7 Novembre 1980 Ottaviano (NA) Ucciso Domenico Beneventano, 32enne medico e consigliere comunale del Partito comunista.

Domenico Beneventano, “Mimmo”, consigliere comunale del Partito comunista a Ottaviano, ammazzato dalla camorra di Raffaele Cutolo la mattina del 7 novembre del 1980. Mimmo non si era piegato alla volontà criminale dei clan che volevano cementificare un territorio tra i più belli dell’intera Campania. È stato vittima della violenza camorristica in una stagione di morte e di terrore che la Nuova Camorra Organizzata aveva cominciato da qualche anno contro tutti coloro che non si asservivano al volere e al potere del capo indiscusso, Raffaele Cutolo. Aveva trentadue anni Mimmo quando è stato ammazzato. […] Faceva il medico di base a Ottaviano e il chirurgo presso l’ospedale San Gennaro di Napoli. In paese lo conoscono tutti quel «medico buono» con la passione per la poesia e per la musica. La sua scelta di campo Mimmo l’ha già fatta da ragazzo: a fianco dei più deboli. La sua casa, come il suo studio medico, sono sempre aperti. Giorno e notte, chiunque lo chiami ha la sua disponibilità. Da ragazzo frequentava la parrocchia. Poi arriva anche l’impegno politico. Si iscrive al Pci e diventa consigliere comunale del Partito comunista italiano per la prima volta nel maggio del 1975. Verrà confermato anche nelle elezioni del giugno del 1980. La politica per Mimmo è il prolungamento del suo impegno civile a fianco delle persone che hanno bisogno più di altri: i poveri. Le sue battaglie in consiglio comunale le fa per la difesa del territorio. (Tratto dal libro “Al di là della notte” di Raffaele Sardo)

 

 

 

 

 

Articolo dell’Unità dell’8 Novembre 1980

 

 

 

Fonte:  archivio.unita.news 
Articolo del 9 novembre 1980
L’estremo saluto al compagno  Mimmo
La salma dopo le esequie è stata portata a Sasso di Castaldo in provincia di Potenza – La delegazione del Pci guidata dai compagni Donise e Fermariello –  Cominciano le deposizioni – Le indagini   degli inquirenti –  Ancora sconcerto ad Ottaviano per la barbara uccisione

Lo sdegno, la commozione, la rabbia si mescolano alla richiesta che sia fatta giustizia. Ottaviano ieri mattina si è svegliata – come scriviamo anche in altra parte del giornale – ancora sotto choc per l’uccisione del compagno Domenico Beneventano.

Nella sezione del PCI un quaderno a quadretti ha raccolto le firme di quanti hanno espresso il loro dolore per l’uccisione del consigliere comunale comunista, le pagine si sono riempite di firme, molte delle quali erano seguite da piccole frasi come «Da un tuo caro amico», oppure «Ti ricorderò sempre».

C’era anche molta rabbia per come era stata data notizia dell’omicidio del compagno Beneventano dai telegiornali. Un breve flash, un filmato di qualche secondo con la sbrigativa spiegazione: «È un delitto per motivi d’onore».

«Questi signori – afferma un abitante di Ottaviano – non sono venuti, non hanno parlato con nessuno, oppure sono stati dieci minuti sotto casa di “Mimmo” e sono andati via». Sono in molti a concordare con lui ed esprimere sdegno per come un fatto così grave sia stato liquidato per la strada più facile, quella meno impegnativa, quella che non avrebbe consentito di andare a fondo nella realtà socio-economica della zona, del paese.

Chi sta dirigendo le indagini ha ricevuto già alcune testimonianze di compagni, amici dello scomparso e di alcuni suoi colleghi. Le prime deposizioni (che smentiscono in modo clamoroso coloro che l’altro giorno affermavano che ci sarebbe stata una completa omertà sull’omicidio) hanno indirizzato le Indagini sulla pista del delitto della camorra.

Gli indizi forniti, quelli trovati dai carabinieri (il colonnello Calderaro ed il capitano Merenda continuano a seguire intensamente ogni sviluppo delle indagini) hanno smantellato ogni altra ipotesi.

Mentre si attendeva la salma per i funerali ieri pomeriggio, ai quali ha partecipato una delegazione del PCI guidata dai compagni Donise e Fermariello, all’esterno della chiesa al centro di Ottaviano, si intrecciano commenti a commenti. C’erano anche alcuni abitanti di Sasso di Castaldo, il paese della Lucania da dove proviene la famiglia dell’ucciso, che raccontavano l’impegno professionale e civile di «Mimmo» Beneventano, quel ragazzo che avevano visto crescere e diventare medico chirurgo.

«Tornava in paese ogni fine mese – dice uno di loro – ed aveva aperto uno studio in una stanza a casa dello zio. Non si faceva quasi mai pagare e dava consigli a tutti, non solo di ordine medico». Anche in Lucania «Mimmo» Beneventano si era schierato dalla parte dei deboli, contro le ingiustizie. In quel paese c’è qualche personaggio – ci hanno raccontato – che ha fatto milioni sfruttando la sua posizione di dipendente comunale o di amministratore. Contro queste persone il compagno ucciso aveva sempre tuonato denunciando ogni sopruso.

Ironia della sorte: accanto ai manifesti listati a lutto che annunciavano la morte del compagno Beneventano, ce n’erano altri che annunciavano il funerale di un’altra vittima della camorra. Qualcuno lo notava e rilevava come dei tanti delitti avvenuti in questi due anni nella zona di Ottaviano non era stato trovato un solo colpevole.

Ma non è colpa delle forze dell’ordine, che fanno quanto possono, ma della situazione di povertà di mezzi degli uomini a loro disposizione. Il reparto operativo del gruppo carabinieri Napoli II (che abbraccia tutta la provincia di Napoli da Giugliano a Castellammare) ha a disposizione poco meno di trenta uomini. Nella stazione dei carabinieri di Ottaviano sono tre i militari in servizio, più qualche piantone.

V.F.

 

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news 
Articolo del 18 giugno 1983
Assassinarono Beneventano e spararono a La Pietra per assaltare il Vesuvio
di Luigi Vicinanza
L’eroica resistenza dei comunisti e dei democratici  di Ottaviano, il comune di La Marca e «don  Raffaele»  – Ucciso  un socialista

NAPOLI –   Il Vesuvio uccide. Due finora le vittime accertate. E almeno altre due le persone che sono scampate alla morte fortunatamente. Il vulcano scotta. Ma non per colpa della sua attività sotterranea.

È una sporca storia di speculazione edilizia, camorra e omicidi.  Era stato Salvatore La Manca a lanciare la proposta di creare sul versante del vulcano che sovrasta il «feudo» di Cutolo un grande parco naturale. Villette, campo da golf, una superstrada e tanto, tantissimo cemento, Uno scempio, per di più compiuto col danaro pubblico.

Ad Ottaviano il progetto trova una forte opposizione nei due partiti delta sinistra, Pci e Psi. Anche perché quel lato del Vesuvio è decisamente poco sicuro. Per primo insorge il consigliere socialista Pasquale Cappuccio, avvocato penalista, difensore di alcune vittime del «boss» Cutolo.   «Se vogliono mettere le mani sulla montagna – disse – devono passare sul mio cadavere».

Lo accontentarono.  Fu ucciso la sera del 19 settembre 1978, due giorni prima dì un’apposita seduta della commissione per il piano regolatore. Le indagini non approdarono a nulla. Cutolo da poco era evaso dal manicomio giudiziario di Aversa e le cronache dei giornali segnalavano timidamente che con la sua fuga «qualcosa era cambiato in quella zona».  Era soltanto l’inizio dell’escalation criminale.

Passano – intanto – quasi due anni e del piano regolatore ad Ottaviano ancora non c’è traccia.  Il progetto del parco sul Vesuvio, invece, va avanti. Un giovane coraggioso medico, Domenico Beneventano, guida in consiglio comunale l’opposizione del Pci. Prende posizione contro i tentativi di speculazione, annuncia una resistenza intransigente.  Anche per lui una sera, quella del 7 novembre 1980, gli è fatale.  Killer non tanto misteriosi – ma mai arrestati – gli tendono un agguato mentre rientra a casa, a pochi passi dall’abitazione di Vincenzo Casillo all’epoca braccio destro di «don Rafele».

Il 2 marzo dell’anno successivo tocca al Pretore di Ottaviano, Antonio Morgigni, ultimo baluardo di uno Stato assediato. In pieno giorno due killer lo affrontano nella piazza del paese.  Intuito il pericolo il magistrato reagisce ma rimane gravemente ferito. Da allora la pretura di Ottaviano è rimasta vacante.

L’offensiva contro le forze democratiche non si arresta. Il 21 maggio 1981 viene aggredito un altro consigliere comunale comunista, il compagno Raffaele La Pietra, già segretario della sezione. La Pietra aveva raccolto l’eredità di Beneventano. Colpito in pieno volto il nostro compagno lottò per giorni contro la morte.

Nello stesso periodo le pistole della camorra spararono contro un democristiano, Alfredo Mundo, avvocato, consigliere provinciale ed ex assessore. Originario di Marigliano, un grosso paese dell’hinterland, sembra che in quel periodo stesse trattando la compravendita di un’azienda conserviera, attività   produttiva su cui da tempo la camorra ha messo le mani.

Ormai la camorra è scatenata. Per chi le resiste c’è una sentenza di morte assicurata. I killer si accaniscono contro uomini di prestigio. Cade il sindaco dc di Pagani Marcello Torre; cade l’avvocato di destra Dino Gassani, salernitano; cade Simonetta Lamberti, una bambina di appena undici anni, colpevole solo di essere figlia di un magistrato che non si piega.  Una catena di sangue impressionante culminata con l’omicidio del capo della squadra mobile di Napoli Antonio Ammaturo e nel tentativo – per fortuna fallito – contro il procuratore della repubblica di Avellino, Antonio Gagliardi.

 

 

 

Fonte: archivio.unita.news 
Articolo del 6 gennaio 1984
Cutolo ordinò l’assassinio del compagno Beneventano
di Maddalena Tulanti
Anche i killer del medico e consigliere comunale di Ottaviano sono in carcere      

Raffaele Cutolo, boss della Nuova camorra organizzata, è il mandante dell’assassinio del comunista Domenico Beneventano, medico stimato e apprezzato, consigliere comunale nel paese del camorrista, Ottaviano, ai piedi del Vesuvio. Erano suoi uomini i killer che eseguirono la “condanna”, fissata per il 7 novembre del 1980.

Questi i risultati ai quali sono giunti i giudici De Pietro e Di Persia a conclusione della prima parte delle indagini sull’efferato omicidio della banda criminale. Ora l’inchiesta è passata nelle mani del magistrato Mario De Falco Giannone, al quale ieri mattina si è rivolta la madre del militante comunista, Rosa Giannattasio, per costituirsi parte civile.

Mandante e assassini materiali sono già nelle mani della giustizia: Cutolo all’Asinara e i quattro “esecutori”, Angelo Auricchio, Raffaele e Luigi Polito, Antonio Fontana, a Poggioreale. Mentre il boss della Nco è in galera da diversi anni per delitti di ogni genere, i quattro sono entrati nel carcere partenopeo nel giugno scorso, quando scattò la maxi-retata della quale fece le spese anche il noto presentatore Enzo Tortora.

«Mimmo» Beneventano, come meglio lo conoscono i comunisti napoletani, fu ucciso proprio la mattina in cui il boss della Nco entrava in un’aula del Tribunale di Napoli per subire uno dei processi a suo carico. Era molto euforico il camorrista quel giorno. Le cronache dei giornali raccontano che si vantò di aver appena schiaffeggiato il direttore di Poggioreale, Giuseppe Salvia, che “osava” trattarlo come un detenuto normale (Salvia, come molti ricorderanno, fu trovato ammazzato sulla tangenziale qualche settimana dopo). Lo stesso giorno in cui si annunciava la morte del militante comunista, i quotidiani pubblicavano anche un’altra notizia: a Castellammare i dirigenti del PCI, Emanuele Macaluso e Ersilia Salvato, non avevano potuto parlare in un cinema perché vi era stata posta una bomba. Due giorni dopo, infine, tutta Napoli si fermò Insieme ai commercianti per una manifestazione di protesta contro racket e camorra.

Mimmo Beneventano, a 32 anni, morì sotto gli occhi della madre che lo salutava dalla finestra della loro modesta abitazione, mentre si accingeva ad entrare nella sua «Simca 1000» con la quale si recava ogni mattina all’ospedale San Gennaro di Napoli dove lavorava.

Due colpi alia gola lo uccisero sul colpo, ma tanti altri ne spararono i killer nel timore di non colpirlo. I comunisti individuarono subito la matrice del delitto: era stata la camorra, non c’era dubbio. «Mimmo» era diventato un tribuno all’interno del consiglio comunale, un vero accusatore contro connivenze e assuefazioni al clima di intimidazione che già si sentiva pesante ad Ottaviano. Le sue accuse non erano «vana propaganda», come forze politiche pure affermavano nel paese vesuviano. II sindaco di Ottaviano a quel tempo era quel Salvatore La Marca, socialdemocratico, ora ricercato attivamente dalla polizia perché sospettato di far parte di organizzazione di stampo mafioso.

Un consigliere comunale democristiano fu, inoltre, trovato, dalie forze dell’ordine, nella casa di Rosetta Cutolo nel corso di un’improvvisa operazione. Era vero, dunque, che i veri «nemici» di Cutolo e della sua banda erano i comunisti. E lo dimostra ancora un altro barbaro episodio. Circa un mese dopo l’uccisione di Beneventano, un altro comunista, Raffaele La Pietra, capogruppo del PCI al comune di Ottaviano, rimase gravemente ferito in un agguato. I colpi dovevano essere mortali, ma La Pietra si salvò e dal lettino di ospedale sottolineò la matrice mafiosa dell’agguato e invitò comunisti e cittadini democratici a non abbassare la guardia. Da allora sono passati quasi quattro anni. Le forze dell’ordine hanno messo a segno alcuni successi; ma il sangue nel Napoletano continua a scorrere, (l’ultimo assassinio risale solo a tre giorni fa. vittima Silvio Iervolino, anni 2 e mezzo), mentre a marciare contro la camorra per le strade di Ottaviano sono rimasti i giovani e qualche vescovo.

 

 

 

Articolo dell’11 novembre 2000 da  ricerca.repubblica.it
Terremoto, processo beffa
di Giovanni Marino

È come assistere ad una esercitazione di retorica giudiziaria. Aula 215, ogni giovedì va in scena la farsa del processo al terremoto. Non c’è giudice, avvocato o pm che non sappia come finirà: senza vincitori né vinti, condannati o assolti; semplicemente, la prescrizione coprirà ogni responsabilità. Sono passati 20 anni dal sisma, il 23 prossimo cadrà l’anniversario, la giustizia ha accumulato un ritardo incolmabile, non riuscirà mai a dare una risposta su chi e perché trasformò le macerie in un affare regolato da tangenti e ricatti. A vent’anni di distanza non esiste neppure uno straccio di sentenza. Arrivare ad un verdetto definitivo, sino in Cassazione, è una mera illusione. Non ci sarà giustizia su un giro di mazzette stimato dalla Procura in 32 miliardi di lire. Trentadue miliardi di bustarelle raccontano secondo la Procura come la classe dirigente di Napoli e i volti del potere della Prima Repubblica strinsero un patto scellerato per far fortuna su una catastrofe. Carriere imprenditoriali e politiche decollarono su questo accordo, opere inutili o infinitamente più costose di quanto erano, vennero su come funghi. Dice questo la pubblica accusa. E mette sul banco degli imputati diversi protagonisti della Prima Repubblica: Paolo Cirino Pomicino, Giulio Di Donato, Francesco De Lorenzo, Antonio Gava, Vincenzo Scotti, Gaspare Russo, fra i nomi più noti. Nell’inchiesta, un ruolo di primo piano nell’Operazione Ricostruzione, viene attribuito dai pm ad Antonio Fantini, allora commissario straordinario e all’ingegner Vincenzo Maria Greco. L’altroieri proprio Pomicino e Fantini dovevano essere ascoltati. Ma non si sono presentati per ragioni di salute. Come è accaduto per Aldo Boffa. Tutto rimandato. Ma in un maxiprocesso che se fosse possibile avrebbe bisogno di celebrare i tre gradi di giudizio nel giro di un anno o poco più, ogni rinvio è un avvicinarsi al nulla della prescrizione. La prescrizione è una realtà ma tutti, giudici, pm e penalisti, doverosamente, istituzionalmente, continuano a celebrare udienze, a portare avanti un maxiprocesso che si perde per strada i suoi 40 capi di imputazione. La prescrizione ha già cancellato 3 corruzioni, 2 finanziamenti illeciti al partito, una ricettazione, 3 falsi; altre 20 corruzioni saranno spazzate via fra pochi mesi; già annullati durante l’udienza preliminare 26 abusi di ufficio e 1 tentata corruzione. Entro il 2002 il maxiprocesso sarà un ricordo, la prescrizione avrà cancellato molto, quasi tutto. Lo sa bene il presidente del tribunale, Giovanni De Rosa, che vede morire molti processi anche meno noti inghiottiti dal tempo che passa. «Quando accade dice a Repubblica il presidente De Rosa si prova una grande amarezza per non aver dato una risposta giudiziaria; anche questo caso rappresenta il fallimento di un sistema processuale che richiede troppi adempimenti se è vero che le prescrizioni da eccezioni rischiano di diventare una regola». Il 23 novembre di 20 anni fa, Giovanni De Rosa era in casa: «Ricordo il panico e l’incertezza; negli occhi ho ancora l’immagine di una donna inginocchiata che recitava il Salve Regina in latino. Dopo ci fu la ricostruzione e con quella i primi sospetti, oggi diventati un processo. Sarà impossibile dire chi ha rubato e chi no in mancanza di una sentenza definitiva. Temo proprio che la giustizia degli uomini, su questo, non darà risposte». Non pagherà nessuno dei 77 imputati rimasti (già, perché dei 91 iniziali, 14 sono stati stralciati proprio per intervenuta prescrizione). Così come nessuno vedrà riconosciuta la sua innocenza. Nonostante la qualità dell’impegno di giudici, pm e avvocati. Tutti impegnati in una serissima farsa. Meglio: in un processo virtuale.

 

– B O X –
LA SCHEDA: Le tappe dell’inchiesta
All’inizio fu la relazione Scalfaro
TERREMOTO, l’inchiesta giudiziaria dei grandi numeri soffocata dalla prescrizione, ecco cifre e dati di un processo che muore: 137 le richieste di rinvio a giudizio che la Procura aveva avanzato al gip nel ’97; 91 quelle accolte dal giudice per le indagini preliminari; 77 gli imputati attuali perché, nel corso del processo, ci sono stati diversi stralci legati alle attenuanti generiche che hanno fatto scattare le prescrizioni; 32 miliardi il giro di tangenti che, secondo la Procura, hanno alimentato l’Operazione Ricostruzione; 40 i capi di imputazione; 26 le opere finite sotto indagine per un valore di 3 mila 500 miliardi; 21 politici, 14 ex parlamentari, 106 imprenditori, 5 tecnici e alcuni burocrati sono stati indagati durante l’indagine preliminare della Procura; 219 pagine compongono la richiesta di rinvio a giudizio della Procura; 120 mila fogli per 124 faldoni raccontano l’inchiesta sul dopo terremoto; 1992: l’anno di inizio dell’inchiesta della Procura, lo spunto è la relazione Scalfaro sul postterremoto; 1997: il giudice per le indagini preliminari manda 91 imputati a giudizio per 32 episodi di corruzione, 3 falsi, 3 ricettazioni, 2 finanziamenti illeciti ai partiti e fissa la prima udienza del processo per il 9 dicembre ’97 davanti all’undicesima sezione penale del tribunale di Napoli presieduta da Enzo Albano; 3 pubblici ministeri hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio; sono i sostituti procuratori Nunzio Fragliasso, Antonio D’Amato e Alfonso D’Avino. Quest’ultimo, adesso, sostiene la pubblica accusa nel corso del dibattimento. (g.m.)

 

– B O X –
NOVEMBRE 1980
Prima vittima
SI preannunciava una stagione di sangue, prima del terremoto dell’Ottanta. Venti anni fa, il 7 di novembre, veniva ucciso dalla camorra il consigliere comunale del Pci a Ottaviano, Mimmo Beneventano. Pagava per il suo impegno politico per la legalità. Un delitto eccellente ingiustamente dimenticato per cui nessuno ha poi scontato una condanna. Mandanti ed esecutori sono rimasti avvolti fra i segreti di una camorra che non esiste più, la Nco di Raffaele Cutolo. Il terremoto che seguì, porto con sé una nuova strategia camorristica. Nacque la camorra imprenditrice, abile a tessere rapporti con la politica, a strutturarsi come una azienda. Esplose la guerra fra Nuova Famiglia e Nco. Avrebbe vinto la prima fazione, forte di questa nuova strategia, di inediti e misteriosi rapporti con colletti bianchi.

 

 

 

 

Articolo del 7 Novembre 2011  raffaelesardo.blogspot.it
MIMMO BENEVENTANO, IL MEDICO, POETA E COMUNISTA, CHE PIACEVA ALLA GENTE

Mimmo Beneventano, un dolcissimo ragazzone di 32 anni, venne ammazzato a Ottaviano 31 anni fa, mentre usciva di casa per andare al lavoro. Era uno di quei ragazzi che aveva scelto l’impegno politico come prolungamento dell’impegno civile per cambiare i luoghi in cui viveva. Venne ucciso perché contrastava il radicamento della camorra legata a raffaele Cutolo che proprio a Ottaviano aveva la sua base più forte.

Qui di seguito il ricordo di Mimmo Beneventano tratto dal mio libro Al di là della notte“. Ed. Tullio Pironti

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Io lotto e mi ribello…
nessuno lasci il suo posto,
per ascoltare il mio canto del cigno
a nessuno voglio sottrarre tempo.
Fate solo un cenno con gli occhi.
Mi sentirò più forte e non soltanto illuso.

Sono i versi di una poesia di Domenico Beneventano, “Mimmo”, consigliere comunale del Partito comunista a Ottaviano, ammazzato dalla camorra di Raffaele Cutolo la mattina del 7 novembre del 1980. Mimmo non si era piegato alla volontà criminale dei clan che volevano cementificare un territoriotra i più belli dell’intera Campania. È stato vittima della violenza camorristica in una stagione di morte e di terrore che la Nuova Camorra Organizzata aveva cominciato da qualche anno contro tutti coloro che non si asservivano al volere e al potere del capo indiscusso, Raffaele Cutolo. Aveva trentadue anni Mimmo quando è stato ammazzato. Era nato a Petina, in provincia di Salerno. La famiglia era originaria della Lucania. Anche Mimmo non aveva voluto spezzare le sue radici. Era molto legato alla Lucania e in particolare a Sasso di Castalda, dove era impegnato politicamente e socialmente. Arrivò a Ottaviano nel 1964 per seguire il padre impiegato del corpo forestale.
Si era laureato in Medicina con la specializzazione in Medicina e Chirurgia. Faceva il medico di base a Ottaviano e il chirurgo presso l’ospedale San Gennaro di Napoli. In paese lo conoscono tutti quel «medico buono» con la passione per la poesia e per la musica. La sua scelta di campo Mimmo l’ha già fatta da ragazzo: a fianco dei più deboli. La sua casa, come il suo studio medico, sono sempre aperti. Giorno e notte, chiunque lo chiami ha la sua disponibilità. Da ragazzo frequentava la parrocchia. Poi arriva anche l’impegno politico. Si iscrive al Pci e diventa consigliere comunale del Partito comunista italiano per la prima volta nel maggio del 1975. Verrà confermato anche nelle elezioni del giugno del 1980. La politica per Mimmo è il prolungamento del suo impegno civile a fianco delle persone che hanno bisogno più di altri: i poveri. Le sue battaglie in consiglio comunale le fa per la difesa del territorio.

Denuncerà soprattutto gli affari che il partito del cemento tenterà di portare a termine nell’area protetta del costituendo Parco del Vesuvio. Un rapporto tra politica e camorra che diventerà ancora più forte dopo il terremoto del 23 novembre 1980 che colpirà i paesi della Campania e della Basilicata.
(…) Mimmo viaggiava in una Simca 1000, un’auto molto popolare negli anni ’80. Ed è a fianco di quell’auto che lasceranno il suo corpo senza vita i sicari della camorra. Lo ammazzeranno alle prime luci dell’alba la mattina del 7 novembre 1980, proprio mentre si stava avviando al lavoro. I killer lo attendono sotto la sua abitazione alla periferia di Ottaviano. Mimmo non è sposato, vive con i genitori. Mimmo è un abitudinario. Esce sempre alla stessa ora per andare all’ospedale San Gennaro di Napoli. Non è difficile tendergli un agguato. La pianificazione della morte di Domenico Beneventano era avvenuta molto tempo prima. L’auto dei killer, una 128 di colore blu elettrico, era stata rubata ad Angri il 23 ottobre dell’80. La troveranno incendiata subito dopo il delitto.

La mamma, Dora, come sempre, anche quella mattina lo segue con lo sguardo dalla finestra della sua abitazione mentre si avvia al lavoro. Agita la mano per salutarlo prima di vederlo salire in auto. Non sa ancora che sarà l’ultima volta che assisterà a quella scena. Pochi altri passi e il consigliere comunale comunista si avvicina alla sua Simca 1000. È ora che entrano in azione i killer. Cominciano a sparare immediatamente. Non riesce a scappare, a ripararsi da qualche parte. Non ha scampo. Si accascia a terra. La mamma è testimone di tutta la scena. Incredula, urla, chiama il figlio per nome. Chiama il marito che è ancora a letto. Strilla: «Mimmo! Mimmo! Aiuto! Aiuto! Che gli state facendo? Me lo state ammazzando!». Ma a quell’ora e alla periferia della città la voce di Dora si perde nell’aria. Il suo grido di dolore lo ascoltano in pochi. Quasi nessuno si affaccia. La disperazione prende il sopravvento. Dora scende in strada ancora in pigiama. Con lei il marito, Donato Beneventano. Mimmo è in una pozza di sangue. Il «medico dei poveri» è morto. La camorra ha eliminato un altro che non aveva capito chi veramente comanda in questo territorio. Non andrà più in ospedale. Non andrà più a visitare i suoi pazienti. Nessuno lo cercherà anche di notte a casa perché ha urgente bisogno di un medico.

Nessuno ha mai pagato per la morte di Mimmo Beneventano. Giovanni Marino, cronista di «la Repubblica», lo ricorda in un articolo dell’11 novembre 2000: «Si preannunciava una stagione di sangue, prima del terremoto dell’Ottanta. Venti anni fa, il 7 di novembre, veniva ucciso dalla camorra il consigliere comunale del Pci a Ottaviano, Mimmo Beneventano. Pagava per il suo impegno politico per la legalità. Un delitto eccellente ingiustamente dimenticato per cui nessuno ha poi scontato una condanna. Mandanti ed esecutori sono rimasti avvolti fra i segreti di una camorra che non esiste più, la Nco di Raffaele Cutolo.
Il terremoto che seguì, portò con sé una nuova strategia camorristica. Nacque la camorra imprenditrice, abile a tessere rapporti con la politica, a strutturarsi come una azienda. Esplose la guerra fra Nuova Famiglia e Nco. Avrebbe vinto la prima fazione, forte di questa nuova strategia, di inediti e misteriosi rapporti con colletti bianchi».
Io lotto e mi ribello…nessuno lasci il suo posto…scriveva Mimmo in una sua poesia.
Molti non l’hanno lasciato quel posto. La sua morte darà vita ad un forte movimento anticamorra soprattutto tra gli studenti. Da quel movimento nascerà una nuova consapevolezza e una nuova stagione politica. La lotta contro la camorra sarà uno degli elementi discriminanti della politica degli anni ’80 e ’90. Il corpo di Mimmo Beneventano è sepolto a Sasso di Castalda, in provincia di Potenza. Ora lo ricordano anche lì ogni anno, come a Ottaviano, dove è nata anche un Fondazione che porta il suo nome.

 

 

 

Fonte: isiciliani.it
Articolo del 7 novembre 2013
7 novembre 1980, Domenico Beneventano, il medico che combatteva le speculazioni della camorra

Si chiamava Domenico Beneventano, Mimmo per tutti coloro che lo conoscevano, e aveva una passione, la politica. Una passione che lo aveva condotto, nel corso dei suoi 32 anni, a scagliarsi con sempre maggior vigore contro la criminalità, che in quegli anni vedeva in Raffaele Cutolo e nella sua Nuova camorra organizzata la punta di diamante del mondo del malaffare. Per meglio portare avanti la sua battaglia, Domenico si era fatto eleggere consigliere comunale per il Pci a Ottaviano, il comune in cui viveva.

Intanto si era laureato in medicina e alternava la sua vita professionale tra l’ambulatorio presso cui esercitava come medico di base e il reparto di chirurgia dell’ospedale San Gennaro di Napoli. E ogni volta che gli avanzava un po’ di tempo si dedicava alle altre sue due passioni, la poesia e la musica. Ma la denuncia politica rimaneva in testa ai suoi impegni extralavorativi. Come quando, da consigliere, non si fece timori nel puntare il dito contro le speculazioni che avrebbero riguardato il parco del Vesuvio.

Speculazioni che, ovviamente, chiamavano in causa la camorra e che vennero ostacolate da Mimmo. Il quale fu atteso nelle prime ore del mattino del 7 novembre 1980 a pochi passi dalla sua auto, una Simca 1000. Nel momento in cui uscì dall’abitazione che condivideva con i genitori, diventò nel giro di una manciata di secondi bersaglio dei colpi d’arma da fuoco dei killer e la madre, che lo guardava come ogni giorno dalla finestra, assistette alla scena senza poter far nulla per salvare il figlio.

Quando si diffuse la notizia del suo omicidio, furono in tanti a dimostrare il proprio cordoglio per la morte del medico dei poveri, come Mimmo Beneventano veniva chiamato. Ma sembrò che nessuno potesse più fermarle, quelle speculazioni, che crebbero a dismisura dopo un evento di poco successivo, il terremoto dell’Irpinia, quello che il 23 novembre 1980, meno di tre settimane dopo il delitto, avrebbe dato il via a nuove voracità e a una trasformazione che avrebbe condotto i boss a farsi sempre più imprenditori del mattone.

 

 

 

Foto da: mafie.blogautore.repubblica.it per gentile concessione di Rosalba Beneventano

Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 24 marzo 2020
L’urlo di Mimmo Beneventano
di Rosalba Beneventano

L’urlo di Mimmo Beneventano

Io lotto e mi ribello.
Mi sono votato ad un suicidio sociale.
Non nella droga, come molti,
troverò il rimedio per un
mondo più giusto. Non parlo
per me, son così poca cosa.
Grido per coloro che non
han più voce perché l’han
persa urlando e piangendo
o per quelli che han dimenticato di averla.
Urlo e mi strazio perché
nemmeno l’eco io sento.
Chiedo forse l’impossibile e
la grandezza di questo ideale
spegne a poco a poco
tutto il mio vigore.
Nessuno lasci il suo posto
per ascoltare il mio canto del cigno:
a nessuno voglio sottrarre tempo.
Fate solo un cenno con gli occhi:
mi sentirò più forte
e non soltanto illuso.

Questa una delle poesie di Domenico “Mimmo” Beneventano, che nasce l’11 luglio del 1948 a Petina, un paese sui monti Alburni in provincia di Salerno. La famiglia di Mimmo, originaria di Sasso di Castalda (Potenza), in Lucania, si trasferisce per due volte sempre nelle prossimità di Salerno per necessità lavorative del padre, ufficiale della forestale, per infine stabilirsi definitivamente ad Ottaviano, in provincia di Napoli.

Mimmo è un ragazzo pieno di entusiasmo, dal carattere forte, fin da piccolo sensibile al dolore degli altri. Da giovanissimo frequenta l’azione cattolica, diventandone una volta ragazzo delegato nazionale; successivamente si discosta in parte da quella visione del cristianesimo, che secondo lui doveva uscire dai muri delle chiese e connettersi con le persone al di fuori: il richiamo della piazze lo fa quindi avvicinare al marxismo e di lì a breve lo porta ad iscriversi al Partito Comunista Italiano. È questa una parte della sua vita in cui coinvolge moltissimo Rosalba, sua sorella minore, portandola alle riunioni di partito, alle feste dell’Unità, parlandole di Berlinguer e regalandole libri su Lenin. Oltre che nelle associazioni cattoliche e nel partito comunista, Mimmo è impegnato anche nel volontariato, all’interno del quale si reca a portare soccorso alla popolazione del Belice post-terremoto.

Aiutare il prossimo è come una seconda o forse una prima, più vera natura per lui, una tendenza che lo porta a laurearsi in medicina e a svolgere la professione di medico di base ad Ottaviano e di chirurgo presso l’ospedale San Gennaro di Napoli. Innumerevoli sono le testimonianze di chi l’ha conosciuto nei corridoi di quell’ospedale, intento a sgridare i tirocinanti o i colleghi nel momento in cui mostravano superficialità o poca umanità verso i più isolati, i più dimenticati dalla società; persone per cui lui spesso suonava la chitarra e cantava, tentando di rendere la loro vita e il loro dolore un po’ più sopportabili, almeno per qualche momento. Rimane sempre legato al suo paese d’origine, Sasso di Castalda, dove torna ogni volta che gli impegni glielo permettono, anche per curare gratuitamente i suoi ex compaesani, mancando lì un ospedale.

Mimmo, nonostante sia molto giovane, è già un personaggio noto ad Ottaviano, grazie alla sua personalità, entusiasmo ed interesse verso il prossimo è diventato un vero e proprio punto di riferimento; per rispondere alle richieste di aiuto della comunità matura la decisione di candidarsi a consigliere comunale con il PCI, elezioni che vince nel maggio del 1975. Una volta eletto, Mimmo concentra molta della sua attenzione sulle speculazioni edilizie e gli appalti che avrebbero interessato l’area adiacente al Vesuvio, denunciandoli e ponendosi quindi in diretto contrasto con i progetti di cementificazione, di enorme interesse per la camorra. Mimmo arriva dunque a rappresentare un vero e proprio contro-potere, manifestando posizioni forti in difesa dell’ambiente, della giustizia e della legalità, divenendo quindi una risposta contro quella camorra che con prepotenza ed arroganza stava schiacciando le persone di Ottaviano, un dolore che lui aveva già conosciuto nella sua Lucania.

Ad Ottaviano sono anni duri: la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo imperversa, la violenza è di tutti i giorni. Il 13 settembre del 1978 viene ucciso Pasquale Cappuccio, consigliere comunale di Ottaviano eletto con il partito socialista, che aveva denunciato la collusione tra la politica locale e le mafie. Nel clima di terrore e di violenza, Mimmo sente che non può tirarsi indietro: la fiducia che la comunità di Ottaviano ripone in lui non può essere tradita. Decide quindi di candidarsi una seconda volta, nel 1980, una decisione che oggi viene vista da Rosalba come la sua condanna, anche se sa che suo fratello non avrebbe potuto fare diversamente: la sua coerenza gli avrebbe impedito di rinunciare, soprattutto perché era diventato un faro di speranza per le persone che in lui credevano e che non avrebbe mai potuto abbandonare. Rosalba ricorda con chiarezza il discorso di Mimmo in uno degli ultimi comizi al termine di quella seconda campagna elettorale in cui con parole molto dure suo fratello si schierò contro la collusione tra la politica locale e le mafie, facendo il nome di Raffaele Cutolo.

La mattina del 7 novembre del 1980, mentre sta salendo in macchina per andare a lavoro, Mimmo viene sorpreso da dei sicari: viene ucciso lì, a 32 anni.
Rosalba ricorda Ottaviano e il silenzio dopo il suo omicidio, di una comunità atterrita e terrorizzata; molti fuggirono, altri erano già fuggiti.
Negli anni seguenti, anche appendere un manifesto per ricordare l’anniversario della morte di Mimmo diventa quasi impossibile. La stampa del tempo non fa un gran clamore e il processo per omicidio vedrà alla sbarra Raffaele Cutolo e altri sei imputati, condannati con l’ergastolo in primo grado ed assolti in appello per insufficienza di prove.

Da quella mattina di novembre sono passati 40 anni, e alcune cose sono cambiate: la chiesa ad Ottaviano ha cominciato a scendere in piazza, si è formata un’associazione di familiari delle vittime di mafia, la magistratura si è fatta più forte. Grazie al lascito dello Stato ottenuto con il riconoscimento di Mimmo come vittima di mafia è stato possibile creare nel 2009 la fondazione Mimmo Beneventano, che organizza eventi di sensibilizzazione nelle scuole e organizza ogni 7 novembre insieme a Libera eventi di commemorazione sia nelle scuole di Ottaviano che di Sasso di Castalda, dove Mimmo è sepolto. Ogni anno la fondazione consegna borse di studio a ragazzi che hanno scritto poesie o elaborati su di lui e vengono inoltre consegnati dei riconoscimenti a giornalisti, politici e magistrati che si sono particolarmente distinti per attività di denuncia e lotta contro le mafie, seguendo l’esempio di impegno politico e sociale di quell’uomo generoso che scriveva poesie e urlava per la sua gente e la sua terra.

di Rosalba Beneventano; a cura di Elisa Boni
(foto per gentile concessione di Rosalba Beneventano)

 

 

Leggere anche:

vivi.libera.it
Nota del 5 novembre 2020
C’è ancora tanta strada da fare insieme a te, Mimmo
di Antonio D’Amore

 

Articolo del 7 novembre 2020
identitainsorgenti.com
Mimmo Beneventano, “persona impegnata, imbattibile contro la violenza camorristica”
di Rocco Pezzullo

 

 

napoli.repubblica.it
articolo del 23 febbraio 2021
Il coraggio di Mimmo Beneventano
di Isaia Sales

 

 

 

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