Delitto Rostagno, quando la mafia imperava e nessuno indagava – di Rino Giacalone

Delitto Mauro Rostagno, quando la mafia imperava e nessuno indagava
di Rino Giacalone
I boss che comandano.

Nel 1988 e negli anni a seguire la mafia a Trapani «governava» il territorio, sedeva con i politici e gli imprenditori, si spartiva gli appalti e determinava chi doveva comandare nelle stanze del potere politico ed istituzionale, la mafia era dentro le banche, faceva i suoi riciclaggi, anche internazionali, e nel frattempo decideva ed eseguiva sentenze di morte, sterminava i suoi nemici, uccideva magistrati, giudici, dopoavere fatto strage di donne e bambini, attentava ai poliziotti, per riuscire a creare quella sua invisibilità preziosa per essere diventata oggi sommersa, eppure nonostante tutto questo la mafia restava fuori dalle indagini sul delitto di Mauro Rostagno.

Nel 2008 a  Giuseppe Linares, capo della Squadra Mobile fino a gennaio scorso è riuscito, indagando i mafiosi Virga e Mazzara per l’omicidio Rostagno, quello che fu impedito ad uno dei suoi più lontani predecessori, Rino Germanà, che nel 1988 inquadrò il delitto all’interno della matrice mafiosa, ma non gli fu permesso dalla magistratura dell’epoca di insistere su questo filone, le indagini passarono ai carabinieri. Che di piste ne seguivano una soltanto, quella interna alla Saman, almeno così sono venuti a dire nel processo, anche se c’è altro da dire: perchè nel 1996 quando il procuratore Garofalo fece riemergere quelle indagini andate in archivio due anni prima, gli investigatori dei carabinieri divennero testi nell’indagine e infine «segnalati» alla magistratura di Caltanissetta assieme ai magistrati che avevano indagato all’inizio dell’inchiesta per sospette omissioni. Una anomalia che è aleggiata nel processo in corso davanti la Corte di Assise di Trapani, anomalo che degli investigatori finiscano con l’essere testi e debbano spiegare come mai non sono stati fatti sequestri, intercettazioni e quelle stesse intercettazioni fatte sono sparite.

Codice Rosso. L’indagine ripartita nel 1996 è quella che fu  denominata «Codice Rosso», affidata dalla Procura di Trapani alla Digos. Puntava alla pista interna, vide finire in manette ingiustamente e senza le necessarie prove anche Chicca Roveri, la compagna di Rostagno, Monica Serra, la ragazza che fu testimone del delitto, toccò  una serie di soggetti che erano ospiti della comunità o vi orbitavano attorno, qualcuno chiacchierato, lo è ancora, come Giuseppe Cammisa, detto Jupiter, nipote di un narcotraficcante di Campobello di Mazara e che dopo il delitto Rostagno fece carriera, divenendo guardiaspalle di Cicci Cardella e della sua compagna ungherese. Cammisa lo troverà sulla sua strada Ilaria Alpi quando indagando in Somalia sui traffici sporchi della cooperazione italiana finì uccisa in un agguato a Mogadiscio. Una indagine che è finita con l’archiviazione ma che ha aperto le porte all’indagine sui mafiosi e dove sullo sfondo restano le ombre di un traffico di droga e di armi con coperture eccellenti garantite da Cosa nostra e a Cosa nostra.

Ne ha parlato ieri in Tribunale l’ex capo della Digos Giovanni Pampillonia, lui firmò nel maggio 1996 il rapporto, lui ha spiegato che il lavoro investigativo riguardò aspetti non trattati dalle precedenti indagini, ha escluso che la pista mafiosa sia stata presa in considerazione della Digos, «non è la nostra specialità», confermando, indirettamente, che dal 1988 fino al 1996 tranne Germanà, nessun altro investigatore aveva collegato il delitto Rostagno alla mafia. Il vice questore Pampillonia quando ha parlato del delitto Rostagno lo ha definito «raffazzonato», per via di quel fucile esploso, cosa che gli faceva escludere la mafia. Ma tra le cose pure importanti dette, una l’ha sottolineata, a proposito dei riconoscimenti dei possibili killer (ex ospiti della Saman) fatti fare alle sorelle Fonte che abitavano vicino al luogo dell’agguato: «Certo – ha detto – se fossero stati fatti a suo tempo non potevano esserci i dubbi che sono emersi».

Rispondendo alle domande del pm Tarondo (assenti i pm titolari dell’indagine Ingroia e Paci) e alle parti civili (il processo continua il 6 aprile con le difese), il vice questore Pampillonia ha evidenziato quelli che a suo avviso erano punti di contrasto dentro la comunità che non erano stati approfonditi e che sono stati posti non tanto come possibili moventi del delitto ma quanto per spiegare le coperture che a chi ha voluto quel delitto a chi lo ha eseguito sarebbero state garantite. Ma molti sono stati i passaggi in cui ha riferito cose apprese da terzi, a loro volta conosciuti attraverso altre persone, un filo infinito impossibile da ricostruire.

Le cose certe riferite da Pampillonia sono costituite dalle indagini, concluse, da condanne, su falsi corsi di formazione professionale e sul peculato dentro la Saman che ebbero l’ex guru Cicci Cardella come grande manovratore: «Emergeva da queste indagini un quadro squallido» ha detto Pampillonia «perchè il collettivo di volontariato conosciuto non esisteva per niente». Il nome di Cardella è ricorrente in questo processo e non può essere altrimenti nel momento in cui gli stessi pm della Dda di Palermo parlano di lui nella richiesta di custodia cautelare per Virga e Mazzara come di un soggetto che rispetto al delitto non può affermarsi che abbia chiarito ogni cosa. Morto Rostagno, Saman si ingrandisce, diventa una hlding, una serie di scatole cinesi che dall’Italia portano all’etsero e fanno rientrare in Italia ingenti capitali, una situazione che Pampillonia ha descritto facendo riferimento anche ad un maxi sequestro da 61 miliardi di vecchie lire fatto contro la Saman dell’epoca e contro Cardella. Oggi Saman è cambiata, Cardella non c’è più.

Le ingiuste accuse a Chicca Roveri.
Contrastata è stata la ricostruzione del ruolo di Chicca Roveri, la compagna di Mauro Rostagno, secondo Pampillonia ordinò ad un ospite della comunità Saman di Lenzi di distruggere il fax inviato da Milano da Francesco Cardella, con il quale veniva ordinato a Rostagno di abbandonare il Gabbiano, la struttura interna alla comunità che ospitava i dirigenti. Circostanza che la parte civile, avv. Carmelo Miceli ha smentito: Come è possibile – ha detto Miceli – che il fax sia stato distrutto se esiste una perizia su questo foglietto. Come è possibile che questo foglio è stato distrutto se esiste in tempi successivi una sua trasmissione via fax? Per Pampillonia “quel fax non è stato mai trovato: Carla Rostagno (sorella di Mauro) disse che era composto da due fogli e che conteneva parole pesanti nei confronti del fratello”, ha affermato Pampillonia. “Chicca Roveri e Francesco Cardella hanno sostenuto che il fax era composto di una sola pagina”. Da qui la deduzione di Pampillonia scritta nel rapporto e cioè che Chicca Roveri aveva coperto in questa come in altre occasioni Cardella. Ma l’evolversi delle indagini ha portato all’archiviazione per Chicca Roveri, nessuna prova delle coperture, anzi dal processo contro Cardella vennero fuori le minacce che la Roveri subiva da lui.

Il sogno di Renato Curcio.
Ma i contrasti tra Cardella e Rostagno ci furono. Su questo tema fu sentito anche l’ex Br Renato Curcio. “Non poteva essere l’intervista a King – ha detto Curcio, indicato tra i 300 testi del processo – dove Rostagno parlava di se stesso e della Saman senza nominare mai Cardella, cofondatore, l’origine della lite. Doveva esserci altro”. Curcio non fu ricco di particolari nelle  sue risposte ma lasciò di stucco il procuratore Garofalo e il vice questore Pampillonia quando disse loro, salutandoli, che aveva fatto un sogno, quello su un traffico di armi che aveva Trapani come scenario, una descrizione che combaciava con altro che magistrati e investigatori avevano in mano. Una teste, Alessandra Faconti, riferì di un incontro organizzato a Palermo chiesto da Rostagno al giudice Falcone, un altro, Sergio Di Cori, parlò del traffico di armi che «Rostagno era riuscito a filmare», del traffico di armi venne a parlare con i pm anche il faccendiere dei servizi segreti Francesco Elmo, che però quando doveva essere sentito a Palermo dal pm Ingroia non parlò più vedendosi dinanzi il maresciallo Ciuro, collaboratore di Ingroia e che anni dopo fu arrestato per essere una delle «talpe» al Palazzo di Giustizia di Palermo. E Ciuro fu il consegnatario, lo ha detto Pampillonia, della voluminosa documentazione delle indagini. Infine il capitolo Gladio. «Fu su Saman l’unico rapporto informativo presentato». E Gladio qui doveva fronteggiare il pericolo libico.

L’anima nera.
La matrice del delitto da cercare nell’attività giornalistica? «Continui gli attacchi che faceva alla politica, alla massoneria, l’on. Canino (ex deputato regionale della Dc, arrestato per mafia, processo oggi sospeso per le sue condizioni di salute parecchio gravi ndr) mi risulta era nel suo mirino come anima nera di un sistema politico clientelare con connessioni mafiose».

 

Fonte:  antimafiaduemila.com
Articolo del 30 marzo 2011

 

 

 

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *