare di una piccola impresa edile. Si occupava di subappalti e movimento terra: per chi conosce un po’ le cose siciliane sa benisismo che questi sono pascoli tradizionali della mafia. Di recente aveva anche ottenuto un incarico per il completamento di una strada nel comune di Palma di Montechiaro. E proprio questo subappalto potrebbe aver fatto scattare gli appetiti del racket.
Fonte Liberanet.org

 

 

Fonte CentroImpastato.it

A Licata (Agrigento) ucciso l’imprenditore edile Salvatore Bennici, che si opponeva alle richieste della mafia della zona in cui operava. Aveva subito due attentati: l’incendio di un escavatore e un tentato incendio a casa sua.

 

 

Fonte: La Stampa  del 26 Giugno 1994
Si ribella a racket punito con la morte
di Antonio Ravidà
Massacrato da due killer, uno dei quali ha tenuto fermo il figlio che cercava di difenderlo Sì ribella al racket, punito con la morte

AGRIGENTO Dopo due attentati si era ostinatamente rifiutato di pagare il racket mafioso delle tangenti. E aveva avvisato la polizia. L’hanno ucciso senza pietà. Due killer incappucciati l’hanno affrontato ieri alle 7,30 davanti al figlio in un cantiere con i macchinari della sua impresa e hanno rapidamente portato a termine la missione di morte ordinata dai boss.

Il delitto, nel centro di Licata, come in un film mozzafiato. La vittima è l’imprenditore di lavori movimento terra Salvatore Bennici di 60 anni.

Gli assassini sono scesi un’Alfa 75 giunta a forte velocità e a quanto sembra guidata da un complice, certamente un pilota esperto a giudicare da come se l’è cavata. Uno ha immobilizzato il figlio, Vincenzo Bennici, 26 anni, puntandogli contro la pistola. L’altro si è avventato sull’impresario e senza perder tempo ha cominciato a sparargli con un’altra pistola, quasi a bruciapelo, crivellandogli la testa e sfigurandogli il volto. Bennici è caduto con un grido che gli si è smorzato in gola: «Delinquenti!». Vincenzo, gli occhi sbarrati dal terrore, ha gridato a sua volta invocando aiuto e provando a divincolarsi per soccorrere il padre, che però era già morto.

I killer sono fuggiti sull’Alfa 75, che poco più tardi è stata recuperata dagli inquirenti a due chilometri da Licata. La vettura, prima di essere abbandonata, è stata cosparsa di benzina e incendiata. Il «gruppo di fuoco» non ha voluto lasciare alcuna traccia. A bordo gli esperti della Scientifica hanno recuperato qualche brandello dei cappucci utilizzati dagli assassini. L’auto era stata rubata.

L’omicidio è avvenuto due ore prima che ad Agrigento, 50 chilometri di distanza, arrivasse da Palermo la notizia che quattro sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia e palermitana hanno chiesto il rinvio a giudizio di 60 boss e picciotti di varie zone dell’Agrigentino accusati di associazione mafiosa. L’udienza preliminare si terrà a Palermo il 25 luglio davanti al gip Renato Grillo. Licata e la vicina Palma di Montechiaro sono diventati centri nevralgici del sistema mafioso di Cosa nostra anche qui fedele al clan dei corleonesi e dei sempre più ambiziosi e sanguinari esponenti della «stidda», le cui cosche tentano da almeno tre anni di spodestare Riina, Provenzano e gli altri delle «famiglie» tradizionali della mafia.

Salvatore Bennici, come tre anni fa a Palermo l’industriale tessile Libero Grassi, aveva risposto negativamente alle richieste di denaro del racket. L’avevano subissato di telefonate anonime a ogni ora del giorno e della notte con minacce di morte a lui e ai familiari. Quindi altri segnali inquietanti. In aprile era stato dato alle fiamme un grosso escavatore della ditta con danni per svariati milioni. E, subito dopo, nuove minacce seguite da altre richieste di «pagare, se vuoi vivere». Ogni notte nell’alloggio dei Bennici stava pian piano diventando da incubo per le telefonate sempre più perentorie. Quindi giorni fa è stato incendiato il portone d’ingresso dell’abitazione dei Bennici. Un altro «messaggio». L’imprenditore aveva segnalato a polizia e carabinieri questi episodi.

Sul posto del delitto, ieri mattina, sono giunti il sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento Pietro Bellidori incaricato di coordinare le indagini, il questore Antonio Recchioni, carabinieri. E’ stata avviata una vasta operazione per il controllo degli alibi di numerosi pregiudicati nell’intera provincia e Vincenzo Bennici è stato interrogato per più di un’ora e mezzo. Il giovane era sotto choc e a quanto sembra non è in condizione di riconoscere gli assassini per via dei cappucci. Gli inquirenti, propensi a battere la pista del racket delle estorsioni controllato dai mafiosi, non escludono che nell’omicidio abbiano avuto un ruolo anche i boss che fra Licata e Palma di Montechiaro, come in altre zone della Sicilia, stanno facendo di tutto per continuare a controllare il business degli appalti.

 

 

 

 

Foto da: http://www.fondazionecs.org

Articolo da La Repubblica del 26 Giugno 1994
GIUSTIZIATO DAVANTI AL FIGLIO

di Francesco Viviano

AGRIGENTO – «Stai tranquillo, non ti succederà niente». Con una pistola puntata alla tempia, Vincenzo Bennici, 26 anni, ha assistito impotente e terrorizzato all’assassinio del padre Salvatore, 60 anni, piccolo imprenditore edile di Licata (Agrigento), “giustiziato” con quattro colpi di pistola alla testa e al torace.

È stata un’esecuzione plateale, perché Salvatore Bennici aveva osato ribellarsi al racket delle estorsioni denunciando alla polizia due danneggiamenti (uno alla porta di casa e l’altro al suo piccolo cantiere) subìti nel giro di pochi giorni. L’ imprenditore, con la testa devastata dalle pallottole sparate a distanza ravvicinata da una pistola calibro 9, non è morto all’istante. Rantolante Salvatore Bennici è stato soccorso dal figlio che sotto choc, come un automa, lo ha sollevato da terra e lo ha trasportato con la sua Fiat Uno all’ospedale San Giacomo D’ Altopasso di Licata. Una corsa inutile perché Salvatore Bennici è morto qualche istante dopo il suo ingresso al pronto soccorso.

Una crisi di nervi
In preda ad una crisi di nervi, Vincenzo ha abbracciato il corpo privo di vita del padre cominciando a gridare contro gli assassini del genitore. Agli investigatori ha poi raccontato la terribile scena alla quale ha dovuto assistere senza poter far nulla. L’omicidio dell’imprenditore è stato compiuto poco dopo le 7,50 di ieri mattina. Insieme al figlio, Salvatore Bennici era andato nel suo cantiere edile, in via Palma, alla periferia di Licata. Appena scesi dall’automobile padre e figlio sono stati avvicinati da due persone incappucciate, entrambe armate di pistola. Un killer ha puntato la canna della pistola alla tempia di Vincenzo dicendogli di «stare calmo» che «non sarebbe accaduto nulla». L’altro si è avvicinato all’imprenditore sparandogli a bruciapelo quattro colpi in successione: due alla testa ed altri due al torace.

I due killer, dopo aver “consigliato” a Vincenzo di «stare zitto», si sono allontanati a bordo di un’Alfa 155 che è stata ritrovata qualche ora dopo bruciata sulla strada tra Licata e Palma di Montechiaro. L’automobile è risultata rubata circa un mese fa ad Agrigento. Le modalità dell’esecuzione hanno convinto gli inquirenti che gli ordini dati ai sicari erano quelli di uccidere soltanto Salvatore Bennici. Per questa ragione avrebbero risparmiato il figlio che, quando ha capito che stavano per assassinare il padre, ha cominciato a gridare supplicando i killer di non sparare.

Per gli inquirenti l’assassinio dell’imprenditore ha un solo movente, quello di essersi ribellato al racket delle estorsioni di Cosa Nostra. Bennici alcuni mesi fa aveva preso in subappalto alcuni lavori per la posa della conduttura per l’acquedotto di Palma Montechiaro e, nonostante gli avvertimenti e le intimidazioni a lasciar perdere, Bennici aveva iniziato i lavori. Subito dopo sono cominciati gli attentati.

Non voleva sospendere i lavoro
Il mese scorso gli fecero saltare in aria un escavatore con una potente carica esplosiva. L’imprenditore non esitò a denunciare il fatto al commissariato di Licata. Dieci giorni dopo un altro avvertimento: di notte cosparsero di benzina la porta della sua abitazione dandogli fuoco. Anche in quella circostanza Bennici si rivolse alla polizia e per evitare altri attentati trascorreva gran parte delle sue giornate nel suo piccolo cantiere facendo dei controlli anche la notte. Negli ultimi giorni Bennici aveva ricevuto telefonate anonime, ma l’imprenditore non voleva cedere, e ieri mattina è stato “punito” con un’ esecuzione atroce davanti agli occhi del figlio.

Vincenzo Bennici è stato già ascoltato dal sostituto procuratore della Repubblica di Agrigento Pietro Bellidori, che coordina le indagini. Al magistrato il figlio della vittima ha descritto la terribile scena. Gli investigatori hanno puntato la loro attenzione sull’attività dell’ imprenditore ucciso e sull’ultimo appalto di Palma Montechiaro che Bennici si era aggiudicato “saltando” il controllo delle cosche che hanno deciso la sua eliminazione.

 

.
.
.
.
.
.

Fonte:  licatainrete.it
Articolo del 26 giugno 2017
Salvatore Bennici – L’uomo che si è ribellato alla mafia
Ci sono fatti di cui non vorremmo mai parlare ma che, una volta accaduti, non possono essere trascurati ma anzi meritano una notevole attenzione.

Non avremmo mai voluto parlare di Salvatore Bennici come vittima di mafia, avremmo voluto parlare di lui e con lui in merito alle denunce fatte contro chi minava la sua serenità personale e lavorativa.Il 25 giugno 1994 Salvatore Bennici veniva assassinato dalla mafia per essersi rifiutato di pagare il pizzo, prima dell’omicidio era stato vittima di due diversi atti intimidatori, prontamente denunciati ma che purtroppo non gli ha permesso di evitare il peggio.

Prima l’incendio di un escavatore, quello del portone di casa qualche giorno dopo, fatti che non hanno piegato Salvatore, ostinato a proseguire per la sua strada.

La sua “colpa” è stata quella di aggiudicarsi onestamente un appalto per lavori sulla rete fognaria di Palma di Montechiaro, lavori che ha voluto portare avanti senza cedere ai ricatti delle cosche.

È mattino, Salvatore Bennici si reca nel suo cantiere di via Palma a Licata in compagnia del figlio, ad attenderli però ci sono 2 sicari che in pochi minuti esplodono 4 colpi di pistola verso l’imprenditore, costringendo il figlio ad assistere all’esecuzione.
Inutili i tentativi di rianimarlo una volta giunti in ospedale, dove purtroppo viene constatata la morte.

A distanza di tanti anni, è l’associazione “A Testa alta”, fortemente impegnata nel contrasto alle illegalità e alle logiche mafiose, a dare il giusto ricordo ad una persona che ha pagato con la vita il prezzo dell’onestà.

Nel 2014, proprio sul luogo dove è stato commesso l’omicidio, è stata apposta una targa commemorativa che, oltre a ricordare la figura di Salvatore Bennici, vuole promuovere la ribellione verso ogni sopruso perpretato dai mafiosi, in una terra come la Sicilia dove la mafia ha dominato e continua a farlo con arroganza e prepotenza, continuando a frenare ogni velleità di sviluppo economico e culturale.

Se ai nostri giorni si continua a lasciare la terra natia perché non c’è lavoro, dobbiamo vedere in noi stessi i responsabili, complici con i nostri silenzi e con i nostri voti di permettere che questo squallido sistema continui.

La mafia purtroppo esiste, si evolve e condiziona pesantemente le nostre vite, non possiamo permettere che quello di Salvatore Bennici, di Libero Grassi, di tutte le persone che si sono ribellate al racket resti un sacrificio invano.

Non possiamo permetterlo se vogliamo che la nostra terra cresca e se vogliamo essere persone realmente libere.

 

 

 

Fonte:  referencepost.it
Articolo del 25 giugno 2019
In ricordo di Salvatore Bennici, ucciso dalla mafia il 25 giugno 1994
di Roberto Greco
Per gli inquirenti l’assassinio dell’imprenditore ha un solo movente, quello di essersi ribellato al racket delle estorsioni di Cosa Nostra.

È il 25 giugno 1994. Siamo a Licata, in provincia di Agrigento. Sono passate da poco le 7:50. Salvatore Bennici sta andando, insieme al figlio Vincenzo, nel suo cantiere edile, in via Palma, alla periferia del paese. Dopo essere arrivati, appena scesi dall’automobile, due persone incappucciate, armate di pistola calibro 9, si avvicinano. Uno dei due killer punta la canna della pistola alla tempia di Vincenzo dicendogli di «stare calmo» che «non sarebbe accaduto nulla». L’altro si è avvicinato all’imprenditore. Gli spara a bruciapelo quattro colpi in successione. I primi due colpiscono Salvatore alla testa e gli altri due al torace. I due killer, dicono a Vincenzo che «si deve stare zitto» e si allontanano a bordo di un’Alfa 155. Salvatore Bennici viene soccorso immediatamente dal figlio che, ancora sotto choc, l’ha sollevato da terra e trasportato all’ospedale San Giacomo D’Altopasso di Licata. Corsa inutile, perché Salvatore Bennici muore qualche istante dopo il suo ingresso al pronto soccorso.

Per gli inquirenti l’assassinio dell’imprenditore ha un solo movente, quello di essersi ribellato al racket delle estorsioni di Cosa Nostra. Bennici, pochi mesi prima, aveva preso in subappalto alcuni lavori per la posa del condotto per l’acquedotto di Palma Montechiaro e, nonostante gli avvertimenti e le intimidazioni a lasciar perdere, aveva deciso di andare avanti e iniziato i lavori. Subito dopo sono cominciati gli attentati. Iniziarono facendo saltare in aria un escavatore con una potente carica esplosiva. Bennici non esitò a denunciare il fatto al commissariato di Licata. Qualche giorno dopo arrivò un altro avvertimento: di notte cosparsero di benzina la porta della sua abitazione e gli diedero fuoco. Negli ultimi giorni Bennici aveva ricevuto telefonate anonime, ma l’imprenditore non voleva cedere, ed è stato “punito” con un’esecuzione atroce davanti agli occhi del figlio.

 

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *