9 Gennaio 1991 Taranto. Uccisa Valentina Guarino, bambina di 6 mesi, insieme al padre, vittima predestinata.

Pur di uccidere un pregiudicato di 37 anni, vittima predestinata, non hanno esitato ad ammazzare anche la sua bambina di sei mesi che gli era accanto. È anche in questo, in una ferocia che non si ferma davanti a nulla, neppure a una piccola innocente, la cruenta battaglia che i clan rivali della malavita si combattono a Taranto da ormai due anni e mezzo. Questa volta a morire è stata Valentina Guarino. Era tra le braccia della madre, seduta accanto al posto di guida di una Lancia Prisma. Al volante Cosimo Guarino. Il bersaglio dei sicari era lui: non un pregiudicato qualunque, ma il cognato di Gianfranco Modeo, un boss attualmente in carcere (dovrà scontare ventidue anni per omicidio) insieme con i fratelli Riccardo e Claudio, anch’essi reclusi, protagonista di una faida che soltanto l’anno scorso ha fatto trentuno morti. Il duplice omicidio è avvenuto poco dopo le 20, al quartiere Tamburi, una delle zone di Taranto maggiormente calde e spesso teatro di episodi di sangue. Guarino è stato affiancato dall’auto dei killer. Una sequela di colpi di pistola l’ha centrato in pieno, non risparmiando anche la piccola Valentina. Illesa la donna. Nessuno sembra aver visto nulla, niente testimoni come sempre. Un copione che si ripete spesso in simili frangenti. (da La Stampa del 10 Gennaio 1991)

 

 

 

Articolo di La Stampa del 10 Gennaio 1991
Taranto, i killer uccidono padre e figlia di 6 mesi
di Tonio Attino
Serata di sangue a Taranto, l’agguato ordinato da un clan per vendetta Uccisa dai killer a sei mesi Morto anche il padre che guidava l’auto

TARANTO.  Pur di uccidere un pregiudicato di 37 anni, vittima predestinata, non hanno esitato ad ammazzare anche la sua bambina di sei mesi che gli era accanto. E’ anche in questo, in una ferocia che non si ferma davanti a nulla, neppure a una piccola innocente, la cruenta battaglia che i clan rivali della malavita si combattono a Taranto da ormai due anni e mezzo. Questa volta a morire è stata Valentina. Era tra le braccia della madre, seduta accanto al posto di guida di una Lancia Prisma. Al volante Cosimo Guarino. Il bersaglio dei sicari era lui: non un pregiudicato qualunque, ma il cognato di Gianfranco Modeo, un boss attualmente in carcere (dovrà scontare ventidue anni per omicidio) insieme con i fratelli Riccardo e Claudio, anch’essi reclusi, protagonista di una faida che soltanto l’anno scorso ha fatto trentuno morti. Il duplice omicidio è avvenuto poco dopo le 20, al quartiere Tamburi, una delle zone di Taranto maggiormente calde e spesso teatro di episodi di sangue. Guarino è stato affiancato dall’auto dei killer. Una sequela di colpi di pistola l’ha centrato in pieno, non risparmiando anche la piccola Valentina. Illesa la donna. Nessuno sembra aver visto nulla, niente testimoni come sempre. Un copione che si ripete spesso in simili frangenti.

Nei primi nove giorni del 1991 gli omicidi commessi sono stati quattro. Una media impressionante. Il primo delitto dell’anno il 2 gennaio, quando sotto il fuoco dei killer è caduto, a Sava, un comune della provincia, Paolo Cantarone, 33 anni. Era in un bar intento a giocare a flipper. Nessuna pietà, una serie di colpi l’ha ammazzato. Anche lui pregiudicato e legato ai fratelli Modeo, Catarone gravitava – secopndo gli inquirenti – nel giro del traffico di stupefacenti.

Ma è soprattutto il legame con i Modeo l’elemento che spiegherebbe tutto. E a questo stesso particolare è da ricondurre anche l’uccisione avvenuta martedì a San Marzano, di Geremia Felice, 29 anni, precedenti penali per estorsione. Viaggiava a bordo della sua Fiat Panda, da solo: tre colpi l’hanno centrato, uno gli ha spaccato il cuore. Avesse percorso altri duecento metri sarebbe riuscito a rifugiarsi nella sua abitazione. Ma il killer, a piedi, l’ha atteso sbarrandogli la strada. Felice era autista di un altro pregiudicato, Angelo Soloperto, attualmente sorvegliato speciale, cognato di Cantarone. I fatti dimostrano, insomma, che c’è un filo comune a unire questi delitti, un filo che parte dal settembre del 1988, quando a Taranto venne assassinato Francesco Basile, “Don Ciccio”, boss stimato, con una dote riconosciuta da tutti: riuscire a tenere uniti i clan e a dominarli con il suo carisma. Dalla morte di Basile, l’inizio della guerra tra clan, due in particolare: quello che fa capo ai fratelli Modeo, l’altro al fratellastro Antonio, più noto come “messicano”, nomignolo che gli appiopparono gli amici per una sua apparizione in un film western. Il “Messicano” è stato ucciso il 6 agosto scorso a Bisceglie. Sebbene latitante, girava liberamente con la sua famiglia, in bicicletta. Si sentiva sicuro, protetto: poi l’agguato, mentre tornava dal mare. Una punizione probabilmente decisa al di fuori dei confini di Taranto, forse in Calabria, dove il «Messicano» aveva solidi rapporti e robuste alleanze incrinatesi proprio poco prima dell’omicidio.

Ieri l’ennesimo delitto, il più ignobile di tutti. Un episodio simile accadde il 10 ottobre dell’anno scorso a SAn Giorgio Jonico, dove venne ucciso Cosimo Palombella. Appena uscito dall’auto, fu raggiunto da colpi di pistola. La figlioletta, che era tra le sue braccia, venne ferita a una mano; la moglie si salvò per miracolo. Sono le regole di questa guerra che non ha più regole. Combattuta per imporre il predominio sulle attività criminose, sul controllo del traffico di droga e anche sul racket delle estorsioni, attività portante del business della mala che negli ultimi mesi ha subito una battuta d’arresto: 11 persone sono in carcere, smascherate anche dalle denunce di commercianti. In quell’occasione il muro di omertà è caduto.. Ma è ancora troppo poco per salvare una città che scivola ogni giorno di più verso mafia e sopraffazione.

 

 

Fonte: archivio.unita.news
Articolo del 11 gennaio 1991
Ammazzata dalla piovra che strangola Taranto
di Fabrizio Roncone

La bimba di 6 mesi e il padre massacrati dai killer mafiosi. Lo scenario di una  guerra  per  bande senza quartiere.
Scontro feroce per decidere il nuovo capocosca della zona. Sulla città terrorizzata si stringe la morsa dell’omertà.

Nessuna traccia dei killer che mercoledì sera, a Taranto, hanno ucciso la bambina di sei mesi, Valentina Guarino, e suo padre Cosimo, di 38 anni. Per gli investigatori neppure un indizio.  La guerra tra le cosche mafiose terrorizza la gente. La polizia è stata avvertita della strage con oltre venti minuti di ritardo. Accertato soltanto che l’uomo apparteneva al clan dei fratelli Modeo, da tempo impegnati in una lotta fratricida.

TARANTO.  Uccisi mentre i passanti cercano riparo nei portoni, e si spengono le luci dietro le persiane delle finestre.  I killer sparano a Cosimo Guarino, uomo di cosca nemica e poi fanno saltare la testa a sua figlia Valentina, di sei mesi.  Ma nessuno vede, nessuno sente.  La polizia racconta di essere stata avvertita, mercoledì sera, solo verso le 19,30: almeno venti minuti dopo la strage. I killer sono scappati indisturbati dalla loro mattanza, coperti, protetti   dall’omertà   del terrore. Sono spariti nelle vie della citta, dove altri miserabili assassini sciamano liberi e minacciosi, pronti a combattere una lunga guerra per conquistare il controllo delle attività illegali di questa zona della Puglia.  Che dopo la morte di Antonio Modeo, detto il «messicano», non ha più un vero boss ma tanti sanguinari aspiranti. Sono pronti a tutto, la loro è una guerra mafiosa legittimata dalla «Sacra corona unita».  Una guerra fratricida, per bande, senza fine.  Si ammazzano e si fanno ammazzare come cani rabbiosi. Settanta morti negli ultimi due anni.  Quattro, dall’inizio del ’91. Uno ogni due giorni.

Gli investigatori non hanno tracce importanti. Tre i bossoli ritrovati, e sono troppo pochi. Chiaro che mercoledì sera i killer hanno sparato senza scendere dalla macchina, e altri bossoli devono essere caduti all’interno dell’abitacolo.  Il calibro: 7.65. Sono fuggiti a bordo di una Fiat Uno, grigio metallizzata. L’ha vista Maddalena, moglie del Guarino, scampata al massacro.  Era sul sedile posteriore. Non ha visto altro. Piange. E ha paura. Interrogata, agli investigatori ha soltanto ripetuto il film che già conoscevano: la Lancia Delta del marito ha rallentato, pensava al traffico. Quelli hanno cominciato subito a sparare. Poi non ricorda.  La figlia e il marito sono stati trasportati in una clinica da due automobilisti di passaggio. Hanno scaricato i cadaveri e sono spariti. La donna non ricorda e in via Lisippo, angolo via Verdi, quartiere Tamburi, nessuno ha visto, nessuno ha sentito. L’unico piccolo indizio che resta agli investigatori consente di avere comunque una grande, brutta certezza: la guerra continua.

Cosimo Guarino, infatti, non era un pregiudicato qualunque. Era il cognato di Gianfranco Modeo, attualmente in carcere (deve scontare ventidue anni per omicidio). Gianfranco è fratello di Riccardo e di Claudio (anch’essi reclusi): tutti e tre, per anni, han fatto la guerra al fratello maggiore, Antonio, il «messicano».

Il «messicano» è stato ammazzato il 16 agosto scorso. Era in bicicletta, sul lungomare di Bisceglie. Si sentiva sicuro. Era il più intelligente della famiglia. Il più astuto, il più feroce, il più potente. Era il vero boss della provincia. Aveva preso il posto di Francesco Basile, «don Ciccio». Allacciando immediatamente proficui rapporti con la camorra.  Ne era un capo riconosciuto: prima alleato di Cutolo, poi fondatore della Nuova camorra pugliese».  Ma nella sua villa blindata, andavano spesso a cena anche polenti esponenti della ‘ndrangheta.  Facevano affari.  Come con i Palamara di Africo Nuovo, alleati della spietata ‘ndrina dei Morabito: insieme ad alcuni suoi uomini erano titolari di una ditta, la Cadauno, che forniva frutta alla «Mongolfiera», il più grosso ipermercato del meridione, di proprietà della Coin.

Quando il «messicano» e stato ammazzato, c’è come stato un vuoto di potere.  Il suo clan, che oggi fa riferimento a Salvatore De Vitis, ha dovuto subire gli attacchi dei clan appartenenti agli altri tre fratelli.

Morti ammazzati, vendette trasversali, auto-bombe, gambizzazioni.  L’agguato di mercoledì sera. È una guerra grossa per un bottino grosso.  C’è da controllare il traffico della droga e del contrabbando. Le estorsioni rendono moltissimo. E poi c’è la possibilità di rosicchiare le industrie. L’Ilva, l’ex Italsider, la più grossa acciaieria d’Europa, dopo le denunce dell’Antimafia e dopo l’assassinio del capo dei vigilanti, si accorse che alcune delle imprese a cui faceva riferimento erano «a rischio».  Con oltre trenta, sospese i contratti. Una, l’Italferrosud, apparteneva a un cognato del «messicano».

Sotto la pressione della malavita organizzata, Taranto rappresenta, nell’intera Puglia, un’autentica città di frontiera. Qui, dove è ancora vacante il posto di comando della malavita, la mafia che già stritola e spreme l’economia della Basilicata, di Lecce, di Brindisi, non sa ancora con precisione quale ruoli può ricoprire. E così ci sono bande che guerreggiano, e industriali e commercianti che vivono nel terrore.  Alcuni di loro, i più facoltosi, hanno assunto sceriffi.  Chiedono protezione: hanno paura. Questa è una città dove è legittimo aver paura.  Un anno fa, il capo della Polizia, Vincenzo Parisi, scese quaggiù a inaugurare un nuovo nucleo anticrimine. Settanta agenti specializzati che dovevano combattere le cosche.  Le hanno combattute e hanno perso. Ora, i sicari delle cosche in guerra, tendono un agguato alle sette di sera, fanno saltare la testa a una bimba di sei mesi e fanno secco il suo papà. E per gli investigatori della polizia non c’è nemmeno un indizio. Un numero di targa almeno.  Niente. Troppa paura. Troppo forti queste bande di killer impazziti.

 

 

 

Articolo da L’Unità del 13 Gennaio 1991
Uccisa a sei mesi col padre
È la guerra del racket
I proiettili dei killer mafiosi l’hanno colpita al viso uccidendola sul colpo. Valentina Guarino, di appena sei mesi, è stata assassinata ieri sera Tamburi,  un rione periferico di Taranto, insieme al padre Cosimo, di 38 anni. L’uomo sarebbe stato legato al clan dei fratelli Modeo. Un altro bimbo di quattro anni è in coma a Locri: ferito con il padre in una sparatoria.

TARANTO. Una pioggia di proiettili, sparati da un’auto  in corsa nel buio di una strada periferica. La piccola Valentina Guarino, di appena sei mesi, viaggiava accanto al padre Cosimo, 38 anni, il bersaglio scelto dal killer per l’agguato. Un colpo l’ha raggiunta al viso, uccidendola sul colpo. Il  padre non ha fatto neanche in tempo a cercare di coprirla con il suo corpo. I sicari l’hanno crivellato  di colpi, poi sono spariti nell’oscurità del rione Tamburi di Taranto. Cosimo e Valentina Guarino, sono stati trasportati dai soccorritori all’ospedale Santissima Annunziata, ma non c’era più nulla da fare.

Gli investigatori non hanno dubbi si tratta dell’ennesima vittima della guerra di mafia che sta insanguinando Taranto da due anni. Una guerra violenta,  in cui sparano fratelli contro fratelli. Per carabinieri e polizia questo tremendo duplice omicidio, in cui è stata coinvolta una bimba di sei mesi, è maturato nella faida tra i seguaci del «messicano», Antonio Modeo, ucciso nell’agosto del 1990, e gli altri fratelli Modeo, Claudio, Riccardo e Gianfranco. Guarino, un nome già noto agli inquirenti per storie di droga e di armi, era infatti legato a questi ultimi.

L’agguato è scattato nel buio del rione più popolare di Taranto, Tamburi, situato alla penferia occidentale della città, proprio a ridosso dello stabilimento llva. Cosimo Guarino passava con la sua macchina in via Lisippo, quando un’altra macchina l’ha affiancato. Dai finestrini i killer hanno sparato gli interi caricatori delle pistole. L’uomo ha avuto appena il tempo di scorgere i lampi nel buio e l’infrangere dei vetri dell’automobile. Nessuno ha visto fuggire killer che per la prima volta, in questa guerra di mafia , hanno ucciso una bimba cosi piccola.

In provincia di Taranto sono ora quattro i delitti nei primi nove giorni dell’anno. Prima del duplice omicldio di ieri sera nel rione Tamburi, i sicari mafiosi erano entrati in azione neanche 24 ore prima, alla periferia di San Marzano di San Giuseppe, uccidendo mentre passava sulla sua auto il trentenne Felice Geremia. Sei giorni prima sotto i colpi dei killer  era finilo il migliore amico di Felice Geremia davanti ad un bar di Sava, il due gennaio era stato crivellato di colpi Paolo Cantarone, «sorvegliato speciale di polizia». Il fratello di Paolo Cantarone, Elio, è – secondo gli inquirenti – legato al clan dei «fratelli Modeo» , cosi come un cognato, Antonio Stortino, sfuggito prima di Natale ad un agguato mafioso a Fragagnano, vicino a  Taranto.

È sicuramente questa la fase più calda della faida tarantina. Si spara in tutta la provincia per il dominio sul racket delle estorsioni e sul controllo del traffico degli stupefacenti. La disputa è diventata più cruenta dopo l’uccisione del boss riconosciuto della mafia ionica, «il messicano», Antonio Modeo, ammazzato a Bisceglie il 17 agosto 1990. «Il messicano» aveva creato una rete di rapporti con i gruppi calabresi di Pasquale Palamara (ucciso sette giorni pnma di lui) e con gli uomini della Nuova camorra organizzata di Cutolo.

Un bambino di quattro anni, Giuseppe Marzano, è rimasto invece ferito ieri sera in modo gravissimo in un agguato fatto a Bovalino, un centro della locride. Nell’agguato è rimasto pure ferito, anch’egli in modo grave, il padre del bambino, Nicola , di 44 anni, elettricista. L’uomo e il figlio, al momento dell’agguafo. si trovavano nell’abitazione del fratello dell’elettricista, Antonio. Contro di loro sono stati sparati colpi di fucile caricati a pallettoni . Il bambino è stato ricoverato in stato di coma nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Locri, mentre il padre è ricoverato nel reparto di chirurgia.

 

 

 

Fonte: lapiazzamagazine.com
Il silenzio degli eroi: Valentina Guarino, quando la realtà supera la fantasia
di Paolo Coronese

Avete presente la serie tv tutta italiana GOMORRA?
Questa fiction, tratta dal libro di Roberto Saviano, ha ottenuto un enorme successo, anche in ambito internazionale, lasciando lo spettatore ammutolito di fronte ai racconti di una realtà, come quella camorristica, molto violenta e cruda. Rimane impressa nella mente di molti appassionati la scena in cui il sicario di un boss uccide a sangue freddo la figlia di un rivale di quest’ultimo. Questa immagine ha sconvolto talmente tanto il pubblico da portare molti fan a proferire insulti sui social all’attore che interpretava l’assassino della piccola.
L’indignazione di fronte all’esecuzione di una bambina, anche se finta, è stata palpabile e in molti si sono chiesti se queste cose accadano veramente nella vita reale. La risposta, per quanto brutta possa essere, è affermativa. La criminalità, che si chiami mafia, camorra, ndrangheta o altro, si è resa e si rende tuttora protagonista di eventi al limite del reale.

Una delle storie più tristi è quella di Valentina Guarino. Facciamo un passo indietro, ci troviamo a Taranto ed è il 10 gennaio del 1991; in città si respira un’aria strana perché il nuovo anno è iniziato nel peggiore dei modi, con quattro morti ammazzati tra città e province nel giro di una settimana. Cosimo Guarino, pregiudicato di trentasette anni, viaggia con la sua Lancia prisma per le vie della città insieme alla moglie e alla figlia di sei mesi, per l’appunto Valentina. Arrivato nel quartiere Tamburi intorno alle 20, Cosimo viene accostato da un’altra auto, poi ad un tratto gli spari, le urla ed infine il buio. Quel 10 gennaio a Taranto le vittime di quella sanguinosa settimana salgono a sei e a perire sono Cosimo e Valentina. L’agguato è stato messo in atto per colpire indirettamente il cognato di Cosimo, il boss Gianfranco Mondeo, che si trova a capo di una delle fazioni coinvolte in una faida costata la vita nel solo anno precedente a trentuno persone.

Questo evento va al di là di ogni pseudo-morale e di ogni pseudo-onore vantato dalle organizzazioni criminali. Una tale leggerezza nell’uccidere una bimba di sei mesi è difficile da immaginare, ma c’è chi non si pone questi problemi perché l’intimidazione e la voglia di vincere queste guerre fanno perdere anche l’ultimo briciolo di umanità. Valentina non è un’eroina di mafia, a Valentina è stato impedito di diventare tale: a Valentina è stato impedito di crescere. Si dice che un bimbo inizia a percepire il mondo che lo circonda intorno ai sei mesi, inizia a distinguere i volti e gli oggetti. Alla piccola Guarino è stato negato anche questo, lei non ha avuto neanche il tempo di rendersi conto di essere venuta al mondo perché qualcuno ha deciso così, perché qualcuno ha deciso che quella bambina non può crescere, non può andare a scuola, non può conoscere l’amicizia, non può conoscere l’amore e soprattutto non può dare nessun tipo di apporto alla società. L’omicidio è l’atto più brutto che può compiere un uomo che uccidendo priva un’altra persona di essere artefice del proprio destino, ma quando la vittima è un infante la cosa diventa ancora più grave perché non gli si dà neanche la possibilità di capire il significato della parola destino.

Quindi per rispondere all’originaria domanda del pubblico c’è da concludere, citando una canzone, che “LA VITA NON E’ UN FILM”, a volte è molto peggio.

 

 

 

Fonte:  mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 29 febbraio 2020
Valentina e la “guerra” di Taranto
di Graziana Nucci

Le feste di Natale sono appena terminate ma ancora il clima natalizio si trascina per le strade, con le luminarie ancora accese e gli articoli rimasti invenduti esposti già in vetrina a metà prezzo. Valentina ha solo sei mesi, è nata nell’estate del 1990, quella del Mondiale di Calcio giocato “in casa”, con le “Notti Magiche” cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini. Valentina ha appena trascorso il suo primo e unico Natale della sua breve vita. Viene uccisa insieme al padre Cosimo Guarino, il 9 gennaio 1991. Cosimo era la vittima predestinata, cognato di Gianfranco Modeo, un boss protagonista di una belligeranza che nel 1990 ha causato trentuno morti, che al momento dell’accaduto era in carcere per scontare ventidue anni per omicidio, con i fratelli Riccardo e Claudio, reclusi anch’essi.

Per capire le dinamiche dell’omicidio padre-figlia è necessario fare qualche passo indietro.
Era il settembre del 1988, quando a Taranto un boss capace di tenere riuniti i clan, venne assassinato. Il suo nome era Francesco Basile, soprannominato “Don Ciccio”. La sua morte fu il movente che scatenò in particolare una faida sanguinosa tra due clan: quello dei fratelli Modeo, quindi Gianfranco, Riccardo e Claudio e quello del fratellastro Antonio Modeo, noto come “il messicano”, assassinato nel 1990 ad agosto a Bisceglie, che aveva creato una rete di rapporti con i gruppi calabresi di Pasquale Palamara (ucciso sette giorni prima di lui) e con gli uomini della Nuova Camorra organizzata di Cutolo.

Questa faida ebbe inizio per accaparrarsi il controllo sul racket delle estorsioni e sul traffico degli stupefacenti, e inaugurò l’anno 1991 con sangue e violenza gratuita. Soltanto nei primi nove giorni di gennaio gli omicidi commessi furono quattro: il 2 gennaio venne assassinato Paolo Cantarone davanti a un bar di Sava, un comune in provincia di Taranto, aveva trentatré anni ed era legato ai fratelli Modeo, nel giro del traffico di stupefacenti; sei giorni dopo toccò al suo migliore amico, Felice Geremia, ucciso nella periferia di San Marzano di San Giuseppe, aveva ventinove anni e precedenti penali per estorsione.

Il 9 gennaio il bersaglio dei sicari era il cognato di Gianfranco Modeo, Cosimo Guarino, trentotto anni; con lui venne assassinata anche la sua bambina, Valentina. Il duplice omicidio avviene poco dopo le ore 20 a Taranto, in Puglia, al quartiere Tamburi, purtroppo conosciuto per le frequenti attività criminali che vi si manifestano. La strada era buia, Cosimo era alla guida della sua “Lancia Prisma” in via Lisippo, all’interno dell’autovettura c’era l’intera famiglia; la madre di Valentina teneva la sua unica figlioletta in grembo. Un’altra auto in movimento era sbucata dal nulla, i suoi fanali sembravano squarciare il buio. Chissà se Cosimo avrà percepito la strana sensazione di sentirsi seguito, se avrà avuto voglia di andare più veloce per fuggire, se avrà pregato che chiunque li stesse seguendo prendesse soltanto lui e risparmiasse la sua famiglia… L’auto dei sicari era già accanto alla sua. Non ebbe più tempo per pensare ad una soluzione rapida, per proteggere il fragile e piccolo corpo della sua bambina.

Dall’auto misteriosa provennero assordanti colpi di pistola, il finestrino dell’auto di Cosimo si frantumò in centinaia di cocci di vetro che caddero secchi sulla pelle dell’uomo, della donna e della bambina. I proiettili presero in pieno Cosimo e colpirono sua figlia al viso. La donna fu l’unica a rimanere illesa. L’auto dei sicari scomparve subito di nuovo nel buio, nessuno vide niente, nessun testimone. Padre e figlia furono trasportati d’urgenza dai soccorritori all’ospedale Santissima Annunziata, ma era troppo tardi: morirono entrambi.
Valentina aveva sei mesi; il sesto è il mese d’età in cui i lineamenti dell’infante iniziano a definirsi, in cui gli oggetti acquisiscono ai piccoli occhi tridimensionalità, il periodo in cui si inizia a vedere il mondo da un’altra angolazione e si esplorano i volti del papà e della mamma. A Valentina tutto questo non fu concesso.

E ben presto, con la Guerra del Golfo che sarebbe scoppiata una settimana dopo, l’omicidio di Valentina si perse nelle pagine dei giornali e, purtroppo ancora una volta, si sarebbe tornati a credere che la mafia avesse un codice morale che risparmiasse dalle loro faide donne e bambini.

 

 

 

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Valentina Guarino
Si può solo immaginare chi sarebbe potuta diventare Valentina. Aveva solo sei mesi la sera in cui è stata uccisa, mentre era in auto con la sua mamma e il suo papà, l’obiettivo dei killer. Non le hanno permesso di vivere, di sognare e di fare errori.

 

 

 

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