28 luglio 1989 Collecchio (PR). Rapita Mirella Silocchi. “Fu lasciata morire di fame e di sete all’interno di una fossa subendo maltrattamenti di rara ferocia”.

Foto da:  twimc.it

Mirella Silocchi, moglie di un industriale del ferro, Carlo Nicoli, venne rapita alle 8,30 del 28 luglio 1989 nella sua villa di campagna a Stradella di Collecchio. I banditi, uno in divisa di finanziere, bussarono alla porta, mentre lei parlava al telefono con una parente e la portarono via.
Dalle indagini successive si scoprì che fu rapita da una banda di sequestratori che pretendevano cinque miliardi di riscatto per il suo ritorno a casa. Ma a casa non ritornò mai, perché fu lasciata morire di fame e di sete all’interno di una fossa subendo maltrattamenti di rara ferocia. Si scoprì in seguito che Mirella Silocchi era finita in mano ad una strana aggregazione di pastori e latitanti sardi, e da un gruppo di anarchici composto da elementi della malavita siciliana e calabrese, da una hostess americana e da un libico di origine armena. Un intreccio tra anarchia e banditismo comune che univa anche un elemento di internazionalità.

 

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 4 marzo 1993
Sei alla sbarra per il sequestro Silocchi
Si saprà finalmente che fine ha fatto?
di Jenner Meletti
Anonima sarda e «anarchici» accusati di aver rapito e ucciso la donna nel 1989
Mirella «Anna» Silocchi, sequestrata nel  1989, non è più tornata a casa. Dalla chiesa della sua parrocchia è stato tolto anche lo striscione che ricordava il suo rapimento. Da ieri, a Parma, sono sotto processo gli uomini accusati di rapimento e di omicidio.  Farebbero parte di uno strano «commando» formato da banditi dell’Anonima sarda e da «anarchici» autori di attentati. La verità si saprà, forse, fra tre mesi.

PARMA. Nella gabbia in ferro ci sono cinque detenuti. Carlo Nicoli, il marito di Mirella Silocchi, per mezz’ora tiene gli occhi fissi verso, i giudici. Poi guarda verso la gabbia, vuole vedere in faccia gli uomini accusati di avere portato via Mirella nella mattina del 28 luglio del 1989. Avevano chiesto cinque miliardi, poi due, ma non avevano mai dato la prova che la donna fosse viva. «Potete immaginare cosa provo – dice Cario Nicoli – se penso che questi possono essere i sequestratori di mia moglie». Gli è accanto il figlio Michele, che non guarda mal verso la gabbia.

Il tribunale è circondato da transenne, e chi assiste al processo viene identificato e perquisito, come nei processi per terrorismo. Forse si teme qualche attentato, o un’azione «dimostrativa» del gruppo «Anarchia e provocazione» che secondo l’accusa avrebbe organizzato il rapimento assieme all’Anonima sarda. Uno strano connubio, mai visto prima di questo sequestro.  Fra gli avvocati, per difendere due sardi, c’è anche l’avvocato Giannino Guiso, che difese Renato Curcio.

Dietro le sbarre ci sono Franco Bachisio Goddi (nel cui podere di Viterbo sono stati trovati resti umani, forse di Mirella Silocchi), Mario Sanna e Francesco Porcu. In un angolo ci sono Gregorian Garagin, di origine armena e Orlando Campo. Questi ultimi farebbero parte del gruppo anarchico. Manca uno degli accusati, Antonio Staffa, che ha preferito rimanere in carcere.  Altri due sono latitanti: sono i due fidanzati Rose Ann Scrocco, americana e G. B., palermitano. C’era un altro imputato, Luigi De Blasi, il capo del gruppo anarchico. Secondo la polizia è morto nell’autunno del 1989, saltato in aria mentre dentro ad un’auto –  nel quartiere Prenestino a Roma –  preparava una bomba.

La prima udienza è stata dedicata alle «eccezioni» della difesa, tutte respinte. Secondo la Parte civile «questo è un processo delicato, come tutti i processi indiziari, ma ci sono gravi, poderosi argomenti d’accusa». Secondo la difesa tutta l’accusa «è un castello di carta». Si sarebbero inventati collegamenti fra anonima ed «un gruppo anarchico che non è mai esistito». «Gli accusati che hanno fatto politica l’hanno sempre fatta alla luce del sole».

Sarà davvero un processo «delicato», che a Parma riapre una ferita. Tanti, nella città ducale, hanno sentito come proprio il dolore della famiglia Nicoli. L’8 marzo dell’anno scorso, nella giornata dedicata alla donna, c’è stata una «fiaccolata per Anna». Sabato sera, nella chiesa della Steccata, ci sarà una veglia. Sulla chiesa del piazzale di santa Croce per tre anni è stato appeso uno striscione bianco, con la scritta «Mirella Silocchi, rapita il 28 luglio 1989». «Lo abbiamo tolto nel luglio scorso – spiega Giovanni Battista Fregoso, presidente del “comitato per Anna” – quando abbiamo perso la speranza di rivederla».

Mirella Silocchi non ebbe sospetti, quella mattina del luglio ’89, quando vide al cancello tre uomini. Uno era infatti in divisa da finanziere. «Ci sarà qualche grana per mio marito», avrà pensato. La caricarono su un’auto, e da allora nessuno di chi le voleva bene l’ha più vista. Dopo 28 giorni arrivò una lettera, con la richiesta di cinque miliardi. Si sarebbe fatto vivo «Tato», c’era scritto, per concordare le modalità del pagamento. L’ultima lettera arriva il 4 dicembre del 1989. C‘è anche una fotografia della donna, con gli occhi semichiusi, la bocca storta, un fucile puntato alla tempia. Si sospetta che fosse già morta. Il 22 novembre era stato trovato, nell’area di servizio autostradale vicino a Parma, un pezzo d’orecchio della poveretta.

 

 

 

 

Fonte:  archivio.unita.news
Articolo del 17 giugno 1993
«Sono loro gli assassini di Mirella»
6 ergastoli per il sequestro Silocchi
Accolta la tesi dell’accusa. La donna fu rapita a Parma nell’89

PARMA    La  corte  d’Assise  di  Parma  ha  condannato,  ieri,  all’ergastolo   sei   imputati   nel   processo  per  il sequestro  e  l’omicidio di Mirella «Anna» Silocchi: Rose Ann Scrocco (latitante) , Gregonan Garagin, Giovanni Sanna, Franco Bachisio Goddi, Francesco Porcu e Antonio Staffa. I giudici non hanno accolto le richieste dell’accusa solo per il fidanzato di Rose Ann Scrocco, G. B. (assolto) e per Orlando Campo, condannato a ventidue anni. Per entrambi, il Pm aveva chiesto l’ergastolo. Assolti, secondo le richieste dell’accusa, i coniugi romani A. S. e R. R..

Mirella Silocchi, moglie di un commerciante all’ingrosso, impegnata in parrocchia e nell’assistenza agli anziani, fu rapita il 28 luglio 1989.  Più tardi arrivò una lettera scritta a macchina con la richiesta di cinque   miliardi di riscatto. Nella lettera c’era anche una parola in codice (Tato) che sarebbe stata usata nelle telefonate.  Poi arrivarono altri messaggi, alcune foto nelle quali Mirella Silocchi appariva provata, allo stremo. «Tutti i giorni mi picchiano –  scriveva la donna dalla sua prigione –  e la mia vita è un inferno. Non ne posso più. Sono legata con catene collo e piedi, sempre coricata».
Il 22 novembre venne fatto ritrovare in un autogrill vicino a Parma un pezzo d’orecchio della donna. In seguito la richiesta di riscatto fu abbassata a due miliardi. Il 19 gennaio 1990, dopo che il marito della donna aveva annunciato di poter pagare, «Tato» telefonò per l’ultima volta, confermando la richiesta.

Squadra mobile e Criminalpol puntarono subito sulla pista «sarda».  Seguendo un pregiudicato, Francesco Porcu, arrivarono ad un appartamento di Roma.  Alcune intercettazioni telefoniche portarono a individuare il cosiddetto «gruppo anarchico», un cui appartenente, Gregonan Garagin, nascondeva in casa la macchina da scrivere usata, secondo l’accusa, per le lettere inviate alla famiglia di Mirella. Vennero poi ritrovate armi, munizioni, divise (la donna fu rapita da uomini travestiti da carabinieri). Nel pozzo del podere di uno dei sospettati, infine, vennero trovati resti umani, «probabilmente di donna – si disse – sofferente di artrite», così come Mirella Silocchi.

Per l’accusa non ci sono dubbi: l’Anonima sarda (due componenti dei quali sono implicati anche nel rapimento De Megni e Ricca) aveva bisogno dell’organizzazione del gruppo anarchico (il cui leader, secondo la ricostruzione del Pm, era Luigi De Blasi, morto a Roma mentre stava preparando una bomba). Il personaggio chiave sarebbe Gregonan Garagin, 35 anni, un libico di origine armena. «Ho combattuto per la libertà del mio popolo – dichiarò l’imputato – ma sempre e solo con la forza delle idee». Secondo i periti dell’accusa, sarebbe lui il telefonista della banda, una tesi sempre respinta dalla difesa che ha parlato anche di una trattativa parallela tra la famiglia di Mirella Silocchi, i rapitori ed elementi dei servizi segreti. Ma Carlo Nicoli, marito della donna sequestrata, ha sempre negato.

 

 

 

Articolo del 24 Luglio 2009 da: story-parma.blogautore.repubblica.it 
Una banda internazionale dietro il sequestro Silocchi

Sono passati vent’anni dacché Mirella Silocchi, allora cinquantenne, fu rapita da una banda di sequestratori che pretendevano cinque miliardi di riscatto per il suo ritorno a casa. Ma a casa non ritornò mai, perché fu lasciata morire di fame e di sete all’interno di una fossa subendo maltrattamenti di rara ferocia. Si scoprì in seguito che Mirella Silocchi era finita in mano ad una strana aggregazione di pastori e latitanti sardi, e da un gruppo di anarchici composto da elementi della malavita siciliana e calabrese, da una hostess americana e da un libico di origine armena. Un intreccio tra anarchia e banditismo comune che univa anche un elemento di internazionalità.

Mirella Silocchi, moglie di un facoltoso industriale del ferro, Carlo Nicoli, venne rapita alle 8,30 del 28 luglio 1989 nella sua villa di campagna a Stradella di Collecchio. I banditi, uno in divisa di finanziere, bussarono alla porta, mentre lei parlava al telefono con una parente e la portarono via. Un mese dopo il marito ricevette una lettera con cui gli si chiedevano cinque miliardi di riscatto, cifra che Nicoli non aveva.

I banditi tornarono a farsi vivi tre mesi dopo, quando fecero trovare in un cestino della spazzatura della stazione di servizio di Cortile San Martino un orecchio mozzato di Mirella Silocchi. Poi, il 4 dicembre dello stesso anno, Carlo Nicoli ricevette a casa cinque foto di Mirella incatenata e in pessime condizioni, con un fucile puntato alla tempia ma, probabilmente, era già morta. E’ a questo punto che Nicoli riesce a raggiungere un accordo con i banditi per un riscatto di due miliardi. Luogo dello scambio, Torino. Ma l’imprenditore all’appuntamento non trova nessuno. I banditi si erano accorti che era stato seguito dalla polizia.

Le indagini successive porteranno a scoprire la mappa di questa strana aggregazione tra banditi sardi e anarchici. Tutto parte dalla scoperta di un covo eversivo a Roma in un appartamento sulla via del mare, in via Cristoforo Colombo, e uno strano attentato nel quartiere Prenestino di Roma dove un’auto salta in aria per una bomba piazzata al suo interno dove gli inquirenti trovano il corpo dell’anarchico Luigi De Blasi, il bandito travestito da finanziere nel rapimento Silocchi, legato sentimentalmente ad una hostess americana, Anne Rose Scrocco, titolare dell’appartamento romano e in rapporti con il libico di origine armena, Gagarin Gregorian. De Blasi era saltato in aria mentre cercava di innescare una bomba da piazzare per far saltare in aria il commissariato del Prenestino per vendicare la morte di tre sardi e un siciliano rimasti uccisi in un conflitto a fuoco con la polizia. La polizia scoprì anche che De Blasi era in rapporti con Giovanni Mele, assassinato nel 1990 a Mannoia, che nel rapimento Silocchi era travestito da finanziere anche lui.

Quindi i due gruppi, gli anarchici e i banditi sardi, i cui legami vennero fuori dalle indagini sull’auto saltata in aria e sulle tracce rinvenute nel covo di Roma erano così composti. Il primo, quello dei banditi sardi, da Francesco Porcu, Franco Bachisio Goddi, Antonio Staffa, Giovanni Mario Sanna, Gianni Mele, assassinato in Sardegna nel 1990, e Mario Domenico Giau, ucciso nel 1994. Il secondo gruppo, quello degli anarchici, da Giovanni Barcia, Orlando Campo, Rose Anne Scrocco, Gagarin Gregorian e Luigi De Blasi ritenuto la mente del sequestro.

Un puzzle micidiale con un contorno di misteriosi omicidi come quello di Mario Domenico Giau, assassinato a San Teodoro nel 1993. Giau avrebbe incassato una parte dei soldi versati da Carlo Nicoli per far ritrovare almeno i resti della donna. Le indagini inoltre portarono alla scoperta in un pozzo in un terreno di proprietà di un pastore sardo Francesco Bachisio Goddi alcuni frammenti ossei riconducibili a Mirella Silocchi.

Partendo da questi fatti arrivarono a giudizio parecchi componenti della banda, tra cui Rose Anne Scrocco, legata alla banda attraverso il covo di via Cristoforo Colombo a Roma, Bachisio Goddi di Orune, Franco Porcu di Lula e l’armeno Gregorian Gagarin.
Da tempo erano stati seguiti gli spostamenti dell’hostess americana e di altre persone dopo una sparatoria in Spagna a Cordoba dove morirono due poliziotte, ma alla fine venne catturato Claudio Lavazza e Giovanni Barcia anch’essi legati al covo di via Cristoforo Colombo.

 

 

 

Articolo dell’8 Marzo 2011 da  twimc.it
LARGO MIRELLA SILOCCHI
Questa mattina, Mercoledì 09 Marzo alle ore 11,30, si inaugurerà “Largo Mirella Silocchi”.

La proposta di intitolazione, approvata l’anno scorso dalla commissione toponomastica del Comune e successivamente confermata e ratificata dalla Giunta Municipale diventa quindi realtà.

A Mirella «Anna» Silocchi sarà dedicato il largo che si affaccia su via Volturno, adibito a parcheggio dell’ospedale Maggiore. La decisione è stata presa non solo in considerazione della tragica sorte che le toccò, ma anche per la sua opera caritatevole a favore di persone bisognose.

 

 

 

 

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