7 settembre 1992 Colonie Padane (CR). Colpito a morte Antonio Muto, 39 anni, stava giocando a carte in un bar con il vero obiettivo dell’agguato.

Antonio Muto, 39 anni, originario di Cutro in provincia di Catanzaro, morì il 7 settembre del 1992 per le gravi ferite riportate in un agguato avvenuto il giorno prima a Cremona. Due killer agirono all’interno del bar Baracchino per uccidere Ruggiero Dramore, anch’egli calabrese. L’agguato era legato a vicende di ‘ndrangheta. Muto fu colpito per errore.

Fonte:  vivi.libera.it

 

 

Fonte:  ilcrotonese.it
Articolo del 5 marzo 2004
Omicidi di Cremona, il pm chiede 6 ergastoli
di Damiano Lacaria

Due persone ammazzate, altre due ferite, tutte di Cutro. Undici anni fa, il 6 settembre del 1992, alle quattro del pomeriggio si trovavano all’interno di un bar di Cremona, località Colonie Padane, quando si scatenò l’inferno di fuoco. In realtà l’unico obbiettivo era il 29enne Dramore Ruggiero, freddato all’istante; Antonio Muto, 39 anni, invece fu ucciso per errore; feriti di striscio i fratelli Rosario e Michele Diletto. Tipico agguato mafioso, secondo la ricostruzione degli inquirenti che al termine delle indagini hanno portato alla sbarra sei persone, mentre altre sono state processate a parte e condannate. Per quegli imputati ora la pubblica accusa chiede una montagna di anni di carcere: sei ergastoli.
Davanti ai giudici della Corte d’assise di Cremona mercoledì scorso il pubblico ministero Paolo Savio ha parlato dalle 9,45 del mattino alle 4 del pomeriggio: “mi ero imposto una requisitoria serena, ma ferma. E ora chiedo a voi una sentenza serena, ma ferma”.

Quella sentenza, secondo Savio, prevede la condanna all’ergastolo per Nicolino Grande Aracri, 45 anni, presunto boss dell’omonima cosca di Cutro, ritenuto il mandante dell’agguato; per Francesco Lamanna, cutrese di 42 anni, indicato come il luogotenente a Cremona di Grande Aracri; per Francesco Salerno, 45 anni, di Limbiate; per Vincenzo Scandale, 43 anni, detto Enzo maglione, che avrebbe fornito le armi e l’auto; per Giuseppe De Stefano, 35 anni, che avrebbe messo a disposizione gli uomini; per Aldo Carvelli, 39 anni, di Petilia Policastro, detto ‘sparalesto’.

Carvelli è indicato come il killer che undici anni fa da Milano sarebbe giunto alle Colonie Padane con il meneghino Stefano Ghislandi, il pentito che si è auto accusato dell’omicidio ed è già stato condannato dal Gup di Brescia a 12 anni di reclusione con il rito abbreviato, così come l’altro pentito, il crotonese Vittorio Foschini. Nella ricostruzione dell’agguato, Ghislandi esplose sei colpi contro Dramore Ruggiero e ferì di striscio i fratelli Diletto, convinto, erroneamente, che volessero fare fuoco. Poi qualcuno lo colpì alla schiena con una sedia di plastica e cadde a terra. Quel qualcuno era Antonio Muto, che gridò: “Assassini, che cosa fate”. Fu, quello, un imprevisto nel delitto. E nella confusione generale, Carvelli, che aveva il compito di dare copertura a Ghislandi, sparò un colpo e ferì a morte Muto.

Il pm Savio ha poi chiesto 11 anni di reclusione per il pentito Riccardo Pellegrino, di 36 anni, e l’assoluzione per Franco Coco Trovato, 56enne di Marcedusa, ritenuto a capo di una potente organizzazione criminale che in quegli anni operava nel milanese. E’ l’uomo al quale Nicolino Grande Aracri si sarebbe rivolto per ottenere il permesso, ma anche il supporto, per portare a termine l’agguato. A confermarlo è stato il pentito crotonese Vittorio Foschini, che lo ha ribadito anche nel maggio scorso deponendo al processo Scacco matto davanti al Tribunale di Crotone. In quella occasione Foschini ha dichiarato che la sua organizzazione, che a Milano faceva capo a Franco Coco Trovato e a Giuseppe De Stefano, avrebbe ucciso alcune persone per conto di Grande Aracri. “Ci chiesero di fare due omicidi – ha affermato Foschini – e io dissi che dovevo chiedere il permesso al mio capo, Franco Coco Trovato, ma poi l’ho chiesto a Giuseppe De Stefano”. Foschini ha spiegato che in quel periodo a Cutro era stato ucciso un uomo, ritenuto affiliato al clan Grande Aracri; la donna della vittima era riuscita a strappare una collana dal collo del killer e l’aveva consegnata a Nicolino il quale avrebbe decretato la condanna a morte per l’autore del delitto, individuato nella persona di Dramore Ruggiero.
(d.p.)

 

 

Fonte: cremonaoggi.it
Articolo del 19 ottobre 2017
Mafia negli anni ’90: arrestati a R.Emilia tre implicati nel delitto delle Colonie Padane

La guerra di ‘ndrangheta che insaguinò anche Cremona agli inizi degli anni Novanta torna alle cronache con l’arresto da parte degli agenti della Squadra Mobile di Reggio Emilia di tre soggetti indagati per un duplice omicidio consumato nel reggiano nel 1992 in cui rimasero vittime il 33enne Nicola Vasapollo ed il 35enne Giuseppe Ruggiero. L’indagine della procura di Bologna (operazione Aemilia 1992) – Direzione Distrettuale antimafia, si è basata su una dettagliata analisi di decine di fascicoli relativi anche ad altri fatti di sangue, inquadrabili, sempre, nella guerra di mafia combattuta nei primi anni ’90 in Calabria e nel Nord Italia in particolare nelle province di Reggio Emilia, Cremona e Mantova. Ed è da questi documenti che è spuntato anche il duplice omicidio di Cremona, avvenuto il 6 settembre 1992 presso il bar delle Colonie Padane dove vennero freddati il 29enne Dramore Ruggiero e, a quanto pare per errore, Antonio Muto, 39 anni. Un delitto che scosse la tranquilla Cremona, catapultandola nel mezzo di un universo mafioso da cui fino ad allora ci si credeva immuni. L’attività investigativa ha permesso di riscostruire la vicenda che vide contrapposte la cosca Grande Aracri – Dragone – Ciampà ed il sodalizio Vasapollo-Ruggiero in lotta per conseguire l’egemonia delle attività illecite nelle province di Crotone e del nord Italia.

L’esame dei tabulati telefonici generati, nel 1992, dalle utenze telefoniche degli indagati, la identificazione di compagne ed amanti dell’epoca, la ricerca di autovettura in uso nel 1992 agli indagati, di controlli del territorio o di contravvenzioni al codice della strada elevati in quell’anno, lo studio delle cartine topografiche degli anni 1990 e quelle attuali hanno restituito un quadro indiziario ritenuto solido e robusto dal G.I.P. di Bologna. E’ stato ricostruito, per esempio, il percorso effettuato dal commando responsabile dell’omicidio Ruggiero che aveva percorso un ponte, esistente nel 1992 e poi sostituito da un altro ponte sopraelevato.

Il G.I.P. di Bologna ha riconosciuto sussistente l’aggravante mafiosa per entrambi gli omicidi avvenuti nel reggiano che, quindi, possono essere inseriti in quadro di guerra ‘ndraghetistica combattutasi anche nelle province di Reggio Emilia, Cremona e Mantova in quegli anni.

 

 

 

Fonte: laprovinciacr.it
Articolo del 23 settembre 2018
Il delitto delle Colonie Padane come un ‘cold case’
di Mauro Cabrini
Dal processo Aemilia spuntano le carte di un’inchiesta di quegli anni: l’organizzazione si stava radicando al Nord

CREMONA – È il 6 settembre 1992, una domenica pomeriggio: a uno dei tavolini del circolo ‘Pescatori e barcaioli’, Dramore Ruggiero, muratore cutrese di 29 anni residente a Castelleone, viene ammazzato con sei colpi di pistola mentre gioca a carte. E con lui, «per sbaglio» dirà l’inchiesta, viene ucciso anche Antonio Muto, 39 anni, casa in città. Per la giustizia, quello è stato un un omicidio ordinato dalla ‘ndrangheta. Il delitto delle Colonie Padane.
Un’esecuzione firmata, per la Cassazione che li ha definitivamente condannati all’ergastolo nel 2006, da Vincenzo Scandale e Aldo Carvelli, conosciuto nell’ambiente come ‘Sparalesto’, calabresi trapiantati a Milano. Spararono con una calibro 9 e una calibro 38. E lo fecero, secondo la teoria investigativa, perché la mafia voleva vendicarsi dell’assassinio, in Calabria, di Paolino Lagrotteria, collegato al clan malavitoso dei Dragone. Non perdonava, la ‘ndrangheta, allora. Sparava.
E l’immagine di quella ‘ndrangheta di 26 anni fa, tanto differente da quella odierna, viene scattata adesso dall’affiorare di un inchiesta del 1996. Spuntano carte forse sottovalutate, nelle pieghe del processo ‘Aemilia’ in corso a Reggio Emilia. Raccontano di clan in espansione e confermano non solo che quelle raffiche di revolver furono la prima avvisaglia della presenza della criminalità organizzata calabrese a Cremona ma anche l’atto dimostrativo di un sodalizio che stava scegliendo il Cremonese e la Lombardia, insieme all’Emilia, come terra di conquista.
Non tutti se ne accorsero, però. Si scopre ora, infatti, come il 19 agosto del 1997 fu rigettata dall’allora giudice per le indagini preliminari la richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna per 22 persone. Indagate perché ritenute ‘membri di una organizzazione di tipo mafioso riconducibile alla riconosciuta cosca Dragone’. Per la prima volta al Nord, si ritiene che esista una associazione. E quelli che compie, secondo la Dda, non sono reati singoli ma associativi: truffe, ricettazioni, usura, estorsioni, sfruttamento della prostituzione gestendo locali notturni, emissione di fatture per operazioni inesistenti realizzate con la complicità strutturale di controllo organizzativo attraverso studi professionali.