6 Settembre 2006 Mondragone (CE). Ucciso Michele Landa, metronotte, e il suo corpo dato alle fiamme, mentre era in servizio presso un ripetitore di Pescopagano.

Foto dal Video  Blu notte “Il clan dei Casalesi”

Mancavano solo un paio di mesi e Michele Landa sarebbe andato in pensione, dopo una vita di lavoro.
Invece trova la morte all’età di 62 anni, davanti a un ripetitore della Vodafone. I clan hanno scoperto che le apparecchiature del ripetitore possono essere una merce per cui si è disposti a pagare decine di migliaia di euro, in contanti, da parte degli stessi proprietari. Il cavallo di ritorno: “Vuoi l’attrezzatura indietro? Paga”. Probabilmente Michele Landa non ha ceduto ai giovani del clan, in cerca di denaro facile, i quali non avranno accettato che un paesano di Mondragone li ostacolasse, e così, dopo una vita di lavoro, Michele viene ucciso barbaramente.
Michele Landa scompare il 6 settembre e il suo corpo carbonizzato viene ritrovato dopo una settimana nella sua Fiat 600.
Nel giugno 2005, un anno prima, anche un suo collega, Nicola Sammarco, viene ucciso da sicari senza scrupoli che gli sparano alle spalle un solo colpo nel territorio di Casapesenna, dove lavorava presso l’impianto allora Omnitel.
Michele Landa e Nicola Sammarco lavoravano per la stessa cooperativa “Lavoro e Giustizia”, entrambi facevano servizio di guardia presso l’antenna prima Omnitel e poi diventata Vodafone. (Fondazione Pol.i.s.)

 

 

 

 

Articolo di  Sergio Nazzaro
Michele Landa

da Io, per fortuna c’ho la camorra (Fazi Editore 2009)

Michele Landa muore il 6 settembre 2006 alle 4 del mattino. Ucciso a colpi di pistola prima, e poi bruciato nella macchina di servizio. Una storia che non ha avuto diritto di ospitalità nell’informazione. Una storia che deve essere raccontata. Michele Landa è un metronotte di Mondragone. La sua attività preferita è coltivare il piccolo pezzo di terra di famiglia. Ama fare ed essere un contadino: “Tu lo sai come sono fatti gli stipendi qua al Sud, e quindi papà lavorava come metronotte per portare qualcosa in più a casa”. Angela Landa ha la voce dignitosamente ferma, quando mi racconta i dettagli della morte del padre. “Papà, faceva questo lavoro da 24 anni, e la notte quando è stato ucciso, gli mancava solo un mese per andare finalmente in pensione”. I figli, invece, riceveranno da parte della cooperativa Lavoro & Giustizia, l’ultima busta paga del padre con due ore di lavoro decurtate. Già, perché Landa riceve il suo ultimo stipendio, meno le ore che sicuramente non ha svolto. Tutto questo lo si deduce dalla macchina di altri colleghi metronotte che, avvistano alle 4 del mattino per l’ultima volta Michele Landa, in servizio presso un ripetitore della Omnitel-Vodafone, a Pescopagano. “Mio padre ha lavorato in molti posti brutti, ma Pescopagano lo spaventava: puttane, spacciatori, camorristi, criminali nigeriani, là ci sta tutto meno che lo Stato”.

Antonio ha 25 anni ed è l’ultimo figlio di Michele, il motivo per cui aveva accettato di lavorare anche a Pescopagano. Per potergli cedere il suo posto dopo la pensione. Oggi Antonio quel posto non lo vuole. La cooperativa Lavoro & Giustizia non ha aiutato nelle ricerche, non si è presentata subito a casa a mostrare cordoglio e proporre aiuto. Già, forse erano manchevoli nei confronti di Michele, di regole da seguire, sempre dimenticate. Comunque sia, Michele Landa alle 22.00 del 5 settembre prende servizio presso il ripetitore. Deve essere difeso l’antenna, altrimenti i criminali lo rubano per farne un cavallo di ritorno. Una macchina di Lavoro & Giustizia dovrebbe passare ogni ora a controllare, ma non ci sono uomini, macchine o il lavoro lo si può arrangiare. Michele va al lavoro con la sua macchina. Quella aziendale è rotta e quindi viene lasciata direttamente al ripetitore, quasi come guardiola improvvisata. Alle 4 del 6 settembre Michele Landa viene affrontato da camorristi o semplici criminali. Comunque sia, viene ucciso. Poi bruciato e con la macchina buttato in un fosso. Lo si troverà solo dopo 4 giorni, nelle campagne di Mondragone. Per non dare fastidio a traffici di coloro che hanno in ostaggio Pescopagano. Il collega del cambio turno, non vedendo Michele Landa, non avverte nessuno, credendogli di fare un favore. Già perché questa è la terra degli assenteisti , quindi non dire nulla aiuta. Angela continua il suo racconto: “Quando ho sporto denuncia, un carabiniere mi ha detto che non dovevo preoccuparmi che sicuramente mio padre stava bevendo con qualche prostituta da qualche parte e che sarebbe tornato a casa”.

I figli si porteranno a casa Michele Landa un pezzo alla volta. La Seicento in cui viene ucciso, dopo il ritrovamento, viene portata nello spiazzo della caserma dei carabinieri. Però, mentre sono in corso i rilievi, finisce il diesel nel generatore di corrente. Così la macchina con i resti, viene caricata sul carro attrezzi e tra una buca e un’altra va verso la caserma. Qualche pezzo di Michele sicuramente è finito per strada per non tornare più. La macchina nello spiazzo della caserma non è coperta neanche con un telone. “Quando ho chiesto spiegazioni, mi hanno detto che nella rimessa puzzava troppo, e quindi l’avevano messa fuori. Ho portato un telone perché almeno quello che rimaneva di mio padre non fosse uno spettacolo per chi passava”. Michele è un altro figlio ancora di Michele Landa, lavora come operaio sulle linee ferroviarie: “La scientifica ha ripulito la macchina, ma siamo andati lo stesso nel deposito giudiziario.

Abbiamo trovato un femore, la fibbia della cintura di papà, le chiavi di casa e altre ossa. Ce lo siamo portati via in una scatola di scarpe”. Quando i figli comunicano ai carabinieri che la macchina non era ripulita come avevano detto, vengono minacciati di denuncia e intralcio alla giustizia. Il giorno dopo la macchina viene passata al setaccio, e solo allora tutti i pezzi di Michele Landa vengono raccolti. Il 27 settembre vengono celebrati i funerali del metronotte contadino: nessun sindaco, nessun deputato, in questo caso Mario Landolfi, nessuna istituzione presente al funerale di un onesto. Ma la tomba dovrà essere riaperta dopo una decina di giorni, perché dal R.I.S. di Roma torna un altro osso di Michele Landa. Ad oggi nessuno sa perché Michele Landa è morto. Da parte delle istituzioni cittadine hanno detto che era meglio non immischiarsi con questioni di camorra.

La richiesta di indennizzo all’INAIL viene respinta: non si può accertare se è una causa privata la morte o una causa di lavoro. L’assicurazione non paga per il momento, bisogna aspettare gli sviluppi della vicenda. Angela continua il suo racconto: “Se mio padre fosse stato un carabiniere, poliziotto, finanziere avrebbero fatto qualcosa prima. Avrebbero dato qualcosa alla famiglia, avrebbero parlato della sua morte e qualcuno sarebbe venuto al suo funerale. Nulla, invece, perché mio padre era soltanto un onesto lavoratore.

Un carabiniere ci ha detto in privato che sapremo qualcosa se qualche pentito parlerà. Se è un azione criminale, sai le pistole dei metronotte sono molto ricercate, beh allora probabilmente non si saprà mai nulla”.  Il 6 ottobre del 2006 viene rimossa l’antenna da Pescopagano. Rimane solo, di fronte, a qualche decina di metri, un’enorme villa fortificata con tanto di telecamere. Spinti dall’unica troupe che si è interessata al caso, quella di “Chi l’ha visto”, i carabinieri fermano il proprietario alla guida di un mercedes roadstar. “E’ uno di Caivano, i documenti sono a posto”. Questa l’unica azione che i carabinieri intraprendono verso il proprietario della villa. I nastri delle telecamere, neanche a parlarne.

Oggi rimane un dolore composto di una famiglia oltraggiata dall’indifferenza di tutti, meno che gli onesti di Mondragone: “Al funerale di papà hanno partecipato i suoi amici, gli anziani, tanta gente semplice, quelli con cui andava a lavorare in campagna”. Non ci si può chiedere il perché dei rifiuti, della camorra, dei massimi sistemi risolutivi, quando la morte di un onesto lavoratore è così bellamente ignorata. Si dice che gli operai siano l’ultima ruota del carro in Italia, beh ce ne sono molte altre di ultime ruote del carro. Sono coloro che finiscono sottoterra in una scatola di scarpe. E non gliene fotte niente a nessuno.

 

 

ascolta l’intervista con Angela Landa

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Michele Landa ha 61 anni, quando viene sparato e bruciato il 6 settembre 2006, mentre svolge il suo servizio di metronotte a Pescopagano, frazione di Mondragone (Caserta).

 

 

 

Fonte: sullestradedeilibri.it
Articolo dell’11settembre 2017
Mio padre in una scatola da scarpe.
La storia di Michele Landa raccontata da Giulio Cavalli

Il coraggio lo si può misurare in vari modi. Chi è davvero coraggioso non ostenta mai la sua più grande virtù e lo fa con grande buon senso. Niente azioni rivoluzionarie, il titano si arma solo ed esclusivamente di parole. Ma badate bene, ci sono quelle da non pronunciare e altre da urlare. Pochi ne conoscono il giusto equilibrio. Michele Landa e Giulio Cavalli hanno un’assonanza sebbene non si siano mai conosciuti e le loro esistenze sono decisamente differenti.

Giulio Cavalli ha conosciuto Michele Landa attraverso il ricordo e la testimonianza dei figli che hanno perso il loro padre la notte tra il 5 e il 6 settembre 2006. La famiglia viveva a Mondragone, in provincia di Caserta, dove Michele lavorava come guardia giurata presso la Cooperativa Lavoro&Giustizia e quella sera avrebbe dovuto controllare una grande antenna sita in una zona non molto raccomandabile.

Mancavano pochi giorni al traguardo della pensione e al desiderio di dedicarsi esclusivamente ai nipoti e al suo orto, ma quella notte Michele Landa è stato ucciso e il suo corpo poi bruciato. Con lui è morta anche la verità. Nessuna indagine, nessun indizio, tutto è ancora avvolto nel mistero.

Se non fosse stato per l’arguta coerenza letteraria e realistica di Giulio Cavalli non saremmo mai venuti a conoscenza di questa storia. La memoria è una delle più nobili azioni che può compiere l’essere umano e il libro “Mio padre in una scatola di scarpe” edito da Rizzoli è un grande tributo a Michele Landa e alla sua famiglia.

Raccontare una storia d’omertà è una scelta che scardina i sistemi di una società basata sul falso, abituata a camuffare piuttosto che a scoperchiare le malefatte di una parte di popolo che padroneggia su tutto il resto. A Giulio Cavalli, attore teatrale, ex consigliere regionale in Lombardia che vive sotto scorta a causa delle pesanti minacce ricevute in seguito ai suoi spettacoli di denuncia antimafia, dovremmo essergli riconoscenti per aver saputo sfidare ancora una volta quel velo di indifferenza che ci costringe ad essere invisibili.

Michele Landa non ha mai voluto vivere da invisibile sebbene a Mondragone la gente onesta fosse costretta ad esserlo perché schiacciati dall’arrogante prepotenza della famiglia camorristica dei Torre che controllava e gestiva le attività economiche del paese. Glielo diceva sempre suo nonno, a Michele, di stare lontano dai mafiosi e di non osare sfidarli perché ogni reazione avrebbe messo a rischio l’incolumità dei propri cari. Ed è difficile accettare questo consiglio quando l’anima dentro arde di giustizia.

Nell’apparente quiete di Michele c’era un fuoco che bruciava e solo la dolcezza e prudenza di Rosalba era in grado di placare. Il loro era un amore “che cerca conforto e pace”. Dopo un’infanzia e un’adolescenza cresciuto da orfano, Michele ritrova nella realizzazione della sua famiglia, la tanto attesa e meritata felicità. Ma se dentro al nucleo familiare la quotidianità scorre serena, al di fuori di quel cerchio magico c’è l’inferno. E si sopravvive accettando compromessi “in una terra paralizzata dalla paura”.

Nella seconda parte del libro si fa un salto temporale di quarant’anni durante i quali Michele fa pace con il presente e con il passato, con i suoi più grandi dispiaceri, lutti e fragilità. Accetta il decesso del nonno, ormai anziano morto una settimana dopo il giorno del matrimonio con Rosalba, soffre ancora per la morte ingiusta del suo migliore amico Massimiliano che osò sfidare i suoi assassini con “uno sguardo che aveva assunto i toni del mito”.

In tutta questa storia emerge però la bellezza della dignità di una famiglia che ha affidato alle parole di Giulio Cavalli, una storia preziosa e singolare malgrado il tragico epilogo. Una bellezza celata, da cogliere dietro alle brutture di un mondo sempre più insozzato dalla cattiveria, un incanto da scorgere come faceva Michele Landa quando insieme alla sua nipotina si dirigeva a coltivare i suoi terreni agricoli e le diceva: “Mondragone verso gli orti diventa quasi irlandese: verde, umida, più forte dello scirocco”.

Sogniamolo insieme, anche per lui, un vento di tramontana in grado di spazzare via tutto il lerciume che ci sta intorno.

L’articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2015 su Linkiesta nel blog Anam a firma di Paola Bisconti.

 

 

 

 

 

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