9 giugno 1989 Vittoria (RG). Ucciso Salvatore Incardona, dirigente della cooperativa Agriduemila, perché si era rifiutato di pagare il pizzo.

Salvatore Incardona è un grossista al mercato ortofrutticolo di Vittoria (RG).
Senza dare nell’occhio cerca di convincere i colleghi a non pagare più il pizzo, a firmare tutti insieme una denuncia collettiva contro la banda degli estorsori.
Incardona non si sente un eroe, vuole soltanto difendere il proprio lavoro, non accetta più di sottostare a una soperchieria che lo priva di una parte del suo onesto guadagno.
Il 9 giugno del 1989 lo aspettano con i fucili a pompa all’uscita da casa: venne crivellato di colpi mentre era al volante della sua auto.

 

 

 

 

Foto da: Calendario degli Eroi

Nota da: Calendario degli Eroi
Salvatore Incardona è un grossista al mercato ortofrutticolo di Vittoria.

Senza dare nell’occhio cerca di convincere i colleghi a non pagare più il pizzo, a firmare tutti insieme una denuncia collettiva contro la banda degli estorsori.

Incardona non si sente un eroe, vuole soltanto difendere il proprio lavoro, non accetta più di sottostare a una soperchieria che lo priva di una parte del suo onesto guadagno.

Il 9 giugno lo aspettano con i fucili a pompa all’uscita da casa: venne crivellato di colpi mentre era al volante della sua auto.

Il figlio, Carmelo Incardona, aveva 25 anni quando suo padre morì. Oggi fa l’avvocato e si è dato alla politica, in Alleanza Nazionale. Ricorda: “Il papà lo diceva apertamente, ‘io non pago’. Lo diceva a me, ma anche al bar, in piazza. Ai colleghi che come lui avevano un box al mercato diceva: ‘Se ci opponiamo tutti non potranno farci niente’“. Ma i suoi colleghi avevano accettato tutti l’estorsione dei Carbonaro-Dominante. L’avevano addirittura istituzionalizzata, come fosse una tassa, un’addizionale da calcolare sulle cassette di legno impiegate: tante cassette usate, tanto pizzo da pagare.

Aveva approvato anche il presidente del consorzio dei commissionari, che si era addirittura recato da Incardona per cercare di convincerlo a non inceppare il sistema. Il commerciante aveva rifiutato. Allora erano entrati in funzione i kalashnikov.

Incardona fu ucciso e tradito due volte. Prima fu lasciato solo a opporsi al racket e consegnato dai colleghi ai suoi killer, poi, da morto, fu abbandonato da chi sapeva e anzi la sua memoria fu inquinata dal sospetto: “Io non sono andato al suo funerale“, confessa un politico di Vittoria, “perché se era stato ammazzato poteva essere in qualche modo coinvolto in affari loschi“.

Invece era un uomo coraggioso, che fu ucciso due anni prima di Libero Grassi, l’imprenditore palermitano che si oppose al pizzo e fu eliminato da Cosa Nostra nel 1991.

A Vittoria il 26 settembre 1998 è stata intitolata una via a Salvatore Incardona: ci sono voluti nove anni.

http://www.leinchieste.com/casovittoria_barbacetto.htm
Da cosa nasce cosa. Storia della mafia dal 1943 a oggi, Alfio Caruso, Milano, Longanesi, 2000
 
 
 
 
 
Fonte:  archiviolastampa.it 
Articolo del 30 settembre 1990
Le mani delle cosche su Vittoria 
di Francesco La Licata
Rapporto di Sica: Cosa nostra controlla il business delle serreVITTORIA (Ragusa).

Era una banda affiatata. Sei amici per la pelle, tutti giovanissimi. Il più vecchio aveva 20 anni, il più giovane 18. Balordi di paese che sbarcavano il lunario con qualche piccolo «colpo». Un furto qua, una rapina là. E poi a giocare a carte, al ristorante o in discoteca. Non sono pochi i giovani che, a Vittoria, si arrangiano così.

Ma per loro, per i sei amici, non si rivelò una gran bella idea quella di tentare il «colpo grosso», una mega rapina ai clienti del ristorante «Carmelo»: un bottino di mezzo miliardo in soldi e gioielli. Non potevano immaginare, i sei amici, che quel «colpo di fortuna» sarebbe stata la loro fine. Non potevano sapere che a Vittoria da tempo e arrivata la mafia. Quella vera, quella che taglieggia i commercianti, succhia denaro e offre protezione. Quella che non può consentire a sei «balordi» di seminare lo scompiglio in una zona controllata da Cosa Nostra.

Fu così che, uno dopo l’altro, i sei amici ricevettero la terribile punizione di un tribunale invisibile, ma tragicamente efficiente.

Questo ipotizzano gli investigatori che da una settimana sono alle prese con la «strage di Vittoria». Per primo toccò a Giovambattista Giudice, 18 anni. Il suo corpo carbonizzato fu trovato a contrada «Piombo». Poco distante, il martedì successivo, sulla strada che da Vittoria porta a Santa Croce Camerina, venne alla luce il massacro: crivellati da lupara e revolver i cadaveri di Alessandro Palmieri, Maurizio Cucuzzelli e Rosario Ruta, tutti ventenni. I tre erano scomparsi sabato, giorno in cui veniva ucciso Giudice. Coincidenza? Ed è un’altra coincidenza che manchino all’appello gli altri due amici, Giovambattista Mole e Vincenzo Latino?

La verità è, per ammissione generale, che Vittoria è stata invasa dalla mafia. La strage è soltanto un episodio, per quanto cruento e crudele, la «spia» di una realtà nascosta, più grave di quanto possa apparire. Addio «provincia babba», della Sicilia super mafiosa. La Piovra ha steso i suoi tentacoli anche qui, tra le serre di primizie, gli aranceti, i campi di fiori. Addio tranquilla oasi di pace, qui gli echi delle lupare arrivavano persino ovattati dal relativo benessere economico e dalla tradizione di «concordia ed operosità». Adesso, se non è come Gela, poco ci manca. Troppo pessimismo? No, a giudicare dal «rapporto» che Domenico Sica ha redatto e inviato al ministero dell’Interno e a tutti gli organismi interessati al «fenomeno».

Risale a qualche anno fa l’inizio della penetrazione mafiosa a Vittoria. Il soggiorno obbligato fa conoscere ai boss palermitani questo «Eldorado» incontaminato e loro fiutano l’affare. Attività illecite, bische clandestine, estorsioni, droga. Ma anche il «business» legale. Scrive Sica, lamentando l’assenza di «dati e rilevamenti (incredibilmente ignoti alle forze di polizia, e financo alla Guardia di Finanza)», che «l’estensione delle aree adibite a coltivazioni specializzate in serra ed a cielo aperto, il numero delle imprese agricole (4350 aziende e 15 cooperative), consente di fissare in 400 miliardi di lire il valore complessivo della produzione totale annua di ortofrutticoli». Il settore dell’autotrasporto collegato «impegna 150 aziende per un totale di 415 addetti». Tutto in regola? «In realtà – avverte Sica – il comparto risulta controllato in regime di oligopolio da una decina soltanto di agenzie, alcune delle quali saldamente in mano di pregiudicati». Di tutto questo mondo si sa ben poco. Nulla sul volume d’affari, su «eventuali cointeressenze mascherate», sul «candidamente ammesso, sistematico taglieggiamento dei padroncini addetti ai trasporti, sulle entità delle evasioni fiscali».

Per l’Alto Commissario, dietro all’assalto di Cosa Nostra alla «laboriosa Vittoria» c’è appunto questa voragine. L’allarme di Sica è perentorio: “È propriamente questo il buco nero di Vittoria, rispetto al quale l’Ufficio ha il dovere di denunciare ingiustificabili disattenzioni istituzionali». La «radiografia» fatta da Sica risale alla fine dell’89, gli omicidi in un anno erano stati 14. E adesso? Valga per tutti il dato di settembre: 10 scomparsi, sei dei quali recuperati cadaveri. E preoccupa la massiccia presenza di pregiudicati, l’insediamento di «intere colonie campane», il sospetto che «un così alto volume d’affari abbia del tutto orientato gli interessi di gruppi criminali». Non è forse a Vittoria che l’imprendibile Totò Riina, padrino di Cosa Nostra, a Natale sfuggì miracolosamente alla cattura? E non furono gli aranceti di Acate, a due passi da Vittoria, l’interesse dei cugini Salvo di Salemi? Che dire, inoltre, degli investimenti dell’ex sindaco di Bagheria, Michelangelo Aiello, «titolare» di più di un processo per truffe alla Cee?

Anche «don» Michele Greco, capo dei capi poi soppiantato da Riina, fece più di una capatina economico-finanziaria a Vittoria. Ufficialmente era il cognato ad occuparsi di serre. Sono in molti a chiedersi ancora a chi servisse quel piazzale per l’atterraggio degli elicotteri nel bel mezzo della campagna di Vittoria. Sarà un caso, ma da quando è arrivata la «Piovra», dice Sica, il clima si è surriscaldato. A parte l’inevitabile guerra di mafia, le faide per la conquista del potere, una serie di episodi che l’Alto Commissario definisce «gravissimi»: le estorsioni finalizzate più alla «conquista» delle aziende che alla imposizione delle tangenti; l’arresto del presidente del mercato ortofrutticolo; la reazione del suo successore, Vittorio Salibba, che per difendersi da un’estorsione uccise il mafioso Giovanni Foresti; le minacce e le intimidazioni agli amministratori pubblici; l’uccisione di Salvatore Incardona, titolare di un box al mercato e la scoperta di piantagioni di canapa indiana e marijuana. La spiegazione di ciò, sospetta Sica, sta in quel «buco nero» che è tutto nella «radicale ignoranza dei fenomeni».

 

 
 
 

Fonte: Politicamentecorretto.com Articolo del 9 Giugno 2008  
In ricordo di Salvatore Incardona
di Salvatore Vigna

Palermo, 9 giugno 2008 – «Lo si potrebbe a buon diritto considerare un precursore dell’attuale movimento d’imprenditori e di cittadini siciliani che hanno deciso di sfidare apertamente le mafie cominciando col ribellarsi al giogo del “pizzo”. Ma Icardona lo ha fatto in un tempo in cui pochi avevano il coraggio di alzare la testa e per questo ha pagato con la vita un prezzo altissimo». Lo ha dichiarato il senatore del Pd Giuseppe Lumia ricordando Salvatore Incardona, dirigente della cooperativa Agriduemila, ucciso dalla mafia a Vittoria il 9 giungo 1989, perché si era rifiutato di pagare il pizzo e perché aveva sollecitato i colleghi della struttura pubblica a reagire alla mafia.

 

 

 

Fonte: Sciclinotizie.org articolo del 9 Giugno 2009 
Se ti chiedono di pagare il pizzo il silenzio non paga:
in ricordo di Salvatore Incardona
di Carmelo Riccotti La Rocca

Il 9 giugno di 20 anni fa, erano circa le 5 e 45 del mattino, alcuni colpi di pistola segnano la fine della vita di Salvatore Incardona. Salvatore, padre dell’on del PdL, Carmelo, aveva la colpa di rifiutare di essere assoggettato alla criminalità organizzata e andava su tutte le furie quando gli veniva chiesto di pagare il pizzo.

«Salvatore aiutava delle persone che avevano bisogno dando loro dei soldi –ha detto padre Beniamino Sacco –, ma non tollerava che gente criminale potesse cercare di guadagnarsi da vivere non lavorando».

Il moderatore del convegno che si è tenuto oggi a Vittoria, il giornalista Gianni Molé, ha ricordato che la lotta alla mafia, come diceva Bufalino, si combatte con il piccolo esercito degli insegnanti e di rapporto criminalità-cultura si è molto parlato durante il convegno.

Il primo a parlare è stato l’on Carmelo Incardona, che in passato ha anche ricoperto il ruolo di presidente regionale della commissione antimafia.

«A Vittoria – ha detto Incardona – si sono registrati fatti che manifestato un prosperarsi della criminalità e a tratti ricordono il periodo passato in cui la nostra città era tormentata dalla criminalità, ma fondamentalmente le cose sono cambiate. Quelli erano anni difficili – ha continuato Incardona – c’era in atto una guerra che fece centinaia di vittime, forse in proporzione più di Palermo o altre zone calde della Sicilia…»

«In quegli anni c’era la banda Dominante-Carbonaro che aveva fatto alleanze con cosiddetta Stidda e cercava di radicarsi in questo territorio. La città di Vittoria – ha dichiarato Incardona – in quegli anni aveva conosciuto uno sviluppo intenso che faceva gola e, al contrario di ciò che spesso si dice, la mafia va alla ricerca del denaro, non è vero che si radica dove c’è povertà».

«Il mercato ortofrutticolo era il cuore della economia vittoriese – ha continuato l’Onorevole Icardona durante il suo intervento – ma anche provinciale, in questo contesto il clan Carbonaro pretendeva che tutti i commissionari ortofrutticoli pagassero il pizzo. Qualcuno iniziò a pagare, ma loro volevano che tutti pagassero. In questo clima Salvatore Incardona pensava che non era giusto pagare il pizzo, anzi credeva che chi non andasse a lavorare per guadagnarsi da vivere era un parassita. Quando lui ricevette le telefonate che lo invitavano a pagare, esprimeva sdegno nei confronti dei criminali. Mio padre – ha continuato Incardona – si rendeva anche conto che da solo come commissionario non poteva combattere il pizzo, fu questo convincimento che lo portò a chiedere aiuto ad altri commissionari, disse a tutti che non era opportuno che non si pagasse perché se avessero agito tutti in maniera compatta nessuno poteva loro fare nulla».

Vittorio Sgarbi ha riportato l’attenzione dei presenti sul tema della formazione come strumento utile per combattere la mafia ed ha marcato la mano sui nuovi sistemi della criminalità organizzata che non si accontenta quasi più di ricavare dei soldi con il pizzo, ma il denaro lo cerca nelle istituzioni.

«C’è un rapporto stretto tra potere criminale, potere politico e potere economico – ha affermato Sgarbi – gli amministratori, ignorando l’articolo 9 della costituzione, consentono, con ignoranza assoluta, le autorizzazioni per le pale, la mafia è li, la Comunità Europea è complice del progetto criminale».

«Per quanto riguarda i giovani – ha detto ancora Vittorio Sgarbi –, si avvicinano alla criminalità perché non c’è offerta di lavoro».

Dopo Sgarbi ha preso la parola l’attuale presidente regionale della commissione antimafia: «Quello in cui è stato ucciso Salvatore Incardona – ha affermato Speziale – era un periodo in cui i morti ammazzati erano uno al giorno, si affacciava una nuova mafia tra Gela e Vittoria. Le imprese e gli imprenditori che denunciano il pizzo sono ancoora pochissimi».

Poi Speziale ha criticato il sindaco di Comiso per la intitolazione dell’aeroporto a Magliocco, su questo tema si è aperto un dibattito acceso con Sgarbi, che sostiene che non può esserci un morto più importante di un altro e conclude: «Difenderò Magliocco fino alla fine».

Durante il convegno sono stati fatti molti elogi al Sindaco di Vittoria, Nicosia, che ha fatto della lotta alla criminalità un proprio cavallo di battaglia.

Erano presenti anche il presidente della Provincia Regionale di Ragusa, G. Franco Antoci e il Vescovo di Ragusa, Mons. Paolo Urso.

 

 

 

Fonte: robigreco.wordpress.com
Articolo del 9 giugno 2018
Si chiamava Salvatore Incardona ed è stato ucciso dalla mafia il 9 giugno 1989

Siamo a Vittoria, una grossa cittadina in provincia di Ragusa, nella Sicilia sud-orientale. Manca ancora un po’ all’alba. Le luci del giorno non illuminano ancora l’unica vera ricchezza che questa zona possiede: la terra. Molto diffusa è la coltura in serra, in cui si coltivano maggiormente pomodoro, ciliegino, melanzane, peperoni, e zucchine. Vittoria è un grosso centro di produzione ortofrutticola, di vini e di olio, che continuano ad alimentare la produzione e il commercio. Salvatore Incardona è un grossista al mercato ortofrutticolo di Vittoria, dirigente della cooperativa Agriduemila. In quel periodo la cosca locale, la famiglia Carbonaro, aveva fatto alleanze con la Stidda, che cercava di radicarsi in questo territorio. La città di Vittoria, in quegli anni, aveva conosciuto uno sviluppo intenso che faceva gola e, come sempre, la mafia va alla ricerca del denaro, non della povertà.

Il mercato ortofrutticolo era il cuore della economia vittoriese oltre che provinciale. In questo contesto la famiglia Carbonaro pretendeva che tutti i commissionari ortofrutticoli pagassero il pizzo. Qualcuno iniziò a pagare, ma loro volevano che tutti pagassero. Le richieste di pizzo aumentavano. Era stato addirittura istituzionalizzato, come fosse una tassa, un’addizionale da calcolare sulle cassette di legno impiegate: tante cassette usate, tanto pizzo da pagare. Incardona decide di non pagare. Non solo, comincia a cercare di convincere i colleghi a non pagare più il pizzo, a firmare tutti insieme una denuncia collettiva contro la banda degli estorsori. Aveva provato a dissuaderlo anche il presidente del consorzio dei commissionari, che si era addirittura recato da lui per convincerlo a “non inceppare il sistema”. Salvatore Incardona non si sente un eroe, vuole soltanto difendere il proprio lavoro, non accetta più di sottostare a una soverchieria che lo priva di una parte del suo onesto guadagno.

Sono le 5:45 del 9 giugno 1989. Salvatore esce di casa e raggiunge la sua automobile. È investito da una pioggia di fuoco che, al suo termine, lo lascia senza vita immerso nel suo stesso sangue.

Senza ombra di dubbio, Salvatore Incardona può essere considerato un precursore dell’attuale movimento d’imprenditori e di cittadini siciliani che hanno deciso di sfidare apertamente le mafie cominciando col ribellarsi al giogo del “pizzo”. Salvatore Icardona l’ha fatto in un tempo in cui pochi avevano il coraggio di alzare la testa e per questo ha pagato con la vita un prezzo altissimo.

 

 

 

 

Fonte:  mediterraneocronaca.it
Articolo del 9 giugno 2018
Salvatore Incardona, 9 giugno 1989

In questi giorni, in cui i braccianti della Piana di Gioia Tauro sono in rivolta a causa dell’omicidio di un sindacalista, Sacko Soumaila, il 29enne maliano ucciso nel vibonese, ricade l’anniversario dell’omicidio di un’altra vittima della dura vita e dello sfruttamento nel settore agrario: Salvatore Incardona. Questo omicidio accadde in Sicilia, nel 1989. Incardona era dirigente della cooperativa Agriduemila. Salvatore Incardona aveva una colpa, imperdonabile per la mafia di un territorio dove i mafiosi avevano – e forse hanno – un controllo del territorio infinitamente maggiore rispetto allo Stato: si era rifiutato di pagare il pizzo e si era perfino permesso di sollecitare la reazione dei colleghi contro l’oppressione economica esercitata dalla mafia.

Salvatore Incardona, ucciso nella sua auto davanti casa a Vittoria
Il 9 giugno 1989, su ordine delle cosche locali, Salvatore Incardona venne ucciso a Vittoria, in provincia di Ragusa. I’omicidio di Incardona servì da dimostrazione per gli altri imprenditori e coltivatori della provincia in caso di eventuale decisione di rivolta contro il pizzo a loro imposto. Il commerciante di ortofrutta all’ingrosso stava uscendo da casa per recarsi al lavoro. Un gruppo di fuoco mafioso lo attendeva nelle immediate vicinanze. Atteso che Incardona salisse in auto, i mafiosi gli si avvicinarono e lo giustiziarono con la firma dell’organizzazione: la lupara. Salvatore Incardona morì nella sua auto, crivellato dai pallettoni esplosi dai fucili del gruppo armato. Nove anni dopo, al Comune di Vittoria, decisero finalmente di ricordare il coraggio di chi tentò di ribellarsi alla mafia dedicandogli il 26 settembre 1998 una strada: Via Salvatore Incardona.

 

 

 

 

Foto da: mafie.blogautore.repubblica.it

Fonte:  mafie.blogautore.repubblica.it
Articolo del 19 maggio 2019
Salvatore, che non voleva pagare
di Giuseppe Bascietto

Fuori dalla Sicilia si sa ben poco di Vittoria città delle primizie, di fontane della pace e di chioschi delle stragi. Di morti ammazzati e di prepotenze ai danni della povera gente. A Vittoria l’emergenza non esiste. La mattanza è la norma.
Oltre 100 morti ammazzati tra il 1989 e il 1992. 1300 arresti per mafia negli ultimi anni. 500 persone considerate dagli investigatori appartenenti alle bande criminali. In questo contesto di violenza e di paura, dove l’omertà sembra prevalere, si alza forte e potente la voce di un commerciante.
Di un bravo e coraggioso commerciante che contribuisce a rompere quel muro di omertà che da decenni protegge la mafia e i suoi amici. Una storia vecchia, dimenticata, ma ancora attualissima che parla di pizzo, intimidazioni, collusioni e ribellione. È la storia di Salvatore Incardona che inizia a Vittoria nel 1989 quando nelle riunioni con i commercianti cerca di convincere i colleghi a non pagare più il pizzo, a costituire un’associazione antiracket e a firmare tutti insieme una denuncia collettiva contro i boss mafiosi. Era un uomo con un fortissimo senso del dovere e con una forte simpatia per il Movimento sociale Italiano che non si preoccupava di nascondere. Il figlio Carmelo, che all’epoca aveva 25 anni, ricorda: “papà lo diceva apertamente, “io non pago”. Lo diceva a me, ma anche al bar, in piazza e durante i comizi. Ai colleghi che come lui avevano un box al mercato diceva: “Se ci opponiamo tutti non potranno farci niente”. Incardona voleva solo difendere il proprio lavoro, non accettava di sottostare a una soperchieria che lo privava di una parte del suo guadagno. Ma i suoi colleghi, ormai, l’estorsione del clan Carbonaro-Dominante l’avevano accettata tutti, l’avevano istituzionalizzata, come se fosse una tassa. Un’addizionale da calcolare sulle cassette di legno impiegate.
Addirittura alcuni suoi colleghi erano andati a trovarlo per dirgli di non inceppare il sistema tanto alla fine pagava il cliente. Ma il commerciante si rifiutò. Andava ripetendo a tutti che era necessario denunciare i mafiosi che chiedevano il pizzo e contemporaneamente accusava chi pagava il pizzo di essere complice morale dei criminali. Di questo rifiuto furono informati i fratelli Carbonaro che fecero un ultimo tentativo inviando Carmelo Dominante. Ma Incardona appena lo vide all’interno del suo box lo prese per il colletto della camicia e lo buttò fuori dicendo che se fosse tornato lo avrebbe denunciato.
E così il 9 giugno del 1989, alle sei e trenta del mattino, entrarono in funzione i Kalashnikov. I killer lo stavano aspettando fuori dal garage da dove ogni giorno tirava fuori la sua macchina per andare al lavoro. Improvvisamente la quiete del mattino fu squarciata dal rombo di un motore e da diversi colpi d’arma da fuoco. Poi il silenzio. Inquietante, minaccioso. A spezzarlo ci hanno pensato le sirene delle auto della polizia e dei carabinieri che appena arrivati hanno trovato il corpo del commerciante riverso sul sedile, pieno di sangue e di pallottole.
Muore sul colpo Salvatore Incardona, a 50 anni appena compiuti, e lascia la moglie e 4 figli, la più piccola, Eliana, aveva 8 anni e il più grande Carmelo 25. In mezzo Valeria di 11 anni e Gianni di 23. Naturalmente nessuno ha visto o sentito niente. Come nella più classica storia di mafia.
All’indomani dell’omicidio tutti s’interrogano: perché viene ucciso? Era forse coinvolto in affari poco puliti? In realtà le indagini dei carabinieri da subito si indirizzano sul movente estorsivo, si riempiono man mano di tasselli, fino alla svolta del 1992, quando i dubbi vengono spazzati via da Silvio Carbonaro, dell’omonimo clan, che a proposito dell’omicidio Incardona dice: “fu ucciso perché non voleva cedere alle nostre richieste estorsive. Ogni volta che gli telefonava qualcuno per chiedergli i soldi dell’estorsione diceva sempre che non avrebbe pagato”. Allora Carmelo Dominante disse che “per aggiustare il mercato si doveva uccidere chi faceva più casino e tentava di convincere gli altri posteggiatori del mercato a non pagare”.
“Nelle riunioni che faceva con i commercianti li incitava a resistere e parlava male di noi chiamandoci parassiti”. Da qui la decisione di eliminarlo. Incardona fu ucciso e tradito due volte. Prima fu lasciato solo a opporsi al racket, poi, da morto, fu abbandonato da chi sapeva e anzi la sua memoria fu inquinata dal sospetto. “Io non sono andato al suo funerale”, confessa un politico di Vittoria, “perché se era stato ammazzato poteva essere in qualche modo coinvolto in affari loschi”. “Questa era la voce che circolava all’indomani dell’omicidio”, ricorda il figlio Carmelo che aggiunge: Tutti all’ortomercato conoscevano i pericoli che mio padre correva, ed e? impensabile che qualcuno possa poi aver dubitato sui reali motivi della sua uccisione. D’altra parte e? illogico che le cose note al mercato, motore dell’economia vittoriese, non giungessero in citta?, dove gli addetti e gran parte dei commissionari vivono.
In realtà Salvatore Incardona era un uomo coraggioso che fu ucciso due anni prima di Libero Grassi, l’imprenditore palermitano che si oppose al pizzo e fu eliminato da Cosa Nostra nel 1991.
Nelle conclusioni della sentenza di condanna dei mandanti e degli esecutori i giudici, infatti, scrivono che “al di fuori di ogni retorica, la figura di Salvatore Incardona è stata tra i più fulgidi esempi di resistenza all’ingiustizia e di opposizione alla sopraffazione”.
Senza ombra di dubbio, Salvatore Incardona può essere considerato un precursore dell’attuale movimento d’imprenditori e di cittadini siciliani che hanno deciso di sfidare apertamente le mafie cominciando col ribellarsi al giogo del “pizzo”. Lo ha fatto in un tempo in cui pochi avevano il coraggio di alzare la testa. A Vittoria il 26 settembre 1998 gli è stata intitolata una strada. Ci sono voluti nove anni.

 

 

 

 

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