26 Novembre 1990 San Ferdinando (RC). Ucciso Ferdinando Barbalace, 42 anni, per non lasciare testimoni. Si era fermato pensando di soccorrere una vittima di un incidente stradale.

San Ferdinando (RC), 26 novembre 1990. Viene ucciso il commercialista Ferdinando Barbalace, 42 anni. Si era fermato a soccorrere quello che pensava fosse la vittima di un incidente stradale. Ma i killer appostati per uccidere Rocco Tripodi, appena assassinato, gli hanno lasciato il tempo appena di girare le spalle. Ucciso per non lasciare testimoni.

 

 

Ringraziamo gli AmiciDiLiberaCaravaggio (amicidilibera.blogspot.it) per il prezioso aiuto nella ricerca di nomi e storie delle vittime innocenti delle mafie.

 

 

Articolo di La Repubblica del 27 Novembre 1990
AMMAZZATI A COLPI DI LUPARA
di Filippo Veltri

GIOIA TAURO Una stradina negli agrumeti già stracarichi di frutti nella piana di Gioia Tauro, una curva a gomito, due automobili ferme, cadaveri straziati dalla lupara, un uomo ucciso solo perché si era fermato per soccorrere un ferito. E’ la scena che, poco dopo le 13 di ieri, si è presentata a carabinieri e polizia a San Ferdinando, un piccolo comune che fino a pochi anni fa era solo una frazione e che oggi devastato dagli sbancamenti dei mega lavori del porto industriale di Gioia e della centrale Enel è al centro di una nuova sanguinosissima faida mafiosa. L’ ennesima in Calabria, dove ormai i morti ammazzati rasentano quota trecento.

L’ uomo nel mirino era un pregiudicato, un grosso commerciante all’ ingrosso di agrumi, Rocco Tripodi, 46 anni, al quale nove mesi fa era stato rapito il figlio. Ma a restare barbaramente ucciso è stato anche un onesto commercialista, Ferdinando Barbalace, 42 anni, il quale ha avuto il solo torto di sopraggiungere con la sua automobile immediatamente dopo l’agguato a Tripodi e di fermarsi, convinto che c’era stato un incidente stradale. Non ha avuto neanche il tempo di scappare. Solo di voltare le spalle ai killer, di abbozzare qualche passo. Poi tre scariche di lupara lo hanno freddato.

La scena che si è presentata a Filippo Nicastro e a Giuseppe Gualtieri, dirigente del commissariato di polizia di Gioia Tauro e responsabile della Squadra mobile, i primi a giungere sul posto, è stata straziante. Barbalace devastato dalla lupara, e Tripodi moribondo. Difficile la ricostruzione dell’agguato visto che non c’erano testimoni. Quella più attendibile riferisce che Tripodi, a bordo della sua Alfa 164, stamattina si era recato in un suo podere in compagnia del consulente Barbalace, titolare di un avviato studio di consulenza aziendale. Tripodi e Barbalace, all’ora di pranzo, ultimato il lavoro, avevano deciso di tornare in paese. Con due macchine. Tripodi con la 164 e Barbalace con la sua Peugeot 205. In contrada Spartimento l’agguato.

Almeno tre persone, nascoste dietro una siepe, aprono il fuoco con fucili calibro 12 caricati a lupara. Per Tripodi è la fine: i pallettoni lo centrano alla nuca e i killer lo infieriscono con un colpo di lupara ai genitali. Un macabro segnale nella simbologia mafiosa. Passano alcuni minuti e sopraggiunge Barbalace. La macchina di Tripodi è fuori strada e il commercialista pensa ad un incidente. Si ferma, tira anche il freno a mano della 205 e si appresta a soccorrere il suo cliente. Ma è un attimo: dalla siepe spuntano i killer, che non hanno avuto neanche il tempo di fuggire, e sparano ancora. Barbalace muore all’istante.

Le indagini puntano tutto ovviamente su Tripodi, numerosi precedenti penali, ex sorvegliato speciale di pubblica sicurezza. Barbalace era infatti conosciuto come un onesto lavoratore, sposato e padre di due bambini, in passato anche candidato in consiglio comunale, famiglia di professionisti stimati in paese. La storia di Tripodi, invece, è insieme drammatica e significativa di come agisca la mafia da queste parti. Il 18 marzo scorso, nel pomeriggio, il figlio di 12 anni, Michelangelo, si allontana da casa con un motorino. Non tornerà più. Sparito, inghiottito nel nulla. Polizia e carabinieri hanno dato sempre scarso credito alla tesi di un sequestro a scopo di estorsione, nonostante i genitori del piccolo Michelangelo avessero raccontato di telefonate in cui si chiedeva il pagamento di un riscatto.

Il bambino è quasi sicuramente rimasto vittima di un caso di lupara bianca, collegato alle attività del padre. Una vendetta, una ritorsione contro Rocco Tripodi. Un terribile segnale. E il commerciante dal passato burrascoso negli ultimi tempi sembrava rassegnato e non chiedeva più notizie del suo Michelangelo. Ma non dava nemmeno indicazione ai magistrati di Palmi, che da nove mesi stanno inutilmente cercando un segnale per poter far luce sulla scomparsa. Altri parenti dei Tripodi si erano invece intestarditi e non si davano pace. Cercavano segnali nei paesi della piana: a Gioia Tauro, San Ferdinando, a Rosarno. Ed uno di questi, Salvatore Romano, 21 anni, cugino di Michelangelo per parte della moglie, aveva fatto un’ altra bruttissima fine. Anch’ egli scomparso una ventina di giorni fa, in un classico caso di lupara bianca. Forse l’ ultimo messaggio lanciato a Tripodi.

 

 

 

Articolo del 27 Novembre 1990 da archiviolastampa.it/
Agguato a Gioia Tauro Uccidono un boss, poi l’amico che lo soccorre
di Diego Minuti

GIOIA TAURO. Due uomini, un pregiudicato ed un suo amico che, ritenendolo vittima di un incidente stradale, tentava di soccorerlo, sono stati assassinati ieri pomeriggio a San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro. Un agguato misterioso, reso ancor più incomprensibile dal fatto che potrebbe avere, come tragico corollario, la scomparsa di un ragazzo di 12 anni (figlio di una delle vittime) e di un giovane di 21 anni. Le vittime, uccise lungo la strada che da San Ferdinando porta alle frazioni collinari del paese, sono Rocco Tripodi, 46 anni, pregiudicato in odore di mafia; ed il suo consulente finanziario, il ragioniere Ferdinando Barbalace, 42 anni.

Il nome di Tripodi è tornato tragicamente alla ribalta a distanza di qualche mese. Da quando, il 18 marzo, scomparve il figlio del pregiudicato, Michelangelo, di 12 anni, che, sostengono gli inquirenti, è stato forse ucciso per una vendetta trasversale. Con la sua morte qualcuno avrebbe voluto impartire una lezione al padre. L’agguato di ieri pomeriggio (che non ha avuto testimoni) si è svolto in due tempi ed ha avuto sequenze agghiaccianti. Rocco Tripodi e Amedeo Barbalace avevano trascorso insieme gran parte della mattinata per un sopralluogo in una proprietà agricola che il pregiudicato aveva nelle campagne di San Ferdinando. In campagna i due erano arrivati separatamente, a bordo delle loro automobili, la «164» di Tripodi, la Peugeot «205» di Barbalace. Dopo aver discusso per un paio d’ore i due hanno deciso di salutarsi per darsi forse appuntamento in paese. Il primo ad uscire dal podere è stato Tripodi, seguito quasi subito da Barbalace. Nel giro di pochi minuti la potente «164» ha distanziato di qualche centinaio di metri l’altra automobile. Ma quando ha abbordato una stretta curva gli assassini almeno tre – sono entrati in azione concentrando contro la fiancata sinistra dell’automobile il fuoco dei loro fucili caricati a pallettoni. Colpito al volto ed al torace, Tripodi ha perso il controllo del mezzo che è finito fuori strada. I killer si sono allora avvicinati e per essere sicuri di aver ucciso hanno sparato il colpo di grazia.

Pochi istanti dopo, quando gli assassini erano nascosti dietro la «164» e quindi non visibili dalla strada, è arrivato Barbalace. Vista la macchina del suo amico, ha sospettato un incidente. Si è fermato, ha parcheggiato e si è trovato davanti il corpo dell’amico dilaniato dai pallettoni e, probabilmente, anche gli assassini. Ha tentato di fuggire, ma ormai non c’era più tempo. Una fucilata l’ha raggiunto alla testa, ma non è morto subito. È spirato pochi istanti dopo il ricovero nell’ospedale di Gioia Tauro.

Gli investigatori sono arrivati sul posto dopo una telefonata al centralino della questura. In un primo momento hanno pensato ad un agguato con un duplice obiettivo. Solo in un secondo momento la ricostruzione è stata più puntuale ed è stato messo a fuoco anche il ruolo, assolutamente accidentale, di Barbalace nella vicenda. Rocco Tripodi era un personaggio di un certo peso nell’ambito della mafia nella piana di Gioia Tauro, almeno stando ai rapporti che su di lui hanno redatto gli inquirenti. Ex sorvegliato speciale, per la polizia era tra coloro in grado di dialogare ad un certo livello con i vertici delle più potenti cosche della provincia.

Quando nel marzo scorso scomparve il figlio, per polizia e carabinieri le indagini portarono subito al padre, alle voci che su di lui ed intorno a lui si rincorrono. La scomparsa nel nulla del ragazzo, poi, ha forse provocato un’altra vittima: Salvatore Romano, 21 anni, cugino acquisito di Michelangelo ma che con lui aveva un rapporto strettissimo, quasi fraterno. Tanto che, quando del bambino si perse ogni traccia, fu proprio Romano ad avviare una serie di controlli. Un’«investigazione privata», che forse ha dato qualche risultato ma che potrebbe anche essergli costata la vita: di lui non si sa nulla da venti giorni.

 

 

 

Articolo del 27 Novembre 1990 da  archiviostorico.unita.it
Crivellati di colpi per strada
di Aldo Varano
Feroce duplice omicidio tra Rosarno e Gioia Tauro. I killer incaricati di eliminare Rocco Tripodi, per non lasciare testimoni, hanno freddato anche Salvatore Barbalace che, scambiato l’agguato con un incidente d’auto, s’era fermato per soccorrere la vittima. ll
figlio ed il nipote di Tripodi, 12 e 21 anni, sono stati inghiottiti nei mesi scorsi dalla lupoara bianca (i loro corpi non sono mai stati ritrovati)

SAN FERDINANDO DI ROSARNO. La telefonata anonima è arrivata alla questura di Gioia Tauro poco dopo mezzogiorno: «Andatevi a ritirare quella macchina crivellata di colpi nella zona di Spartivento». Ma i poliziotti, quando sono arrivati a sirene spiegale, di cadaveri ne hanno trovati due. Quello di Rocco Tripodi, ufficialmente commerciante di agrumi, 46 anni, certificato penale zeppo di precedenti ed alle spalle una storia inquietante e misteriosa: la scomparsa improvvisa, quasi certamente un caso di lupara bianca, del figlio Michelangelo, 12 anni appena. Accanto a lui, Ferdinando Barbalace, 42 anni, studio di consulenza fiscale e mai nulla a che fare con la giustizia. Barbalace, sostengono gli inquirenti, è estraneo ai motivi che hanno fatto scattare l’agguato contro Tripodi. Ha pagato il suo trovarsi lì, vittima della ferocia e della determinazione di cosche sempre più arroganti e della violenza che sta divorando questa parte della Calabria – il comprensorio di Palmi – dove dall’inizio dell’anno sono stati commessi 71 omicidi.

Tripodi è stato sorpreso dai killer lungo la strada che collega San Ferdinando di Rosarno a Gioia Tauro, dove possedeva degli aranceti. Contro la sua Alfa 164 sono stati scaricati 18 pallettoni di lupara, alcuni lo hanno colpito in faccia. Ogni pallettone sviluppa un rosone violentissimo e devastante. Carico di segnali primordiali il colpo di grazia, anziché alla nuca gli assassini hanno sparalo ai testicoli: un messaggio chissà per chi, oppure il tentativo di depistare le indagini facendo credere ad una vendetta legata a fatti familiari.

Dovavano essere trascorsi pochi attimi soltanto quando è sopraggiunta sul teatro dell’agguato l’auto di Barbalace, fiscalista di Tripodi, assieme al quale doveva sbrigare alcune pratiche. Il professionista s’è trovato davanti la 164 con il muso schiacciato contro il muro ed ha pensato ad un incidente. Ha tirato il freno a mano (segno, secondo gli inquirenti, che non temeva nulla) ed è sceso per soccorrere
Tripodi. Quando ha capito cos’era successo ha tentato una fuga disperata, ma il killer non ha avuto pietà: lo ha fulminato, per non lasciar testimoni, colpendolo alle spalle ad alla nuca.

Barbalace, sposato, due figli, in passato era stato candidato della Dc alle elezioni comunali, ha un fratello medico che lavora a Bologna ed una sorella sposata con un avvocato messinese. Viene da una famiglia considerata radicalmente estrane a qualsiasi giro malavitoso o di ‘ndrangheta.
La polizia non ha nessun dubbio sul fatto che fosse Tripodi l’obiettivo del massacro. Ma i motivi che hanno scatenato i clan contro il commerciante d’agrumi sono difficili da individuare, dati suoi precedenti (reati contro il patrimonio e sorvegliato speciale) ed il modo inusuale in cui l’omicidio è stato firmato.

Una delle piste riconduce, comunque, alla scomparsa del figlio Michelangelo. Ragazzino sveglio, la domenica del 18 marzo scorso era uscito in motorino per la partita della squadra locale. Nel pomeriggio coi suoi amici aveva commentato l’incontro. Poi, aveva salutato tutti per tornare a casa dove non arrivò mai. Quella sera Rocco Tripodi alzata la cornetta di casa sua si senti dire: «Abbiamo sequestrato tuo figlio, prepara i soldi». Pensò ad uno scherzo ma alle 11 di sera preoccupato avvertì i carabinieri. Nessuno diede credito alla telefonata date le condizioni economiche della famiglia, agiate ma non certamente tali da consentire il pagamento di un riscatto. Scattò una gigantesca ricerca, ma di Michelangelo nessuna traccia. Un amico di o fu arrestato per concorso in omicidio, ma venne liberato pur restando inquisito. A quell’episodio, secondo gli inquirenti, potrebbe essere connessa anche la scomparsa del cugino di Michelangelo, Salvatore Romano, 21 anni, di cui non si hanno notizie da 20 giorni. Salvatore indagava per suo conto per chiarire il mistero. Potrebbe aver capito qualcosa diventando a sua volta vittima di un’altra lupara bianca (un omicidio senza la  restituzione del cadavere).

 

 

Per la storia di Michelangelo Tripodi:

18 Marzo 1990 Rosarno (RC) Rapito Michele Arcangelo Tripodi, 12 anni. Il corpo ritrovato dopo 7 anni.

 

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *