Azzardopoli – Dossier di Libera sul gioco d’azzardo in Italia (2012)

1. Premessa

Un paese dove si spendono circa 1260 euro procapite, (neonati compresi) per tentare la fortuna che possa cambiare la vita tra videopoker, slot-machine, gratta e vinci, sale bingo. E dove si stimano 800mila persone dipendenti da gioco d’azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio. Un fatturato legale stimato in 76,1 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere, mantenendoci prudenti, i dieci miliardi di quello illegale. E’ “la terza impresa” italiana, l’unica con un bilancio sempre in attivo e che non risente della crisi che colpisce il nostro paese.
Benvenuti ad Azzardopoli, il paese del gioco d’azzardo, dove quando il gioco si fa duro, le mafie iniziano a giocare. Ben 41 clan che gestiscono “i giochi delle mafie” e fanno saltare il banco. Da Chivasso a Caltanissetta, passando per la via Emilia e la Capitale. I soliti noti seduti al “tavolo verde” dai Casalesi di Bidognetti ai Mallardo, da Santapaola ai Condello, dai Mancuso ai Cava, dai Lo Piccolo agli Schiavone. Le mafie sui giochi non vanno mai in tilt e di fatto si accreditano ad essere l’undicesimo concessionario “occulto” del Monopolio di Stato. Sono ben dieci le Procure della Repubblica direzioni distrettuali antimafia che nell’ultimo anno hanno effettuati indagini: Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma. Sono invece 22 le città dove nel 2010 sono stati effettuate indagini e operazioni delle Forze di Polizia in materia di gioco d’azzardo con arresti e sequestri direttamente riferibili alla criminalità organizzata.
L’ultima inchiesta in ordine di tempo dello scorso 30 novembre a Milano coordinata dal pool di Ilda Boccassini ha messo a nudo e fotografato i “giochi di mafie”. Il clan Valle-Lampada, impegnato secondo gli investigatori anche in Calabria in affari con i Condello, tramite quattro società aveva collocato slot machine e videopoker in 92 locali di Milano e provincia, per un totale di 347 macchinette. Con ricavi tra i 25 mila ed i 50 mila euro al giorno, di cui una parte consistente doveva finire nelle casse eriali. Ma di fatto le macchinette installate erano fuori norma e al Monopolio venivano trasmessi dati falsi. La sanzione dell’AAMS (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) in questi casi è di mille euro al giorno. Per il clan Valle-Lampada pagare un mese di sanzione, pari a 30mila euro,equivaleva ai proventi illegali di un solo giorno. Ad Azzardopoli i clan fanno il loro gioco. Rien ne va plus.
Si punta e si vince. E dove l’illegalità non conosce limiti. Nel 2010 sono state 6.295 le violazioni riscontrate della Guardia di Finanza: oltre 8mila le persone denunciate, 3.746 i videogiochi irregolari sequestrati, alla media di 312 al mese e 1.918 i punti di raccolta di scommesse non autorizzate o clandestine scoperti (più 165% rispetto al 2009).
Numeri, storie, analisi del dossier non svelano la soluzione di un giallo perché, semmai, il colore che prende l’impresa è il nero. Per i risvolti in chiaroscuro, per le numerose zone d’ombra di un sistema complessivo, quello dei giochi d’azzardo, che, curiosamente, ma non troppo, in un paese in crisi come l’Italia, funziona e tira. E’ un settore che, cifre alla mano, offre lavoro a 120.000 addetti e muove gli affari di 5.000 aziende, grandi e piccole. E mobilita il 4% del Pil nazionale con il contributo, secondo le stime più attendibili, di circa 30 milioni di italiani, fosse anche di quelli che nel corso dell’anno comprano solo il tradizionale tagliando della Lotteria Italia, peraltro in netto calo (-15%).
A inizio 2011 l’ottimismo spingeva a una previsione d’incasso del mercato dei giochi pari a 80 miliardi, poi una frenata autunnale aveva ridimensionato la previsione a 73 miliardi. Ma l’Italia, che pure incassava la manovra più dura e consapevole, quella di Monti, dava fiato nell’ultimo trimestre a una raccolta ancora più lusinghiera e, a chiusura di conti, il dato finale si sarebbe attestato a 76,1 miliardi, pari alla somma del debito finanziario dei Comuni a fine 2010.
Per la cronaca l’Italia con questa cifra occupa il primo posto in Europa e terzo posto tra i paesi che giocano di più al mondo. Con un sottofondo illegale stimato (e i dati forse sono per difetto) di almeno dieci miliardi di euro, quota parte di quel paese “illegale” che pesa nell’economia per almeno 560 miliardi complessivi.
Ma queste cifre, vanno incrociate con altre, non meno significative e che segnalano una contraddizione deflagrante. Tra dissipazione e povertà. La fotografia Censis sull’Italia del 2010 descriveva persone “fragili, spaventate, dipendenti”. La povertà relativa riguardava 8.272.000 connazionali, il 13% dell’universo totale, investendo 2.734.00 famiglie.
Risultava che una famiglia di due membri spendeva mensilmente meno di 992 euro, un singolo meno di 595, una famiglia di 4 tra genitori e figli si attestava a 1617. L’Italia era nelle retrovie del primo gruppo europeo a 15 e non se la passava neanche bene in assoluto. L’indagine Istat relativa al biennio 2009-2010 e diffusa a fine dicembre 2011 ha chiarito un italiano su quattro è a rischio povertà e che il 16% delle famiglie ha dichiarato di avere difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Se si vogliono altri raffronti, 76 miliardi di euro sono il portato di quattro Finanziarie normali (certo, non quelli attuali, sotto dettatura “europea”). E 76 miliardi è una cifra due volte superiore a quanto le famiglie spendono per la salute e, addirittura, otto volte di più di quanto viene riversato sull’istruzione.
Come osserva Luca Ricolfi in un articolo su Panorama è undici volte la cifra che l’Italia spende per l’università “ed è più o meno la stessa cifra che lo Stato spende per tenere in piedi l’enorme apparato della scuola, con tutti i suoi insegnanti, presidi, bidelli, segretari, con i suoi edifici e le loro spese di funzionamento: dal riscaldamento alla luce elettrica”.
E’ sconcertante notare che a un quesito Istat rivolto alla popolazione (“E’ tollerabile nel vostro bilancio familiare annuo una spesa straordinaria di 700 euro?”) il 29% degli intervistati abbia risposto seccamente “no”. Ebbene, questa è una cifra di gran lunga inferiore a quella media annuale pro capite utilizzata per i giochi, anche d’azzardo. Né la fotografia del Censis alla fine del 2011 è più consolante. La ricchezza finanziaria delle famiglie è in forte calo ma cresce l’investimento sui giochi.
Se analizziamo gli ultimi dati riferiti ai mesi di ottobre e novembre 2011, il primato per il fatturato legale del gioco spetta alla Lombardia con 2miliardi e 586 mila di euro, seguita dalla Campania con un miliardo e 795 mila euro. All’ultimo gradino del podio il Lazio con un miliardo e 612 mila euro. Nella cinquina entrano anche l’Emilia Romagna con un miliardo e 106mila euro e il Piemonte con 964mila euro. Soldi che girano grazie alle 400mila slotmachine presenti in Italia, una cifra enorme, una macchinetta “mangiasoldi” ogni 150 abitanti, un mini casino’ tablet in giro per i nostri quartieri.
Dunque, in ragione di queste cifre eloquenti, non aspettatevi l’identità di un colpevole ma, almeno, quella di un complice sì. Ed è lo Stato. Che fa la parte del biscazziere, asseconda l’industria del gioco nelle sue derive più eversive, ma, di più, incentiva l’apertura di sempre più nuovi fronti per aumentare il gettito. Il fenomeno dell’escalation del gioco in Italia (sì, anche quello d’azzardo) fa clamorosamente a pugni con l’ andamento dei mercati, con l’odore di recessione, con il vento di crisi che è soffiato nelle case degli italiani con l’angoscia della macelleria sociale da agosto 2011 in avanti, senza soluzione di continuità, fino a dicembre inoltrato, vacanze di Natale incluse, come una terribile minaccia stampata sul futuro.
A partire da un 2012 in totale salita. E se il riciclaggio in Italia tocca il 10% del Pil (il doppio che nei paesi occidentali progrediti) non si può pensare che il gioco ne sia immune. Il 69% degli italiani che giocano on line ha subito una qualche forma di cyber crimine contro una percentuale mondiale che si attesta sul 65%.
Non sono solo numeri: dietro ci sono storie, fatiche, speranze che si trasformano per tanti in una trappola psicologica ed economica. A subire le conseguenze della crescente passione dello Stato per “il gioco” sono i cittadini, con costi umani e sociali che di certo superano i guadagni in termini monetari per le casse pubbliche.
Secondo una Ricerca nazionale sulle abitudini di gioco degli italiani del novembre 2011 curata dall’Associazione “ Centro Sociale Papa Giovanni XXIII”,e coordinata dal CONAGGA (Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d’Azzardo), volta ad indagare le abitudini al gioco d’azzardo è stimato che in Italia vi siano 1 milione e 720 mila giocatori a rischio e ben 708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei giocatori patologici minorenni e quelli a rischio. Il che significa che vi sono circa 800 mila dipendenti da gioco d’azzardo all’interno di un’area di quasi due milioni di giocatori a rischio. I giocatori patologici dichiarano di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese.
Dunque c’è da chiedersi con coscienza critica: “A che gioco stiamo giocando?”, oppure: “A che gioco stanno giocando?”. Ognuno ha il diritto di divertirsi come meglio crede, sempre nel rispetto della legge, ma i numeri e le storie di questo dossier, spesso drammatiche, ci dicono ben altro: una rapina generalizzata dai bilanci di decine di migliaia di famiglie italiane; fiumi di denaro che scorre in nero, nella piu’ assoluta illegalità con clan criminali sempre piu’ con le mani sul “tavolo verde”.

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