26 Aprile 1979 Palermo. Ucciso Alfonso Sgroi, 45 anni, guardia giurata, durante una rapina alla Cassa di Risparmio.

Foto concessa dalla famiglia da: Dedicato Alle Vittime Delle Mafie

Alfonso Sgroi, si trovò improvvisamente senza un lavoro, fu così costretto ad accettare di fare la guardia giurata. Non fu semplice per lui dover prendere confidenza con un’arma da fuoco ma doveva farlo. La mattina del 26 aprile 1979 ci fu una rapina nella banca in cui prestava servizio. Mentre tentava di proteggere una donna che disperata urlava dal terrore, i rapinatori lo colpirono mortalmente. Scapparono lasciandolo agonizzante. Per Alfonso non ci fu nulla da fare. Lasciò una moglie e due figlie.
(Fonte: liberanet.org)

Facevano parte della banda dei rapinatori i mafiosi Pino Greco, detto “scarpuzzedda”, e Pietro Marchese.
(Fonte: Centro siciliano di documentazione “G. Impastato” Palermo)

 

 

 

Articolo del 27 Aprile 1979 da La Stampa 
Guardia è uccisa alle spalle da quattro banditi a Palermo
Durante l’assalto alla Cassa di Risparmio

PALERMO — Una guardia giurata è stata uccisa durante una rapina, davanti alla sede della «Cassa di Risparmio» di via Mariano Stabile, al centro di Palermo. La vittima è stata uccisa a colpi di pistola da uno dei quattro banditi che si sono impossessati di 90 milioni. La vittima si chiamava Alfonso Sgroi, 42 anni, aveva due figli. Secondo i primi accertamenti l’uomo è stato ferito al petto con un solo colpo di pistola. E’ morto sull’auto di una «volante» che lo accompagnava al pronto soccorso della «Croce Rossa» di via Roma. Sulla base delle testimonianze raccolte fra quanti hanno assistito alla rapina, i funzionari della squadra mobile di Palermo, diretta dal vicequestore Boris Giuliano, hanno fatto una prima ricostruzione dell’episodio. Due banditi entrati in banca dall’ingresso principale, che è sotto i portici, sono saliti al primo piano dello stabile dove ci sono gli sportelli di cassa, e si sono confusi con i numerosi clienti, in prevalenza anziani in attesa di riscuotere la pensione; altri due banditi, invece, sono rimasti sotto i portici. Pochi minuti dopo, i due banditi entrati in banca hanno estratto le pistole e si sono impossessati di una cassetta di metallo con il denaro. Mentre scendevano le scale, sono stati visti dalla guardia giurata che ha tentato di intervenire ma è stata bloccata dai due giovani che erano rimasti all’esterno della banca. Alfonso Sgroi ha ingaggiato una colluttazione, ma uno dei rapinatori gli ha sparato alle spalle. I quattro sono poi fuggiti su una «128», condotta da un complice, che li attendeva nei pressi. L’automobile, rubata ieri, è stata trovata in via Benedetto Civiletti, a 500 metri dalla banca.

 

 

Articolo da L’Unità del 27 Aprile 1979
Cerca di fermare i banditi in fuga: metronotte ucciso

PLAERMO- Lui si era accorto della rapina e tentava di bloccare i banditi in fuga tenendone due per le giacche. Ma altri due killer, alle sue spalle, lo hanno freddato senza pietà, con tre secchi colpi di pistola. È morto così ierim alle 10 del mattino , nel cuore commerciale di Palermo, il metronotte Alfonso Sgroi, 45 anni, padre di due figlie.
È stata una esecuzione selvaggia, consumata in alcune frazioni di secondo, sotto gli occhi atterriti delle decine di persone che a quell’ora affollavano i locali della banca.
I banditi – quattro, diranno poi molti testimoni – hanno agito con fermezza e sicurezza. Vestiti con eleganza, come uomini d’affari, i primi due hanno spianato le pistole non appena dentro il vasto salone a pianterreno, dove si trovano gli sportelli per il pubblico: uno si è appostato ai piedi di una scalinata, in modo da aver sotto controllo anche i movimenti del piano rialzato, l’altro si è rivolto con modi duri al cassiere “Dammi le cassette, sbrigati” gli ha gridato.
Nel giro di pochi attimi in mano ai banditi sono finiti 120 milioni. La tragedia è scoppiata pochi secondi dopo.
Alfonso Sgroi ha visto i banditi passargli davanti, gli si è avventato contro. È stata una colluttazione violenta, rabbiosa, da un lato e dall’altro. Il metronotte stava addirittura per averla vinta, poi gli spari. L’uomo è stramazzato al suolo, un proiettile nello stomaco, un altro, quello mortale, alla testa. È morto al pronto soccorso.

 

 

Fonte: mediterraneocronaca.it
Articolo del 26 aprile 2018
Alfonso Sgroi era nato il 3 dicembre 1934. Prestava servizio come guardia giurata davanti ad una filiale della Cassa di Risparmio. Il 26 aprile 1979 il fuoco mafioso lo uccise mentre svolgeva il suo dovere.
di Roberto Greco
Uno dei rapinatori spara tre colpi di pistola a Sgroi, di cui uno in pieno petto e un altro, quello mortale, alla testa. Alfonso Sgroi muore al Pronto Soccorso della Croce Rossa di via Roma. La rapina era stata organizzata da Cosa nostra, dalla famiglia mafiosa di corso dei Mille. Delle indagini se ne occupa il dottor Giorgio Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo.

Sono passate da qualche minuto le dieci. Alfonso Sgroi è una guardia giurata di servizio davanti alla sede della Cassa di Risparmio in via Mariano Stabile a Palermo. Quattro uomini, vestiti come uomini d’affari, arrivano davanti alla banca. Due di loro entrano. Estraggono le pistole appena sono nel vasto salone a pianterreno, dove si trovano gli sportelli per il pubblico e salgono al primo piano, dove ci sono gli sportelli di cassa. Si confondono con i numerosi clienti, in prevalenza anziani in attesa di riscuotere la pensione. Uno di loro si apposta ai piedi della scalinata, in modo da aver sotto controllo anche i movimenti del piano terra, mentre l’altro si rivolge al cassiere intimandogli di consegnare le cassette con il denaro. Mentre scendono le scale, vengono visti da Sgroi che tenta di intervenire ma viene bloccato dai due complici che erano rimasti all’esterno della banca. Alfonso Sgroi ingaggia una colluttazione. Gli altri due rapinatori escono dalla banca. Succede tutto in un attimo. Uno dei rapinatori usciti dalla banca spara tre colpi di pistola a Sgroi, di cui uno in pieno petto e un altro, quello mortale, alla testa. I quattro poi fuggono su una Fiat 128, su cui li aspettava un complice, con un bottino di quasi cento milioni. E’ stata un’esecuzione selvaggia, consumata in alcune frazioni di secondo, sotto gli occhi atterriti delle decine di persone che a quell’ora affollavano i locali della banca. Alfonso Sgroi muore al Pronto Soccorso della Croce Rossa di via Roma. Delle indagini se ne occupa il dottor Giorgio Boris Giuliano, capo della Squadra Mobile di Palermo.
Il dottor Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992

È il 26 aprile 1979, quello che verrà identificato dal dottor Paolo Borsellino come “l’inizio della fine”. È il periodo in cui Boris Giuliano sta cercando di individuare le raffinerie della droga, uno degli aspetti di un patto tra la mafia siciliana e quella di New York. A questa indagine ci sta lavorando facendo asse con investigatori americani della Dea e il percorso del denaro è quello che – ritiene il poliziotto – va seguito per arrivare ai vertici dell’organizzazione. Nella primavera del 1979 Giuliano è ancora capo della squadra mobile per un caso. Qualche tempo prima c’era stato un conflitto a fuoco con una coppia di rapinatori di banca. Giuliano non sparò un solo colpo e riuscì a raggiungere uno dei banditi semplicemente inseguendolo correndo, mentre l’altro morì nello scontro con l’agente che accompagnava Boris Giuliano. L’azione fu segnalata al ministro dell’Interno per il conferimento di un encomio al vicequestore aggiunto. Encomio tuttavia negato. Giuliano ne fu contento, perché questo encomio lo avrebbe portato al grado di vicequestore primo dirigente, grado che gli avrebbe impedito di rimanere alla guida della Squadra Mobile. Giuliano si occupa quindi delle indagini relative alla morte di Mario Francese, ucciso il 26 gennaio dello stesso anno, e di Michele Reina, ucciso il 9 marzo. Ma il 26 aprile 1979 è il giorno in cui succede un fatto nuovo. La rapina era stata organizzata da Cosa nostra, dalla famiglia mafiosa di corso dei Mille. Due dei componenti del gruppo di fuoco che aveva rapinato la Cassa di Risparmio erano due mafiosi di rango. Si trattava di Pino Greco, detto “scarpuzzedda”, e Pietro Marchese. A quel punto, dal punto di vista investigativo, è un’accelerazione continua verso quella che sembra una svolta nell’inchiesta che vuole arrivare a inchiodare i vertici di Cosa Nostra sui due lati dell’Oceano Atlantico. Due giorni dopo viene scoperto il “covo” di corso dei Mille 196. Sotto l’apparente rispettabilità di un’officina che si occupa di tappezzeria per auto, si cela invece altro e quando gli agenti di polizia intervengono, sono tre gli arresti eccellenti: Giovannello Greco, Rosario Spitalieri e Giovanni Mondello. Non passano altre ventiquattr’ore che giunge la prima intimidazione a Giuliano. Non passeranno tre mesi e il dottor Giorgio Boris Giuliano verrà vigliaccamente ucciso da Leoluca Bagarella, il 21 luglio 1979.

Nell’ordinanza del maxi-processo, relativamente agli accadimenti che hanno decretato la morte del dottor Giorgio Boris Giuliano, leggiamo:

“… l’operazione di polizia iniziata il 26 aprile 1979 a seguito dell’omicidio del metronotte Alfonso Sgroi in servizio dinanzi alla sede di Palermo della Cassa Centrale di Risparmio V.E., oggetto di rapina, e conclusasi nei giorni successivi con l’arresto di cinque dei presunti componenti la banda dei rapinatori Rosario Spitalieri, Giovanni Greco, Pietro Marchese, Girolamo e Giovanni Mondello – e con la scoperta del “covo”, luogo di riunione degli associati, in Corso dei Mille, ove erano stati rinvenuti e sequestrati micidiali armi, radio ricetrasmittenti, corpetti antiproiettile e denaro di sospetta provenienza”.

 

 

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Alfonso Sgroi
Un uomo gentile, assettato di vita e con una voce che sprigionava gioia. Prendeva sul serio tutto ciò che faceva, ci teneva a dare l’esempio alle figlie. E fu così anche il giorno in cui lo uccisero. Non poteva permettere che i rapinatori fuggissero e li affrontò da solo.

 

 

 

 

 

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