6 Dicembre 1999 (LE) Strage della Grottella. Uccisi Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arsano, guardie giurate, durante una rapina a un furgone portavalori perpetrato da un gruppo criminale con bombe e raffiche di kalashnikov.

Foto da: vigilanzaprivata.blogspot.com

Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli «In servizio di scorta su un furgone portavalori, perdevano tragicamente la vita a bordo del blindato, fatto esplodere da un gruppo di malviventi in un feroce e proditorio agguato. Chiari esempi di altissimo senso del dovere ed elette virtù civiche spinti sino all’estremo sacrificio. Medaglia d’oro al valor civile alla memoria» furono trucidati barbaramente la mattina del 6 dicembre del 1999, nell’assalto armato compiuto da Vito Di Emidio con la sua banda, sulla provinciale che collega San Donato di Lecce a Copertino, in quella che viene ricordata come la strage della Grottella. Una carneficina consumata a colpi di kalashnikov nella quale rimasero ferite altre tre guardie giurate, sopravvissute all’eccidio: Giovanni Palma, Flavio Martino e Giuseppe Quarta.

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Il furgone sventrato durante la rapina a Copertino (Ansa) da L’Unità del 7 dicembre 1999

Da  L’Unità del 7 Dicembre 1999
Puglia, azione di guerra: tre morti
Commando armato di bombe e Kalashnikov attacca portavalori. Due fermi.

LECCE Il piano prevedeva la strage. L’azione doveva essere portata a termine a qualsiasi costo, anche massacrando vite umane, usando armi da guerra ed esplosivo. Ed ha avuto un pesante bilancio di sangue l’assalto che un commando ha portato ieri mattina a due furgoni portavalori che trasportavano denaro, più di tre miliardi di lire. Tre guardie giurate sono state massacrate dal gruppo di fuoco, altri tre loro colleghi sono rimasti feriti in modo lieve. In serata i carabinieri hanno fermato due giovani pastori sardi, Gianluigi De Pau e Pierluigi Congiu, entrambi di 24anni, di  Villagrande Strisaili (Nuoro). Non sono accusati di aver fatto parte del commando che ha compiuto l’azione, ma di aver aiutato i killer. L’accusa è di concorso in rapina, favoreggiamento e ricettazione di automobile, un’Alfa 164 già ritrovata dagli inquirenti, con il motore ancora caldo, in una masseria usata dai due pastori.

L’assalto è stato compiuto pochi minuti dopo le 7 sulla provinciale che collega San Donato di Lecce a Copertino. È una strada piuttosto larga, che consente un’andatura veloce. Due furgoni della Velialpool percorrono quel tratto con a bordo in tutto sei guardie giurate. Il loro compito è di consegnare il denaro agli uffici postali del basso Salento per il pagamento delle pensioni. L’attacco parte improvviso: un camion spinge contro il guard rail il  primo furgone bloccandolo. L’impatto è violentissimo. I rapinatori sono almeno una decina, forse di più. Alcuni di loro, a bordo di un fuoristrada Nissan, attaccano dal retro il secondo furgone. Le guardie giurate riescono a malapena a rendersi conto di quanto accade. Il conducente del secondo furgone tenta una disperata inversione a U, ma viene bloccato da diverse vetture.

Poi succede l’inferno. Il commando apre il fuoco all’impazzata. A quel punto il piano prevede il massacro. I proiettili, sparati con  Kalashnikov e altre armi potenti (forse anche fucili a pompa), non riescono a perforare il secondo furgone. I rapinatori decidono allora di passare all’ esplosivo: forse lanciano una granata, forse applicano una bomba al plastico e una mina magnetica al portellone posteriore del furgone. Sarà la perizia balistica a stabilirlo nei prossimi giorni. L’esplosione è tremenda. Due guardie giurate sono letteralmente annientate dallo scoppio. Sono Raffaele Arnesano, 37 anni, e Rodolfo Patera, 32, entrambi di Veglie. Insieme con loro era Giuseppe Quarta, 38 anni, di Copertino, rimasto incredibilmente quasi illeso nello scoppio. I vigilantes sono ora debellati: nel primo furgone è la terza vittima, Luigi Pulli, 52 anni, di Veglie, morto probabilmente nell’impatto, e gli altri due feriti, Claudio Matino, 33 anni, e Giovanni Palma, 34. Il campo è libero e il commando tenta di agguantare il denaro.

Dal primo furgone viene portata via la cassaforte con un miliardo e 900 milioni di lire. La seconda cassaforte che conteneva un altro miliardo e 300 milioni rimane invece incastrata tra le lamiere del furgone esploso. I banditi cercano in tutti i modi di afferrarla facendosi largo tra il sangue e brandelli umani. Poi desistono e fuggono via. L’allarme scatta immediato e sul posto giungono polizia e carabinieri con i magistrati della  procura di Lecce. Si mobilita anche la Direzione distrettuale antimafia. La scena che si presenta agli occhi dei soccorritori è  agghiacciante. Rimangono sconvolti i carabinieri che giungono per primi: nel furgone, e  per strada, tanto sangue e parti dei corpi dilaniati. Ma nel frattempo il commando è riuscito a dileguarsi. Più tardi, una vettura usata dai banditi, una Saab 9000 turbo, viene trovata con il motore ancora acceso nel territorio di Martano, non distante dal luogo del massacro.

I criminali se ne sono serviti per abbattere un passaggio a livello che sbarrava loro la strada della fuga. Poi l’hanno abbandonata – danneggiata – con a bordo proiettili di Kalashnikov e un borsone contenente passamontagna. Le indagini sono partite a tappeto. Il territorio viene setacciato da polizia e carabinieri. Si punta sulla pista della mafia salentina, la Scu. Poi il fermo dei due pastori in un fondo agricolo a Torre dell’Orso, nel territorio di Melendugno  – a circa una trentina di chilometri dal luogo dove è stato compiuto l’assalto ai portavalori – dove è stata trovata nascosta una delle automobili, un Alfa 164, usata dai killer durante la fuga. I due sono mezzadri nello stesso fondo. Secondo gli inquirenti, i due pastori avrebbero dato ospitalità in più occasioni  al commando che ha compiuto la rapina. La masseria in uso ai due giovani era tra quelle inserite in un’attività di indagine dei carabinieri che avevano saputo di strani movimenti nella zona.

 

 

 

Fonte:  repubblica.it
Articolo del 6 dicembre 1999
Assalto ai furgoni portavalori uccise tre guardie giurate
di Domenico Castellaneta
Bottino di due miliardi, il mese scorso rapina analoga
Colpo fotocopia in Calabria con due feriti

LECCE – Tre vigilantes morti, altri tre feriti in modo grave, un miliardo e 900 milioni il bottino: un vero attacco militare quello sferrato stamane da un commando di otto, forse nove rapinatori a un furgone portavalori sulla strada provinciale tra San Donato di Lecce e Copertino. Sono morti Luigi Pulli, di 52 anni, Raffaele Arnesano, di 37, e Rodolfo Patera, di 32, tutti di Veglie (Lecce). I feriti sono Claudio Matino, di 33 anni, Giovanni Palma, di 34, entrambi di Veglie, e Giuseppe Quarta, di 38, di Copertino.

Pulli è morto nel violento impatto tra il furgone portavalori che conduceva e un camion usato dai rapinatori per bloccare la strada ai due mezzi blindati. Arnesano e Patera erano a bordo del furgone che seguiva quello condotto da Pulli: sono stati dilaniati nell’esplosione provocata dai banditi per aprire il furgone, un’esplosione che ha deformato la carrozzeria del mezzo incastrando la seconda cassaforte, che i banditi non sono riusciti ad aprire. Le due guardie giurate sono state fatte e pezzi dall’esplosione. “Uno dei rapinatori – hanno detto gli investigatori – è addirittura entrato nel furgone per raggiungere la cassaforte nonostante lo spettacolo agghiacciante”. C’era sangue dappertutto.

È stata intanto ritrovata una delle due auto usata dai rapinatori, una Saab che era stata rubata il 24 novembre scorso a Poggiardo, un comune del basso Salento. All’interno della vettura, per terra, i carabinieri hanno trovato proiettili di kalashnikov e un borsone che conteneva alcuni passamontagna.

Al momento la pista seguita dagli inquirenti è quella della mafia salentina, la Sacra Corona Unita, che, in difficoltà per il sostentamento dei latitanti, avrebbe bisogno di soldi. Ma non viene esclusa nessuna altra ipotesi. Tutto il Salento è presidiato dalle forze dell’ordine: è scattata una gigantesca caccia all’uomo alla ricerca dei rapinatori assassini che hanno sparato all’impazzata. «Un’azione militare, terribile, studiata nei particolari… Un’azione da professionisti sanguinari, senza scrupoli», dice un investigatore. Il 2 novembre scorso una rapina analoga era stata portata a segno nella stessa zona: i banditi portarono via un miliardo in contanti. E gli investigatori non escludono che sia stato lo stesso gruppo ad agire oggi.

I furgoni assaltati erano due. Procedevano insieme sulla strada provinciale. Trasportavano i soldi per il pagamento delle pensioni nei vari uffici postali del Salento: su un mezzo c’erano un miliardo e 300 milioni; su un altro un miliardo e 800 milioni. I banditi lo sapevano e hanno studiato il colpo a tavolino. I due furgoni sono stati bloccati esattamente nello stesso modo in cui fu assaltato il convoglio a novembre: un camion ha tagliato la strada al primo mezzo che s’è dovuto fermare; poi s’è arrestato anche il secondo. I rapinatori seguivano. All’improvviso sono scesi dalle auto e hanno assaltato i blindati dal retro. Hanno sparato all’impazzato con kalashnikov e potenti fucili in grado di perforare la corazza blindata. Alcuni vigilantes hanno tentato una reazione, ma sono stati massacrati da una pioggia di proiettili. I banditi hanno arraffato i soldi contenuti in sacchi di plastica, ma la cassaforte attaccata con l’esplosivo non si è aperta. Il bottino si è così ridotto da circa tre a circa due miliardi.

Anche allora i rapinatori spararono all’impazzata e fuggirono col bottino. Si parlò di una talpa. E si parlò di una strategia della tensione messa in atto dalla Sacra Corona Unita, non solo il troncone leccese, ma anche e soprattutto quello brindisino, messo in notevoli difficoltà dalle recenti operazioni delle forze dell’ordine sul fronte del contrabbando e adesso alle prese con un’emergenza finanziaria per sostenere la pesante latitanza dei suoi boss in Montenegro, dall’altra parte dell’Adriatico.

E quasi contemporaneamente, in Calabria, in provincia di Cosenza, altra rapina ai danni di un furgone che trasportava denaro. Anche qui spari e due feriti fra gli uomini della scorta. L’assalto, alle 7,30 lungo la strada statale 107 nei pressi dello svincolo per la località Sculca, tra Camigliatello Silano e San Giovanni in Fiore, sull’ altopiano silano. I banditi hanno usato un kalashnikov e sparato diversi colpi di pistola. I malviventi hanno portato via 600 milioni di lire, tutto quanto, cioè, era contenuto all’ interno del blindato. Le condizioni delle due guardie – ricoverate all’ospedale di Cosenza – non sarebbero preoccupanti.

 

 

 

 

Fonte:  archiviolastampa.it/
Articolo del 7 dicembre 1999.
LA LUPARA DEL DUEMILA
di Francesco La Licata

NON è, purtroppo, un telefilm americano. Sono tragicamente veri i corpi delle tre guardie giurate lasciati sull’asfalto dalla squadra di assaltatori della malavita salentina. È autentico lo scempio provocato da quella dozzina di delinquenti che, per arrivare ai soldi dei furgoni blindati, non ha esitato a farsi strada con kalashnikov, fucili a pompa ed esplosivi. Un’azione di guerra che insinua sgomento e fa sbigottire gli stessi investigatori.

E, come impone il rituale di ogni dopo-strage, comincia il balletto delle ipotesi: mafia, terrorismo, criminalità comune? Si sprecano le analisi, le dichiarazioni di principio ed ecco anche l’«atto dovuto» di «inviare sul posto» uno dei vicecapi della Polizia che, ovviamente, ha il mandato di compiere indagini «a 360 gradi».

Un sospiro di sollievo degli addetti ai lavori accompagna la convinzione che «probabilmente non siamo di fronte a un atto terroristico». Come se le ipotesi alternative, in qualche modo, potessero essere considerate «poca cosa». Come se l’esistenza di un’organizzazione criminale, sia mafia o bande metropolitane, capace di simile potenza bellica, possa essere considerata meno perniciosa di una cellula di militanti esaltati.

Eppure non sembra vi sia molto da dibattere. Se è mafia, siamo di fronte alla conferma che l’animale è vivo, vegeto e anche – ci si perdoni il termine – molto peggiorato dal momento che, fino a qualche tempo fa, riusciva nelle rapine miliardarie senza troppi spargimenti di sangue. Al massimo «assumeva» qualche «basista». Pagandolo, sia chiaro. Proprio questa caratteristica – non dimentichiamolo ha permesso a Cosa nostra di governare col consenso delle proprie vittime.

Ma neppure l’ipotesi di una banda metropolitana può stupire più di tanto. Una fascia di gioventù rapace e dedita all’esercizio di una sorta di violenza senza ideologia è cresciuta sotto i nostri occhi e sembra essere sfuggita ad ogni controllo. Roba da far rimpiangere le vecchie «coppole» di campagna. Qualunque richiamo al guadagno facile trova terreno più che fertile, e non si creda sia poi tanto difficile imparare a maneggiare armi micidiali.

La violenza individuale dei ragazzi del Nord che uccidono per una eredità, al Sud (o nelle realtà meno ricche) diventa violenza organizzata. Insomma, non sono mafiosi ma alla terza rapina con qualche morto potrebbero diventarlo. Tanto, anche l’ex «onorata società» si è americanizzata e ha imparato a scegliere i più rampanti.

 

 

 

Quotidiano di Lecce 24 febbraio 2002
Salone della prefettura gremito per la consegna delle medaglie alle vittime della strage della Grottella
Un “grazie” d’oro, velato di polemica.

di M. Claudia Minerva

«In servizio di scorta su un furgone portavalori, perdevano tragicamente la vita a bordo del blindato, fatto esplodere da un gruppo di malviventi in un feroce e proditorio agguato. Chiari esempi di altissimo senso del dovere ed elette virtù civiche spinti sino all’estremo sacrificio. Medaglia d’oro al valor civile alla memoria di Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli».

Non si può dare voce all’emozione provata quando, ieri mattina nel fastoso salone al primo piano della Prefettura, l’addetto al cerimoniale ha scandito queste parole prima che il sottosegretario al ministero dell’Interno, Alfredo Mantovano, consegnasse il riconoscimento alle famiglie delle tre vittime. La sala gremita di gente ed autorità è esplosa in uno scrosciante, lungo e significativo applauso, stringendosi attorno alle vedove dei vigilantes della Velialpol trucidati barbaramente una mattina di 2 anni fa, nell’assalto armato compiuto da Vito Di Emidio con la sua banda, in quella che viene ricordata come la strage della Grottella.

Una carneficina consumata a colpi di kalashnikov il 6 dicembre 1999, nella quale rimasero ferite altre tre guardie giurate, sopravvissute all’eccidio: Giovanni Palma, Flavio Matino e Giuseppe Quarta, che ieri hanno voluto esserci a ricordo degli amici e dei colleghi di lavoro più sfortunati. Hanno voluto presenziare, nonostante l’invito arrivato in extremis solo alla vigilia. Come se quel maledettissimo freddo giorno di dicembre loro non ci fossero stati su quei blindati, quando i corpi degli altri tre furono dilaniati, col sangue che schizzava dappertutto. «Lo Stato non si è dimenticato di loro – ha sottolineato Mantovano – avranno delle provvidenze finanziarie e risarcitorie così come le vedove delle vittime. La gratitudine nei loro confronti rimane immutata».

Alla cerimonia di ieri tante le autorità. L’arcivescovo metropolita monsignor Cosmo Francesco Ruppi, il Rettore dell’Università Oronzo Limone, il presidente della Camera di Commercio Sergio D’Oria, l’assessore regionale Rocca Palese, il sindaco di Veglie Roberto Carlà, il primo cittadino di Copertino Pierluigi Pando, il presidente della Provincia Lorenzo Ria, il sindaco Adriana Poli Bortone, i rappresentanti delle forze dell’ordine e della Velialpol.

«Il motivo che ci vede qui riuniti – ha esordito il prefetto Giovanni D’Onofrio – muove ed agita un coacervo di sentimenti che si fa fatica a contenere, pur nel rigore formale dell’ufficialità e della solennità del momento. Siamo di fronte ad un evento straordinario, perché credo non esistano troppe tracce di una cerimonia come quella di oggi, in cui sia stato possibile coprire, esaurire tutti i gradi delle onorificenze. Capita in questa città, in questa realtà così viva e palpitante».

 

 

 

A questo link tutte le fasi processuali:   veglienews.it

 

 

 

Articolo del 2 Dicembre 2010 da brindisireport.it
Strage della Grottella, nessun risarcimento per le famiglie delle vittime
di Sonia Gioia

BRINDISI – Il Consiglio di Stato ha sentenziato, alla vigilia dell’undicesimo anniversario della strage della Grottella, 6 dicembre 1999: nessun risarcimento per i parenti delle vittime. Le mogli, i figli, le madri, delle guardie giurate Raffaele Arnesano, Rodolfo Patera e Luigi Pulli non hanno diritto a nessun sostegno economico da parte dello Stato, perché l’eccidio fu frutto della solitaria follia criminale del brindisino Vito Di Emidio, alias Bullone, latitante rabbioso a caccia di soldi, svincolato da ogni ossequio alla onorata società dal nome di Sacra corona unita, che per quei fatti, insieme al resto del commando fu condannato per omicidio volontario e rapina commessi in seno ad una associazione a delinquere semplice e non di stampo mafioso.

Il buco nero di questa storia annosa sta in questo dettaglio, destinato a fare la differenza su piani che si intersecano, processuale ma anche esistenziale, incrociando l’interrogativo più profondo di ciò che è mafia e ciò che non lo è. La magistratura penale infatti, non è mai riuscita a trovare riscontro a quelle dichiarazioni in cui il futuro pentito sosteneva che parte dei proventi di quella tragica rapina “erano destinati ad elargizioni in favore di alcuni detenuti facenti parte della Scu”, come si legge nella sentenza del Tar di Lecce del 12 gennaio 2005, demolita dal recente pronunciamento del Consiglio di Stato.

La ratio della sentenza depositata il primo dicembre scorso, firmata dalla sesta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Giancarlo Coraggio e composta dai consiglieri Paolo Buonvino, Rosanna De Nictolis, Maurizio Meschino e Manfredo Atzeni, sta dunque nella verità stabilita in via definitiva dalle sentenze penali che hanno condannato all’ergastolo Pasquale Tanisi, 44 anni, di Ruffano, il 33enne di Copertino Antonio Tarantini e il pastore sardo Marcello Ladu, 34 anni, nativo di  Villagrande Strisaili, in provincia di Nuoro. Identica accusa che condannò rispettivamente a 27 e 30 anni ai cugini e pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau. ). Il più sanguinario dei killer della Scu, autore di “diciannove, forse ventuno omicidi, signor giudice non ricordo…”, per la stessa strage fu condannato, a seguito di giudizio abbreviato, a 18 anni di reclusione mai scontati, privilegio concesso ai collaboratori di giustizia.

La sentenza dei giudici capitolini chiude in via definitiva una storia lunga oltre due lustri. Capitolo doloroso che rinnova ferite antiche, insieme all’interrogativo sulla coincidenza dei percorsi tracciati dalla legge e le traiettorie ideali della giustizia, o forse soltanto quelle del senso comune. La cronaca di quel giorno si racconta in poche battute, gli sforzi investigativi ebbero infatti presto la meglio sulle cautele usate dal commando prima di aprire il fuoco. Quella mattina, all’ altezza di Copertino, il gruppo di guerriglieri guidato da Di Emidio assaltò con bombe e kalashnikov i portavalori della Velialpol, lasciando sull’ asfalto i tre vigilantes di Veglie e altrettanti feriti, Giuseppe Quarta di Copertino, Giovanni Palma e Flavio Matino, anche loro di Veglie. Bottino un miliardo ed 800 milioni di lire, investimento cospicuo per il futuro dei sei killer, Bullone e gli improvvisati compagni di ventura.

I parenti delle guardie giurate morte sotto i colpi di kalashnikov, Romina Iacovelli, Luigi Arnesano, Teresa Parisi, Marco Arnesano, Genoveffa Patera, Mauro Patera e Marita Conte, si persuasero a bussare alle porte della Prefettura di Lecce, solo molti anni dopo, il 20 aprile 2003, invocando il diritto ad accedere alle provvidenze previste dal Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso, istituito con la legge 512 licenziata dal Parlamento italiano esattamente il 22 dicembre del 1999, a sedici giorni esatti dalla strage della Grottella. Una mera coincidenza.

A quel fondo, che vincola l’elargizione al dettato delle sentenze penali, i parenti dei ragazzi di Veglie, non possono avere accesso, dice il Consiglio di Stato, per ragioni snocciolate in punta di diritto. La legge non ammette deroghe. Figli, mogli, madri, padri, dovranno accontentarsi delle tre medaglie al valore civile, quella appuntate al petto dei sopravvissuti per mano del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 23 febbraio 2002: l’oro della riconoscenza dello Stato per il coraggio dei tre agenti. Lo stesso Stato che, per mezzo del ministero degli Interni e del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, non ha esitato a costituirsi in giudizio contro i parenti delle vittime di quella strage. Da una parte la legge, dall’altra la giustizia. La prima non tiene evidentemente conto della fatica di sopravvivere delle famiglie, non solo sotto il peso del dolore, ma anche quello della privazione di braccia e forza lavoro.

“Guida le ragioni dei giusti – recita la preghiera delle guardie giurate – guida le nostre schiere e aiutaci. Invochiamo la tua benevolenza. Ricordati di coloro che hanno pagato alto il prezzo degli ideali alla giustizia con il sacrificio del loro sangue e delle loro vite. Chi cade osservando la legge non potrà mai essere distrutto”.

 

 

 

 

Articolo del 6 Dicembre 2012 da lecceprima.it
Strage della Grottella, per il 13esimo anno il ricordo dei vigilantes
Oggi, a Copertino, la deposizione della corona di fiori, in memoria di Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano, ammazzati da un commando il 6 dicembre 1999. L’assalto ai due portavalori fu eseguito con bombe e kalashnikov

COPERTINO – L’assalto, tra i più efferati nelle cronache del Salento,  fu eseguito sulla via provinciale che congiunge Copertino a San Donato di Lecce. Un commando composto da circa dieci persone, condannò al massacro tre vite umane,  senza scrupolo.

Oggi ricorre il tredicesimo anniversario da quella mattina del 6 dicembre 1999 in cui la banda, intorno alle sette, mise a segno il piano cruento ai danni di due furgoni portavalori, scortati dal personale della “Velialpol” eche  fruttò un maxi bottino da tre miliardi di lire.

Denaro che le guardie giurate dell’istituto di vigilanza, avrebbero dovuto consegnare agli uffici postali del basso Salento, e che sarebbe servito per il pagamento delle pensioni.

I vigilantes persero la vita tra le deflagrazioni di bombe e speitate raffiche di kalashnikov. Si tratta di Luigi Pulli, 52enne, Rodolfo Patera, di 32 anni e Raffaele Arnesano, di 37 anni. Atri colleghi, rimasero feriti: Giuseppe Quarta, 38enne, Claudio Matino di 33 e Giovanni Palma, 34enne.

Nel corso della mattinata, come ogni anno, si è tenuta  una commemorazione, in memoria dei dipendenti uccisi, con la deposizione di una corona di fiori – alla presenza delle istituzioni locali –  ai piedi del monumento eretto sul luogo della “Strage della Grottella”, nei pressi dell’omonimo santuario, a Copertino. Nel pomeriggio, invece, è prevista la messa in suffragio delle tre vittime, nella chiesa madre di Veglie.

Per la strage furono condannati all’ergastolo, con sentenza definitiva delle cassazione, nel mese di marzo del 2007, Pasquale Tanisi, di Ruffano, Antonio Tarantini, di Copertino, e il pastore Marcello Ladu, originario della provincia di Nuoro, già protagonista di un tentativo di fuga dal carcere sardo, dove aveva nascosto un telefono cellulare e una cinquantina di lame.

Gli altri componenti del commando hanno ottenuto condanne più miti nei processi-stralcio: 18 anni a Vito Di Emidio, grazie allo sconto di pena riservato ai collaboratori di giustizia; 27 e 30 anni ai cugini e pastori sardi Pierluigi Congiu e Gianluigi De Pau, fermati nella stessa giornata dell’efferato episodio.“

 

 

 

 

Articolo del 18 Ottobre 2013 da  La Gazzetta del Mezzogiorno
Fonte: controvoci.it 
Strage della Grottella: autorizzato il risarcimento
di Rosario Faggiano
Gli eredi di Raffaele Arnesano e Rodolfo Patera, i vigilantes uccisi nell’assalto al portavalori della Velialpol, hanno ottenuto dal Tribunale l’ultimo via libera 
Strage, autorizzato il risarcimento.
Riconosciuto il diritto all’indennizzo del “Fondo di solidarietà” del Ministero dell’Interno.

VEGLIE – Via libera del Tribunale di Nardò alla richiesta di risarcimento dei danni subiti dai parenti delle vittime della Strage della Grottella. Con ordinanza esecutiva, emessa lunedì scorso in accoglimento di appositi ricorsi dei congiunti dei vigilantes trucidati nel 1999, è stato riconosciuto il “diritto” agli interessati di essere indennizzati e, conseguentemente, accedere al “Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso” del Ministero dell’Interno. Il provvedimento riguarda gli eredi di Raffaele Arnesano e Rodolfo Patera, i due agenti della Velialpol dilaniati dalle bombe utilizzate dai malviventi per compiere la rapina. L’altra vittima, Luigi Pulli, morì a seguito dell’impatto del furgone portavalori con l’auto dei banditi. Per quest’ultimo il risarcimento è stato di competenza della compagnia di assicurazione dell’automezzo. La decisione riguardante i congiunti di Arnesano e Patera, tutti rappresentati dall’avvocato Maria Lucia Pagliara, è rilevante per due motivi. Il primo, il più importante, riguarda l’aspetto umano dell’agghiacciante vicenda che ha straziato giovani famiglie, private d’un colpo e per sempre di un punto di riferimento irrinunciabile. E poi, come se non bastasse vivere senza la presenza di un marito e di un padre, costrette a subire anche la mortificazione di non vedersi riconosciuto, per quasi quattordici anni, alcun tipo di risarcimento, essenziale ai familiari per affrontare le enormi difficoltà a loro riservate dal destino. Il momento di svolta della vicenda, colto dall’avvocato Pagliara che ha curato i ricorsi, è stato la sentenza della Corte di Assise di Lecce la quale, nel 2011, ha ritenuto “mafioso” il sanguinoso episodio, riconoscimento indispensabile per l’accesso al Fondo di rotazione. Il secondo aspetto rilevante della vicenda è tecnico. La decisione del Tribunale neretino, infatti, risulta essere la prima del genere in Puglia. “La decisione – spiega l’avvocato Pagliara – ha finalmente fatto giustizia perché ha riconosciuto ai parenti delle vittime il diritto al risarcimento. I ricorsi, presentati ai sensi della procedura sommaria prevista dall’articolo 702 bis del codice di procedura civile, sono stati depositati nel novembre 2012, quando ho ricevuto dai familiari l’incarico di seguire la vicenda. All’epoca esisteva un unico precedente riguardante un altro evento catastrofico deciso con la stessa procedura dal Tribunale di Palermo. L’Ordinanza del giudice del Tribunale di Nardò, che è immediatamente esecutiva, offre una tutela piena dei diritti vantati dalle parti ricorrenti, dopo aver rigettato tutte le richieste ed eccezioni sollevate dal Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. Ora provvederò ad inoltrare la richiesta di pagamento al Fondo di rotazione. A tale proposito, tutti i miei assistiti intendono ringraziare l’onorevole Alfredo Mantovano, già coordinatore dei lavori per l’istituzione del Fondo di rotazione, per essere stato in passato vicino alle famiglie delle vittime”.

 

 

 

Monumewnto ai caduti della Strage della Grotella
Foto dal Blog guardiegiurate.it

 

 

Leggere anche: leccenews24.it
Articolo del 6 dicembre 2020

Strage della Grottella, la vita di tre guardie giurate per fuggire con i soldi delle pensioni

Il 6 dicembre 1999 tre guardie giurate – Luigi Pulli, Rodolfo Patera e Raffaele Arnesano – persero la vita in un assalto armato a pochi passi dal Santuario della Grottella. Tre vite per i soldi delle pensioni.

 

 

 

 

 

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