Foto da Giuseppe Maniaci era segretario della Confederazione Federterra di Terrasini e dirigente del partito comunista. Venne ucciso a colpi di mitra davanti alla sua casa, in contrada Paternella, a Terrasini, il 25 ottobre del 1947. Aveva 38 anni. Maniaci era contadino, era sposato e aveva un figlioletto di due anni. Era entrato in contatto con ambienti politici nel carcere di Porto Longone, dove era stato detenuto per reati comuni e aveva conosciuto i dirigenti comunisti Scoccimarro e Terracini. Il sindacato e le forze di sinistra denunciarono l’ennesimo delitto politico contro un loro esponente. Ma gli investigatori si orientarono subito verso un'altra direzione, la vendetta privata, escludendo il movente politico. I carabinieri scrissero che Maniaci aveva rubato delle olive in un fondo coltivato ad uliveto di proprietà di un certo Emanuele Badalamenti di Cinisi, che era stato venduto al noto pregiudicato latitante Procopio Di Maggio. E dissero che aveva rubato olive anche in un altro fondo, distante 500 metri, di proprietà degli eredi Ruffino, affittato a Leonardo Vitale e a suo cognato Giuseppe Di Maggio, cugino di Procopio. La tesi non si indebolì mai. E i tre mafiosi sospettati fortemente del delitto non furono neanche denunciati. La Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Palermo, per l’omicidio di Giuseppe Maniaci, procedette contro “ignoti”. E il 7 aprile 1948 dichiarò di «non doversi procedere perché ignoti gli autori del reato». Un altro delitto impunito. Fonte: https://www.cittanuove-corleone.net/2019/10/vie-dei-diritti-martedi-22-alle-ore-9.html?spref=fb&fbclid=IwAR0xysP3jueC0RPxrV4aAV-nYSbaCbfSdzm_CkGF8N9KAj0gsE7vwVVdbrw

25 Ottobre 1947 Terrasini (PA). Ucciso Giuseppe Maniaci. segretario della Confederterra

Foto da: cittanuove-corleone.net

Giuseppe Maniaci era segretario della Confederazione Federterra di Terrasini e dirigente del partito comunista. Venne ucciso a colpi di mitra davanti alla sua casa, in contrada Paternella, a Terrasini, il 25 ottobre del 1947. Aveva 38 anni. Maniaci era contadino, era sposato e aveva un figlioletto di due anni. Era entrato in contatto con ambienti politici nel carcere di Porto Longone, dove era stato detenuto per reati comuni e aveva conosciuto i dirigenti comunisti Scoccimarro e Terracini. Il sindacato e le forze di sinistra denunciarono l’ennesimo delitto politico contro un loro esponente. Ma gli investigatori si orientarono subito verso un’altra direzione, la vendetta privata, escludendo il movente politico. I carabinieri scrissero che Maniaci aveva rubato delle olive in un fondo coltivato ad uliveto di proprietà di un certo Emanuele Badalamenti di Cinisi, che era stato venduto al noto pregiudicato latitante Procopio Di Maggio. E dissero che aveva rubato olive anche in un altro fondo, distante 500 metri, di proprietà degli eredi Ruffino, affittato a Leonardo Vitale e a suo cognato Giuseppe Di Maggio, cugino di Procopio. La tesi non si indebolì mai. E i tre mafiosi sospettati fortemente del delitto non furono neanche denunciati. La Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Palermo, per l’omicidio di Giuseppe Maniaci, procedette contro “ignoti”. E il 7 aprile 1948 dichiarò di «non doversi procedere perché ignoti gli autori del reato». Un altro delitto impunito.
Fonte:  cittanuove-corleone.net

 

 

 

Il 25 ottobre del 1947 a Terrasini (PA) muore ucciso dalla mafia con bastonate in testa e crivellato di proiettili Giuseppe Maniaci  segretario della Confederterra locale e dirigente comunista.
Nonostante le minacce mafiose, Giuseppe Maniaci si batteva da tempo contro il latifondo e per i diritti dei contadini. Era stato, in passato, nel carcere di Porto Longone (LI) come detenuto per reati comuni e aveva conosciuto i dirigenti comunisti MAURO SCOCCIMARRO (1895- 1972) e UMBERTO TERRACINI (1895- 1983), imprigionati per attività antifascista. Questo incontro segnò il cambiamento di Maniaci e la nascita del suo impegno politico e sindacale. Le autorità conclusero le indagini, dopo l’omicidio, dicendo che “era escluso il movente politico”. I resti di Maniaci riposano nel cimitero di Terrasini. (gruppolaico.it)

 

 

Articolo da L’Unità dell’11 Novembre 1947
Un capolega contadino assassinato dalla mitraglia degli agrari siciliani

PALERMO, 10. — Sabato sera alle 19, mentre si recava a casa dai genitori in contrada Bambina (Marsala), il compagno Vito Pipitone, vicesegretario della Confederterra locale, è stato d’improvviso aggredito e ripetutamente colpito dalle scariche di fucili mitragliatori. Ridotto in fin di vita, egli è stato rapidamente trasportato all’ospedale dove è stato inutilmente sottoposto a un intervento chirurgico. La sera di domenica è morto. Il vice segretario della Confcderterra di Marsala doveva partire domenica stessa per Salemi, per rappresentarvi i contadini del luogo e trattare l’assegnazione ai mezzadri di alcuni lotti del feudo “Giudeo”.

Gli agrari hanno così voluto colpire in lui, forti dell’impunità che il governo e le autorità hanno finora assicurato loro senza eccezione, tutte le masse contadine della provincia. Il vice segretario della Confederterra era uno dei migliori dirigenti contadini della provincia, era stato l’organizzatore delle recenti agitazioni per la concessione delle terre incolte e l’applicazione sollecita della legge relativa, era uno degli uomini più noti e amati dalle masse organizzate della zona; e per questo è stato barbaramente ucciso, come già fu, prima di lui, per Miraglia. L’assassinio di Pipitone è il diciannovesimo della serie di delitti sanguinosi consumati dalla reazione agraria in Sicilia, nel vano tentativo di spezzare il movimento contadino. E’ veramente indescrivibile l’agitazione che regna fra le masse contadine e fra i lavoratori della città dopo questo ultimo spargimento di sangue. Non appena si diffondeva a Palermo la notizia dell’efferato omicidio gruppi di cittadini iniziavano una dimostrazione al grido di « Giustizia contro gli assassini ». Le  jeep della polizia intervenivano contro i dimostranti con colpi di sfollagente, infierendo anche contro un bambino a calci sul ventre. I poliziotti arrestavano diverse decine di dimostranti trasportandoli alla Questura. La folla si recava in corteo alla Questura per chiedere l’immediato rilascio dei fermati. Dopo diverse tergiversazioni, i funzionari si decidevano a operare il rilascio. A tarda sera gruppi di dimostranti manifestavano ancora per le principali vie della città.

Nessun uomo onesto può più porre in dubbio che vi sia oggi in Sicilia un vero e proprio piano di aggressioni armate contro i lavoratori e i loro organizzatori. Domenica scorsa a S. Giuseppe Jato, il ventinovenne Caiola, piccolo proprietario locale, colpevole di aver denunciato alcuni degli autori materiali dell’eccidio di Portella della Ginestra nonostante le diffide che aveva ricevute dalla mafia locale, è stato ucciso a tradimento.

Sabato scorso veniva accoltellato a Caltanissetta, nei pressi di piazzetta Badia, un comunista, e il 25 ottobre al segretario della Confederterra di Terrasini, compagno Maniaci, veniva fracassato il cranio e crivellato il corpo. Allora le autorità dissero che «era escluso il movente politico». Cosa diranno ancora oggi i favoreggiatori degli assassini, i loro giornali, le autorità complici col Governo di De Gasperi e e di Scelba ala testa, coloro che tengono man forte all’offensiva criminosa degli agrari dì fronte allo sdegno della popolazione?

Un primo esempio dell’atteggiamento dei dirigenti democristiani è stato offerto oggi dal Presidente della Regione. On. Alessi, che ha ricevuto una folta delegazione di deputali del Blocco del Popolo. Nessuna deplorazione, nessuna espressione di rammarico, di cordoglio o di indignazione. Alessi si è dimostrato di una indifferenza incredibile. Ha ascoltato freddamente. Poi ha parlato lui. Ha chiacchierato per due ore sugli spostamenti della polizia, sui normali provvedimenti burocratici, ma non si è impegnato a prendere nessun provvedimento concreto. Infine, congedati i rappresentanti del popolo, ha ricevuto cordialmente il noto mafioso Farina.

All’ultima ora si apprende che sono stati operati alcuni fermi da parte dell’autorità giudiziaria. Ma la notizia ha lasciato indifferenti le masse dei lavoratori. Anche Troia, Romano, Gricoli e Marino erano stati arrestati; poi sono stati scarcerati e poi è stato assassinato uno dei testimoni a loro carico così i lavoratori che hanno commentato la notizia.

Il popolo ormai non ha più nessuna fiducia nella giustizia ai Alessi e ai Scelba, in coloro che si sono dimostrati gli alleati dei mandanti di questi delitti.

R. S.

 

 

 

Fonte: cittanuove-corleone.net
Articolo del 18 ottobre 2019
Vie dei diritti, martedì 22 alle ore 9 intitolazione di tre strade ai sindacalisti di Alia Girolamo Scaccia e Giovanni Castiglione e di Terrasini Giuseppe Maniaci, uccisi dalla mafia

Altre tre vie dei diritti intitolate a sindacalisti uccisi dalla mafia. Martedì 22 ottobre il Comune di Palermo e la Cgil Palermo, alle ore 9, intitoleranno la via della Capinera a Girolamo Scaccia e Largo dei Fagiani a Giovanni Castiglione, entrambi sindacalisti del movimento contadino, uccisi barbaramente durante una riunione della Camera del Lavoro ad Alia, il 22 settembre del 1946. A seguire, intitoleranno via dell’Allodola a Giuseppe Maniaci, segretario Confederazione Federterra di Terrasini, ucciso il 22 ottobre 1947.

“Proseguiamo il nostro percorso della memoria con l’intitolazione di altre tre strade del quartiere operaio di Bonagia a tre esponenti che si posero a capo di quel movimento fatto da dirigenti sindacali, braccianti, contadini, donne che lottarono per la conquista del lavoro, per l’affermazione dei diritti e della democrazia e trovarono la morte – dichiara il segretario generale Cgil Palermo Enzo Campo – Spesso si tratta di nomi coperti dall’oblio, ai quali la Cgil Palermo vuole restituire dignità ricordandoli assieme alle amministrazioni comunali e ai loro familiari, per recuperare la memoria del movimento sindacale in cui militarono e condividere una storia di valori, battaglie e conquiste da trasmettere alle giovani generazioni”.

“Con le vie che intitoleremo a Castiglione, Scaccia e Maniaci ricordiamo tre martiri sconosciuti, i cui nomi sono rimasti coperti da un silenzio assordante, durato oltre 70 anni – aggiunge Dino Paternostro, responsabile Legalità Cgil Palermo – Non sono mai stati ricordati prima, eppure rappresentano i ‘senza storia che fanno la storia’. Rappresentano le migliaia di lavoratori e le centinaia di dirigenti sindacali che non inseguivano visibilità e successo ma partecipavano e promuovevano lotte di massa per conquistare lavoro, dignità, diritti e libertà”.

Giovanni Castiglione e Girolamo Scaccia, contadini, uccisi nella strage di Alia 22 settembre 1946.

Il 22 settembre del 1946 era in corso una riunione di contadini nella casa a piano terra del segretario della Camera del Lavoro di Alia, Giuseppe Maggio. Scopo dell’incontro era discutere sulla possibilità di occupare i feudi Rigiura e Vaccotto, nelle mani dei gabelloti mafiosi, per assegnarli alle cooperative di contadini, in attuazione dei decreti “Gullo”. All’improvviso, ignoti lanciarono una bomba a mano all’interno della casa. I contadini Girolamo Scaccia, bracciante agricolo di Alia, e Giovanni Castiglione, nato a Comitini, contadino e vice-segretario della lega dei contadini di Alia, morirono sul colpo. Gioacchino Gioiello, di 19 anni, e Filippo Ditta, di 29 anni, furono feriti gravemente, mentre altre cinque persone rimasero ferite lievemente. Il tenente dei carabinieri comunicò che il delitto presumibilmente era stato commesso per odio verso il segretario della Camera del Lavoro. Sulla strada fu trovata la cuffia con tutto il congegno di sicurezza automatico di una bomba a mano tipo “Breda”. L’ordigno, spezzati i vetri senza esplodere, era penetrato all’interno colpendo alla schiena Giovanni Castiglione e uccidendolo all’istante, assieme al suo vicino di destra Girolamo Scaccia, e ferendo, più o meno gravemente, le altre persone. La strage di Alia fu anticipatrice di quella che si sarebbe consumata il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra.

Giuseppe Maniaci, segretario Confederterra di Terrasini

Giuseppe Maniaci era segretario della Confederazione Federterra di Terrasini e dirigente del partito comunista. Venne ucciso a colpi di mitra davanti alla sua casa, in contrada Paternella, a Terrasini, il 25 ottobre del 1947. Aveva 38 anni. Maniaci era contadino, era sposato e aveva un figlioletto di due anni. Era entrato in contatto con ambienti politici nel carcere di Porto Longone, dove era stato detenuto per reati comuni e aveva conosciuto i dirigenti comunisti Scoccimarro e Terracini. Il sindacato e le forze di sinistra denunciarono l’ennesimo delitto politico contro un loro esponente. Ma gli investigatori si orientarono subito verso un’altra direzione, la vendetta privata, escludendo il movente politico. I carabinieri scrissero che Maniaci aveva rubato delle olive in un fondo coltivato ad uliveto di proprietà di un certo Emanuele Badalamenti di Cinisi, che era stato venduto al noto pregiudicato latitante Procopio Di Maggio. E dissero che aveva rubato olive anche in un altro fondo, distante 500 metri, di proprietà degli eredi Ruffino, affittato a Leonardo Vitale e a suo cognato Giuseppe Di Maggio, cugino di Procopio. La tesi non si indebolì mai. E i tre mafiosi sospettati fortemente del delitto non furono neanche denunciati. La Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Palermo, per l’omicidio di Giuseppe Maniaci, procedette contro “ignoti”. E il 7 aprile 1948 dichiarò di «non doversi procedere perché ignoti gli autori del reato». Un altro delitto impunito.

 

 

 

 

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