6 Gennaio 1991 Sant’Onofrio (VV). Francesco Augurusa, 45 anni, e Onofrio Addesi, 38 anni, vittime incolpevoli di una faida famigliare per il controllo del territorio. Nella sparatoria furono ferite altre 10 persone.

foto di Francesco Augurusa dal quotidianodelsud.it

Francesco Augurusa, operaio, 44 anni, fu ucciso insieme a Onofrio Addesi, 39, suo collega di lavoro, il 6 gennaio del 1991, nella piazza Umberto I di Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia, mentre aspettava il figlio davanti alla porta del bar. Erano passate da poco le 11 quando un’auto, un’Alfa 33, comparve improvvisamente sulla scena. A bordo un commando con l’ordine di uccidere gli uomini di un clan rivale. Era in atto una guerra tra le famiglie dei Bonavota e dei Petrolo che aveva lasciato sul campo già altre vittime. Ma gli interessati capirono subito cosa stava per accadere e si mischiarono alle persone presenti in piazza, nella speranza di impedire l’azione. Ma i killer incaricati dell’esecuzione non si lasciarono condizionare e scesi dall’auto, con il volto coperto, iniziarono a sparare tra la folla con pistole e kalashnikov. Poi la macchina ripartì a tutta velocità. A terra restarono due morti ammazzati e dieci feriti.
Onofrio Addesi e Francesco Augurusa morirono sul colpo.
L’inizio della mattanza fu determinato dall’omicidio di un pastore di 20 anni, Francesco Calfapietra, giovane «soldato» di Vincenzo Bonavota.
I carabinieri, dopo un inseguimento da film, riuscirono a fermare l’auto dei killer vicino a Pizzo Calabro, a una decina di chilometri da Sant’Onofrio e arrestare Rosario Michienzi, all’epoca 31 anni, considerato vicino al clan dei Bonavota. In carcere finirono anche Gerardo D’Urzo, Antonio Bartolotta e Domenico Franze. Fu grazie alle rivelazioni di Michienzi che fece i nomi dei componenti del commando e dei mandanti, spiegando nei dettagli come fu progettata l’operazione contro la cosca rivale, che si poté ricostruire tutta la sanguinosa vicenda.
Nel ’93, la Corte d’Assise di Catanzaro condannò all’ergastolo Nazzareno Matina perché ritenuto, insieme al fratello Pasquale e a Rosario Petrolo di Sant’Onofrio, il mandante della strage della befana. (foto di Francesco Augurusa ed articolo da quotidianodelsud.it)

 

 

Articolo da L’Unità del 7 Gennaio 1991
Un paese della Calabria come Chicago
di Aldo Alvaro
Guerra tra i «clan dei poveri»: due morti e dieci feriti.
Due morti e dieci  feriti (uno gravissimo): è il bilancio del «massacro della Befana», l’ultima pagina di una sanguinosa faida tra clan poveri. Il commando ha sparato in piazza sul mucchio con pistole e kalasnnikov. Dopo uno spettacolare inseguimento una pattuglia dell’Arma blocca l’auto dei killer e ne arresta uno. Lo scontro tra i clan Bonavota e Petrolo iniziò con l’assassinio di un pastore di 20 anni.

(Catanzaro) Una faida cruenta e selvaggia che ha per posta il niente di un territorio povero. Uno scontro durissimo forse per un furto di pecore. Inizio della mattanza, l’omicidio di un pastore di 20 anni Francesco Calfapietra, giovane «soldato» di Vincenzo Bonavota, 40 anni fama da boss incontrastato di Sant’Onofrio.
Contro Bonavota il clan di Vincenzo Petrolo, la cosca degli emergenti. Ultima battaglia di questa guerra , «il massacro della befana»: due morti e dieci feriti che non c’entravano con gli obiettivi dei killer. Nel mezzo, in soli sette mesi, si sono accumulati altri 4 cadaveri  e decine di feriti. Ore 11 e 12 minuti della Befana, nella piazzetta di Sant’Onofrio piomba un’ «Alfa 33». È finito di piovere da poco e la gente è uscita dal bar. Nessuno immagina che da lì a poco si scatenerà l’inferno. Nessuno, tranne due «soldati» di una delle due cosche che si combattono. I due sono un po’ in disparte. Ma allo stridio delle gomme corrono a più non posso.Quattro salti e sono già davanti al bar dove s’attardano le persone uscite dal caffè che s’affaccia su piazza Umberto primo, il cuore del paese di tremila abitanti a su di Vibo Valentia. I fuggitivi si mischiano a tutti gli altri per spezzare l’azione del commando arrivato fin lì con l’ordine di ucciderli.
In Piazza, tra l’altro, ci sono fiancheggiatori e simpatizzanti sia di Vincenzo Bonavota che del Petrolo. Ma i killer incaricati dell’esecuzione non si lasciano condizionare. Scesi dall’auto, volti travisati dalle calze; scaraventano sulla piccola folla un uragano di piombo. Una manciata di interminabili secondi, giusto il tempo per qualche sventagliata di mitra e per scaricare le pistole, tra gli urli di paura e di il fuggi fuggi cieco del terrore. Poi la macchina riparte sgommando. A terra ci sono due morti ammazzati e dieci feriti.

Onofrio Adessi e Francesco Augurusa. di 39 e 45 anni, sono deceduti sul colpo. Gregorio Gugllari, 71 anni, è in fin di vita. Gli altri nove – Basilio Russo (40), Vincenzo Cugliari (65), Francesco Soldano (17), Gregorio Arcella (76), Gerardo Barbieri (24), Rosario Arcella (52), Costantino Filippelli (22), Domenico Santaguida (17), Basilio Lo Sigmo (18) – se la son cavata con prognosi tra  i 10 ed i 30 giorni. Morti e feriti per caso, colpiti perché si son trovati nel mucchio in cui hanno cercato riparo, restando illese, le vittime predestinate.
Gli assassini erano almeno tre (forse 4) ed hanno mosso all’assalto con una 7 e 65 ed una potentissima 375 magnum; ma per la strage è stato usato anche un mitra, quasi sicuramente un micidiale kalashinkov.

L’allarme è scattato immediato. L’«Alfa 33» nera è stata agganciata da un’«Alfetta» dei carabinieri. Per la «Statale 18» e la vecchia «Tirrenica inferiore», una provinciale stretta e piena di curve a ridosso del mare, c’è stato un inseguimento mozza fiato con le auto lanciate al massimo fin quando l’Alfa 33 è stata «chiusa» vicino Pizzo Calabro, una decina di chilometri più in la di Sant’Onofrio. Rosario Michienzi, 31 anni ed un passato pieno di precedenti penati, aveva la pistola in pugno ma i militi gli si son parati davanti coi mitra spianati ed il dito sul grilletto: un attimo soltanto e l’uomo s’è arreso.

In passato Michienzi era stato denunciato dall’Arma come affiliato al clan dei Bonavota. Ma questo non esclude che ad ordinare il «massacro della befana», come qui già la gente lo chiama, sia stata la cosca del Petrolo. «Quel che è successo – hanno detto ieri al comando dell’Arma di Vibo – ha rimesso in discussione tutte le precedenti ricostruzioni. Di fortemente propabile c’è che nessuno dei morti o dei feriti era tra gli obiettivi della spedizione». Insomma, si sarebbe sparato all’impazzata, forse colpendo anche alcuni dei propri alleati. Né, inoltre, è escluso che nelle ultime settimane vi siano stati rimescolamenti tra i tradizionali schieramenti che si contrappongono. Un puzzle al cui chiarimento ancora nella tarda serata di ieri polizia e carabinieri stavano lavorando.
Sulla faida esiste anche un rapporto presentato nei mesi scorsi alla procura dalla polizia di Vibo che ha denunciato 46 persone per associazione di stampo mafioso.

 

 

Articolo da La Stampa dell’ 8 Gennaio 1991
Strage per un furto di bestiame
Presi i tre cecchini che hanno sparato sulla folla
di Diego Minuti

VIBO VALENTIA. Uno dei presunti killer già arrestato, un altro in stato di fermo; un loro presunto rivale anch’egli fermato: questo il primo bilancio delle forze dell’ordine ad appena 48 ore dal raid mafioso di Sant’Onofrio che ha visto due persone ammazzate senza colpa ed altre dieci ferite dalle pallottole esplose da tre sicari che, armati di mitra e pistole, hanno sparato all’impazzata tra la gente.
Ed intanto oggi Sant’Onofrio si ferma per ricordare le due vittime innocenti del raid mafioso, Francesco Augurusa ed Onofrio Addesi, che ha avuto come teatro la piazza principale di questo paesino, a pochi minuti di automobile da Vibo Valentia.

L’amministrazione comunale ha infatti dichiarato per oggi il lutto cittadino, per invitare la gente alla riflessione, per sottolineare la ribellione della collettività alla mafia. Sotto il torchio dei carabinieri tre persone.
Il primo, Rosario Michienzi, 31 anni, è stato fermato già dopo pochi minuti mentre lungo la strada statale 18 stava cercando di raggiungere l’aeroporto di Lamezia Terme per restituire l’Alfa 33 presa a nolo usata dagli assassini per raggiungere Sant’Onofrio. Per lui, sorpreso con una pistola calibro 7,65 (sulla quale sono state già avviate le analisi comparative per capire se sia stata usata nel raid) l’accusa di concorso in strage, associazione per delinquere di tipo mafioso, porto e detenzione di armi. Accuse contestate anche a Nazzareno Matina, 32 anni, da ieri in stato in fermo. Secondo i carabinieri apparterrebbero entrambi (Michienzi sicuramente come affiliato al clan, Matina quanto meno come «soldato») alla cosca dei Petrolo che ha dichiarato guerra ai rivali della famiglia Bonavota alla quale apparterrebbe Antonio Lopreiato, 23 anni, fermato con le accuse di porto e detenzione illegale di armi.

Una guerra nata per un motivo che altrove farebbe sorridere, un furto di bestiame, ma che in alcune zone della Calabria può ancora scatenare uno scontro il cui fine primo è quello di sterminare i rivali. Lo scontro, fino a oggi, ha fatto segnare già 6 morti e 18 feriti, un bilancio elevatissimo se si pensa che l’inizio della lotta risale ad appena un anno fa. Circa il grave problema della lotta alla mafia, ieri a Catanzaro il presidente della giunta regionale calabrese, Rosario Olivo, ha sottolineato che, ora, anche alla luce dei gravissimi episodi delle ultime ore nel Vibonese, la situazione sollecita una grande e consapevole mobilitazione delle istituzioni e dei cittadini onesti, visto che, a circa due mesi dal decreto varato dal governo il 10 novembre scorso, nessuna delle otto proposte di legge è stata tramutata in strumento legislativo definitivo.

 

 

 

Articolo da La Stampa del 11 Gennaio 1991
Calabria, bimbi nel mirino
Altri fermi per l’agguato in piazza a Sant ‘Onofrio che provocò due vittime Tra i sospettati c’è anche un diciassettenne, è il figlio di un sindaco

di Diego Minuti

REGGIO CALABRIA. Un bambino di quattro anni ferito gravemente dai killer delle cosche, un ragazzo di 17 che partecipa attivamente a una strage di mafia. Nella Calabria insanguinata drammi come questi possono venire alla luce nello spazio di poche ore. Mercoledì sera a Bovalino l’agguato criminale contro la famiglia Marzano. Due persone hanno fatto irruzione nell’abitazione della famiglia Marzano e hanno sparato all’impazzata. Le pallottole hanno centrato Nicola Marzano, 44 anni, elettricista, e il figlioletto, di quattro anni, Giuseppe. I due sono ricoverati all’ospedale di Locri con la riserva della prognosi. Secondo gli inquirenti, obiettivo dei killer era Antonio Marzano, 36 anni, macellaio, fratello di Nicola, già sfuggito a un altro attentato, nell’ottobre scorso. Per l’agguato è stato fermato il bracciante agricolo Domenico Rinaldo, 23 anni. Sviluppi positivi anche nelle indagini sulla strage di Sant’ONofrio. I carabinieri del gruppo Emergenza di Catanzaro hanno fermato quattro persone sulle quali grava il sospetto di avere scatenato, domenica scorsa, la caccia all’uomo che, pur fallendo i veri bersagli, ha fatto due morti e dieci feriti, alcuni dei quali ancora in condizioni gravissime. I fermati appartengono ad un clan emergente, quello dei Petrolo, che, pur di prevalere su quello rivale dei Bonavota (legati alla vecchia ‘ndrangheta delle Serre) non ha esitato a scatenare un inferno. Si tratta di Pasquale Matina, 36 anni, Antonio Baitolotta, 19 anni, e Gerardo D’Urso, 28 anni. Con loro un ragazzo di appena 17 anni, Domenico Franzè, figlio del sindaco di Stefanaconi, paesino a pochi chilometri da Sant’Onofrio. Un ragazzo, certo, ma anche un duro dicono i carabinieri che, da molto tempo, sta dando filo da torcere alle forze dell’ordine del Vibonese. Tanto da essere sospettato d’avere partecipato anche ad altri raid di stampo mafioso. Per mettere a segno questa operazione i carabinieri hanno impiegato oltre 150 uomini. I risultati non si sono fatti attendere. Oltre ai quattro (contro di loro la procura di Vibo Valentia ha emesso un decreto di fermo) una quinta persona è finita in carcere, Vincenzo Petrolo, 30 anni, accusato di detenzione illegale di munizioni. Petrolo non è un «armiere» qualsiasi. E’ infatti il fratello di Rosario che carabinieri e polizia indicano come il capo del clan. L’operazione ha consentito anche il sequestro di alcune armi (cinque fucili da caccia tra cui una lupara), detonatori, micce e un ingente quantitativo di munizioni. Tra esse anche proiettili di fabbricazione statunitense che, sostengono i carabinieri, sparati da un fucile automatico, sono stati quelli che a Sant’Onofrio hanno straziato Onofrio Addesi e Francesco Augurusa, le due vittime incolpevoli della sparatoria.
Per D’Urso, Matina, Bartolotta e Franzè l’accusa principale è quella di strage.

 

 

 

 

Quotidiano del Sud del 7 dicembre 2016

 

 

 

Leggere anche:

vivi.libera.it
Francesco Augurusa
Ci sono luoghi nei quali la presenza mafiosa è in grado di scatenare l’inferno per un furto di pecore. È il retaggio antico e perverso di una cultura dell’onore che con l’onore non ha nulla a che fare e che conosce un unico linguaggio: quello della violenza. Una violenza cieca, inaudita, orrifica, che non si ferma davanti a niente e a nessuno. Sono luoghi nei quali la gente perbene, che con quella cultura di morte non ha nulla a che fare, pure è costretta a convivervi. E talvolta anche a morirci.

 

acnews24.it
Articolo del 6 gennaio 2021
La pioggia e poi l’inferno: 30 anni fa a Sant’Onofrio la strage dell’Epifania
di Pietro Comito
Due morti, dieci feriti. Una mattanza che ricostruiamo grazie ai racconti dell’epoca e agli atti giudiziari. Il massacro della Befana doveva annientare i Bonavota e invece ne assicurò l’ascesa.

 

 

 

 

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